Mario Presutti

Cosa dovrebbe insegnarci la “sottomissione” di Aisha

Sono sinceramente felice nell’apprendere che Silvia Romano sia finalmente a casa a Milano e sono profondamente solidale con la famiglia che ha dovuto passare mesi dolorosi e difficili.
Sono anche indignato per le minacce di morte e gli insulti volgari che anche parte del popolo di centro destra ha rivolto ad una ragazza.
Questa dovuta premessa però, non mi esime dal fare un ragionamento su questa vicenda che sul piano quantomeno mediatico, rappresenta una grave provocazione ai nostri valori e alla nostra civiltà Occidentale. Voglio essere certo (e spero di non essere smentito dai fatti futuri) che Silvia sia realmente inconsapevole di ciò che ha fatto. Voglio credere nella sua ingenuità e nei suoi ideali tipici di una ventenne schiacciata da inutili sensi di colpa che gran parte della cultura sinistra e terzomondista inculca coscientemente nelle menti dei giovani occidentali. La colpa sarebbe, a dire loro, quella di essere “fortunata” ad essere nata nella parte del mondo libero, nella parte del mondo dove c’è benessere diffuso. Lo fanno per questioni puramente ideologiche perché omettono di dire che noi viviamo in paese libero e sviluppato non per “fortuna” o per caso ma solo grazie al sacrifico e alle lotte dei nostri avi. Non c’è nulla di casuale in quello che abbiamo e pertanto non c’è nessun senso di colpa da dover espiare andando a rischiare la vita. Ma non è questo il tema della mia riflessione. Perché come accennavo voglio credere nella buona fede di Silvia, andata lì sinceramente per aiutare e come fanno in tanti, invece di rendersi utile nel suo Paese decide, legittimamente, di rivolgersi “ad una organizzazione di cooperazione internazionale” e partire.
Queste organizzazioni mandano in balia del fato giovini in posti del mondo pericolosi e dove la vita vale poco più di qualche euro. Queste organizzazioni, che a volte non sono riconosciute neanche dal ministero della cooperazione né tanto meno da organismi internazionali, usano e abusano dell’ingenuità di giovani senza esperienza ma con tante buone intenzioni. Poi però, a volte succede che una ragazza ventenne viene mandata da sola in un villaggio del Kenya ad alto rischio per la sicurezza e viene rapita.
A volte poi le buone o meglio buoniste, organizzazioni magari fanno firmare una liberatoria dove si esimono da qualsiasi responsabilità. Ecco basterebbe introdurre una semplice legge, sul modello giapponese magari, in cui le organizzazioni devono invece assumersi tutte le responsabilità del caso e dare tutta l’assistenza necessaria sia alla persona rapita che ai suoi familiari in modo che se c’è da pagare un riscatto sia la stessa organizzazione a pagare. Questo a mio avviso, è già il primo elemento di riflessione che emerge da questa vicenda: disciplinare le organizzazioni che fanno questo genere di attività per renderle responsabili della loro incoscienza nel mandare in posti così a rischio persone giovani e inesperte e a volte anche ingenue.
Senza questa legge a quel punto subentra lo stato che giustamente si ritrova a dover gestire la faccenda tutelando la vita di una nostra connazionale. Il problema però è il come. Anche in questo basterebbe una semplice legge che vieti al governo e ai servizi segreti di pagare qualsiasi riscatto. Ad alcuni potrà sembrare disumano eppure nel nostro ordinamento esiste già questo principio e si applica nei rapimenti in patria. Infatti nel caso di un rapimento in Italia vengono sequestrati tutti i beni della famiglia e vengono impediti i pagamenti dei riscatti proprio per disincentivare tali reati atroci e anche perché con i delinquenti non si tratta. Anche in ambito internazionale esistono approcci basati sullo stesso principio. Per esempio il modello anglosassone e israeliano prevede un approccio basato sulle “incursioni di forze speciali” per liberare l’ostaggio e di certo, anche in questo caso, non si tratta con i terroristi.
Invece il nostro governo non solo ha trattato e pagato i terroristi islamici ma per fare questo ha chiesto aiuto anche alla Turchia che, è bene ricordarlo, è il nostro principale competitor geopolitico sia nell’ambito mediterraneo che energetico. Purtroppo come avviene in questi casi non si fanno “favori” ma c’è sempre un do ut des e presto scopriremo qual è la contropartita su cui il governo si è impegnato con Ankara per ottenere l’aiuto.
Queste due riflessioni sono alla base di una necessario approfondimento da parte del legislatore. Uno stato civile non può lasciare all’improvvisazione di un governo, inadatto come in questo caso, faccende che impattano così profondamente sulla nostra Nazione ma deve al contrario, impostare un approccio che tuteli la vita attraverso metodi e strumenti che non incentivano e rafforzano il terrorismo islamico rendendoci tutti complici.

Modello Cina? No, grazie

Durante la conferenza a reti unificate di domenica sera del 26 aprile 2020 ho avvertito una certa inquietudine nel sentire pronunciare farsi ottocentesche (“consentiamo”, “vietiamo” “e’ concesso”), auto-celebrazioni stucchevoli (“io sono la punta di questo sistema”) e vere e proprie minacce (“pronti a chiudere il rubinetto” ). Tutto questo condito da un martellante terrorismo mediatico ( “La curva salirà e aumenteranno i nostri morti, i nostri defunti e avremmo danni davvero irreversibili alla nostra economia”).
Mi sembrava di essere ripiombati nel 4 marzo del 1848 alla promulgazione dello Statuto Albertino in cui il sovrano Carlo Alberto “per la grazia di Dio”, “Con lealtà di Re e con affetto di padre” e “di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue”

Tutto questo mi sembra assurdo, surreale ma sopratutto inaccettabile!

Le avvisaglie della pericolosità dell’ideologia grillina mi erano già note ( il loro giustizialismo, il concetto dell’uno vale uno, della democrazia diretta, l’assistenzialismo pauperistico, l’odio sociale ) ma mai avrei potuto immaginare che un’innegabile pandemia e una crisi sanitaria ormai divenuta sociale, possa essere usata per assestare un ennesimo colpo al sistema parlamentare e liberale del nostra Repubblica.
Il governo dalla prima fase di totale sottovalutazione del problema, dettata più dai legami con Pechino che dalle pressioni del mondo imprenditoriale italiano, è passato ad un racconto basato sulla paura e sulla coercizione. Siamo l’unico paese occidentale ad aver accettato che il governo sospendesse di fatto la Costituzione e intervenisse così pesantemente nelle nostre vite private privandoci anche della libertà di culto e della dignità di esseri umani senzienti.

In questa sede non entrerò nelle polemiche condivisibili, sul documento allarmante del Comitato tecnico scientifico ( di sovietica memoria le parole non sono mai casuali) che conterrebbe quantomeno un grave errore di calcolo come ci dice un’analisi fatta dalla Holding Carisma presieduta da Giovanni Cagnoli ma mi limiterò a fare delle considerazioni sul modello sociale che questo governo, con il pretesto del virus, sta imponendo agli italiani.
E’ evidente che non possiamo delegare la nostra vita, i nostri affetti, la nostra fede ad un Comitato che seppur tecnico e scientifico è composto da esseri fallibili. Un leader politico non può esimersi dalla responsabilità di contemperare le indicazioni di tipo scientifico o tecnico con le esigenze di dignità e di libertà del singolo cittadino.
A mio avviso si è scelta questa strada dei Comitati o delle Task Force per far passare all’opinione pubblica l’idea che non si tratti di decisioni politiche ma scientifiche e quindi inevitabili (ricordate i tecnici alla Monti?). Tutto questo supportato dalla paura indotta anche da un’infodemia non solo causata dai media ma organizzata dallo stesso apparato statale. Le continue dirette di Conte, le quotidiane (all’inizio addirittura due al giorno) conferenze della protezione civile e del comitato, le dirette dei governatori del nord, fiumi e fiumi di indicazioni, suggestioni e cambi di rotta che hanno letteralmente stordito la popolazione nelle case. Tutto questo ha procurato un aumento dell’insonnia, dello stress e della depressione causando anche numerosi casi di suicidio (come ci indica uno studio Università dell’Aquila e di Roma Tor Vergata e dal progetto ‘Territori aperti”, che stanno conducendo uno studio per valutare gli effetti psicologici dell’emergenza Covid-19. I primi risultati sono stati pubblicati sulla rivista di preprint MedArXive.). L’economia della paura si arricchisce con la nevrosi collettiva permettendo l’importazione di un modello sociale di controllo che è sempre di più simile ad un Stato Etico. Cosa molto cara all’ideologia grillina.
Anche le opposizioni per paura delle morti e dei numeri interpretati e divulgati dal Comitato tecnico scientifico hanno seguito, con senso di responsabilità, i richiami del Capo dello Stato all’unità.

Ma a tutto c’è un limite. Le opposizioni devono tutelare le nostre libertà e garantire il ripristino immediato della Costituzione. Con questo non intendo negare la gravità della pandemia e anzi intendo affermare la necessità di utilizzare i dispositivi di sicurezza personale e il distanziamento sociale attraverso nuovi protocolli di sicurezza proprio perché non sappiamo per quanto tempo dobbiamo convivere con il virus. Ma convivere con il virus non significa convivere con la paura di uscire. Significa, al contrario, utilizzare la necessaria profilassi per contenere il rischio.
La società occidentale si è sviluppata attraverso il concetto di rischio e il concetto di dubbio. Oggi invece assistiamo ad un Comitato tecnico scientifico dogmatico e ad una volontà politica di voler “governare” con metodi coercitivi il “rischio”.

Al concetto di “rischio” nella cultura occidentale si legano le parole κίνδυνος, discrimen, periculum, strettamente legata alla cultura del fare e dell’esplorare e benché abbia un aspetto ambivalente la nozione di rischio è inseparabile dalla condizione della modernità, dell’entusiasmo e dell’avventura. Nella società mondiale del rischio Beck Ulrich ci ammoniva «dobbiamo accettare l’insicurezza come un elemento della nostra libertà. Può sembrare paradossale, ma questa è anche una forma di democratizzazione: è la scelta, continuamente rinnovata, tra diverse opzioni possibili. Il cambiamento nasce da questa scelta».
A questo concetto ( invito il lettore ad approfondire non essendo questa la sede per una disquisizione accademica), che non può essere normato attraverso un DPCM, vanno agganciati i concetti di responsabilità individuale e dignità personale che sono anche essi presupposti indispensabili per un società democratica.
In sintesi ritengo culturalmente, giuridicamente e socialmente grave l’azione del governo perché mina alle fondamenta il nostro tessuto di convivenza sociale e pregiudica l’eventuale embrione di un nuovo Rinascimento italiano.

Sul secondo concetto non intendo scomodare Socrate e il suo dubbio e anche in questo caso, mi limito ad elencare un spunto di riflessione partendo dal metodo scientifico. E’ infatti davvero paradossale come nella Patria di Galileo i sui attuali abitanti abbiano una cultura e una conoscenza della scienza insufficienti ad esprimere giudizi razionali. Purtroppo questo elemento accomuna tutti i livelli della società italiana anche quella accademica basti pensare alla vexata quaestio tra Burioni e Tarro. Ma ritornando a Galileo che è indubbiamente uno dei padri del metodo scientifico, non posso non inorridire di fronte all’atteggiamento quasi dogmatico del nostro Comitato tecnico scientifico. Il COVID 19 è indubbiamente un nuovo virus, forse nato da qualche errore di laboratorio in Cina, molto virulento ma indubbiamente sul suo indice di mortalità e su come esso possa reagire nel tempo e nello spazio la comunità scientifica ne sa davvero poco in termini assoluti. Solo nelle ultime settimane iniziano a confrontarsi i diversi studi forse tra un anno o due avremmo delle certezze. Ad oggi non abbiamo nessuna verità assoluta se non quella del distanziamento sociale e dell’uso dei dispositivi di sicurezza personali. Per andare avanti, una comunità scientifica nazionale come quella italiana, ha certamente bisogno di uno spirito critico ma non da social con le relative tifoseria ma a livello accademico.
Quindi non esiste nessuna evidenza scientifica indubbia che ci dice che restare chiusi in casa limita il contagio. A maggior ragione dopo le affermazioni di Conte in cui afferma che la maggior parte dei contagi è avvenuta proprio in famiglia. Esistono solo teorie da confermare con metodologia empirica. E allora perché il Comitato tecnico scientifico in maniera cosi netta insiste su questa linea? Per prudenza? E al nostro paese quanto ci sta costando in termini economici questo eccesso di prudenza del Comitato scientifico?

Inoltre lo stesso Comitato che ha sbagliato (?) a fare calcoli matematici arrivando ad ipotizzare erroneamente un picco di 150mila pazienti in terapia intensiva quando per raggiungere un simile picco dovrebbero esserci 150 milioni di italiani con più di 20 anni ma ne siamo in tutto solo 60 milioni, dovrebbe decidere come e quando chiuderci tutti in lockdown un’altra volta. Il solo averlo annunciato è un follia!

Al contrario l’Italia avrebbe bisogno di una programmazione in sicurezza di medio periodo fatta dalla politica con le parti sociali, riaffermando i due principi alla base del nostro progresso: il diritto al dubbio e il diritto al rischio.
Per fare questo è necessario un piano senza precedenti nella storia repubblicana e forse paragonabile solo a quello della ricostruzione post bellica. Continuare a dibattere su strumenti innovativi in seno alla EU è assolutamente necessario e utile per trasformare la EU in una confederazione di stati sul modello svizzero ma purtroppo il sistema economico ha bisogno di soldi a fondo perduto subito.
L’unica strada a mio avviso poco reclamata dalla nostra politica è che la BCE faccia da banca centrale a tutti gli effetti, acquistando direttamente titoli di stato a 50 anni e iniettando liquidità immediata ai governi che devono immediatamente finanziare a fondo perduto il sistema economico. Tutte le altre soluzioni che leggo in questi giorni rischiano di arrivare quando il paziente è già morto.

In conclusione il governo va fermato sia per i pericoli sul modello sociale che intende imporre e sia per la assoluta incapacità di dare soluzioni concrete e utili al sistema economico. E’ ora di dare battaglia politica in tutte le sedi e se necessario anche in piazza!

Lettera da un Paese in guerra all’Unione Europea

Avevo diciotto anni quando entusiasta mi recai in posta a prendere il mio Euro starter kit dal valore 12,91 €. In Italia furono confezionati 30 milioni di mini kit per rendere familiare la nuova moneta già a dicembre 2001 e le TV e i giornali pubblicizzavano questi kit ed io non vedevo l’ora di poter usare la nuova moneta. Tornai a casa e feci vedere orgoglioso le nuove monete a mia madre che mi disse “ ma sei sicuro che sarà meglio con questi Euro?” Io la freddai quasi irritato da quella sua domanda “ Ma certo mamma questa moneta è il nostro futuro e ci renderà grandi nel mondo!”

 

Ero cresciuto con il sogno europeo. Avevo letto il “Manifesto di Ventetone” ero eccitato dall’idea di poter aver amici tedeschi, spagnoli, austriaci e ricordo, ritornando ancora più in dietro nel tempo, i miei “pen-friends” con i quali mi scrivevo e con i quali ora condividevo la stessa moneta ma non la stessa lingua. Questo piccolo particolare della lingua, all’epoca non mi destava nessuna perplessità ma anzi la vedevo come una cosa gagliarda sulla quale costruire un Europa Unita. Immaginavo questa Europa in pace, prospera e credevo che la moneta avrebbe facilitato il concetto di popolo europeo che forse la mia generazione ha davvero sognato.

 

Partendo da questi mie ricordi, rinchiuso in quarantena da più di un mese, asfissiato dalle fake news che circolano sui social media mi rifugio nell’immaginare il nostro Continente tra 30 anni.

Siamo nel 2050 ormai non più giovane vedo il grande lavoro che abbiamo fatto noi europei. Abbiamo costruito un confederazione di popoli uniti in uno spirito di sussidiarietà e fratellanza che tutto il mondo ci invidia. Abbiamo realizzato in un secolo un’identità europea che intellettualmente è sempre esistita ma che nella storia non ha mai avuto dignità. Siamo riusciti a tutelare le minoranze del nostro Continente, siamo riusciti a garantire la centralità del Parlamento Europeo nella vita politica del Continente. Abbiamo superato grandi crisi economiche e anche la pandemia del COVID 19 … Perché alla fine l’egoismo non ha vinto.

 

Ed ecco però, che il giornale in radiovisione mi scuote da questo mio vagheggiare nel futuro e mi riporta alla triste realtà. “Nessun accordo per ora. L’Eurogruppo più atteso di sempre, chiamato a fronteggiare la crisi economica scaturita dall’emergenza pandemica, si è concluso dopo 16 ore con un nulla di fatto ed è stato rinviato a giovedì.”  E ancora  L’accordo in seno all’Eurogruppo sullo strumento da adottare per far fronte alla crisi del coronavirus “è bloccato dalla sola Olanda”. Secondo fonti dell’Eliseo, questa posizione olandese è “controproducente, incomprensibile e non può durare”. Il blocco olandese è centrato sull’idea di “non togliere tutte le condizioni” per l’accesso al Mes. “Per noi e la maggior parte degli alleati, la sola condizione – hanno spiegato le fonti dell’Eliseo – è che i fondi vengano spesi per far fronte alla crisi”. Per l’Olanda, continuano le fonti, “ci devono essere altre condizioni”, anche di tipo “macroeconomico”, “riguardanti ad esempio le riforme e il ritorno all’equilibrio finanziario”. Le condizioni olandesi “vanno al di là della gestione della crisi – aggiungono le fonti della presidenza francese – mentre noi vogliamo attenerci a questo. E’ il punto essenziale del blocco”.

 

Semplicemente assurdo. Non posso crederci nel mentre muoiono migliaia di persone e altre migliaia vengono contagiate solo in Europa. Mentre la metà della popolazione mondiale è soggetta a misure restrittive di distanziamento sociale. Mentre vengono sospesi i diritti individuali, esautorati i parlamenti. Mentre accelera la più grande crisi economica dal dopoguerra. Mentre milioni di persone sono chiuse in casa impaurite e depresse. Mentre le aziende e le industrie di mezzo mondo sono chiuse e generano debiti. Ovvero mentre il mondo è in guerra contro un nemico invisibile l’Olanda e la Germania ci chiedono altre condizioni di tipo macroeconomico per il ritorno all’equilibrio finanziario???

 

Ma questi signori lo sanno che fino ad ora si sono avvantaggiati dei bonifici di una moneta unica e delle regole che si sono scritti per loro stessi e che hanno imposto a tutti i Paesi EU?

L’Olanda lo sa che si sta approfittando del  mercato unico per fare dumping fiscale agli altri paesi membri? La Germania lo sa che grazie al mercato unico riesce ad esportare i suoi prodotti  avvantaggiandosi anche del blocco dei cambi interni all’Unione Monetaria? Non c’è bisogno di ricordargli che abbiamo per ben due volte azzerato i loro debiti, basterebbe solo mostrare i dati di questi ultimi 18 anni di Euro…

 

Ed ecco che mentre il mio risentimento cresce dalla pancia e arriva alla testa che mi spunta una domanda: ma qualcuno dei nostri governanti glielo sta ricordando?   Qualcuno dei nostri governati è stato mai capace di dimostrare con i fatti quanto l’Italia sia importante per loro?

E purtroppo arrivo ad un’altra conclusione:  non è colpa loro se agiscono da sempre tutelando solo i loro interessi anche a discapito di altri paesi membri. La colpa è la nostra! Sì, di noi italiani che abbiamo creduto davvero nel sogno europeo e che forse nonostante tutto, ancora vorremo crederci. Nonostante abbiano fatto un politica agricola che ha danneggiato i nostri allevatori. Nonostante abbiano fatto accordi con la Turchia per tutelare solo i loro confini. Nonostante abbiano bombardato i nostri alleati libici. Nonostante ci abbiano lasciati soli a gestire le grandi ondate migratorie dall’Africa. Nonostante continuino a pubblicare periodicamente copertine di riviste denigratorie e offensive verso il popolo italiano.

 

Ed ecco perché ti scrivo mia cara EU. Per dirti che hai distrutto i nostri sogni. Hai distrutto la nostra gioa di vivere in un Continente Unito.

Ieri notte hai celebrato il tuo funerale mentre uno dei tuoi Paesi fondatori l’Italia stava combattendo una guerra terribile e spietata. Mentre il mio Paese combatte grazie ai medici, infermieri scienziati forze dell’ordine e società civile costretta a vivere chiusa in casa tu hai voluto anche toglierci un sogno.

Distruggere i sogni ai propri figli non porta mai a nulla di buono. E se non oggi sarà domani ma questo sogno di un’Europa Unita è morto per sempre!

 

Per concludere se nel dicembre del 2001 risposi a mia madre in maniera stizzita a quella sua domanda “ ma sei sicuro che sarà meglio con questi Euro?” oggi a distanza di 18 anni posso dire che in quella sua domanda c’era una grande verità!

Date a Cesare quel che è di Cesare

“Il naufragio è la perdita totale di una nave o di una imbarcazione per cause accidentali cui può far seguito, anche se non necessariamente, la sua completa sommersione.”

Possono esserci varie cause a determinare un naufragio. L’arenamento; l’avaria; la collisione; la falla; l’incaglio; l’incendio; l’instabilità; errori di navigazione; eventi meteorologici e persino attacchi marini da animali e belve marine. Quindi il naufrago o i naufraghi, sono persone che trovandosi su una imbarcazione in naufragio per cause non previste in partenze si ritrovano in mare alla deriva. Queste persone, questi veri naufraghi sono tutelati dal diritto internazionale come ad esempio la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare che sancisce l’obbligo agli Stati di soccorrere le persone in pericolo di vita in mare. Oppure come la Convenzione SOLAS del 1974 e la Convenzione SAR del 1979 che sanciscono entrambi l’obbligo per gli Stati costieri di agire per soccorrere chi è in pericolo con attività di search and rescue ma obbligano anche tutti gli Stati coinvolti costieri a cooperare tra loro per salvare i naufraghi. Queste convenzioni, fanno riferimento anche l’obbligo di condurre le persone salvate in un luogo (porto) sicuro. Nello specifico un porto dove la persona salvata non deve temere per la propria incolumità.

Sulla base di questi elementi di diritto internazionale, la sinistra immigrazionista, parte della curia vaticana globalista e le ONG chiedono all’Italia “di salvare” le vite umane al largo delle sue coste. Questi signori però omettono intenzionalmente e spesso in male fede (perché coinvolti direttamente nel business dell’accoglienza) di raccontare e sopratutto di analizzare la reale situazione del Mediterraneo e cosa realmente accade al largo delle nostre coste. Si tratta veramente di salvare vite umane ? Si tratta veramente di applicare il diritto internazionale? Stiamo parlando realmente di naufragi? E chi determina quali sono i porti sicuri? E su quali basi ?

In molti, in questi anni, hanno analizzato la situazione e alcuni hanno anche dimostrato le attività poco chiare delle ONG al largo delle coste libiche. Qualcuno dirà che le attività giudiziarie investigative non hanno portato a nulla di rilevante sul piano penale. Ma esiste un piano politico sul quale Salvini ha deciso di giocarsi la partita. Ed ecco che arriviamo ai nostri giorni e al capitano Carola e la Sea-Watch 3.

Una nave che parte dall’Olanda (almeno la bandiera così ci suggerisce) per arrivare nel mediterraneo e poi andare al largo delle coste libiche capeggiata da una ONG e che lo fa con metodica e costanza negli anni sta svolgendo un’attività vera e propria. Questa attività viene studiata, finanziata organizzata e resa operativa. Non necessariamente debbono esserci degli illeciti penali e non è il mio compito quello di capire da dove arrivano questi soldi e perché. Ma certamente c’è un’attività politica ben precisa sulla quale gli italiani devono essere informati e sulla quale devono decidere da Paese sovrano come hanno fatto Germania, Francia Ungheria, Austria, Polonia, in pratica tutti i Paesi europei.

Questo maldestro tentativo di raccontare la questione come se si trattasse di eventi casuali che accadono a chi naviga, come se non esistesse una tratta neo-schiavista organizzata dalla criminalità (anche nostrana sia chiaro)  e dai terroristi islamici, come se nel Mediterraneo ci fossero solo le coste italiane, come se noi non avessimo già abbondantemente dato ogni tipo di assistenza umiliando finanche la nostra marina e costringendola a fare da taxi ai neo-schiavi sui quali la finanza apolide si arricchisce scaricando i problemi sociali alle fasce deboli delle nostre città.

Questo racconto atto a insinuare il senso di colpa negli italiani mistificando la realtà e creando addirittura ignobili passerelle sulle navi di turno che sbarcano illegalmente è alquanto stomachevole . Ma con Carola abbiamo raggiunto livelli inaccettabili.

In questo caso (come negli altri) non parliamo di diritto internazionale sui naufraghi, perché questi clandestini non si trovano lì per caso. La loro imbarcazione non si trovava in “avaria” per caso. Il numero di passeggeri a bordo non è un caso. E non è un caso neanche il numero delle donne (incinte) e dei sedicenti minori. Nulla è un caso in questa complessa organizzazione. È tutto organizzato, finanziato e pagato. Infine anche la destinazione non è un caso. In maniera del tutto arbitrale senza rendere conto a nessuno Carola ha deciso che il porto sicuro era solo ed unicamente Lampedusa.

Salvini ha cercato di mettere un argine a questa situazione annunciando (solo annunciando) la chiusura dei porti. Era chiaro a molti, che non avrebbe potuto fare granché la politica degli annunci e delle dirette Facebook, contro un’organizzazione così ben strutturata, internazionale e ben finanziata. Infatti arriva quando arriva la capitano tedesca, che dopo 17 giorni a zig-zag sul confine delle nostre acque territoriali, decide di forzare l’alt non possiamo far altro che assistere all’umiliazione dell’Italia e delle sue forze armate compiuta ad opera di una ONG.

A quel punto il PD immigrazionista non poteva non astenersi da questa passerella mondiale organizzata ad arte sulla pelle dei neo-schiavi. E si fiondano a bordo della nave.

Violano le leggi dello stato italiano, speronano una nave della GdF mettendo a rischio la vita dei nostri militari, creano un caso mediatico atto ad incitare azioni eversive contro lo stato e contro le forze militari di questo Paese. E’ chiaro a tutti che non potendo, il PD, recuperare l’elettorato perso e non potendo aspirare a cambiare le leggi in parlamento il vecchio vizio di filtrare con i sovversivi di turno non è morto. I parlamentari a bordo di quella nave illegale hanno scritto una della pagine più brutte della nostra storia repubblicana.

E allora che si fa? Si fa una bella diretta Facebook ? Si fa un tweet? Oppure finalmente si fanno provvedimenti a difesa dei nostri confini? E’ evidente che l’unico modo per fermare la tratta neo-schiavista e stroncare il business dell’immigrazione clandestina, è istituire un blocco navale militare con incursioni militari mirate sulle coste libiche per distruggere le imbarcazioni degli scafisti. Se Salvini non farà questo temo che perderà la partita perché avemmo altre Carola, avremmo altre azioni sovversive e gli sbarchi continueranno, come continuano in queste ore,  indisturbati.

Ah tutto questo scempio avviene con la benedizione del Segretario di Stato Vaticano Parolin che in barba a qualsiasi buonsenso diplomatico ed istituzionale incoraggia altre azioni sovversive nel nostro Paese incoraggiando a violare le leggi. Dove è finito “date a Cesare quello che è di Cesare?”

*Mario Presutti, collaboratore Charta minuta

Gandolfini con Meloni in vista di Verona

Da Firenze in occasione dell’evento “Più Famiglia più Italia” i militanti pro-life capeggiati dal Presidente del Family day Gandolfini lanciano un significativo endorsement a Giorgia Meloni.

Il Family day è un importante evento tematico che raggruppa diverse organizzazioni di matrice cattolica ma non solo, che da anni sostiene politiche a tutela della famiglia e conduce battaglie a difesa della vita. Ogni anno il Popolo della Famiglia si riunisce per far presente alla politica le problematiche delle famiglie e da anni Giorgia Meloni partecipa a tale iniziativa in maniera convinta.

Ma le parole di Gandolfini di ieri (16/03 per chi ci legge) sembrano un vero riconoscimento al coraggio di Giorgia Meloni che sta rendendo Fratelli d’Italia sempre più una forza politica moderna e di ispirazione conservatrice e dove chiaramente la tutela della Famiglia resta un tema centrale. “Noi – ha dichiarato Gandolfini – riconosciamo che Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni stanno portando avanti una politica a vantaggio della famiglia, per la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e per la libertà educativa dei genitori”.

Il tema, come accennato, è cruciale per un movimento che nell’ultimo periodo sta ritrovando una costante crescita nei sondaggi grazie anche ad un lavoro coraggioso della leader Meloni sui temi conservatori e sovranisti. Più volte infatti, la Presidente Meloni ha sottolineato la netta differenza tra una forza sovranista / conservatrice e una meramente populista. I sovranisti guardano alle generazioni future i populisti guardano solo al presente.

In questa ottica la Famiglia resta l’unità sociale fondamentale perché svolge un ruolo fondante in quanto organizza la società. Inoltre è il primo luogo dove si impartisce la prima educazione in quanto viene trasmessa l’esistenza culturale e la forma di essere di un popolo attraverso un dialogo intergenerazionale che si sta sempre più perdendo. Tutelare la famiglia quindi non è una questione apparentemente solo religiosa ma una necessità di tutte le Nazione. In famiglia si apprendono i criteri, i valori e le norme di convivenza essenziali per lo sviluppo e il benessere dei suoi stessi membri. Di conseguenza, per la costruzione della società futura è necessario permettere alle famiglie di oggi, di poter crescere i propri figli in sicurezza e in tranquillità. Cosa che al momento in Italia è reso difficile per una serie di concause.

È molto importante dunque per Fratelli d’Italia, aver ottenuto questo riconoscimento dal presidente del Family day che con le sue parole certifica un impegno concreto da anni a tutela della Famiglia.

Negli ultimi anni il mondo del Family day, pur restando nell’ambito del centro destra, si è frammentato sempre. Bisogna ora non perdere questa occasione, in vista anche del prossimo Congresso Mondiale delle Famiglie che si terrà a Verona, di aspirare ad assere la vera forza politica italiana a tutela della Famiglia tradizionale. Si tratta di una sfida ambiziosa per Giorgia Meloni. Ma i presupposti sembrano esserci tutti.

*Mario Presutti, collaboratore Charta minuta

 

LASCIATE STARE L’AL BANO NAZIONALE!

E’ notizia di queste ore che Albano Carrisi è stato inserito nella cosiddetta black list dal ministero della Cultura ucraino, in base alle richieste del Consiglio di Sicurezza e Difesa nazionale dell’Ucraina, dei servizi di sicurezza ucraini e del Consiglio della Tv e Radio nazionali. In sostanza il cantante famoso per le sue canzoni come “Felicità”, “Libertà”, “Bella” e tante altre, per il regime di Kiev non è altro che un individuo considerato una minaccia alla sicurezza nazionale.

Scorgendoci sulle piattaforme social, appare evidente che il pubblico sia quasi divertito da questo accostamento tra intrattenimento e geopolitica. Si ride. Si sorride. Quasi increduli che un “un bicchiere di vino con un panino” possano essere considerati una minaccia per un governo che aspira a entrare nell’Unione Europea. Questa notizia, tra il lieve e il grave in realtà nasconde una questione non più rinviabile per il nostro Paese.

Parliamo di un paese che noi sosteniamo, paese che finanziamo, paese nostro amico, paese con il quale abbiamo importanti legami culturali, se non altro per la numerosa comunità ucraina presente in Italia, paese cristiano. L’Ucraina che noi amiamo e per la quale abbiamo addirittura introdotto dannose sanzioni economiche ad un nostro importante partner commerciale come le Russia. Può avere dunque, questo paese, una black list con diversi nomi italiani? Può continuare ad aspirare ad entrare nell’Unione Europea avendo e utilizzando “liste” in cui vengono inseriti nomi di cittadini italiani (e non solo) soltanto per aver detto un’opinione o come nel caso di AL BANO per avere vantato un’amicizia con il Presidente Putin? E’ Possibile che il nostro ministro degli esteri Moavero non chieda immediati chiarimenti all’ambasciatore ucraino in Italia? Possibile che si continui a far finta che in Ucraina non ci sia un pericoloso problema che riguarda i dubbi metodi utilizzati dal governo ucraino per fronteggiare una ipotetica propaganda filo-russa? Possibile che i nostri concittadini debbano essere inserti arbitrariamente in questa black list? Ma soprattutto è possibile tollerare che uno dei maggiori simboli della nostra cultura nazional-popolare possa essere umiliato in questo modo senza che il governo intervenga?

A tal proposito visto che l’Ucraina non sembra essere riconoscente verso il nostro Paese, sarebbe anche ora che Salvini dia una plausibile spiegazione sul motivo per il quale in campagna elettorale ha promesso di togliere il regime di sanzioni alla Federazione Russa e invece il governo italiano continua a sostenere le proroghe. Il prossimo appuntamento utile sarà il 31 luglio. Avrà Salvini il coraggio di mettere il veto sulla proroga di queste inutili sanzioni? C’è un tessuto produttivo che attende e merita una risposta. Se poi nel frattempo, riusciamo a chiedere spiegazioni al governo ucraino su queste inaccettabili black list sarebbe una cosa utile non solo a tutela dei nostri concittadini, ma anche della nostra dignità come Paese sovrano.

*Mario Presutti, collaboratore Charta minuta

Negri: l’Italia ha perso ogni peso politico internazionale

Raggiungiamo telefonicamente Alberto Negri senior advisor sul Medio Oriente e Nord Africa dell’ISPI per capire come l’Italia abbia reagito nei confronti del vertice di Abu Dhabi tra al-Sarraj e Haftar.

 

L’attivismo della Francia rischia di isolare l’Italia. È di pochi giorni infatti l’annuncio dell’ONU sull’accordo tra al-Sarraj e Haftar sulle elezioni. Lei crede siamo arrivati davvero alla svolta in Libia?

Credo che dobbiamo partire da una considerazione: all’attivismo della Fracia corrisponde quasi sempre una passività dell’Italia basti vedere che nelle settimana precedenti quando il generale Haftar ha preso il controllo dei pozzi dell’ENI nel Sud della Libia, nessuno qui ha fatto neanche una dichiarazione come se fosse un non evento. Chiaramente la passività italiana conduce a delle svolte. L’Incontro di Abu Dhabi che c’è stato tra al-Sarraj e Haftar è il primo e probabilmente ci sarà un altro incontro a Parigi.  In questo incontro negli Emirati, non sono state indicate le date dell’elezioni e questo significa che forse Haftar ha ancora spazi di manovra per guadagnare ulteriore terreno. Bisogna però capire anche quali sono i progetti di Haftar e della Francia. Se il loro progetto è arrivare a un compresso con Serraj questo è possibile. Ma probabilmente non è tanto semplice con le altre fazioni di Tripoli. Non è detto che i francesi in qualche modo vogliano arrivare ad un accordo con Sarraj che escluda le altre fazioni per poi avere campo libero di dare il via libero ad una vera e propria azione militare anche nei confronti della capitale libica.

 

L’Italia e il suo rapporto, a volte privilegiato, con le tribù libiche è sempre stato considerato un nostro vantaggio in questo Paese. Lei pensa che il nostro governo abbia giocato bene le sue carte ?

Da quando è scoppiata la questione libica nel 2011, sento in Italia sempre lo stesso ritornello: siamo il paese più informato sulla Libia. Strano però che quando fu deciso il bombardamento della Libia nel 2011 nessuno ci abbia fatto neppure una telefonata. Talaltro fu presa una decisione fatale perché dopo i bombardamenti franco-inglesi e statunitensi non  ci siamo limitati in qualche modo a contenere i danni ma ci siamo addirittura accodati ai bombardamenti della NATO. Quindi dire che abbiamo dei rapporti privilegiati oggi, sembra anche un po’ paradossale, quasi ironico. Noi eravamo il Paese che aveva il miglior rapporto con Libia. Eravamo il suo principale partner commerciale. Avevamo l’interfaccia con Gheddafi. Ma allo stato attuale dire che abbiamo un rapporto privilegiato con Libia mi sembra abbastanza limitante, forse anche ottimistico. A Tripoli non va dimenticato che non ci siamo solo noi come potenza straniera, e ciascuna di esse fa il suo gioco come ad esempio la Turchia. Senza considerare che l’ascesa del Generale Haftar ci ha in un certo senso, confinati con un governo tripolino che pur essendo riconosciuto dalla comunità internazionale in realtà nelle mani di Saraj è una sorta di ectoplasma.

Dalla nostra ex-Colonia oltre ad arrivare buona parte del nostro fabbisogno energetico, arrivano anche numerosi clandestini. Lei pensa che con le annunciate elezioni la situazione umanitaria possa migliorare?

Diciamoci la verità. Sulle elezioni non c’è ancora nessun accordo sulla data e non sappiamo neanche il modo con cui saranno svolte. Ho l’idea che questa sia una dichiarazione più politica che non effettiva. In realtà il flusso dei migranti si è fermato con la misura della chiusura dei porti. Che ha in qualche modo contribuito a rallentare il fenomeno. Un provvedimento che naturalmente è stato giudicato dalle parti politiche in maniera molto diversa a volte opposta. Forse non è una soluzione perché noi siamo come Italia a capo di quella famosa Operazione “Sophia” che prevede tra l’altro perfino incursioni a terra sulla costa libica per contrastare il traffico dei migranti. Ne ha vista qualcuna lei? Io non ne ho mai vista nessuna! Come sempre quindi, noi usiamo un atteggiamento difensivo, calcolatorio del problema dei migranti ma non attacchiamo l’origine del problema. Questo infatti, non è un problema soltanto italiano ma di tutta l’Europa. Inoltre ritengo che sia inaccettabile avere dei campi profughi in Libia che sono dei veri e propri lager. Questo è un problema che si riproporrà periodicamente per noi e per tutta la comunità internazionale. Anche perché è bene ricordarlo a otto anni dalla caduta di Gheddafi, la Libia non ha ancora riconosciuto la convenzione di Ginevra sui rifugiati. Questo significa che chiunque entra in territorio libico, anche se ha diritto alla protezione umanitaria, è automaticamente considerato un clandestino. Quindi l’Italia e tutta la Comunità Internazionale dovrebbero premere perché la Libia aderisca a questa Convenzione Internazionale.

 

Quali spazi di manovra oggi per il nostro Governo per garantire nono solo la sicurezza energetica ma sopratutto la sicurezza nazionale che è a rischio visto il caos libico?

I nostri governi, non soltanto questo, hanno fatto quello che potevano fare sul fronte dei migranti cercando di tamponare l’effetto di una delle più devastanti ondate migratorie che si siano mai viste nel Mediterraneo dal dopoguerra in poi. Da questo punto di vista i governi italiani stanno lavorando e hanno lavorato. Ma il problema è un altro: L’Italia ha perso ogni peso politico internazionale. Quindi non è più in grado di indirizzare, in qualche modo, quello che accade oggi in Libia. La cosa è stata evidente anche dopo il vertice EU-Lega Araba di Sharm el-Sheikh, Praticamente il generale al-Sīsī (presidente dell’Egitto) è stato investito del ruolo di custode del Sud del Mediterraneo. Con il quale però il nostro Paese è in rotta di collisione per il caso Regeni. Ma anche sulla Libia essendo al-Sīsī, sostenitore di Haftar ed interessato ad avere un’influenza molto estesa in Cirenaica. Quindi noi non affrontiamo solo la Francia nel rebus libico. Oltretutto non affrontiamo quello che è il problema fondamentale. In Libia non c’è solo il problema delle risorse energetiche, il problema è la questione politica. Infatti l’avanzata di Haftar sostenuta dal fronte Russia-Francia-Egitto significa che si punta a quei “fratelli mussulmani” e a quei gruppi islamisti che sono molto attivi in Tripolitania e nella stessa capitale. Perché questi sono risultati perdenti dalle “Primavere Arabe”. Quindi un vasto fronte internazionale vuole eliminarli definitivamente dall’area. Questo è il problema politico. In Libia non c’è soltanto un problema di migranti, di petrolio ma c’è anche questo problema prettamente politico che l’Italia evita di affrontare ed esaminare.

 

L’Italia decidendo di non affrontare i nodi politici all’origine della questione libica rischia nuovamente di ritrovarsi al seguito di accordi fatti da altre potenze. Ricordiamo che la Fondazione Farefuturo ha organizzato un meeting giorno 5 marzo prossimo, di approfondimento dal tema “Francia VS Italia: addio Libia?”. Sarà certamente un’occasione importante per approfondire questi temi complessi ma che riguardano la nostra sicurezza nazionale.

*Intervista con Alberto Negri senior advisor Ispi, di Mario Presutti, collaboratore Charta minuta

 

 

Mercuri: in pericolo gli interessi italiani in Libia

In vista del meeting del 5 marzo prossimo organizzato dalla Fondazione Farefuturo in collaborazione con il settore esteri di Fratelli d’Italia dal titolo “ Italia vs Francia: addio Libia?” abbiamo raggiunto la dottoressa Michela Mercuri esperta di Libia e Medio Oriente, per fare una panoramica della situazione attuale.

 

E’ notizia di questi giorni che Il presidente di Tripoli e l’uomo forte della Cirenaica si sono incontrati ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti sotto l’egida ONU per sottoscrivere un accordo per porre fine ad un periodo di transizione e indire nuove elezioni. Il Vicepresidente del Copisar, il senatore Adolfo Urso, ha parlato “di una grave sconfitta per le ambizioni del governo Conte”. Lei da esperta dell’area crede che questo accordo possa realmente pregiudicare i nostri interessi in Libia?

L’incontro è stato “sponsorizzato” da due dei principali alleati di Khalifa Haftar: Francia ed Emirati Arabi. Parigi, supportando l’avanzata del generale, sta cercando di realizzare le sue ambizioni egemoniche nel Paese. Abu Dhabi, principale finanziatore di Haftar, lo appoggia sia per controbilanciare il peso del Qatar, che sostiene la fratellanza musulmana di Tripoli, sia per assurgere al ruolo di attore regionale dominante. Da questo punto di vista l’incontro tra Serraj e Haftar non cambia gli equilibri interni che si sono delineati negli ultimi giorni, con il generale sempre più influente e oramai padrone di quasi tutto il Paese. Non è dunque questo accordo a pregiudicare il nostro ruolo in Libia, quanto piuttosto gli eventi che lo hanno preceduto e che non siamo stati in grado di limitare, gettando al vento il lavoro svolto durante la conferenza di Palermo. Detta in altri termini: in poco più di tre mesi abbiamo perso Serraj, il nostro alleato sul terreno che non controlla le numerose fazioni che stanno mettendo a ferro e fuoco la capitale, abbiamo perso influenza anche con alcuni attori locali, con cui Haftar sembra aver raggiunto accordi e abbiamo regalato alla Francia la primacy sul dossier Libia. Al momento, dunque, al di là di questo (ipotetico) accordo che cambia la forma ma non la sostanza della situazione interna, credo che gli interessi italiani nel Paese siano in serio pericolo.

 

Abbiamo già assistito ad annunci su possibili elezioni. L’anno scorso al summit di Parigi del 29 maggio il presidente Emmanuel Macron riuscì a strappare una data ai recalcitranti Fayez Sarraj e Khalifa Haftar: elezioni nazionali entro il 10 dicembre 2018. Come tutti sappiamo queste elezioni non ci furono e l’Italia fu in grado di indire un altro summit, questa volta a Palermo il 12 e 13 novembre 2018, dal quale sembrò uscire una reale road map. Sul campo però Haftar ha continuato la sua “concquista”. A questo punto questo accordo le sembra credibile? O è in realtà una semplice formula “tappabuchi” utilizzata dalla diplomazia? 

Partiamo da un presupposto: le elezioni politiche in un contesto frammentato e instabile come quello libico non possono essere considerate la soluzione per il consolidamento di un qualche status quo. Sarebbe necessario invertire la prospettiva: non elezioni per stabilizzare la Libia, ma tentare di stabilizzare la Libia prima di indire elezioni. Per questo il “Piano Marshall” proposto – o quasi imposto- da Macron, che prevedeva elezioni nel dicembre del 2018, era a dir poco discutibile, come sottolineato sia da Ghassan Salamè sia dall’allora ambasciatore italiano in Libia Giuseppe Perrone. La road map di Palermo, molto più realisticamente, prevedeva un processo di pacificazione e un percorso istituzionale propedeutico alla tornata elettorale, ma anche in quel caso senza alcun documento e senza date certe. Durante il vertice di Abu Dhabi si è parlato, di nuovo, di un’intesa per indire le elezioni. E’evidente che Haftar e i suoi alleati in questo momento abbiano tutto l’interesse a spingere per delle elezioni che probabilmente saranno loro favorevoli in termini di risultati. Nonostante ciò, però, anche questa volta c’è solo una dichiarazione estremamente generica, manca una data e una “pianificazione istituzionale”. Propenderei, dunque, per la solita “formula tappabuchi” o, se vogliamo, “un contentino”. Qualunque sia il valore delle dichiarazioni emerse ad Abu Dhabi, ribadisco, però, che senza una preliminare stabilizzazione del quadro interno le elezioni saranno solo il preludio per nuovi scontri.

 

Il Presidente Conte assicura  che “Parigi è informata. I nostri due Paesi hanno continuato a lavorare a tutti i livelli sul dossier libico, dall’intelligence in poi, non c’è divergenza sulla necessità di pervenire quanto prima alla stabilizzazione della Libia”. Al momento con Parigi c’è convergenza di obiettivi e un aggiornamento costante”. In realtà molti osservatori giudicano la scelta del luogo e la tempistica come un “strappo” organizzato da Macron per sottrarci l’influenza nella nostra ex-Colonia. Lei crede che il nostro governo possa contare su una reale collaborazione dell’Eliseo per stabilizzare il Paese?

Il Premier Conte si è trovato nella scomoda posizione di fare buon viso a cattivo gioco, ma credo sia consapevole della nostra posizione di inferiorità e soprattutto che non è possibile collaborare con Parigi, se non stando alle sue regole e dunque in una posizione di “gregari”. Basta guardare ai fatti. Quasi in concomitanza con l’offensiva dell’esercito di Haftar i Mirage dell’aviazione francese hanno colpito incessantemente l’area fra la Libia e il Ciad per sostenere militarmente il generale nella sua avanzata per il controllo del Paese. L’8 novembre Macron ha invitato a Parigi importanti esponenti di spicco di Misurata, la città Stato che oramai è una sorta di terzo potere in Libia, mentre pochi giorni fa alcuni funzionari dei servizi segreti della Dgse avrebbero effettuato una missione a Tripoli per dialogare con Serraj. È evidente che Parigi sta portando avanti una sua strategia per assurgere al ruolo “di stabilizzatore del Paese” senza alcun coordinamento con l’Italia ma soprattutto con la comunità internazionale. In questo contesto, l’incontro di Abu Dhabi è solo l’ennesimo atto della partita dell’Eliseo contro l’Italia. Non vedo, dunque, margini di collaborazione, per lo meno al momento.

 

Anche la Federazione Russa, sembra essere molto attiva a sostegno di Haftar e alcuni osservatori sono preoccupati di questo attivismo. Lei pensa sia possibile un accordo che, sulla base della collaborazione di ENI e Rosneft, possa tutelare i nostri interessi e stabilizzare il Paese o vede in questo un ulteriore pericolo per l’Italia?

Se è vero che la Russia è un altro noto sponsor di Haftar vi sono, però, alcuni elementi che potrebbero farci propendere per una visione più “ottimistica” e che sono in parte legati alle questioni energetiche. Solo per fare alcuni esempi, nel dicembre del 2016 Eni ha concordato il passaggio a Rosneft di una quota del 30% della concessione di Shorouk, nell’offshore dell’Egitto, nella quale si trova il giacimento di Zohr.. Il fondo sovrano qatariota Qatar Investment Authority (Qia) ha acquisito, poco più di un mese dopo, il 19,5% del capitale di Rosneft grazie al sostegno economico di Intesa san Paolo. Esistono legami importanti tra i due “colossi energetici” che potrebbero fungere da base per una maggiore convergenza anche sulla questione libica. Ci sono però altri aspetti che ritengo degni di nota. Mosca sembra voler assurgere al ruolo di attore indispensabile per tentare di dipanare la complessa questione libica, agganciando anche il governo di Tripoli. Il Cremlino ha tutto da guadagnare, in termini di immagine, patrocinando un ravvicinamento tra Tripoli e Haftar, per ristabilizzare un’area che l’occidente ha gettato nel caos intervenendo militarmente nel 2011. Anche per questo Putin si è mostrato molto collaborativo con l’Italia durante il vertice di Palermo inviando il primo ministro Medvedev ma, cosa più importante, “intercedendo” nei confronti di Haftar per perorare la causa del summit e favorire la sua partecipazione. Ci sono poi le questioni economiche. Il primo ottobre scorso, il ministro dell’economia del governo di unità nazionale ha comunicato che Tripoli acquisterà 1 milione di tonnellate di grano dalla Russia per un totale di 700 milioni di dollari. Sul tavolo ci sono, poi, importanti progetti di cooperazione nel settore delle costruzioni ferroviarie e altri affari miliardari.  La Russia, dunque, ha molti interessi da sviluppare nell’Ovest. L’Italia potrebbe creare un asse con Putin sfruttando i suoi contatti sul terreno, specie a Tripoli, dove abbiamo da poco riaperto la nostra ambasciata, facendo perno anche sugli importanti rapporti con gli attori locali maturati dall’Eni nel corso degli anni. Mosca resta un attore su cui puntare.

Sembra quindi, che al governo italiano manchi una realpolitk sul caso Libia e che i francesi ne stiano approffittando per portare avanti sul campo la loro strategia iniziata nel 2011.

*Intervista con Michela Mercuri, opinionista sulla politica di Mediterraneo e Medio Oriente di Mario Presutti, collaboratore Charta minuta

Francia vs Italia: addio Libia?

La Conferenza di Palermo sulla Libia è stata celebrata dal Premier Conte come un grande successo italiano per la stabilizzazione della nostra ex Colonia. Ma è davvero cosi? Dalle ultime notizie si potrebbe dire che la Total avanza mentre l’Italia guarda!

In Libia non è solo in gioco il prestigio internazionale dell’Italia e la tutela degli interessi delle tante società che operano nel territorio libico ma è in gioco la nostra sicurezza nazionale. Lo scontro tra due governi rivali: uno guidato dall’uomo forte della Cirenaica Haftar, sostenuto dalla Francia nonché dalla Russia e dagli Emirati Arabi, l’altro il cosiddetto Governo di Accordo Nazionale, sostenuto dall’ONU e dal governo Italiano, presieduto da Fayez al-Sarraj ha trasformato questa area in un centro di anarchia in prossimità delle coste italiane. Tale situazione dovrebbe suggerire al nostro governo di considerare ogni opzione sul campo.

Ma facciamo un passo indietro. Anzi due. La Libia come entità statuale è una creazione recente essendo sorta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il Paese sotto la guida del re Idris I al Senussi prese le sembianze di una monarchia costituzionale a “ispirazione federale”, confermando il ruolo delle tribù quali autorità politiche a livello locale. Ma a causa della neutralità assunta dal monarca nel 1967 durante la Guerra dei sei giorni, alla fine si giunse  ad un colpo di Stato militare guidato da Gheddafi, che portò alla proclamazione della Repubblica. A sostegno del nuovo regime intervenne Gamal Nasser e il suo Egitto che mandò i sui funzionari a partecipare attivamente alla riorganizzazione dello stato libico. Ne uscì un’organizzazione fortemente centralizzata, ideologizzata  con l’obbiettivo di rivoluzionare la struttura tribale del potere nel Paese. A tale scelta interna corrispose sul piano internazionale la ricollocazione della Libia sul fronte del panarabismo, che mise fine alla politica filo-occidentale della fase monarchica.

Per consolidare la legittimità del suo potere, Gheddafi rinfocolò l’ostilità anti-italiana, essendo questo un tema di riscossa molto gradito a tutti i gruppi tribali del Paese. A questo seguì un caso unico nei rapporti di un Stato europeo e una sua ex colonia: l’istituzione della “giornata della vendetta”, che sanciva la commemorazione annuale dell’espulsione degli italiani, e la rivendicazione di un nuovo risarcimento per i danni arrecati alla Libia a partire dal 1911. Tra sfide plateali e trattative sottobanco con Roma il Colonnello continuò a consolidare il suo potere interno  e sebbene teorizzò lo smantellamento della società libica tradizionale fu molto attento nel compensare il primato delle tribù della Tripolitania nelle posizioni di governo e negli apparati amministrativi redistribuendo anche una discreta ricchezza con i sussidi statali che elargiva su tutto il territorio. Dopo la fase calda del 1969-1970, fecero seguito le intese stipulate dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti nel 1972, che garantirono il ritorno di alcune società italiane in territorio libico. La funzione “stabilizzante” della Libia di Gheddafi non fu mai rinnegata dal governo italiano neanche durante la crisi diplomatico-militare del 1986. Dopo questo evento, la Libia rimase sostanzialmente isolata e trovò nell’Italia il suo unico interlocutore occidentale. Il primo tentativo volto a chiudere definitivamente il contenzioso ereditato dall’epoca coloniale fu avanzato dal primo governo di Romano Prodi nel 1998 anche se non fu mai ratificata dal parlamento perché non prevedeva alcun cenno ai beni confiscati agli italiani nel 1970. Come si può notare un elemento di continuità della nostra politica estera è sempre stata avere una “relazione privilegiata” con la nostra ex colonia. Nel 2003 con l’incontro del presidente Silvio Berlusconi ci fu la svolta nelle relazioni tra Libia e Italia. Accordi poi confermati dal secondo governo Prodi e ribaditi anche in un incontro del novembre 2007 tra il ministro degli Affari esteri Massimo D’Alema, il suo omologo Abdelrahm Shalgam e il rais.  All’intensificarsi delle relazioni politiche seguirono anche l’intensificarsi dei rapporti commerciali ponendo l’italiana ENI in una posizione di forza difficilmente attaccabile nel settore del gas libico.

Nel 2011, poi, abbiamo assistito inermi alle cosiddette “Primavere Araba” che di primavera alla fine non ebbero quasi niente. Quella libica in particolare si caratterizzò subito con connotati distinti. Infatti i clan opposti ai Gheddafi sostenuti dalla Francia in particolar modo ma anche da UK, Turchia, Qatar, Emirati Arabi e  alla fine anche dalla Clinton cavalcarono l’effetto snowballing delle proteste indotte e si riunirono in un Consiglio Nazionale di Transizione. Gheddafi alla fine fu ucciso il 20 ottobre catturato solo grazie ai bombardamenti francesi. La Francia infatti, si appellò al “principio di ingerenza umanitaria” formulato nel 1999 per la missione in Kosovo, per bombardare il Paese. Inoltre gli Stati Uniti con la presidenza Obama spostarono l’attenzione dal Medio-Oriente al quadrante Asia-Pacifico con il “pivot to Asia” e lasciarono di fatto campo libero ai loro alleati nelle zone non considerate più strategiche. L’Italia nel periodo compreso tra febbraio e l’aprile 2011 ebbe un atteggiamento orientato alla prudenza. Questo tentennamento italiano si confrontò e scontrò con l’atteggiamento spregiudicato della Francia e dell’UK  che portò alla fine una guerra civile a 300Km da Lampedusa. L’ONU varò a quel punto la missione “Usmil” nata con l’obbiettivo di stabilizzare il paese e traghettarlo verso un rilancio economico. Nel frattempo il nuovo inquilino della Casa Bianca, Trump, non offrì alcuno appoggio concreto, se non di facciata, al presidente al-Sarraj che di fatto ha avuto difficoltà persino a controllare la capitale Tripoli. La posizione del governo italiano è quella di continuare a sostenere il Governo di Accordo Nazionale presieduto da al-Serraj così come confermato dal Premier Conte in questi giorni, a Sharm el-Sheik a margine del primo summit UE-Lega Araba. Sul campo però, la situazione ci sta sfuggendo di mano.

E’ notizia del 12 febbraio che l’Esercito Nazionale Libico di cui Haftar è comandante, ha annunciato di aver preso il controllo del più importante giacimento petrolifero libico. Dopo aver occupato Sheba, e il campo petrolifero di Sharara, ha occupato anche l’area gestita da ENI “El Feel” senza bisogno di combattere. Haftar sostenuto dalla Russia e dalla Francia sta cercando con il suo esercito di riportare l’ordine nella regione ed ergersi a unificatore della Nuova Libia in vista delle prossime elezioni. Il  momento è molto delicato perché per la prima volta sembra esserci una road map molto concreta: Conferenza Nazionale, referendum e emendamenti costituzionali e infine elezioni. Tutto questo entro l’anno. Le mosse del Generale Haftar rischiano di bloccare tutto questo processo e  rischiano anche di estromettere l’ENI  a favore della francese TOTAL.  Il governo italiano quindi, sembra essere preso in contropiede dalle mosse dell’uomo forte della Cirenaica anche se il nuovo ambasciatore, Giuseppe Buccino, si è messo subito al lavoro incontrando nei giorni precedenti l’inviato dell’ONU, Salamé, e il generale Haftar per colloqui sugli sviluppi della situazione nella regione meridionale del Fezzen. Il problema però è che il Governo di Accordo Nazionale è privo di un reale e incisivo supporto da parte del governo italiano e quindi Haftar continua l’avanzata senza una adeguata resistenza. Si può dire quindi che gli obbiettivi strategici della Francia, che come abbiamo visto nel 2011 iniziò a sottrarre all’Italia l’influenza sulla Libia, sembrano andare avanti senza nessun ostacolo concreto.  Sarebbe opportuno a questo punto che il governo italiano agisca  immediatamente prima che Haftar sfrutti l’imminente Conferenza Nazionale della Libia per mettere la comunità internazionale di fronte al fatto compiuto. E’ necessario quindi, rendersi conto che l’Italia ha bisogno di garantirsi gli approvvigionamenti energetici (prendiamo dalla Libia 1/5 del fabbisogno petrolifero e 1/3 di quello di gas), ed è necessario mantenere la Libia unita evitando una “balcanizzazione”. L’Italia si trova ad un bivio: o concede un reale supporto, anche strategico/militare,  ad al-Serraj e alle locali tribù Tebu (che sono in ottimi rapporti con l’Italia e sono le uniche che si sono realmente opposte ad Haftar) oppure sarà il caso di cambiare strategia.

Per fare questo il nostro Paese deve necessariamente dialogare con gli attori internazionali che sostengono Haftar e dunque principalmente con la Francia e la Russia. Se con Macròn è attualmente molto complesso immaginare un dialogo non solo per l’atteggiamento che l’Eliseo ha avuto nei nostri confronti fin dal 2011 ma anche visto gli ultimi scontri diplomatici a causa del caso “sui gilet gialli”. Con Putin invece,  potrebbero esserci maggiori possibilità di collaborazione. Le preoccupazioni di una parte degli osservatori, che vedono il coinvolgimento di Putin paragonabile a quello in Siria e del tutto pretestuoso perché Mosca in questo caso, da grande esclusa del dopo Gheddafi, intende solo far valere i propri interessi nell’ambito di una mediazione piuttosto che nel proseguimento di una escalation militare. Si potrebbero sfruttare i buoni e consolidati rapporti con la Russia in funzione anti francese per cercare un obbiettivo comune strategico sulla Libia, e riportare Haftar a più miti consigli. Altro elemento importante è l’alleanza tra i due giganti degli idrocarburi, ENI e Rosneft, che potrebbe esserci molto utile. Per anni ENI con il suo cane a sei zampe, è stata una sorta di monopolista dell’estrazione libica e la Russia avrebbe tutto l’interesse a non andare contro un partner fondamentale per il gas nel Mediterraneo, visto anche l’intreccio egiziano.

Alla luce di questo l’Italia potrebbe sfruttare il suo capitale di fiducia con alcuni attori tripolini  per mediare un accordo intra-libico con Mosca.  In questo modo si potrebbe spingere, grazie all’asse con Putin, la comunità internazionale a stabilizzare il Paese, cosa per noi strategica non solo a tutela dei nostri interessi economici ma anche per impedire un asse fra Mosca e Parigi che per noi sarebbe un colpo durissimo.

Almeno ché l’Italia non intenda inviare soldati a sostegno di al-Saraj è indispensabile trovare subito un accordo diplomatico con la Russia. Se il governo invece continuerà a lusingarsi delle vuote parole di Trump sulla Libia e a non capire il neo-isolazionismo statunitense, allora possiamo dire addio al gas e al petrolio libico e aspettarci con l’arrivo dell’estate nuove ondate migratorie dalla Libia. Infatti sullo sfondo di questo rebus di interessi geopolitici resta la questione migratoria per noi cruciale, sia in termini di ordine pubblico che in termini umanitari, e sulla quale dobbiamo agire con prospettiva e coraggio.

In conclusione, non possiamo sottrarci alle responsabilità che derivano dalla Libia né tanto meno ignorare che in quel Paese c’è in ballo una questione di sicurezza nazionale quindi tutte le opzioni dovrebbero essere prese in considerazione. Il rischio altrimenti, è subire come nel 2011, scelte di altri paesi che evidentemente sono a noi ostili. Ogni riferimento alla Francia è puramente voluto.

*Mario Presutti, collaboratore Charta minuta

 

Fitto: la destra in Europa nel gruppo decisivo

“Il Gruppo dei Conservatori Riformisti sarà decisivo per qualsiasi alleanza futura nel Parlamento     Europeo”: è quanto ci dice subito l’On. Raffaele Fitto  che abbiamo incontrato nella hall di un albergo romano appena rientrato dai sui numerosi impegni per l’Italia in vista delle prossime elezioni europee, per parlare della nuova sfida che Fratelli d’Italia lancia nell’area del centro-destra italiano per un nuovo soggetto politico conservatore e sovranista.

On. Fitto a Foggia insieme con FDI avete dato vita a un patto sancito dallo slogan “Insieme per Cambiare l’Europa”. E’  un semplice patto elettorale o un progetto politico molto ambizioso per la destra italiana? Ci può spiegare il senso politico vero e gli obbiettivi di questo patto federativo?

Se avessimo fatto un semplice patto elettorale avremmo fatto una cosa sbagliata e giustamente le critiche avrebbero un senso invece Giorgia Meloni a settembre a lanciato, nella tradizionale festa di Atreju, un messaggio per dare vita a un nuovo soggetto politico e in questo contesto noi siamo stati i primi ad accoglierlo perché siamo convinti che bisogna cambiare completamente marcia a questo centro-destra per avere un nuovo centro-destra che non guardi al passato ma che invece guardi al futuro. Tutto questo è reso credibile anche dai passaggi internazionali che ci sono stati in questi mesi. Giorgia Meloni subito dopo, a Bruxelles, ha aderito al gruppo dei Conservatori Riformisti che è la terza grande famiglia politica europea e questo a mio avviso è stato un passaggio molto importante. Inoltre, proprio oggi (21.02 per chi ci legge) ci sarà a Roma il Consiglio del Partito dei Conservatori Riformisti che approverà l’ingresso di Fratelli d’Italia nel partito, proprio come conseguenza dell’adesione al gruppo del parlamento europeo. A seguire daremo una pubblica manifestazione con i vertici del partito di cui sono il vice-presidente. Il fatto che domani il Consiglio del partito con trenta delegazioni di 30 diversi paesi sia a Roma per accogliere Giorgia Meloni all’interno della grande famiglia dei conservatori penso che sia un segnale chiaro che dia anche l’idea di quanto sia credibile e di prospettiva il ragionamento che noi stiamo mettendo in piedi per dare vita ad un soggetto conservatore e sovranista che sia nelle condizioni di avere più forza e credibilità in Europa difendendo le ragioni del nostro paese. Aggiungo solo che il gruppo dei Conservatori sarà inevitabilmente decisivo per qualsiasi alleanza futura nel parlamento europeo. Quindi essere parte di questa famiglia europea significa per noi essere in grado di incidere in modo ancora più forte a  tutela delle posizioni del nostro paese.

Quindi i rapporti di contatto con il gruppo Visegrád su cui FDI ha fatto un buon lavoro, potrebbe prospettare anche una sorta di “internazionale sovranista” secondo lei?

Nel gruppo di Visegrád chiaramente ci sono partiti che hanno posizioni politiche simili ma che sono collocati in gruppi europei diversi. Caso più emblematico è Orban che è collocato nel partito Popolare Europeo. Detto questo Fratelli d’Italia con questo nuovo progetto entra in una dimensione che oggi è più che consolidata a livello europeo e che quindi può rafforzare queste posizioni dialogando con questi partiti e provando a costruire, dopo il 26 maggio, un’alleanza che auspicabilmente veda il Partito Popolare abbandonare questa attuale maggioranza esistente in Europa aprendosi ad un rapporto con le altre realtà a partire da noi Conservatori e anche con gli altri gruppi che dovessero costituirsi alle nostra destra.

La prossima campagna elettorale europea probabilmente per la prima volta dopo nove tornate elettorale pone questioni realmente di politica europea e le prime dispute sembrano essere tra due modelli rappresentati da Salvini da un lato e da Macròn da un altro. Quale ruolo quindi per i Conservatori Riformisti nella prossima competizione elettorale? E quali i temi chiave della tornata elettorale europea?

Io capisco che c’è una semplificazione giornalistica nel dare l’idea che c’è da una parte Salvini e dall’altra Macròn ma non è così. Penso invece che da un lato sicuramente ci saremo noi con un ruolo certo perché il gruppo dei Conservatori è innanzitutto il terzo gruppo al parlamento europeo, è presente in diciotto paesi diversi, ha un partito che è presente in trenta paesi, ha una sua credibilità, ha un programma serio e credibile e credo su queste basi solide ci sia una buona  prospettiva di crescita. Poi per carità verificheremo il consenso che non mancherà per Salvini e ci si confronterà su questo. Se però guardiamo anche il giusto “movimentismo” di Salvini per trovare una collocazione europea, questo ci dà l’idea di quanto sia rilevante questo aspetto e noi oggi non dobbiamo girare per l’Europa per trovare una collocazione. Noi oggi abbiamo una collocazione netta e questo dà molta forza al nostro progetto politico.

La Lega di Salvini sembra essere un perno fondamentale della prossima Europa che uscirà fuori da queste elezioni. Ma resta il nodo di questa anomalia che di fatto pone la Lega al governo con chi corteggia, salvo poi smentire, chi invoca colpi di stato come il caso dei gilet gialli. Inoltre, in molte regioni il Centro-Destra rappresenta una formula vincente confermata anche in Abruzzo e i sondaggi ci indicano che anche in futuro questa coalizione è destinata a vincere. Alla luce di questo Lei che idea si è fatto di questa anomalia? E cosa pensa rispetto alla possibilità da parte della Lega di fa cadere il governo dopo le europee?

La Lega farà le sue valutazioni e noi non staremo ad aspettare cosa faccia rispetto al governo. Il dato è semplice: la politica estera di questo paese è semplicemente imbarazzante. Non mi vengono altri termini. A partire dalla posizione sul Venezuela, al rapporto dei cinque stella con i gilet gialli e potrei continuare. Quindi questo è sicuramente un tema imbarazzante.Ritornando poi alla Lega, oggi si trova in una posizione che non penso possa reggere molto. Ha dato vita ad un governo, ha una sua crescita oggettiva impugnando la bandiera dei temi identitari, dall’immigrazione alla sicurezza, temi sui quali anche noi ci riconosciamo e su questo ha lucrato molto consenso. Dall’altra parte, però, adesso rischia di iniziare a condividere con l’alleato di governo i temi di carattere economico come ad esempio la sciagurata idea del reddito di cittadinanza, le previsioni non di mancata crescita ma di decrescita che il nostro paese avrà nei prossimi mesi, le politiche economiche per gli investimenti. Penso alla vicenda TAV che le racchiude in un modo abbastanza clamoroso. Tutte questo insieme di cose ed altre ancora, danno l’idea chiara di quanto siano totalmente sbagliate e distanti dal programma del centro-destra le politiche economiche che questo governo porta avanti. Credo che l’elettorato della Lega nel Nord del paese in particolare, comincia ad essere in movimento e comincia anche a manifestare un dissenso netto rispetto a queste scelte. Dal canto nostro osserviamo ma andiamo avanti perché dobbiamo dare vita ad una nuova formazione politica che sia nelle condizioni di poter essere il perno della ricostruzione del centro-destra e poter andare ad elezioni su un programma chiaro, coerente, convinto e non certamente con un “pastrocchio” che sui temi economici rischia di far andare a sbattere il nostro paese nei prossimi mesi.

La sfida elettorale al cosiddetto “contratto di governo” sembra lanciata!

 

Intervista di Mario Presutti con Raffaele Fitto, vicepresidente del gruppo Conservatori e riformisti