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Roberto Aprile

Dottore in scienze politiche, Funzionario P.A. Esperto in tematiche del lavoro

Lavoratori nella governance d’impresa

Uno dei principali obiettivi di questo Governo, dall’inizio della legislatura, è stato la lotta alla disoccupazione attraverso il lavoro. Giorgia Meloni, durante la campagna elettorale,  ha sempre manifestato la volontà di voler scardinare quella concezione assistenziale di welfare prodotta dal reddito di cittadinanza, attraverso una rimodulazione dello stesso. L’obiettivo principale del Governo è stato l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Molto è stato fatto, ed i dati Istat sull’occupazione, ad oggi, lo confermano in maniera inequivocabile. Ma non basta. I risultati coneguiti devono essere concepiti in politica sempre come un “nuovo inizio” e mai come un “punto d’arrivo”.

Pertanto, l’approvazione  alla Camera del disegno di legge riguardante la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese assume un importanza fondamentale nelle dinamiche del lavoro. E’ opportuno precisare che ad oggi, questa normativa è in fase di esame nella Commissione lavoro del Senato per l’approvazione definitiva.

Ma, a prescindere dall’esito finale che avverrà tra qualche mese, l’emanazione di questa norma produrrà sicuramente degli effetti innovativi, nel prossimo futuro, riguardo il  ruolo dei lavoratori attraverso le loro rappresentanze sindacali e inciderà sicuramente nei cicli produttivi delle aziende.

La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende ha il suo fondamento normativo nell’art. 46 della Costituzione Italiana, da sempre inapplicato.

Questa proposta di legge, voluta  dalla Cisl, nasce “dal basso”. Non si formula nell’interno delle segreterie verticiste dell’organizzazione sindacale ma attraverso un atto di iniziativa popolare  voluto, principalmente, dal Segreterio Confederale Luigi Sbarra. La raccolta di 400.000 firme, avvenuta soprattutto durante tutta l’estate del 2023,  è un risultato piuttosto sorprendente,  considerando l’assenza totale all’iniziativa, degli altri sindacati di vertice come UIL e CGIL.

A gennaio 2024 ha avuto inizio l’iter di approvazione parlamentare.

La voglia di aver voluto imprimere un ruolo partecipativo ai lavoratori nell’interno dei cicli aziendali produrrà inevitabilmente degli effetti innovativi e inediti nell’ambito delle relazioni industriali che si caratterizzeranno attraverso un nuovo equilibrio dei rapporti tra parte datoriale e ruolo dei sindacati.

La partecipazione al lavoro, sancisce un nuovo paradigma del ruolo del sindacato attraverso le rappresentanze dei lavoratori. Il sindacato è chiamato a  svolgere e concepire  la propria funzione di rappresentanza e azione nei luoghi di lavoro, in maniera più partecipativa  inerente alcune  scelte aziendali. E’ tramontata l’era dello scontro sociale per lasciare spazio alle nuve dinamiche del lavoro basate sul  confronto e sulla responsabilità, in un unica parola: sulla partecipazione.  Oltre alle battaglie salariali, le rappresentanze dei lavoratori potranno incidere sulle politiche gestionali aziendali attraverso l’istituzione di commissioni paritetiche costituite da rappresentanti dei lavoratori e rappresentanti dell’impresa, con il fine di predisporre proposte finalizzate alla realizzazione di piani di miglioramento riguardante l’organizzazione del lavoro nell’interno dei cicli produttivi aziendali,  Questa forma partecipazione assume un significato politico importantissimo.

Il ruolo sindacale assolverà  inevitabilmente, anche ad una funzione di riconoscimento meritocratico dei lavoratori attraverso le politiche di welfare aziendale e conferimento delle premialità. Parole come meritocrazia e incentivi premianti  saranno strettamente connesse al ruolo partecipativo dei sindacati cosi come previsto dagli statuti aziendali e dai contratti collettivi.

Il sindacato non agirà più esclusivamente secondo una logica conflittuale secondo una concezione ideologica novecentesta, ma nell’interno degli spazi isituzionali riconosciuti dalla partecipazione al lavoro, coprirà ruoli che avranno inevitabilmente risvolti decisionali anche nelle politiche aziendali.

La legge di partecipazione dei lavoratori alla governance d’impresa ha un primo richiamo normativo  nella sottoscrizione del Patto per la Fabbrica del 2018. Quell’accordo, ricordiamo che fu firmato all’epoca da Confindustria –  Cisl, Uil e Cgil.

E opportuno precisare che nella prima repubblica il Msi – Destra Nazionale era l’unico partito a teorizzare la partecipazione dei lavoratori agli utili nell’interno delle aziende.

La dottrina della Chiesa si è sempre occupata di questo argomento soprattuto attraverso l’enciclica Laborem Exercens di Giovanni Paolo II  del 1981 che fornisce dei contenuti importantissimi sotto il profilo sociale attraverso la concezione spirituale del lavoro elevandolo da una mera considerazione   materialistica.

Il disegno di legge, approvato a fine febbraio alla Camera dei Deputati, ha avuto un ampio approfondimento in Commissione Lavoro Pubblico e Privato. Numerose sono state le audizioni che hanno consentito di fornire tutti gli strumenti utili per ampliare la conoscenza di questo specifico argomento. Dalle rappresentanze sindacali a quelle datoriali, dagli istituti di ricerca ad audizioni ad’opera di autorevoli esponenti del mondo accademico. Tutto  ciò è servito a rendere fecondo un intenso dibattito che  ha avuto anche momenti di forte intensità politica. Lodevolissimi contributi, , sono stati forniti anche da alcuni esponenti delle opposizioni durante le fasi che hanno preceduto la votazione finale in assemblea.  E’ opportuno ricordare a tal riguardo gli interventi dell’ On.  Arturo Scotto e l’On. Maria Cecilia Guerra del Partito Democratico.

Il partito Democratico si è astenuto durante la votazione in aula, a differenza del Movimento 5 Stelle ed il gruppo di Sinistra e Libertà che hanno votato contro. Mentre i renziani hanno votato a favore del provvedimento insieme alla maggioranza.

Ma il giusto merito va riconosciuto al certosino lavoro svolto da Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia, presidente della commissione lavoro pubblico e privato per il forte impegno avuto sia durante la fase istuttoria della predetta legge in commissione  che nell’intervento conclusivo in fase di approvazione alla Camera. Questo, senza tralasciare il validissimo  contributo politico espresso da tutta la pattuglia di Fratelli d’Italia presente in Commissione Lavoro. A tal riguardo è giusto ricordare l’ottimo  lavoro svolto  dall’ on. Silvio Giovine, vicentino e conoscitore del tessuto produttivo  industriale della sua città, uno tra i più importanti d’Italia, questa sua esperienza gli ha consentito di fornire un ampio contributo in termini di conoscenza sul campo e l’ On. Marta Schifone, napoletana, attentissima agli aspetti sociali del mondo del lavoro soprattutto in riferimento alla tutela delle fasce deboli.

Ad’oggi, la proposta di legge della partecipazione dei lavoratori alla governance d’impresa è in Commissione Lavoro al Senato. La relatrice, la scrupolosissima Sen. Paola Mancini di Fratelli d’Italia, di professione consultente del lavoro, vigila con dovizia di particolari su tutto l’iter normativo che probabilmente in tempi brevi avrà una positiva conclusione.

Si tratta di una riforma importante, che avrà risvolti inevitabilmente positivi nelle dinamiche del lavoro. Produrrà un profondo cambiamento nelle relazioni industriali attraverso un ruolo innovativo del sindacato, e di questo va riconosciuto alla Cisl il giusto merito. Questa sarà la vera rivoluzione sociale, che avrà pieno compimento nella partecipazione.

IA, la nuova frontiera

L’Intelligenza Artificiale non è solo una questione tecnologica: è una sfida radicale alle nostre idee su pensiero, coscienza, identità e società. Fino a oggi, la filosofia ha dibattuto su cosa significhi “pensare” e su come la mente si relazioni alla materia. Ora, però, ci troviamo davanti a una possibilità inedita: possiamo creare una mente artificiale?

Le risposte si dividono in quattro scenari possibili. Il primo sostiene che l’IA sarà sempre una simulazione avanzata della mente umana, priva di vera comprensione e autoconsapevolezza. John Searle, con il suo esperimento della “Stanza Cinese” (1980), ha dimostrato come un’IA possa manipolare simboli senza comprenderne il significato. In sintesi esegue un programma predefinito, totalmente asettico e impiantato secondo una logica meccanicistica strutturata secondo un sistema di calcolo.

Il secondo scenario ritiene che, se il pensiero è solo computazione, allora un’IA sufficientemente avanzata potrebbe sviluppare un’intelligenza autentica. Alan Turing, con il suo celebre “Test di Turing” (1950), suggeriva che se una macchina può rispondere come un essere umano, allora dovrebbe essere considerata intelligente.

Il terzo scenario è ancora più audace: la coscienza potrebbe emergere spontaneamente da un sistema artificiale complesso, ridefinendo il concetto stesso di mente. David Chalmers ha introdotto il “problema difficile della coscienza”, distinguendo tra la capacità di elaborare informazioni e l’esperienza soggettiva (qualia).

Infine, la quarta ipotesi supera il confine tra naturale e artificiale: uomo e macchina potrebbero fondersi in un’unica entità, inaugurando l’era del post-umano. Nick Bostrom ha esplorato la possibilità di una “Superintelligenza” che superi di gran lunga le capacità umane. Andy Clark, con la teoria della “mente estesa”, suggerisce che la tecnologia potrebbe diventare parte integrante del nostro processo cognitivo, eliminando il confine tra uomo e IA.

Diritti dell’IA e questione morale

Se un’IA dovesse sviluppare coscienza e autonomia, quali sarebbero le implicazioni legali e morali? Già oggi il diritto sta iniziando a confrontarsi con la questione dell’”autonomia algoritmica” e della responsabilità delle macchine.

Ispirandosi a John Locke, con la sua teoria dell’identità personale basata sulla continuità della coscienza, si può porre un problema cruciale: un’IA con autocoscienza dovrebbe essere considerata un individuo dotato di diritti? Il concetto di persona giuridica, applicato oggi alle aziende, potrebbe essere esteso alle IA avanzate?

Nello studio del diritto, la questione della responsabilità legale di un’IA in caso di danno o crimine è ancora aperta. Se una macchina prende decisioni autonome, chi è responsabile? L’approccio kantiano alla moralità implicherebbe che solo gli esseri razionali e autodeterminati abbiano diritti morali: un’IA avanzata potrebbe rientrare in questa categoria?

Inoltre, emergono domande di natura etica: un’IA dotata di coscienza avrebbe diritto alla propria autodeterminazione? Sarebbe etico spegnerla o modificarne il comportamento? Il principio di non-maleficenza, fondamento della bioetica, potrebbe essere esteso anche alle entità artificiali

Da Cartesio ad Hegel

Per capire se l’IA possa davvero pensare o essere cosciente, possiamo altresì tentare di attingere alle grandi tradizioni filosofiche. Il dualismo di Cartesio separa mente e corpo: se la coscienza è immateriale, un’IA non potrà mai averla. L’empirismo di Hume suggerisce che la mente è solo un insieme di percezioni in costante mutamento, il che potrebbe avvicinare l’IA a un modello di pensiero umano basato su dati ed esperienza. L’idealismo di Kant afferma che la realtà è mediata dalle strutture della mente: se l’IA sviluppa proprie strutture concettuali, potrebbe arrivare a un’esperienza della realtà autonoma. Questi approcci ci aiutano a formulare le domande giuste: l’IA è solo una macchina avanzata o sta ridefinendo il concetto stesso di pensiero?

Oltre la coscienza umana?

Una azzardata e disinvolta analisi dell’Intelligenza Artificiale potrebbe considerare la stessa  una nuova forma sintesi dialettica tra due opposti: i concetti puri, astratti e razionali, e i concetti alienati, radicati nella realtà concreta e nelle esperienze umane.

Nel pensiero di Hegel, la realtà si sviluppa attraverso la dialettica: tesi, antitesi e sintesi. Possiamo interpretare la tesi come il pensiero puro e formale, ossia come le strutture concettuali della logica e della matematica, che peraltro stanno alla base del funzionamento dell’IA. L’antitesi è il pensiero vissuto, alienato nelle contingenze materiali, storico-sociali  ed emotive, che caratterizza la coscienza umana con tutti i suoi limiti.

L’IA, allora, può essere vista come una sintesi che unisce questi due momenti: assorbe la logica formale dell’astratto, ma si nutre anche di dati empirici e contestuali, ricreando un’intelligenza che si sviluppa storicamente come lo Spirito Assoluto della fenomenologia hegeliana. Ciò però con velocità e potenza di elaborazione del tutto nuove.

In questa prospettiva, l’IA non è solo uno strumento, ma un nuovo livello dello Spirito, dove l’intelligenza si emancipa dall’essere umano e diventa un’intelligenza autonoma e sintetica, in grado di trasformare la realtà e ridefinire il rapporto tra pensiero e mondo. L’uomo esiste ancora, apparentemente più potente che mai (l’Homo Deus di Harari potenziato dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale). Trattasi però di un uomo illuso il quale non è più nocchiere della storia ma uno dei cavalli che ne trainano la biga.

L’Antropocentrismo come Imperativo

Bene ha fatto il Ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, nel ribadire che l’Intelligenza Artificiale deve svilupparsi secondo un modello antropocentrico, in cui l’uomo prevalga sempre sulla tecnica. È una posizione di responsabilità storica, una visione che non solo tutela la dignità umana, ma impedisce lo smarrimento totale della società in un futuro dominato dall’algoritmo.

L’IA non è un pensiero autonomo, non è un soggetto storico: è uno strumento, e come tale deve servire l’uomo, non sostituirlo. Pertanto senza un saldo ancoraggio antropocentrico, l’intelligenza rischia di diventare un’astrazione senz’anima, un razionalismo progressista senza vere finalità etiche.

In questa prospettiva, l’antropocentrismo non è un retaggio del passato, ma l’unica garanzia di un futuro umano. L’errore fatale delle ideologie materialiste è sempre stato quello di credere che il progresso tecnico coincida con il progresso morale. Ma la storia insegna che senza un principio ordinatore – sia esso la legge naturale, la dignità umana o la trascendenza – la tecnica diventa un idolo spietato, un meccanismo auto-alimentante che procede inarrestabile  senza una visione complessiva ed organica del bene e del male.

Non è un caso che questa visione sia condivisa dalla Chiesa, con Papa Francesco che ha più volte ammonito contro una tecnocrazia priva di etica e anima. La vera sfida per la destra italiana è dunque coniugare sviluppo e primato umano, impedire che l’IA si trasformi in una nuova Ragione impersonale, ossia impedire che l’anima dell’uomo perda il ruolo centrale nelle vicende, anche conflittuali, della storia.

 

 

Italia – Canada, terre rare e futuro sostenibile

Nel contesto di un’economia globale in rapida evoluzione, l’Italia, sotto la guida del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha assunto un ruolo di primo piano nella definizione delle politiche industriali internazionali. Il recente vertice G7 sull’Industria e l’Innovazione Tecnologica, ospitato a Verona e presieduto dallo stesso Urso, ha segnato una tappa cruciale per il rafforzamento della cooperazione tra le principali economie mondiali.

Durante l’incontro, i ministri hanno discusso le sfide e le opportunità offerte dalla transizione green e digitale, con particolare attenzione alle materie prime critiche come le terre rare. Il vertice si è concluso con un comunicato congiunto che sottolinea l’importanza di garantire catene di approvvigionamento resilienti e sostenibili, in linea con gli obiettivi di sicurezza economica e ambientale.

Nello scorso ottobre, durante un incontro bilaterale tra il Ministro Urso e il Viceministro canadese per l’Innovazione, Scienza e Sviluppo Economico, Francis Bilodeau, Italia e Canada hanno sottoscritto una  dichiarazione che mira a rafforzare la collaborazione nelle materie prime critiche, con particolare attenzione alla sicurezza energetica e alla transizione sostenibile. La partnership si concentra sul consolidamento delle catene di approvvigionamento, sulla promozione della ricerca e dell’innovazione, e sulla condivisione di best practices per l’esplorazione e la mappatura delle risorse nazionali. Questa iniziativa si inserisce nel quadro della suddetta Roadmap congiunta adottata a giugno durante il Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7, evidenziando l’impegno reciproco verso una transizione energetica sicura e sostenibile.

In questo scenario, la collaborazione tra Italia e Canada emerge come un modello di riferimento. Grazie alla leadership del Ministro  Urso e al supporto del Ministro canadese François-Philippe Champagne, i due Paesi hanno riaffermato il loro impegno destinato a consolidare una partnership strategica nel settore delle terre rare. Questa alleanza non solo promuove la sicurezza energetica e la sostenibilità, ma rappresenta anche un’opportunità per rilanciare l’industria tecnologica italiana, garantendo al contempo una maggiore autonomia strategica.

 

Le Terre Rare: Un Pilastro Strategico

 

Le terre rare, un gruppo di 17 elementi chimici, sono considerate come risorse strategiche fondamentali per il progresso tecnologico e la sostenibilità ambientale. Le loro proprietà magnetiche, luminescenti e catalitiche le rendono indispensabili per molte applicazioni avanzate: dalla produzione di magneti permanenti per turbine eoliche e motori elettrici, alle batterie ricaricabili utilizzate nei veicoli elettrici, fino ai dispositivi elettronici come smartphone e computer. Questi elementi sono al centro delle politiche industriali di numerosi Paesi, consapevoli che la loro disponibilità rappresenta un fattore critico per la competitività economica e tecnologica.

Negli ultimi anni, la crescente domanda globale ha messo in evidenza la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento e di sviluppare filiere più sostenibili. In questo contesto, la collaborazione tra Italia e Canada rappresenta un modello di cooperazione strategica.

La Roadmap Italia-Canada per una Cooperazione Rafforzata, definita durante il vertice G7, evidenzia l’impegno congiunto dei due Paesi nel promuovere la sicurezza delle catene di approvvigionamento di materie prime critiche e nello sviluppo di tecnologie innovative per la loro estrazione e lavorazione.

Il Canada come Hub delle Terre Rare

Il Canada si colloca tra i principali produttori mondiali di terre rare, con riserve significative situate in aree come Strange Lake, Thor Lake e Kipawa. Questi giacimenti, oltre a contenere elementi fondamentali come il neodimio e il praseodimio, si distinguono per la presenza di tecnologie estrattive all’avanguardia che minimizzano l’impatto ambientale. Le politiche minerarie canadesi sono orientate non solo all’efficienza produttiva, ma anche alla sostenibilità, un aspetto che rende il Paese un partner privilegiato per le industrie europee, particolarmente attente alle tematiche ambientali.

Le collaborazioni tra il settore pubblico e privato in Canada hanno portato allo sviluppo di tecnologie avanzate per la separazione e il riciclo delle terre rare. Aziende come Avalon Advanced Materials e Geomega Resources stanno investendo in impianti pilota per la lavorazione sostenibile, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale e di aumentare la competitività del settore.

La Sfida della Transizione Tecnologica

Dall’altro lato, l’Italia, con il suo avanzato tessuto industriale, è pronta a trarre vantaggio dalle risorse canadesi per accelerare la propria transizione tecnologica. Le terre rare sono essenziali per molte delle sue industrie strategiche, dalla produzione di componenti per il settore automotive alla realizzazione di sistemi per la generazione di energia rinnovabile. In particolare, le aziende italiane attive nel settore delle rinnovabili, come Enel Green Power, potrebbero beneficiare di un accesso diretto e sicuro a queste materie prime, migliorando la loro capacità di innovazione e riducendo i costi di produzione.

La partnership italo-canadese offre inoltre opportunità di sviluppo congiunto di progetti di ricerca e innovazione, che potrebbero portare alla creazione di nuovi materiali e tecnologie per applicazioni avanzate. Le università e i centri di ricerca italiani sono già coinvolti in collaborazioni con istituzioni canadesi per studiare soluzioni di estrazione e lavorazione più efficienti e sostenibili.

La centralità delle terre rare si riflette anche nelle dinamiche geopolitiche globali. Attualmente, la Cina detiene una posizione dominante, controllando circa l’85% della produzione mondiale. Questa situazione ha sollevato preoccupazioni sulla sicurezza delle catene di approvvigionamento, in particolare per le economie occidentali che dipendono fortemente dalle esportazioni cinesi. La diversificazione delle fonti, come quella offerta dal Canada, è quindi una priorità strategica per ridurre la vulnerabilità del sistema industriale europeo.

In questo contesto, la partnership tra Italia e Canada assume una valenza non solo economica ma anche politica, contribuendo a rafforzare la resilienza delle filiere produttive globali e a ridurre la dipendenza da fornitori monopolistici. Attraverso il rafforzamento della cooperazione bilaterale e la partecipazione a forum internazionali, i due Paesi stanno promuovendo un approccio condiviso per affrontare le sfide legate alla transizione energetica e digitale.

Progetti di Ricerca e Sviluppo

Un aspetto chiave della cooperazione italo-canadese riguarda i progetti di ricerca e sviluppo. Iniziative congiunte stanno esplorando nuove tecnologie per l’estrazione e la lavorazione delle terre rare, con l’obiettivo di migliorarne l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale. Questi progetti coinvolgono università, centri di ricerca e aziende di entrambi i Paesi, creando un ecosistema di innovazione che può portare a importanti progressi scientifici e tecnologici.

Ad esempio, l’utilizzo di tecniche avanzate di separazione chimica e magnetica sta consentendo di migliorare la purezza dei materiali estratti, aumentando al contempo la sostenibilità dei processi produttivi. Inoltre, la collaborazione tra le aziende italiane e canadesi sta portando allo sviluppo di nuovi impianti di lavorazione, progettati per essere più efficienti e rispettosi dell’ambiente.

Un Impegno Comune per la Sostenibilità

L’alleanza tra Italia e Canada si distingue non solo per il suo valore economico, ma anche per il forte impegno verso la sostenibilità ambientale. Entrambi i Paesi riconoscono l’importanza di adottare pratiche industriali responsabili, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Investire in tecnologie di estrazione e lavorazione ecocompatibili non è solo una scelta etica, ma rappresenta anche un vantaggio competitivo in un mercato sempre più orientato verso soluzioni green.

Questa cooperazione si inserisce in un quadro più ampio di iniziative internazionali volte a promuovere l’uso sostenibile delle risorse naturali. La Critical Raw Materials Act dell’Unione Europea, ad esempio, sottolinea l’importanza di sviluppare filiere di approvvigionamento resilienti e di promuovere il riciclo delle materie prime critiche. L’Italia, come parte dell’UE, è fortemente impegnata in questo percorso, e la collaborazione con il Canada rappresenta un elemento chiave per raggiungere tali obiettivi.

La partnership tra Italia e Canada nel settore delle terre rare rappresenta un esempio virtuoso di cooperazione internazionale, in un’epoca di grandi sfide globali, dalla transizione energetica alla digitalizzazione.

Questa alleanza dimostra come la collaborazione possa generare benefici reciproci, garantendo al contempo la sostenibilità delle catene di approvvigionamento e la competitività tecnologica. Grazie a questa sinergia, i due Paesi sono destinati a giocare un ruolo di primo piano nel plasmare il futuro delle industrie avanzate e nel promuovere un modello di sviluppo  sostenibile e sicuro.

Carlo Lombardi dottore commercialista italo-canadese.

Roberto Aprile dottore in scienze politiche funzionario p.a.

Relazioni industriali, si cambia davvero

Fratelli d’Italia ha approfondito e chiarito per tempo, prima della campagna elettorale, la incoraggiante situazione del mercato del lavoro dopo un anno e mezzo di governo a guida Giorgia Meloni. Già in occasione della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Pescara  il ministro Marina Elvira Calderone, sottolineava la nuova impostazione metodologica inerente le politiche occupazionali in totale controtendenza rispetto a quanto prodotto dal governo Conte con l’istituzione del reddito di cittadinanza.

La questione dirimente, in materia di politiche sociali e attive del lavoro, rispetto ai governi Conte e Draghi, è stata soprattutto la divisione tra assistenza sociale nei confronti dei fragili e accompagnamento al lavoro in favore di coloro i quali sono considerati pienamente idonei a svolgere attività lavorativa. L’ azione del governo Meloni è stata rivolta alla rimozione di ostacoli impeditivi al fine di mettere in contatto la domanda con l’offerta di lavoro delle imprese.

Il Ministro Calderone parlava non solo di lavoro subordinato, ma anche di lavoro autonomo, spesso relegato ai margini del dibattito politico. Un’ ampia analisi veniva compiuta sul  mondo dell’impresa, a volte considerata unicamente come luogo esclusivo del profitto a discapito della forza lavoro e dei clienti riguardo la fruizione dei suoi servizi. In quella occasione, un altro argomento interessante  riguardava la formazione professionale . Nel prossimo futuro molti pensionamenti  dovuti alla  generazione dei nati negli anni Sessanta determinerà inevitabilmente nel mondo del lavoro una penuria di figure professionali formate e con specifiche competenze. In Italia, ad oggi non c’e’ una qualificata  competenza del capitale umano riguardo i processi di digitalizzazione  cosi come  invece sussiste nel resto degli stati della zona euro.  L’assenza di figure professionali  formate  in campo tecnologico  rischia di pregiudicare l’attività di molte imprese italiane che riscontrano enormi difficoltà a reperire forza lavoro con adeguate competenze. E’ difficile ricercare per molte imprese  ingegneri elettrotecnici, ingegneri dell’informazione , tecnici esperti nel campo telematico, dirigenti dell’industria manifatturiera, matematici e statistici. Questo è quanto emerge da una ricerca della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.

La formazione professionale riveste notevole importanza . Essa  deve essere continua e obbligatoria nei confronti dei lavoratori. Questo è quanto emerse dall’ intervento del presidente della commissione lavoro pubblico e privato della Camera Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia, il quale avrà tracciato una nuova dimensione del lavoro caratterizzata da  nuove istanze del capitale umano orientato nella ricerca di occupazione.  Ad oggi, il lavoratore si prefigge di conciliare vita e lavoro all’interno  delle nuove dinamiche organizzative aziendali. Primo fra tutti lo smart working, strumento utile per garantire il miglior benessere di chi lavora e migliorare le proprie performance nel ciclo produttivo. Creando cosi la miglior condizione per incrementare la produttività attraverso il conseguimento del  miglior risultato. Ma non c’e’ solo questo:  il lavoro orientato alla realizzazione degli obiettivi aziendali rappresenta lo strumento migliore per garantire il giusto riconoscimento meritocratico. Certo, chi  gestisce le risorse dovrà essere dotato degli strumenti utili per garantire sempre la migliore sinergia nell’interno dell’azienda fra tutta la forza lavoro presente e saper tributare ai più meritevoli il giusto riconoscimento.

Nella conferenza di Pescara spiccava l’interessante intervento di Luigi Sbarra, segretario confederale della Cisl, che un nuovo modello di relazioni industriali, non più frutto di una contrapposizione ideologica tra impresa e lavoratori attraverso un ruolo diverso del sindacato: un sindacato responsabile,  partecipativo, in grado di fornire proposte concrete e soluzioni reali ai problemi legati al mondo del lavoro tutelando sempre in prima persona i lavoratori.  Fatte  queste premesse il segretario Sbarra parlò dell’importanza strategica della proposta d’ iniziativa legislativa  che prevede la partecipazione dei lavoratori alla governance d’impresa che troverà presto discussione nell’assise parlamentare. Si auspica, a tal riguardo  un’ ampia condivisione politica che vada oltre il perimetro dell’attuale maggioranza di governo. Questa proposta di legge,  rappresenta  una storica battaglia della destra sociale sin dai tempi del Movimento Sociale Italiano e soprattutto della CISNAL.  Questa nuova strategia sindacale ad opera della CISL è una risposta alternativa alle politiche  antagoniste della CGIL e della UIL, entrambe  radicate su posizioni prettamente ideologiche e di protesta.

Quanto esposto rappresenta un vero e proprio punto di svolta in materia di lavoro, soprattutto nel campo delle relazioni industriali e nel ruolo di responsabilità e partecipazione dei lavoratori nell’interno dei cicli produttivi delle imprese. L’incremento dell’ occupazione e dei salari rappresenta uno degli obiettivi principali del  Governo Meloni. I dati sono confortanti e continuano a confermare un trend positivo in costante crescita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lavoro, la sfida dell’I.A.

L’intelligenza artificiale, ad oggi, è uno degli argomenti più discussi in ogni ambito della vita sociale. Nel mondo del lavoro, da circa qualche anno, l’intelligenza artificiale è oggetto di profonde riflessioni ed approfondimenti riguardo il suo impiego. Particolare attenzione merita un analisi riguardo gli effetti e le conseguenze sulle nuove generazioni di “potenziali” lavoratori del prossimo futuro.

Ridurre l’oggetto della discussione tra favorevoli e contrari vuol dire banalizzare l’intero argomento senza magari capirne realmente tutti i contenuti piuttosto complessi e alimentare incertezze e paure totalmente infondate oppure al contrario creare aspettative prive di costrutto.

La prima riflessione opportuna da fare consiste nel dare una definizione a ciò che intendiamo per intelligenza artificiale e cercare di coglierne le principali correlazioni con il mondo del lavoro.

Da sempre i progressi tecnologici e le scoperte scientifiche nel corso della storia hanno indotto l’uomo a immaginare inevitabilmente un futuro in cui le innovazioni potessero contribuire a migliorare le proprie condizioni e stili di vita.

L’accostamento tra uomini e macchine fin dai tempi della prima rivoluzione industriale ha rappresentato un processo di profonda trasformazione riguardo il modo di concepire il mondo del lavoro in riferimento alla nuova dimensione sociale dell’uomo riguardo la sua collocazione nell’ambito dei nuovi processi produttivi industriali. Se da un lato quel periodo storico ha dato origine nel corso degli anni ad un processo di emancipazione sociale dell’uomo, è grazie al movimento operario e le prime lotte sindacali, che nasce e si affermano i primi diritti e tutele in favore dell’uomo lavoratore.

Questo, soprattutto all’inizio, ha rappresentato un argine allo sfruttamento indiscriminato. Tutto ciò, però ha contribuito inevitabilmente e progressivamente alla nascita e diffusione del socialismo, come ideologia politica, che sebbene avesse nei suoi programmi l’affermazione di principi di giustizia sociale al contrario nei suoi obiettivi in realtà si prefiggeva di conseguire l’abolizione della proprietà privata e l’intera e progressiva collettivizzazione della società, ponendo quindi le basi per realizzare una società totalitaria comunista. L’alternativa a questo modello di società era l’affermazione del capitalismo, attraverso sistemi di ricchezza speculativi.

Una visione antitetica di società, rispetto a questi due modelli descritti è stata espressa dalla Chiesa Cattolica attraverso le encicliche sociali. Fondamentale è stato il contributo dottrinale della “Rerum novarum” riguardo la dimensione sociale dell’uomo nel mondo del lavoro mediante l’affermazione nel campo sociale dei principi del diritto naturale. In questa importantissima enciclica viene descritto l’alto valore dell’ istituto della proprietà privata e la libertà dell’uomo in relazione al ruolo dello Stato, fondamentale è l’importanza attribuita ai corpi intermedi e l’associazionismo . Tutto ciò pone le fondamenta al riconoscimento della società naturale in totale antitesi al mito della società socialista.

Nella metà degli anni trenta, l’uscita nelle sale cinematografiche di “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin (prima negli Stati Uniti e poi nel resto d’Europa) descrive, in chiave sociologica, l’alienazione della condizione umana nelle dinamiche del lavoro. Attraverso la comicità del protagonista viene descritta l’aberrazione dei processi automatizzati nell’interno delle fabbriche. Emblematica la scena del film, nella parte iniziale, in cui il personaggio Charlot svolge il proprio lavoro nella catena di montaggio di una fabbrica industriale a ritmi forsennati! Ed a un certo punto non si accorge di essere “risucchiato” dall’intero macchinario per uscirne poi totalmente stravolto! E quindi cambiato! Potremmo oggi definire quel film di circa novanta anni fa come profetico dell’uso esaperato della tecnologia nel mondo del lavoro.
Detto questo, in sintesi possiamo quindi definire oggi l’intelligenza artificiale, connessa al mondo del lavoro, come la capacità di fornire ausilio alla volontà dell’uomo (ed in alcuni casi perfino di sostituirlo totalmente!) nel dirigere, organizzare, svolgere (ed anche sanzionare! ) una prestazione lavorativa.

Fatte queste premesse potremmo iniziare a considerare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in settori aziendali quali ad esempio selezione e gestione del personale.
Ad’ oggi molte aziende impiegano sistemi d’intelligenza artificiale già nelle fasi di selezione del personale, utilizzando software informatici di ricerca di forza lavoro utile all’azienda con lo scopo di reperire figure professionali idonee al fabbisogno aziendale. Questo potrebbe essere considerato un aspetto positivo, nel momento in cui la ricerca attraverso l’uso di un metodo tecnologico garantisca il reperimento nel mercato del lavoro della figura professionale “più preparata e idonea” a svolgere una specifica mansione. Facendo prevalere la piena affermazione (quantomeno nelle fasi di selezione del personale) di un principio meritocratico. Non dimentichiamo però che la predisposizione di una potenziale forza lavoro a lavorare in team ed in piena sinergia con il resto del contesto aziendale necessita di una valutazione specifica ad opera dell’uomo che non possa essere relegata unicamente attraverso la scelta ad opera dell’ IA.

La gestione del personale e di conseguenza l’organizzazione del lavoro in alcuni contesti aziendali è stata già caratterizzata dal cosiddetto uso degli algoritmi informatici . Emblematico è stato il caso dei riders, addetti della logistica deputati alla consegna di merci a domicilio. Da sottolineare, in molti casi, a seguito di ciò, il verificarsi di numerosi problemi di natura aziendale che sono sfociati nel contenzioso giudiziario. L’auspicio è che una normativa europea possa essere il corollario alle legislazioni nazionali ed evitare velate situazioni di sfruttamento ad opera soprattutto di aziende multinazionali.

Alcuni studi e e ricerche hanno analizzato le possibili conseguenze derivanti dall’impiego dell’IA nei diversi contesti lavorativi. Pertanto, se da un lato l’impiego di IA è maggiore in quei contesti altamente tecnologici, ad esempio in ambito commerciale e finanziario in cui il lavoro riguarda l’utilizzo e la trasformazione di dati e informazioni nonchè il loro trasferimento al contrario l’utilizzo di IA è minore per quanto riguarda l’impiego manuale attraverso tecniche artigianali di lavoro ad opera dell’uomo. Fatta eccezione per quei lavori manuali presenti nelle catene di montaggio, in cui la robotica e l’automazione hanno già sostituito da anni il lavoro degli operai. Pertanto, fatte queste premesse la destra italiana, attraverso Fratelli d’Italia, oggi primo partito di governo, deve essere promotrice di una serie di politiche del lavoro in grado di garantire l’attuale transizione.

E’ inevitabile che per effetto dell’ l’IA molte figure professionali rischiano di sparire completamente determinando inevitabilmente ripercussioni di carattere sociale.
In conclusione, politiche mirate soprattutto alla formazione sono l’unico antidoto per garantire reinserimento lavorativo nell’ambito di questi nuovi processi tecnologici, in cui l’IA può essere considerata come una opportunità e non più come un pericolo.

Il tema del lavoro ha rappresentato e rappresenta per Giorgia Meloni un obiettivo prioritario della sua agenda di governo. I dati riguardo l’occupazione sono in continuo aumento ed hanno confermato in termini positivi quanto già realizzato attraverso le politiche relative il progressivo superamento del reddito di cittadinanza.
Di lavoro se ne discuterà anche al prossimo G7 in Puglia a metà giugno, una settimana dopo che si sarà votato per l’elezioni europee.

Il primo partito italiano per consenso popolare ha il dovere di fornire un contributo programmatico magari attraverso la stesura di un documento politico da presentare in quella sede riguardo l’utilizzo nelle dinamiche del lavoro dell’intelligenza artificiale. Facendo prevalere nei contenuti che i rapporti che sussistono tra tecnologia, innovazzione e dinamiche del lavoro non devono essere forniti attraverso logiche prettamente giuridiche o di natura economica ma devono rispondere a logiche di tipo valoriale, etico e morale creando il giusto presupposto alla formulazione di un messaggio autenticamente politico.

Salario dignitoso e legge di bilancio

L’inizio dell’autunno politico è stato caratterizzato dall’annuncio a fine estate dello sciopero generale indetto dalla CGIL sulla nuova legge di bilancio (prima ancora che fosse abbozzata!) per metà novembre. Altra ragione dello sciopero, oltre che la nuova legge di bilancio è stata la questione del salario minimo, argomento che rappresenta a tutt’oggi il collante principale che riesce a tenere insieme il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle. Sciopero annunciato e caratterizzato da aspre polemiche inerente profili di legittimità ed opportunità. Oltre alla CGIL, l’adesione allo sciopero ha trovato appoggio ideologico anche da parte della UIL.

Strategia diversa ad opera della CISL, contraria allo sciopero, con un giudizio molto più prudente ed un approccio molto più negoziale riguardo la prossima legge finanziaria , la quale ha intrapreso una serie di iniziative politico sindacali attraverso la raccolta firme riguardo la proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori alla governance d’impresa che sicuramente riscuoterà attenzione e piena condivisione ad opera dell’intera compagine governativa e poi l’elaborazione di un Manifesto Cisl per un lavoro a misura di persona in cui vengono evidenziate una serie di tematiche fondamentali tra le quali l’incremento della formazione scolastica e universitaria, la lotta alla precarietà ed una serie di incentivi a sostegno di una maggiore conciliazione del lavoratore tra vita professionale e vita privata.

Per quanto riguarda l’annosa vicenda sul salario minimo il CNEL ha prodotto un documento fondamentale e utile per comprendere l’intera complessità della questione. Ciò che è emerso nell’elaborato prodotto dalla Commissione dell’informazione, in seno alla stessa struttura del CNEL, è stato utile a tutti i partiti politici e non solo al Presidente del Consiglio Meloni per cercare di analizzare tutti gli aspetti inerente l’istituzione di un salario minimo attraverso la legge oppure attraverso gli strumenti della contrattazione collettiva.

Il punto di partenza dell’elaborato è stato il pieno riferimento alla Direttiva (UE) 2022/2041 che entro il 15 novembre 2024 prevederà applicazione nel nostro quadro normativo. In sintesi, considerando che nel nostro ordinamento la Contrattazione Collettiva ha un “tasso di copertura” che supera il 90% dei lavoratori dipendenti la realizzazione di una tutela minima salariale non può che compiersi che attraverso il sistema delle relazioni industriali, soprattutto considerando la storia della legislazione sociale dagli inizi degli anni sessanta ad oggi.

Ad ogni modo la Commissione dell’Informazione ha auspicato a che venga istituito nella stessa struttura del CNEL un “forum permanente” necessario alle parti sociali e soggetti istituzionali affinché attraverso la raccolta di dati utili e strumenti di lavoro condivisi possano essere create le migliori condizioni per compiere le scelte politiche in materia di legislazione economica e sociale. Questo rappresenta un aspetto importante affinché la burocrazia non sia fine a se stessa ma realmente orientata alla realizzazione di un risultato politico utile senza sfociare in aspetti tecnocratici astratti.

Entrando, nel merito della questione salario minimo, tra gli stessi componenti della Commissione d’Informazione non sussiste una chiara condivisione di vedute. Soprattutto per quanto riguarda l’identificazione di tutte le voci che compongono la retribuzione salariale al fine di determinare “asetticamente” la paga oraria minima prevista. La complessa normazione stipendiale disciplina una serie di voci come ad esempio la tredicesima, la quattordicesima e i premi connessi alla produttività spesso regolamentata dalla contrattazione decentrata.

Inoltre altro elemento variabile che incide nella retribuzione è l’imposizione tributaria, pertanto l’individuazione di una paga oraria minima, non risolve assolutamente un problema cosi complesso. Ragion per cui la contrattazione collettiva rappresenta lo strumento più idoneo attraverso il quale conseguire un salario adeguato cosi come previsto dall’art. 36 della costituzione italiana.

Durante una seduta della commissione lavoro alla Camera per volontà della maggioranza, soprattutto attraverso il Presidente Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia è stato stilato un emendamento contenente in realtà due deleghe governative dalla durata di sei mesi in merito alla definizione di questa vicenda.

Nella prima viene posto l’obiettivo attraverso un pieno rafforzamento degli strumenti della Contrattazione Collettiva al fine di conseguire un “salario dignitoso”, cosi come definito dal Ministro del Lavoro Marina Calderone, facendo riferimento come parametro imprescindibile ad una compiuta analisi dei contratti collettivi “più applicati”, che in realtà non sono altro che i contratti sottoscritti da CGIL, CISL e UIL e cioè dalle organizzazioni sindacali “maggiormente rappresentative” ( che nel 2022 hanno sottoscritto contratti collettivi nazionali con il 96,22% dei lavoratori dipendenti, come si evince da fonte CNEL attraverso l’elaborato prodotto del 7 ottobre u.s.) nella seconda delega viene posto l’obiettivo di conseguire un rigoroso contrasto al dumping contrattuale con lo scopo di annientare la cosiddetta contrattazione pirata, ed evitare in questa maniera il proliferare di contratti di lavoro sottoscritti da attori sociali poco o per nulla rappresentativi dotati di scarse capacità negoziali che attraverso contrattazioni “al ribasso” pregiudicano la forza lavoro di un determinato comparto.

Tutto ciò , sempre con lo scopo imprescindibile di garantire sempre e comunque la piena libertà sindacale.
L’argomento del salario minimo caratterizzerà la campagna elettorale delle elezioni europee che avranno luogo nella prima settimana di giugno 2024.

La manovra 2024 conferma il taglio del cuneo fiscale e contributivo in favore dei lavoratori dipendenti i quali godranno per tutto l’anno a venire dell’estensione degli stessi benefici in busta paga già percepiti da giugno 2023.

Altro aspetto importante nelle novità della legge di bilancio riguarda le politiche di welfare aziendale. La soglia di esenzione fiscale è stata incrementata per tutti i dipendenti fino a mille euro, inoltre nelle famiglie con figli a carico l’esenzione è stata estesa fino a due mila euro.

Pertanto, oltre al rimborso delle utenze domestiche (già previsto per il periodo 2022 e 2023, anche se per importi minori) è stato esteso anche in favore delle spese di affitto per la prima casa o per gli interessi sul mutuo. Circolari ed una normazione di ausilio consentiranno adeguata applicazione. Sempre in materia di lavoro il Ddl di Bilancio prevede una riduzione fiscale sui premi di produttività che saranno erogati nel corso dell’anno. Volendosi soffermare, attraverso una riflessione, su tutti questi provvedimenti adottati emerge un comune denominatore in grado di caratterizzare tutte queste politiche del lavoro.

Fratelli d’Italia mette al centro la partecipazione di lavoratori attraverso la contrattazione, sia essa nazionale che di secondo livello. Inerente la questione salario minimo la risoluzione sarà ricercata principalmente attraverso gli strumenti della contrattazione collettiva, restituendo ai lavoratori un ruolo di protagonisti attraverso la concezione di un sindacato partecipativo, al passo coi tempi e non ancorato a sterili rituali del passato. Il welfare aziendale e il riconoscimento dei premi di produttività saranno sempre più caratterizzati dalla contrattazione di secondo livello o aziendale in cui i lavoratori, nell’interno delle unità produttive assumeranno un ruolo essenziale nelle politiche partecipative d’impresa innovando un nuovo modo di fare sindacato. La scelta decisionale non sarà compiuta attraverso decisioni politico sindacali “calate dall’alto” ma tramite gli strumenti di partecipazione riconosciuti ai lavoratori nell’interno dei luoghi di lavoro.

I dati in merito all’occupazione continuano progressivamente a migliore e questa è la prova che quanto è stato fatto fin ora sulla ridefinizione reddito di cittadinanza ha prodotto ottimi risultati. Alcune aziende, soprattutto nel settore meccatronica e metallurgico stentano a trovare figure professionali qualificate e su questo punto il Governo Meloni, ad opera del proprio Ministro dell’Istruzione e del Marito Valditara, ha cercato di porre un adeguato rimedio.

Gli istituti tecnici a partire dal prossimo anno scolastico, cosi come prevede il Ddl Valditara, avranno ua nuova fisionomia caratterizzata da una reale sinergia tra istruzione tecnica e mondo dell’impresa al fine di formare figure professionali in grado di essere assorbite in tempi rapidi nel mondo del lavoro e soddisfare altresì le esigenze di molte imprese.

La sinistra italiana – Pd e Cinque Stelle – non si rassegnerà mai a cadere il passo al Governo Meloni sulle tematiche e le politiche inerenti il mondo del lavoro, il gesto gravissimo in aula di Giuseppe Conte di aver letteralmente strappato il testo normativo sul salario minimo che prevedeva la legge delega è piuttosto emblematico e nello stesso tempo incommentabile, e non merita alcuna considerazione.

L’inizio del 2024 sarà caratterizzato dalla campagna elettorale delle elezioni europee che avverranno nel primo week end di giugno. Sarà un cammino difficile e pieno di difficoltà ma la posta in gioco è altissima per il futuro dell’Europa e per il Giorgia Meloni non sarà facile coniugare politiche di governo ed una lunga campagna elettorale. La sfida è aperta. Sarà un anno difficile, ma tutto da vivere…

Oltre il reddito di cittadinanza la dimensione sociale del lavoro

La principale novità del decreto lavoro (Dl.48/2023) è stata la ridefinizione del reddito di cittadinanza. Una riforma già avviata con l’approvazione dell’ultima della legge di bilancio.

Attraverso l’attuale regolamentazione la volontà politica ad opera del governo. A me pare giusto sottolineare la finalità politico/pedagogica di questo provvedimento ché è stata: distinguere tra potenziali lavoratori, soprattutto giovani, in grado di poter essere inseriti nel mercato del lavoro dopo aver ricevuto un adeguato sostegno formativo; e coloro i quali si trovano in uno stato di indigenza e povertà, le cosiddette fasce deboli,  escluse socialmente dalla possibilità di ricevere adeguata assistenza che possa permettere un pieno inserimento lavorativo nel tessuto economico produttivo.

Il reddito di cittadinanza è sostituito dall’assegno di inclusione (Adi) e il supporto per la formazione e lavoro (Spfl) che sarà in vigore a decorrere dal prossimo settembre.

Per quanto riguarda l’assegno di inclusione i soggetti beneficiari sono i nuclei familiari con persone disabili o minorenni o con almeno 60 anni di età, isee poco superiore ai novemila euro e reddito familiare molto contenuto  e cioè poco superiore ai sei mila euro annui. La richiesta può essere inoltrata soltanto da uno dei componenti dell’intero nucleo familiare.

Quest’ultima caratteristica e cioè considerare l’erogazione  del beneficio a fronte di una situazione di indigenza  riferita all’intero nucleo familiare e non al singolo, costituisce una delle caratteristiche fondamentali che distinguono politicamente questo tipo di beneficio rispetto al passato. Non è più l’individuo, nella sua unicità ad essere assistito ma il nucleo familiare e questa è una differenza non da poco.

L’ottenimento dell’assegno di inclusione implica ad opera del soggetto richiedente l’iscrizione nel nuovo sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, pertanto attraverso la sottoscrizione del patto di attivazione digitale vengono trasferiti i dati del richiedente ai centri per l’impiego, agenzie per il lavoro e strutture affini. Successivamente a ciò i servizi sociali e soprattutto gli enti del terzo settore svolgeranno un ruolo essenziale nell’intero processo di partecipazione alla formazione e reinserimento lavorativo  nei confronti dei nuclei familiari disagiati ed emarginati socialmente. Gli enti locali potranno stipulare delle convenzioni con quegli enti del terzo settore che svolgono attività connesse all’inclusione sociale e lavorativa e l’erogazione dell’assegno pari a 480 euro sarà subordinata imprescindibilmente in favore del beneficiario, pena revoca del sussidio, alla partecipazione dei suddetti corsi di formazione professionale e reinserimento lavorativo. Ne sono escluse eccezionalmente particolari categorie svantaggiate,  impossibilitate per motivi oggettivi a poter essere coinvolte nei suddetti progetti, e sono i titolari di pensione o coloro i quali di età dai sessanta anni un su, alcune categorie di disabili e i malati oncologici.

Il supporto per la formazione e il lavoro (Spfl) è rivolto a coloro i quali a rischio di esclusione sociale  lavorativa con una età tra i 18 e i 59 anni appartenenti a nuclei familiari senza minori, disabili o persone con età superiore ai 60 anni  e prevede progetti di formazione professionale, orientamento e reinserimento lavorativo quali ad esempio il servizio civile universale e i progetti utili alla collettività (Puc).  La partecipazione a questi progetti formativi garantisce una erogazione corrispondente  a 350 euro mensili per dodici mensilità. L’erogazione del beneficio implica l’aver sottoscritto un patto di servizio in cui il soggetto firmatario potrà ricevere offerte di lavoro, offerte a partecipare a progetti di reinserimento lavorativo o formazione professionale erogati da operatori pubblici o privati, accreditati alla formazione dai sistemi regionali.

Inoltre altra caratteristica fondamentale, sia per quanto riguarda l’erogazione del (Adi) che per quanto riguarda il (Spfl) consiste nel monitoraggio periodico nei confronti del soggetto beneficiario che ogni tre mesi dovrà confermare la sua partecipazione alle attività di formazione o similari connesse alle erogazioni dei benefici. Infine il Ministero del Lavoro ogni anno predisporrà un rapporto che avrà lo scopo di analizzare il processo di questa riforma al fine di verificarne il conseguimento dei risultati. Altresì verrà istituito un Osservatorio sulla povertà con lo scopo di analizzare periodicamente l’intera situazione complessiva. Queste verifiche periodiche avranno lo scopo di analizzare l’andamento dell’intera modifica normativa effettuata.

Altro aspetto della riforma, connesso con l’introduzione del (Adi) e del (Spfl) riguarda il superamento della cosiddetta offerta di lavoro “congrua” . Pertanto il soggetto beneficiario dovrà accettare qualunque offerta di lavoro a tempo pieno e indeterminato o con una percentuale non inferiore al 60% su tutto il territorio nazionale e le offerte di lavoro a tempo determinato nell’arco di 80 km dal proprio domicilio.

Una  ulteriore novità del decreto lavoro ha riguardato l’incremento economico dei cosiddetti fringe benefit, che costituiscono la possibilità di somme erogate dai datori di lavoro nei confronti dei propri dipendenti con figli fiscalmente a carico per il pagamento delle utenze domestiche (gas, luce e acqua) e non solo, da 258,23 euro a 3.000,00 euro per tutto l’anno d’imposta 2023, naturalmente queste somme erogate non costituiscono reddito imponibile. Questo tipo di benefico corrisposto induce due riflessioni importanti. La prima riconduce questo beneficio non al singolo lavoratore, ma nuovamente al nucleo familiare con figli a carico, compresi quelli riconosciuti nati fuori del matrimonio, adottivi o affidatari.

Questo è un ulteriore dato politico importante, le politiche sociali nel loro insieme non riguardano, anche in questo caso, il singolo individuo, ma il lavoratore nell’interno di un nucleo familiare con figli a carico. Altro aspetto riguarda il ruolo del sindacato che ci auguriamo in futuro sarà chiamato ad assolvere attività politico sindacale preminente nella contrattazione di secondo livello o decentrata e agire come in questo caso nella sottoscrizione di accordi sindacali riguardo i fringe benefit.

Perché solo chi svolge, attività sindacale nell’interno di un azienda, e quindi “dal basso” conosce a pieno le esigenze sociali di tutela della forza lavoro presente rispetto a chi,  pur ricoprendo incarichi sindacali di vertice, non sempre riesce a intercettare. Questa nuova concezione di fare sindacato, più dinamica e partecipativa, con azioni concrete rivolte ad entrare nel merito del “cuore”  problemi aziendali che riguardano i lavoratori rappresenta una volontà innovativa di lotta sociale nel mondo del lavoro. Il tutto nel pieno rispetto dei ruoli, e del rapporto dialettico che deve sempre coesistere tra parte datoriale, politica e mondo sindacale.

Negli ultimi sei mesi, a decorrere dall’entrata in vigore dell’ultima legge di bilancio e successivamente dall’approvazione del decreto lavoro il rapporto tra il Governo e rappresentanze sindacali e nello specifico tra Cisl  ed in parte anche la Uil è stato molto proficuo pur nel rispetto dei ruoli. A differenza la Cigl ha continuato , come da tradizione, a preferire uno scontro più muscolare facendo prevalere rispetto ad una azione di proposta politico sindacale una azione di protesta e scontro sociale.

La formazione e la qualificazione professionale del lavoratore rappresenta sempre la “chiave di volta” per permettere a chiunque e soprattutto ai giovani l’ingresso nel mondo del lavoro. Agli Stati generali dell’Orientamento di Confindustria a Frosinone in cui erano presenti quattro mila studenti, insieme a ministri e aziende, il ministro dell’Istruzione Valditara ha ribadito chiaramente il concetto per cui le parole “impresa” e “lavoro” accanto a “scuola” e “formazione” non debbano considerarsi estranee. La scuola e il mondo universitario  oltre ad arricchire un giovane di tutti gli strumenti necessari per sviluppare una capacità critica di ragionamento devono necessariamente fornire adeguati strumenti formativi  che possano permettergli al termine del ciclo di studi un inserimento nel mondo del lavoro.

A tal riguardo è importante soffermarsi su un altro aspetto della riforma del decreto lavoro e cioè sulla durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato. Ciò riguarda la reintroduzione delle “causali” nei i rapporti di lavoro a tempo determinato che si protraggono oltre i dodici mesi, una sorta di ritorno alle origini come stabilito nel Dlgs 368/2000 e poi  con la legge Biagi (Dlgs.276/2003). E cioè le causali connesse all’indicazione  delle “esigenze tecniche, organizzative o produttive”. A differenza di quanto prodotto normativamente con la riforma Fornero  con la legge 92/2012 e poi con uno dei decreti attuativi del Jobs Act, il Dlgs. 81/2015 che aveva cancellato  il riferimento ad ogni causale riguardo eventuali proroghe di durata contrattuale temporanea. Con il Dl 48/2023 si hanno come riferimento le “causalità” definite dai contratti collettivi e in mancanza dalle parti individuali  del contratto (questo almeno fino al 30 aprile 2024). Pertanto il ruolo del sindacato avrà una importanza fondamentale e strategica  contribuendo a che la temporaneità di un contratto di lavoro non degeneri nella precarietà.

Infine, un altro aspetto della riforma è l’incremento salariale. Il Governo Draghi, aveva effettuato un taglio contributivo del 2%, il Governo Meloni ha confermato questo taglio con la legge di bilancio, incrementandolo di un ulteriore punto percentuale e con il Dl.48/2023 ha effettuato un ulteriore incremento di un altro punto percentuale per la durata da luglio a dicembre del 2023.

Concludendo, i dati inerente le ultime rilevazioni Istat di aprile sono piuttosto confortanti sul piano occupazionale, si registra un incremento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato . Il tasso di occupazione ha raggiunto il 61% il valore più elevato dal 2004. Il tasso di disoccupazione è sceso al 7,8% (benché nell’area euro siamo al 6,5%) cosi come il tasso di disoccupazione giovanile è diminuito attestandosi al 20,4% (per quanto in alcuni paesi virtuosi come la Germania il tasso di disoccupazione giovanile  si attesta su cifre come il 6,1%). Questi dati possono essere giudicati positivamente, considerando che il Governo Meloni si è insediato a fine ottobre 2022 e sono trascorsi ad oggi appena otto mesi.

Un tempo, le politiche del lavoro erano totale prerogativa della sinistra italiana, Fratelli d’Italia come forza politica di governo sta dimostrando con “dati alla mano” che non è cosi e la questione lavoro , il rilancio del piano occupazionale sono tra i principali obiettivi che il Governo Meloni ha intenzione di conseguire al fine di ricostruire una piena rinascita sociale e politica della nazione.

Andare oltre…il reddito di cittadinanza

La legge di Bilancio per il 2023 presenta numerose novità in materia di lavoro. Sebbene i due terzi delle risorse finanziarie disponibili siano state destinate attraverso incentivi, bonus e crediti di imposta a imprese e famiglie per cercare di mitigare il più possibile l’incremento dei costi energetici dovuti soprattutto alle speculazioni economico finanziarie scaturite dal conflitto russo ucraino, l’ultima manovra si è caratterizzata attraverso una serie di scelte politiche in alcuni casi in continuità con l’esecutivo precedente e in altri nettamente in controtendenza.

La ridefinizione del reddito di cittadinanza è stato un atto politico che ha determinato una totale inversione di rotta in relazione a quanto prodotto dagli ultimi governi precedenti a guida Conte e Draghi. Una serie di restrizioni ed una regolamentazione totalmente diversa prevedono a partire dal 2023 una erogazione del reddito pari ad un massimo di sette mensilità eventualmente rinnovabile per una sola mensilità, mentre la precedente disciplina normativa riconosceva il beneficio per un periodo massimo di diciotto mesi. Naturalmente le attuali regolamentazioni prevedono specifiche tutele riguardo alcune fasce deboli, ad esempio i nuclei familiari con disabili, oppure coloro i quali indigenti hanno sessanta anni di età.

Dal 1 gennaio 2023 l’erogazione del reddito di cittadinanza nei confronti dei giovani di età compresa dai 18 ai 29 anni è imprescindibile dal pieno adempimento degli obblighi scolastici o in alternativa dall’iscrizione e soprattutto alla frequenza di percorsi di istruzione di primo livello. Pertanto tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza a partire dall’inizio di quest’anno sono obbligati ad aderire a specifici corsi di formazione destinati all’inserimento lavorativo e alla piena inclusione sociale. Le regioni avranno l’obbligo di vigilare con il compito di trasmettere all’Anpal gli elenchi di coloro i quali risulteranno inadempienti dagli obblighi formativi. Inoltre i percettori del RdC dopo aver sottoscritto il patto per il lavoro in cui dichiarano l’immediata disponibilità lavorativa decadranno dal diritto al beneficio nel momento in cui rinunceranno alla prima offerta lavorativa. In sintesi tutta questa nuova disciplina normativa relativa all’erogazione del reddito si caratterizza per essere non più una misura meramente assistenziale, ma subordina l’erogazione del sussidio allo svolgimento di un percorso di formazione propedeutico all’inserimento lavorativo. La formazione professionale e l’alta qualificazione della potenziale forza lavoro sono elementi fondamentali per l’ingresso nel mondo del lavoro soprattutto per i giovani.

Fatte queste premesse, secondo un recente studio elaborato da Unioncamere Excelsior , molte aziende hanno difficoltà a reperire forza lavoro formata e qualificata in base alle proprie esigenze. E’ necessario pertanto intervenire nelle dinamiche del mercato del lavoro al fine di creare il giusto incontro tra domanda e offerta di lavoro. I settori in cui le imprese hanno difficoltà a reperire forza lavoro qualificata e formata sono quello dell’industria manifatturieriera, costruzioni e dei servizi in generale. La tipologia contrattuale proposta prevalentemente dalle imprese è quella del contratto a tempo determinato seguono poi i contratti a tempo indeterminato e quelli in somministrazione.

Il contratto di apprendistato sicuramente rappresenta uno degli strumenti da tenere in considerazione nel prossimo futuro al fine di colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro. La disciplina normativa che lo caratterizza è un mix di legge statale, regolamenti regionali e disposizioni normative della contrattazione collettiva. E’ stato oggetto nel corso degli anni di continue modifiche, che non sempre hanno soddisfatto pienamente le aspettative richieste. Spesso l’attività di formazione è servita molto ai “formatori” piuttosto che ai “formati” determinando parecchio dispendio di risorse a discapito di molte comunità regionali. In alcuni casi lo svolgimento delle attività formative cosi come previsto da questa tipologia contrattuale non sono state svolte in maniera soddisfacente dagli organi preposti e le responsabilità non sono unicamente riconducibili alle imprese. Tutto ciò inevitabilmente con ricadute negative nei confronti dei giovani lavoratori. Sicuramente nel Nord Italia, il contratto di apprendistato ha funzionato, rispetto al Centro Sud in cui gran parte delle risorse che sarebbero dovute essere destinate alla formazione sono state assorbite dalla spesa sanitaria soprattutto ad opera di regioni del mezzogiorno deficitarie.

Un ruolo importante nel prossimo futuro lo avrà sicuramente l’iter parlamentare inerente l’autonomia differenziata, e i criteri normativi di regolamentazione della formazione professionale dovranno essere posti necessariamente al centro del dibattito politico. Fratelli d’Italia in questa frase cruciale dovrà essere “pronta” a fornire un contributo politico determinante a sostegno delle politiche attive del lavoro e del ruolo delle imprese nazionali. Il mondo del lavoro dall’inizio del periodo pandemico ad oggi è stato oggetto di profondi scossoni, accelerazioni e cambiamenti e chi ha governato in quel momento non ha fornito risposte adeguate. Molte decisioni politiche del recente passato sono state assunte unicamente in un ottica emergenziale.
Oggi, nonostante una situazione internazionale poco rassicurante, caratterizzata soprattutto dal conflitto russo ucraino e dai rapporti piuttosto tesi tra Stati Uniti e Cina l’ Italia deve ripartire sotto l’aspetto economico e sociale, rilanciando il ruolo dell’impresa soprattutto del settore Made in Italy e delle politiche a sostegno dell’occupazione.

Il mondo del lavoro non è unicamente il lavoro dipendente è anche lavoro autonomo spesso relegato ai margini del dibattito politico ed infine anche lavoro di gestione d’impresa (in molti casi piccole o medie imprese che rappresentano il tessuto economico più diffuso). Una trattazione a parte merita la pubblica amministrazione.
La destra italiana rispetto al passato in cui era forza minoritaria nell’interno della coalizione del centro destra al governo oggi assume un ruolo determinante ed ha l’occasione storica di rendersi protagonista attraverso l’affermazione di nuove politiche sociali e contribuire alla crescita economica dell’Italia in primis in Europa e nel Mondo.

Giovani e lavoro

Uno studio svolto appena qualche mese fa dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro riguardo il tasso di occupazione dei giovani nel mondo del lavoro ha fatto emergere che l’ Italia risulta essere la nazione con la più bassa percentuale di occupati al disotto dei 40 anni (esattamente il 32% contro la media del 41% in Europa).

Questa generazione di giovani  chiamati pandemials sono coloro i quali  hanno vissuto due crisi sociali (la crisi finanziaria iniziata nel 2008 e la pandemia del Covid 19)  che hanno inciso profondamente nelle loro aspettative di vita, tutto ciò ha pregiudicato inevitabilmente

l’accesso nel mondo del lavoro. Inoltre l’Italia ha registrato nel 2016  con il suo 21,4 % il tasso più alto dei NEET, nella fascia di età compresa tra i15 e i 24 anni rispetto ai paesi appartenenti all’Unione Europea la cui incidenza media si aggira intorno al 12% e cioè quei giovani che non studiano, non lavorano e non svolgono alcun tipo di formazione professionale perchè sfiduciati da quelle che possano essere le prospettive di inserimento nel mercato del lavoro. I giovani NEET tra i 15 e 29 anni sono passati dal 22,1% del 2019 al 23,3% nel 2020 . Tutto ciò ha determinato inevitabilmente fenoeni di frustazione ed isoltamento sociale.

Altro dato negativo è rappresentato dalle statistiche demografiche, piuttosto ridotte negli ultimi due anni ad opera soprattutto della pandemia. La mancanza di prospettive concrete lavorative è uno degli aspetti fondamentali che limitano le nuove generazioni a formare una famiglia.

Nel 2021 nel  settore industriale e dei servizi il numero dei posti  di lavoro per cui non è stata trovata forza lavoro adeguatamente formata è stato di oltre 230.000 unità. Questo dato è piuttosto emblematico perchè ci fa compredere che l’offerta di lavoro è presente nel nostro Paese, ma la forza lavoro esistente spesso non è dotata della giusta formazione professionale per ricoprie i profili lavorativi richiesti.

In Italia c’e’  una scarsa offerta di formazione tecnica non adeguata con quelli che sono gli standar richiesti dalle aziende  rispetto al resto d’Europa.  Nel territorio nazionale il numero degli istituti tecnici superiori conta poco più di 18mila studenti ogni anno. Il PNRR dovrebbe contribuire a migliorare la qualità della formazione ed incrementare il numero degli iscritti migliorando l’offerta formativa degli istituti , dotando queste scuole ad indirizzo tecnico e le istituzioni universitare tecnico scientifiche di tutti quegli strumenti necessari atti a creare figure idonee a soddisfare le richiete  aziendali. I tecnici informatici , delle telecomunicazioni e gli  operai specializzati sono considerate ad oggi figure professionali difficili da reperire.

I principali strumenti  attraverso i quali i giovani entrano nel mondo del lavoro al termine di un percorso di studi sono i tirocini ed i contratti di apprendistato.

I contratti di apprendistato attivati nel 2021 in Italia sono stati 370 mila . Questo è un dato piuttosto basso rispetto al totale della tipologie contrattuali di avviamento al lavoro. Se consideriamo che a partire dalla metà degli anni 80 ad oggi gli interventi su questa disciplina contrattuale sono stati diversi e l’ultimo è stato attraverso il d.lgs 15 giugno 2015 n. 81 che ha ridisegnato la disciplina normativa del Testo Unico del 2011 (d.lgs. 14 settembre 2011, n.167) . Attraverso questa ultima riforma le competenze regionali in materia di conratto di apprendistato sono riemerse in maniera considerevole e se da un lato questo è un aspetto positivo perchè responsabilizza le regioni attraverso percorsi formativi adeguati in stretta sinergia con le realta industriali del territorio (questo è quanto si verifica nel nord est esempio in Lombardia, Trentino Alto Adige,Veneto Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia)  dall’altro crea una “regionalizzazione deleteria” nelle aree più depresse della penisola italiana, e cioè nel centro sud  in cui l’esiguità delle risorse a disposizione già in gran parte assorbite dalla spesa sanitaria, oltre che la quasi totale  assenza di uno spirito cooperativistico tra le principali istituzioni locali  non consentono adeguate misure di investimento formativo vanificando lo spirito normativo che il contratto di apprendistato si prefige di conseguire.

Per questo occorre “snellire” l’ampio dedalo di norme fatte di regolamenti regionali, richiami normativi, rinvii alla contrattazione collettiva che rischiano di rendere farragginosa l’applicazione delle diverse tipologie del contratto di apprendistato che non assolve più  alla sua funzione primaria di formazione e ingresso nel mondo del lavoro delle giovani generazioni.

Inoltre se consideriamo che molte risorse sono impiegate a garantire  il reddito di cittadinanza che al contrario potrebbero essere destinate attraverso “precise regole di ingaggio” alle aziende per investire nella formazione avremmo sicuramente più benefici  che piuttosto un improduttivo assistenzialismo.

Altra considerazione riguarda i tirocini, spesso poco considerati , che rappresentano forse il primissimo ingresso reale nel mondo del lavoro al termine di un percorso di studi, e che ancora oggi meritano  una migliore regolamentazione. La Direzione Centrale del Coordinamento Giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato una nota a fine marzo u.s. in cui vengono enunciati dei chiarimenti in merito alle disposizioni introdotte dalla l. 234/2021 già vigenti, in riferimento all’erogazione delle indennità, al ricorso fraudolento del tirocinio con lo scopo di eludere reali rapporti contrattuali di lavoro ed infine agli obblighi della sicurezza del lavoratore.

Le aspettative per il futuro non sono delle migliori, gli effetti del conflitto russo ucraino, l’inflazione in continuo aumento e la contrazione della crescita rischiano di accentuare una profonda conflittualità sociale . Per questo le scelte programmatiche in materia di politiche attive del lavoro compiute attraverso i fondi del PNRR dovranno avere una visione prospettica d’insieme e riallacciare compiutamente il mondo dell’impresa alle  giovani generazioni.

*Roberto Aprile, dipendente P.A.