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Stefano Graziosi & James Jay Carafano

Stefano Graziosi scrive di politica estera su più testate, tra cui La Verità e Washington Times. James J. Carafano è Vice presidente della Heritage Fondation.

Via della Seta, il giusto “no” del governo italiano

Il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni ha fatto un regalo di Natale ad un’Europa libera e prospera all’inizio di questo mese, quando ha abbandonato l’accordo dell’Italia con Pechino sulla Belt and Road Initiative.
Nonostante le assicurazioni del Partito Democratico di centrosinistra che inizialmente ha orchestrato l’accordo, l’Italia, come la maggior parte dei 17 paesi dell’Unione Europea che ci hanno firmato accordi, non ha mai tratto molti benefici tangibili dal suo rapporto con la Cina. Invece, Pechino ha utilizzato gli accordi per rafforzare il suo potere globale e ostentare la sua influenza.

Più nello specifico, Pechino ha utilizzato la Belt and Road per dividere ed emarginare l’Europa, acquistando porti e altre infrastrutture critiche, monopolizzando il mercato delle telecomunicazioni e di altri importanti settori commerciali e spingendo le nazioni europee a competere per l’attenzione e per le intese con la Cina piuttosto che lavorare insieme nel loro migliore interesse.

La Meloni ha invertito questa dinamica e ha messo l’Europa davanti alla Cina fin dal primo giorno. Nel 2022, poco prima delle elezioni legislative italiane, la Meloni ha espresso sostegno a Taiwan, facendo arrabbiare l’ambasciata cinese. Lo scorso marzo ha visitato l’India, rafforzando i legami tra Roma e Nuova Delhi, riducendo ulteriormente l’importanza delle relazioni cinesi.

Già durante l’estate, prima della sua visita di luglio a Washington, la Meloni aveva segnalato che la fine del percorso per l’accordo sulla Belt and Road era imminente. Ma tagliando finalmente il cordone, la Meloni ha segnalato che ne ha avuto abbastanza, dimostrando vero coraggio e leadership e dando il buon esempio agli altri nella comunità transatlantica.

Tuttavia, Roma non deve adagiarsi sugli allori. La Cina probabilmente metterà in atto ritorsioni politiche e commerciali contro l’Italia. Pechino ha tentato proprio questo con la Lituania quando Vilnius si è ritirata dal 17+1, l’iniziativa diplomatica del Partito comunista cinese nell’Europa centrale e orientale. Inoltre, Pechino continuerà a prendere di mira le infrastrutture italiane, a partire dall’assicurarsi una partecipazione nel porto strategico di Trieste, rendendo l’Italia vulnerabile alle infiltrazioni cinesi ed esercitando pressioni sull’Alleanza Atlantica nel Mediterraneo.

Per continuare a respingere le avances di Pechino, Roma deve guardare più vicino a casa per gli investimenti. Prendiamo ad esempio il porto di Taranto. Come ha recentemente riportato il quotidiano italiano La Verità, sarebbe probabilmente caduto nelle mani di Pechino se non fosse stato per un investimento di 60 milioni di dollari da parte di un consorzio polacco nel settore della logistica.

Ma per trasformare casi individuali come questo in eventi ricorrenti, l’Italia ha bisogno di una visione strategica più ampia. Il rilancio del Baltic-Adriatic Corridor, che collega l’Europa meridionale alla Polonia, nonché al Caucaso e all’Asia centrale, è un’idea promettente. E la Meloni ha già proposto il Piano Mattei, una partnership con l’Africa settentrionale e occidentale per costruire una comunità nel Mediterraneo.

Il passo successivo più immediato e ovvio, tuttavia, è che Roma aderisca all’Iniziativa dei Tre Mari, come ha fatto la Grecia a settembre. I “Tre Mari” si riferiscono al Mar Baltico, all’Adriatico e al Mar Nero, e l’iniziativa consolidata comprende già 13 stati che lavorano insieme per costruire connettività e creare posti di lavoro, crescita, stabilità e prosperità. Questo è l’opposto della visione malevola della Cina per la regione.

Aderendo, l’Italia non solo darebbe all’Iniziativa un forte punto d’appoggio nel Mediterraneo, ma aiuterebbe anche a rafforzare le sue relazioni con gli Stati Uniti, con cui potrebbe collaborare per frenare l’influenza cinese nel Nord Africa, dove Pechino cerca di espandere la sua influenza e fare pressione sul fianco meridionale della NATO. Allo stesso modo, l’Italia migliorerebbe anche il rapporto dell’iniziativa con l’India, che offre opportunità di espandere le fonti di energia e la connettività digitale. A loro volta, sia Washington che Nuova Delhi potrebbero anche aumentare i loro investimenti nella stessa Italia in una prospettiva filo-occidentale e anti-cinese.

È incoraggiante che Giorgia Meloni abbia già mostrato interesse per la Three Seas Initiative. Lo scorso luglio membri del governo italiano hanno partecipato ad un evento organizzato a Roma dalle ambasciate di Polonia e Romania e specificamente dedicato a questo forum internazionale. Inoltre, a settembre, gli influenti think tank italiani FareFuturo e il Centro Studi Machiavelli hanno ospitato delegazioni internazionali sul futuro ruolo dell’Italia nell’Iniziativa dei Tre Mari.

Se Roma fa il salto e si unisce all’Iniziativa dei Tre Mari, il regalo di Natale della Meloni di aver lasciato la Cina potrebbe portare a un nuovo anno davvero felice e prospero.

Questo articolo è apparso sul Washington Times il 27 dicembre 2023

SE L’ITALIA “MOLLA” LA CINA

Il governo conservatore italiano, guidato da Giorgia Meloni deve affrontare una decisione chiave: deve decidere se rinnovare o meno il memorandum d’intesa di Roma con la Cina in merito alla Belt and Road Initiative.

Il memorandum è stato firmato per la prima volta nel 2019 dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha guidato quello che è stato probabilmente il governo più filo-cinese dai tempi di Marco Polo. Il secondo governo di coalizione di Conte è stato sostenuto principalmente dal filocinese Movimento Cinque Stelle e dal Partito Democratico.

L’accordo prometteva legami e investimenti più stretti per costruire il commercio tra Oriente e Occidente. Certamente ha dato credibilità a Pechino in Occidente, ma ha prodotto qualcosa per l’Italia? Ora la Meloni deve decidere se la Belt and Road Initiative serva gli interessi italiani. Il suo governo conservatore sembra profondamente scettico. L’accordo non ha fruttato molto all’Italia. Inoltre, l’attuale governo italiano sembra molto meno bendisposto nei confronti di Pechino.

Durante la scorsa campagna elettorale, la Meloni ha espresso sostegno a Taiwan, irritando l’ambasciata cinese. Da allora, il suo governo ha anche sostenuto fermamente Kiev contro la brutale aggressione di Mosca, inviando armi all’Ucraina e rafforzando i legami con la Polonia, non la risposta che Pechino voleva. Inoltre, la Meloni ha recentemente fatto visita al primo ministro indiano Narendra Modi e firmato accordi nel settore della difesa. Il potenziale per la cooperazione italo-indiana è forte. Questo infastidisce a non finire Pechino, dal momento che Nuova Delhi è un suo rivale strategico.

Diciamocelo. Italia e Cina sono diventate una coppia geopolitica alienata. È tempo di abbandonare la finzione di una partnership strategica. La Meloni dovrebbe stracciare il memorandum d’intesa. La sicurezza nazionale è un altro motivo per non rilanciare l’accordo. La Cina si sta infiltrando nei porti italiani. Emergono già rischi significativi per il porto di Taranto con progetti futuri da parte del Ferretti Group, controllato dalla compagnia statale cinese Weichai. Pechino vuole utilizzare questa struttura per aumentare l’influenza cinese nel bacino del Mediterraneo. Ciò alla fine metterebbe sotto pressione la presenza e l’influenza della NATO nel proprio cortile. Di recente il fondatore del filocinese Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, ha esortato i legislatori del suo partito a favorire gli investimenti cinesi nel porto. Questo sostegno da parte dell’opposizione politica deve rendere gli investimenti cinesi ancora meno allettanti per il governo.

La decisione della Meloni avrà risvolti anche fuori dall’Italia. L’attuale governo italiano è un laboratorio per una potenziale alleanza tra due delle principali fazioni conservatrici del Parlamento europeo: il PPE e l’ECR. Ci sono le elezioni previste per il 2024. Un forte blocco filo-USA potrebbe emarginare il Partito socialista europeo, da sempre più filorusso e filocinese. La Meloni, che è presidente dell’ECR, è il cuore di questo progetto politico ribelle. Non rinnovando l’accordo cinese, può rafforzare ulteriormente la sua credibilità a Washington ed essere vista a Bruxelles come una forza da non sottovalutare.

Dopo le ridicole dichiarazioni filocinesi del presidente francese Emmanuel Macron a Pechino, una forte posizione anticinese da parte dell’Italia rafforzerebbe la leadership di Roma.

Se la Meloni respinge Pechino, Pechino esprimerà sicuramente il suo disappunto. Pertanto, gli amici dell’Italia, in particolare gli Stati Uniti e l’India, devono intensificare e dimostrare un forte sostegno.

Geopolitica a parte, ciò di cui la Meloni ha più bisogno è una reale crescita economica, in particolare nella parte meridionale del Paese. Ci sono molti progetti potenziali lì – alternative concrete alla Belt and Road Initiative – abbastanza per fare del Sud Italia l’hub della crescita nel Mediterraneo orientale. Roma, Washington e altri partner, inclusa l’India, dovrebbero lavorare insieme per portare a compimento questi progetti. Questo è il vero vantaggio del mettere Pechino nello specchietto retrovisore.

 

Questo articolo è apparso su 19Foryfive il 21 aprile 2023

ITALIA, USA E MARE NOSTRUM

Tutta l’attenzione è rivolta verso la brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ma è anche a Sud che dobbiamo guardare. Né l’Unione Europea né la NATO saranno i leader strategici nel Mediterraneo allargato. Saranno Washington e Roma a dover svolgere quel ruolo.  Un’Europa stabile, prospera e pacifica sarebbe un vantaggio per l’intera comunità transatlantica. Un Mediterraneo allargato libero e aperto è la chiave per raggiungere questo obiettivo.

Uno dei motivi è la sicurezza energetica. Il Mediterraneo allargato comprende il Nord Africa, l’Europa meridionale, i Balcani, il Mar Nero e l’ingresso nel “Middle Corridor” attraverso il Caucaso fino all’Asia centrale. Man mano che l’Europa diversifica le fonti energetiche, i Paesi attingeranno sempre più dal Nord Africa, dal Caucaso e dall’Asia centrale, oltre che dal Medio Oriente e dagli Stati Uniti. Molte di queste risorse confluiranno verso gli hub energetici nell’Europa meridionale e quegli snodi devono essere protetti.

Un altro motivo sono le catene di approvvigionamento. Catene di approvvigionamento resilienti, che riducono le dipendenze da Russia e Cina e aprono nuove fonti di risorse naturali, ridurranno, a lungo termine, rischi e costi per l’Occidente. Stimoleranno anche ulteriori attività commerciali. Anche queste nuove filiere passeranno per il Sud Europa.

La stabilità è un altro problema ed è minacciata dall’immigrazione clandestina. La popolazione dell’Africa sta diminuendo. Una migrazione di massa incontrollata e non regolamentata verso Nord sarebbe completamente destabilizzante. L’Europa meridionale deve essere un ponte e un partner per il Sud del mondo, non una porta per il caos.

Infine, che l’Occidente lo voglia o no, il Mediterraneo allargato sarà un’arena dinamica nella competizione tra le grandi potenze. Per controbilanciare le sue difficoltà in Ucraina, Mosca sta cercando di rafforzare la sua influenza in Africa, mettendo così sotto pressione il fianco meridionale della Nato. Una stretta collaborazione tra Washington e Roma nel bacino del Mediterraneo potrebbe contrastare efficacemente questa strategia, favorendo la stabilizzazione del Nord Africa. Nel frattempo, la Cina cerca sempre di colmare i vuoti. In questo momento, per esempio, sta facendo pressing a tutto campo sulla Tunisia.

Perché Roma e Washington dovrebbero intervenire? Hanno interessi comuni nell’affrontare questi problemi. E, ammettiamolo, la massima priorità della NATO sarà il fianco orientale. L’UE non ha una politica estera comune rivolta a Sud e ha poche capacità di fare molto di più che gettare aiuti esteri inefficaci in tutte le direzioni. Nel frattempo, la leadership tedesca è moribonda e quella francese è stata palesemente inetta.

Il primo ministro italiano, Giorgia Meloni, è pronto a rimediare. Obiettivo principale della sua politica estera è rilanciare il ruolo dell’Italia nella Nato e nel bacino del Mediterraneo. Ha compreso l’importanza strategica del fianco meridionale nel contrastare le incursioni della Cina e la persistente influenza della Russia in Nord Africa e nella regione del Sahel. A gennaio, la Meloni ha compiuto due viaggi in Nord Africa, concentrandosi sull’incremento delle forniture energetiche e affrontando il problema dell’immigrazione clandestina. Roma sta cercando di ridurre l’importazione di gas russo e prevenire la potenziale strumentalizzazione dei flussi migratori africani da parte di Mosca.

Pertanto, quando si parla di bacino del Mediterraneo, la politica estera italiana si sta gradualmente allineando a Washington. Ad esempio, la Meloni si è recata a Tripoli, in Libia, poche settimane dopo che il direttore della CIA ha incontrato il primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibeh e il generale Khalifa Haftar. Nel corso della sua recente visita, il premier italiano ha dichiarato il proprio sostegno alla stabilizzazione politica del Paese nordafricano: posizione espressa, pochi giorni dopo, anche dal Segretario di Stato americano durante un incontro al Cairo con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.

Pur focalizzando la propria attenzione sul bacino del Mediterraneo e sul Medio Oriente, il governo conservatore italiano rilancia al contempo le relazioni transatlantiche e conferma il suo sostegno a Kiev: del resto, le sfide che stanno affrontando sia il fianco orientale che quello meridionale della Nato sono strettamente interconnesse.

Ciò che gli Stati Uniti mettono a disposizione è la presenza. Per esempio, agli Stati Uniti è stato concesso un ulteriore accesso alle strutture militari in Grecia e Romania, consentendo a Washington di schierare aerei da ricognizione, difese missilistiche e altri strumenti di sicurezza che rendono i suoi alleati dell’Europa meridionale molto più efficaci. Si tratta di un’influenza molto più contenuta e più economica di quella che gli Stati Uniti hanno messo in campo durante la Guerra Fredda per esercitare la deterrenza nei confronti dell’Unione Sovietica.

Inoltre, gli Stati Uniti possono portare investimenti esteri diretti, principalmente dal settore privato, che sono in grado di accelerare il “friend-shoring”. Ciò aiuterà la regione a ridurre la sua dipendenza dalla Cina e dalla Russia, contribuendo allo stesso tempo a far crescere le economie in Europa. Infine, gli Stati Uniti possono portare peso diplomatico, risolvendo la miriade di spinose sfide nella regione.Naturalmente, l’UE e la NATO avranno sempre un ruolo da svolgere in Europa meridionale. Ma uno sforzo bilaterale di Washington e Roma può essere il catalizzatore per una maggiore stabilità e prosperità in tutto il Mediterraneo allargato.

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Questo articolo è apparso su The National Interest il 13 febbraio 2023

ITALIA-USA, NUOVA PARTNERSHIP?

Solo pochi anni fa, gli europei hanno trattato l’ascesa del populismo come un’ondata di maltempo. Erano sicuri che sarebbe passata rapidamente. Negli Stati Uniti, la sinistra pensava che il populismo sarebbe finito con la sconfitta dell’ex presidente Donald Trump nel 2020. Entrambi si sbagliavano.

Oggi in Europa crescono le fila dei governi conservatori. E mentre le recenti elezioni nazionali statunitensi non hanno visto l’“onda rossa” che molti avevano previsto, il “rivolo rosso” ha dimostrato che il conservatorismo rimane vivo e vegeto. I repubblicani hanno infatti ottenuto più elettori a livello nazionale rispetto ai democratici.

Oggi, i conservatori su entrambe le sponde dell’Atlantico sono incoraggiati, premendo per riforme volte a mantenere i loro popoli al sicuro, liberi e prosperi. Nei prossimi due anni, possiamo anche aspettarci che cerchino di indirizzare il sistema politico transatlantico in una nuova direzione.

Prendiamo l’esempio del nuovo governo conservatore italiano, che si sta rivelando una sorta di laboratorio politico per un nuovo blocco europeo in grado di rafforzare le relazioni transatlantiche. Il nuovo premier, Giorgia Meloni, è presidente del Partito dei Conservatori e Riformisti europei (ECR), in rappresentanza di 16 Paesi. Il governo italiano potrebbe essere un ponte tra l’ECR e il PPE (Partito popolare europeo), che rappresenta 81 partiti di 43 paesi. In effetti, queste due forze politiche includono, rispettivamente, Fratelli d’Italia e Forza Italia (due dei partiti che appartengono all’attuale maggioranza parlamentare in Italia).

Questo blocco rafforzerebbe l’opposizione alle irresponsabili politiche di migrazione/asilo dell’Unione europea e agli eccessi dei poteri e della burocrazia dell’UE, consolidando nel contempo gli impegni per la famiglia, per la libertà religiosa e per altri valori europei tradizionali.

Un simile partenariato europeo potrebbe emarginare il Partito dei socialisti europei, che comprende alcune forze politiche che hanno sostenuto posizioni filo-russe e filo-cinesi. Ad esempio, il Partito socialdemocratico tedesco è corresponsabile delle deplorevoli politiche di Angela Merkel che hanno reso la Germania e l’UE pericolosamente dipendenti dalla Russia per l’energia. Altre politiche di sinistra non sembrano granché migliori. Il cancelliere socialdemocratico tedesco Olaf Scholz ha recentemente rafforzato i legami di Berlino con Pechino, mentre il Partito democratico italiano ha sostenuto il nefasto accordo sul nucleare con l’Iran e negli ultimi anni ha avvicinato Roma alla Repubblica popolare cinese.

Un blocco PPE-ECR potrebbe anche rafforzare le relazioni transatlantiche, in parte perché il centrodestra europeo e i conservatori americani sono allineati su una serie di questioni, tra cui lo scetticismo sulla politica climatica; le questioni educative, familiari e di genere; l’immigrazione e la sicurezza delle frontiere; la pace attraverso la forza e il sostegno alla NATO.

Nell’ambito della politica estera, per esempio, le azioni della Meloni promuovono una causa comune in tutto lo spazio transatlantico. Una delle sue prime iniziative fu quella di rafforzare i legami con la Polonia. Varsavia è in prima linea contro la Russia all’interno dell’Alleanza Atlantica ed è un fedele alleato americano. Inoltre, la Meloni punta chiaramente ad abbandonare la sudditanza italiana all’asse franco-tedesco e vuole invece a porre Roma al centro di una nuova rete internazionale insieme a Stati Uniti, Polonia e (forse) Gran Bretagna.

Tale strategia è probabilmente la causa della recente irritazione francese nei confronti dell’Italia. Formalmente, la crisi diplomatica tra Roma e Parigi è scoppiata a causa di dissapori sull’immigrazione clandestina. È probabile, tuttavia, che Emmanuel Macron stia cercando di ostacolare politicamente l’Italia perché teme che la Meloni possa rafforzare le relazioni transatlantiche. Dal momento che le relazioni tra Francia e Stati Uniti sono state notevolmente tese sia sotto Trump che sotto Biden, Macron è turbato dalla linea filo-americana della Meloni e dalla sua mancanza di arrendevolezza nei confronti di Parigi.

Tutto ciò potrebbe essere una buona notizia per le relazioni transatlantiche, in particolare se gli elettori dall’altra parte dell’Atlantico continueranno a spostarsi a destra. Il tempo lo dirà.

Le elezioni presidenziali statunitensi e le prossime elezioni parlamentari europee si terranno nel 2024. I prossimi due anni potrebbero quindi essere cruciali per la costruzione di un nuovo partenariato conservatore transatlantico. Mentre molti a sinistra hanno predetto che l’ascesa del populismo avrebbe minacciato la comunità transatlantica, i conservatori potrebbero essere il collante che unirà questa stessa comunità.

Questo articolo è apparso sul Washington Times il 20 dicembre 2022