Marco Marconi

Mazza: così si scrive il futuro

“Soltanto se la politica saprà individuare e vivere principii e valori di riferimento, ispirando a questi programmi e progetti, un’affermazione elettorale non sarà un successo precario, ma la prima pagina di un domani impegnativo e avvincente”. Pensa alla politica ad ogni latitudine Mauro Mazza, ma soprattutto alla destra, quando dice: “Se ci sarà un’altra occasione, e tutto lascia immaginare che sia così nel prossimo futuro, si dovrà fare tesoro degli errori del recente passato. Chi è maggioranza elettorale ha il dovere di agire nel profondo, di segnare il tempo della propria responsabilità, di far discendere le scelte dalla cultura che dà fondamento all’azione politica”.

Nel suo recente saggio “In Coscienza” (Pagine editore, 2019, pagg. 212, € 18,00) l’analisi dello studioso si sovrappone all’esperienza del giornalista. E delle sue riflessioni abbiamo parlato con Mauro Mazza, già direttore Rai e autore di una decina libri, tra saggi e romanzi.

 

Al centro della sua riflessione, in questo libro, figura una politica oggi in evidente affanno, incapace di coinvolgere le nuove generazioni nell’impegno e nell’azione. Da dove nasce questa crisi?

Mi sono convinto che la crisi della politica sia cominciata quando si sono affievoliti, fino a scomparire, i riferimenti culturali, i valori e i principii, l’ambizione di cambiare il corso delle cose. Quel bagaglio dava ai partiti il senso di un essere comunità. Per le generazioni del dopoguerra la politica era attrattiva, chiamava all’impegno, alla militanza. Riusciva a calamitare la “meglio gioventù”. Oggi non è più così. I giovani migliori sono indifferenti alla politica, con poche eccezioni. Preferiscono altre forme di partecipazione. Direi che, con il venir meno delle ideologie, non si è saputo né voluto riempire quel vuoto. Ci si è accontentati di conquistare un consenso precario e volatile con forze politiche destinate a breve vita, talvolta a travolgenti successi e a rovinose, rapidissime cadute.

 

– Pensiero gender, superstizione, tecnocrazia, predominio dell’economia e della finanza sulla politica. Le gerarchie morali della tradizione – scrive nel suo libro – appaiono sovvertite. Cosa stiamo perdendo in questo processo? E cosa servirebbe per correggere la rotta?

Oggi la politica è soggetta all’economia e questa alla grande finanza. Per secoli non è stato così. La superiorità della morale della politica, l’interesse di una parte, era accettata dall’economia, la cui morale era l’utile. Sopra tutto era però la morale religiosa, il bene comune, la consapevolezza di cosa fossero il bene e il male, il vero e il falso. Come si può correggere la rotta? Forse individuando temi che uniscano, impegni comuni, battaglie condivise. Sarebbe un segno molto importante se, ad esempio, le culture più attente e sensibili – cattoliche o laiche, cristiane o realmente “illuminate” – si unissero nella condanna dell’aberrante pratica dell’utero in affitto: una forma disumana di schiavitù, un’offesa della dignità della vita umana, un sopruso nei confronti di donne deboli, povere, disperate. Sarebbe una buona battaglia, da condurre nel Palazzo di Vetro, a Strasburgo, nei parlamenti nazionali.

 

Nel libro molte pagine sono dense di ricordi della politica italiana nella Prima Repubblica. Con particolare attenzione al percorso della Destra, dal “ghetto” al governo. Cosa ci può essere dietro l’angolo per questo versante della politica?

La Destra italiana ha avuto diverse espressioni. In un certo senso, la storia della Democrazia cristiana è stata anche quella di un partito che convogliava un consenso certamente moderato, di destra, per seguire quasi sempre politiche di apertura a sinistra. Poi è venuto Berlusconi, che segnato un’epoca. Ha portato Il MsI-An al governo, ha impedito che sulle macerie del vecchio sistema prevalesse la sinistra post-comunista. Ma non è riuscito a realizzare la promessa “rivoluzione”. Colpa di una coalizione sui generis, ma anche della disattenzione alla cultura politica che avrebbe dovuto guidare le scelte. Le tv berlusconiane e le case editrici controllate dal suo gruppo non hanno accompagnato né sostenuto l’avventura. Ora tutto lascia prevedere che ci possa essere una nuova opportunità per la Destra. Ma soltanto con un’ispirazione politico/culturale precisa, con una classe dirigente selezionata per competenze e per rigore etico, si potrebbe sperare in un esito diverso e migliore.

*intervista di Marco Marconi a Mauro Mazza, già direttore Tg2 Rai

Global compact è la fine dei confini. Salvini dica no

Tra il braccio di ferro con l’Ue sulla manovra e le spericolate divisioni interne alla maggioranza, un fantasma sempre più palpabile aleggia sul punto di maggiore consenso del “governo del cambiamento”: il Global compact immigration. Ossia l’accordo promosso dall’Onu che promuove la necessità di una risposta mondiale al problema della migrazione. Tradotto? In realtà – come ha denunciato per prima Giorgia Meloni – è un documento «che sancisce un principio inedito e pericoloso: il diritto fondamentale per ogni essere umano a immigrare e a essere immigrato indipendentemente dalle ragioni per le quali si muove. È la vittoria delle tesi mondialiste e un altro colpo mortale a chi si oppone all’invasione».
Incredibile ad immaginarlo, pensando a un esecutivo che viene descritto a “trazione Salvini”. Eppure si tratta di una provvedimento sul quale il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, e quindi il governo è orientato sul sì in previsione del summit che si terrà tra il 10 e l’11 dicembre a Marrakech, all’interno della conferenza intergovernativa organizzata dall’ Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un vero e proprio non sense, viste le decisioni di Salvini & co sul tema degli sbarchi e dopo i provvedimenti inseriti nel decreto sicurezza riguardo proprio il restringimento delle misure di protezione umanitaria. E invece, se la porta principale in questione sembra ufficialmente sul punto di chiudersi, con un una misura del genere si spalancherebbero invece le finestre (a partire da quelle giuridiche) per quell’immigrazione incontrollata che l’esecutivo giallo-verde sostiene di voler bloccare: «Incredibilmente il governo italiano intende sottoscrivere questo patto e sconfessare così tutta la politica fatta finora sull’immigrazione», ha commentato non a caso la leader di FdI dopo la risposta-shock nel question time. Ed è così ma noi non possiamo accettarlo e chiediamo all’esecutivo di non sottoscrivere il patto. Come ha invitato a fare Meloni siamo pronti a dare battaglia (qui il testo della petizione) e invitiamo tutti a portare alla ribalta questa «trappola».
Ad alimentare ulteriormente i dubbi sulle intenzioni del governo, o per lo meno di quella parte in sintonia con i desiderata del Quirinale, ci ha pensato infatti lo stesso titolare della Farnesina il quale, intervenendo qualche giorno fa anche a un incontro con l’ex premier Paolo Gentiloni, ha pensato bene di uscirsene con una dichiarazione che più distonica non si poteva: «Di fronte al migrante economico – ha spiegato – non dobbiamo essere ottusamente chiusi, dobbiamo porci la domanda del perché si migra». Non più solo emergenza profughi (con tutte le dissimulazioni del caso) ma adesso – secondo il titolare della Farnesina – l’Italia dovrebbe porsi il problema dei “perché” di tutti i migranti del mondo: un passepartout bello e buono per aprire un fronte interno con la benedizione della “Dichiarazione di New York”, la formula altisonante con cui è stato ribattezzato il Global compact.
Peccato, per gli immigrazionisti, che proprio gli Stati Uniti di Donald Trump sono stati velocissimi a sconfessare tesi e “trappole” del suddetto accordo. E lo hanno fatto in grande compagnia proprio dove il tema è “sensibile”. Con chi? Con mezza Europa: Austria, Bulgaria, Polonia, Repubblica ceca, Svizzera ed Ungheria. Governi molto preparati e leader estremamente vigili sul tema con i quali proprio la Lega – come Fratelli d’Italia – è sulla stessa lunghezza d’onda. Proprio per questo il sospetto è di un tentativo di sabotaggio del cambio di paradigma sul dossier che più di tutti viene considerato strutturale dai sostenitori del globalismo, della decostruzione della sovranità. Ecco perché un “no” deciso al Global Compact da parte del ministro dell’Interno e quindi del governo è un atto politico irrinunciabile.

*Marco Marconi, collaboratore Charta minuta

FdI & Atreju, quel "laboratorio patriottico" che ha sedotto pure Bannon

«Giovanni Toti, Nello Musumeci, ci date una mano?». Non è stato solo un invito ma una vera e propria “chiamata” quella lanciata di Giorgia Meloni a margine del discorso di chiusura di Atreju 2018. Una tre giorni che quest’anno come mai si è qualificata come il laboratorio di quel partito patriottico che – in vista dell’appuntamento «epocale» delle Europee, per parafrasare Steve Bannon – ha già aperto il proprio cantiere a tutte le “maestranze” che intendono rafforzare la proposta nazionale: sia in Italia che – come ha dimostrato l’adesione a The Movement – all’estero.
«L’appello che facciamo oggi a tante anime disperse del centrodestra è a costruire un grande partito dei conservatori e dei sovranisti, che metta al centro l’identità e l’interesse nazionale italiani, il concetto di patria, di nazione», ha spiegato la leader di FdI dopo aver ascoltato tanti esponenti di quel centrodestra diffuso ma non pienamente rappresentato – da Vittorio Sgarbi a Raffaele Fitto, passando per Ruggero Razza e Nunzia De Girolamo – ai quali FdI oggi offre oggi «una casa e una causa».
Compiuta la missione storica di «salvare la destra» dall’implosione, per Meloni adesso si affaccia un compito altrettanto difficile: blindare un’offerta politica che non può essere ostaggio dello spontaneismo e delle contraddizioni della Lega di Salvini impegnata nell’Ogm giallo-verde. È questo il senso di quell’impegno ad «allargare i nostri confini», lanciato dal palco della kermesse, perché «il centrodestra ha bisogno di rappresentare anche quelli che dalla Lega non si sentono ora rappresentati». Effetto collaterale di questa nuova soggettività che si candida a contendere con più anime il perimetro del sovranismo di governo sarà quello, non a caso, «di liberare Salvini dall’abbraccio del M5s» e di costruire con questo quel governo che il 4 marzo è stato riconosciuto da tutti tranne che da Sergio Mattarella.
Proprio per questo motivo, l’appello diretto ai due governatori – che rappresentano due modelli di buongoverno che hanno sconfitto e drenato i 5 Stelle su una piattaforma sia identitaria che sviluppista – è il primo passo di quel processo di sintesi che, secondo la leader di FdI, dovrà dotare il centrodestra italiano di un soggetto tanto anti-demagogico quanto radicale e radicato nella promozione dell’interesse nazionale in un’Europa confederale e partecipativa.
Di tutto questo potrà giovarsi e da questo potrà imparare anche lo stesso Steve Bannon, che ha trovato in Italia – da lui considerata del resto avanguardia nell’offerta nazional-populista – un soggetto, altro dalla Lega, dotato di peculiarietà e di un’identità irriducibile in un’epoca in cui la post-ideologia si rivela troppo spesso un’ideologia dell’umore: buona per lo sfogo, incapace però di diventare governo della crisi.
Ecco allora che quel «sappiamo dove stare» nella sfida «Europa contro €uropa» non è solo una scelta di campo nel fronte conservatore e sovranista ma è «una sfida centrale», come ha illustrato Meloni, per riaffermare il reale contro l’indistinto: «È un problema, per i nostri avversari, se ci definiamo italiani, madre, padre: loro ci vogliono cittadino x, genitore x…Hanno fatto male i conti: non siamo numeri, siamo persone». Alle prossime elezioni Europee si deciderà anche questo «e qui avremo l’occasione di dire finalmente “basta”: a Soros che finanzia la sostituzione etnica e ai damerini modello Macron che ci impartiscono lezioni di morale. Potremo finalmente cacciare i mercanti dal tempio dell’Ue».

Farefuturo in Parlamento con una squadra di patrioti "professionisti"

Cinque parlamentari della prossima legislatura rigorosamente “made in Farefuturo”. È questa una delle novità non solo del centrodestra ma del panorama politico di questa che rappresenta l’elezione d’ingresso della “Terza Repubblica”. A rappresentare il lavoro, le tesi e la produzione intellettuale della fondazione saranno tre senatori e due deputati: a palazzo Madama, nelle file di Fratelli d’Italia sono Adolfo Urso, presidente di Farefuturo, Franco Zaffini, segretario amministrativo, e Andrea De Bertoldi, responsabile per il Trentino Alto-Adige di Farefuturo; alla Camera sono stati eletti Andrea Del Mastro, membro del Consiglio di fondazione, e Giuseppe Basini, anch’esso membro del Cdf ed eletto con la Lega.
Per il presidente Urso si tratta di «un risultato importante – questo per il gruppo di professionalità che da anni anima la comunità di Farefuturo – che certifica l’intenso lavoro svolto in questi ultimi anni nella definizione di una destra di governo. Lo abbiamo fatto chiamando con noi sensibilità non strettamente legate a un partito ma a un’area chiamata tutta, oggi, a dimostrare come sia possibile, oltreché necessario, integrare le istanze sovraniste con la responsabilità istituzionale».
Proprio la fitta rete di workshop tenuti da Farefuturo con i leader deblla coalizione (da Giorgia Meloni a Giancarlo Giorgetti), ai quali tutti gli eletti hanno sempre partecipato coordinati da Urso, sono stati propedeutici alla definizione di un programma di coalizione che ha sposato le tesi più innovative le quali vedono, in tutta Europa, il ritorno al centro dell’interesse nazionale nei settori strategici dell’economia e della società. Scenario che l’Italia dei “governi tecnici”, come abbiamo tracciato più volte su Charta Minuta, non ha seguito per nulla, limitandosi ai “compiti” richiesti dalla Commissione.
Davanti a una situazione del genere, Farefuturo ha scelto di mettere in campo – al servizio delle forze del centrodestra – una “squadra” di esperti (tutti impegnati in politica da sempre ma provenienti dal mondo del commercio internazionale all’avvocatura, passando dalla scienza e dall’imprenditoria) che aiuterà la coalizione e, ci auguriamo, il governo stesso del centrodestra a definire obiettivi strategici, soluzioni pertinenti e metodologie riformiste senza dimenticare mai la bussola dell’interesse nazionale.

*Marco Marconi, collaboratore Charta minuta

Ciao Altero, missino di governo. "Saggio" a servizio della Nazione

Il romanzo politico, lungo e pieno, di Altero Matteoli si è infranto ieri su una strada della sua Toscana. Un finale che, come ripetono a testa bassa i dirigenti di lungo corso davanti a fatti del genere, è tragicamente coerente con chi ha scelto la politica come motore perpetuo delle proprie azioni. Per capire l’entità della perdita è sufficiente guardare il video della diretta della Commissione banche: alla notizia della sua morte, giunta via sms, tutti i membri restano impietriti. E dopo qualche minuto l’intero arco parlamentare – destra, sinistra e 5 Stelle – si è stretto nel ricordo di un testimone attivo del pieno traghettamento della destra politica all’interno delle istituzioni, fino alle massime vette, ma anche di un “saggio” stimato e apprezzato dagli alleati e dagli avversari politici inclusi gli ambientalisti con cui è stato protagonista, da ministro, di una stagione vissuta più che vivacemente su fronti opposti.
Solo qualche giorni fa – poche ore prima del terribile incidente automobilistico in cui Matteoli ha perso la vita – proprio a lui Silvio Berlusconi aveva affidato il delicato compito di presiedere il tavolo delle candidature in vista delle prossime Regionali. Un incarico delicato che si accompagnava alla riconferma di fatto della sua stessa candidatura come rappresentante senior di Forza Italia nel prossimo Senato. Un rapporto di stima condivisa divenuto storico, questo tra il senatore “missino” e il Cavaliere, con quest’ultimo che lo ha voluto praticamente in tutti i suoi governi come ministro, incaricato di gestire – non senza polemiche e appendici giudiziarie – dicasteri strategici come l’Ambiente e i Trasporti. Affetto e considerazione ricambiati totalmente da Matteoli che ha confermato – dopo l’implosione del Pdl – proprio Berlusconi come suo leader tanto da seguirlo senza se e senza ma in Forza Italia.
In mezzo, come nelle saghe, ci sta un’altra storia intera che affonda le radici in quella dimensione volontaristica che ha contraddistinto i post-fascisti nati sotto la guerra, nei primi anni ’40, e affermatisi in politica solo dopo decenni trascorsi nell’opposizione “esclusa” dall’arco costituzionale. Insomma, è stato un percorso decisamente importante quello di “Altero”, come ieri lo hanno ricordato commossi tutti i “camerati”, dai coetanei ai sodali nella corrente Nuova Alleanza fino ai “giovani” di FdI con cui le strade politiche si sono separate (ma non l’affetto): con tutti questi ha condiviso anni di difficile militanza a partire proprio dalla “rossa” Toscana.
Da qui, dalla regione più difficile a maggior ragione dalla sua Livorno, ha mosso i primi passi come esponente del Msi e allievo del massimo esponente espresso da questa regione: Beppe Niccolai, “l’eretico” socializzatore del quale in seguito ereditò anche il seggio parlamentare. Dal 1983 al 1994 Matteoli è stato segretario regionale del Msi in Toscana e con questa responsabilità si è fatto le ossa nei Comuni toscani: da Cecina (dove è nato), a Castelnuovo di Garfagnana, fino al capoluogo Livorno. Dopo diverse legislature nel 1994, poi, anche a lui tocca rappresentare nel primo governo Berlusconi l’ingresso della pattuglia degli “esuli in patria” nelle istituzioni che contano: lo fece da ministro dell’Ambiente. Incarico che dal 2001 fino al 2006 – adesso come esponente di spicco di Alleanza nazionale – tornerà a ricoprire nel secondo e terzo governo Berlusconi. Fra le attività da deputato (dall’83 al 2006), lo si ricorda come membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle associazioni criminali e similari, nella quale ha redatto – come la scuola di Niccolai insegna – una relazione sulla collusione tra mafia e politica. Dal 2006 al 2011, poi, è stato anche sindaco di Orbetello: un’esperienza che ha confermato il suo legame per la Toscana.
Nell’ultimo governo Berlusconi, il quarto, è stato nominato poi ministro delle Infrastrutture e dei trasporti: stagione complessa, questa, dove ha dovuto vedersela con i contestatori della Tav, e dove è stato promotore anche del Piano Casa, targato centrodestra. Imploso il Pdl e iniziata la diaspora degli ex An, Matteoli ha scelto di aderire (assieme a Maurizio Gasparri) a Forza Italia nella quale, dal 2014, è stato componente del Comitato di Presidenza e per la quale era impegnato, ieri incluso, in prima persona nell’ennesima campagna elettorale.

*Marco Marconi, collaboratore Charta minuta

Una visione neoconservatrice "continentale" per salvare l’Europa

In un continente e in una aggregazione di Stati quali l’Ue, divenuta oramai amorfa quasi e priva di ogni strumento per affrontare le sfide del presente (figuriamoci quelle del futuro) deve emergere una nuova coscienza, l’unica che potrebbe rimetterla nella giusta carreggiata: un nuovo conservatorismo non nazionale, bensì europeo. Un conservatorismo che tragga le fondamenta da tutti i principi comuni ai 27 Paesi e che dia slancio alla comunità partendo dalla salvaguardia e dalla tutela proprio di questi valori: l’origine cristiana testimoniata dalle nostre chiese e cattedrali, il pensiero laico frutto dell’Illuminismo e la difesa dei diritti civili e della democrazia, conquistati a duro prezzo in modo particolare dal dopo guerra ad oggi. Un conservatorismo, quindi, che non divida e frammenti le nazioni europee ma che le saldi e che possa dare avvio vero ad una unione sotto l’aspetto della difesa, della politica estera, della fiscalità.
Con gli Usa sempre meno presenti nel territorio europeo e mediterraneo, soltanto con una Europa unità su più fronti si potranno risolvere situazioni spinose quali l’immigrazione di massa dall’Africa, il terrorismo islamico che ci colpisce a casa nostra, la crescita economica che ci permetta di non essere terra di conquista dei magnati cinesi e arabi. Partendo da questi temi sarà presentato martedi 28 novembre, ore 17,30, presso la Casa dell’Aviatore – Circolo Ufficiali Aeronautica Militare “The Wall. Saggio inchiesta sull’Europa dei muri” del siciliano Nunzio Panzarella.
Il libro, nello specifico un saggio di attualità, fa una panoramica chiara e dettagliata su tematiche dell’Italia di oggi: quali la caduta dei regimi in nord Africa nel 2011 con le Primavere arabe e l’ondata migratoria in apparenza irrisolvibile, la “guerra” commerciale a suon di sanzioni tra Ue e Federazione Russa in seguito al referendum della Crimea del 2014 che ha decretato l’annessione di Sebastopoli a Mosca, sino ai rischi che l’Europa correrebbe se vi fosse l’ingresso della Turchia nell’Ue. Vengono, inoltre, tratteggiati con esaustività le defaillance e i deficit della politica estera europea, in affanno nel risolvere problemi vitali quali immigrazione e lotta al terrorismo.
Attraverso uno studio ben approfondito e tramite interviste chiave ad autorevoli soggetti quali l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa Vincenzo Camporini, testimone diretto delle operazioni di guerra che nel 2011 videro anche l’Italia contro la Libia di Gheddafi, o l’Ambasciatore Armando Sanguini grande conoscitore del mondo arabo già direttore della Farnesina per l’Africa e ambasciatore in Tunisia e Arabia Saudita, si riescono a cogliere informazioni e fatti sempre taciuti dai media mainstream quali tv e giornali.
Ad arricchire il dibattito nel corso della presentazione romana del libro vi saranno come relatori: l’ex Ministro per il Commercio Estero Adolfo Urso, attualmente presidente del think tank Fare Futuro; il Prof. Sebastiano Bavetta, accademico ed economista, attualmente Ordinario di Economia Politica all’Università di Palermo e Visiting Professor all’University of Pennsylvania; l’On. Fabrizio Bertot, Presidente della Fondazian Kian, esperto di rapporti politici col mondo russo ed Osservatore per conto dell’UE nel referendum in Crimea del 2014.
In quella sede, i riflettori saranno puntati particolarmente sulla difficoltà dei recenti governi italiani nel risolvere la questione migranti, ma anche sui danni cagionati dalle sanzioni russe al nostro settore agroalimentare e su quello che sta accadendo ad Est, sia nei paesi del gruppo di Visegrad che al di là dell’Ue, nel Donbass russo. Infine, sarà analizzata anche l’importanza di un ritorno a visioni politiche ispirate al conservatorismo di Reagan e Thatcher, che sappiano mettere al primo posto gli interessi nazionali e dell’Ue, soprattutto per quanto concerne gli aspetti del commercio internazionale e della politica di sicurezza, non dimenticando che il Bel Paese è cuore e crocevia del mondo euro-mediterraneo per la sua posizione geografica.

*Marco Marconi, collaboratore Charta minuta