Giovanni Basini

La "bocciatura" non decide il futuro dell’Italia, la qualità della manovra sì

Da qualche tempo l’Unione Europea diffonde annunci chiave riguardanti l’Italia a mercati aperti, non nascondendo ma anzi dimostrando un disegno politico preciso volto a colpire il nostro paese, che sembra diventato una nuova Grecia, da sacrificare per dimostrare al mondo l’esistenza di un’unità continentale e di una serietà istituzionale europea.
La scorsa settimana le uscite di Moscovici, il rinvio pubblico degli incontri di Juncker, poi la bocciatura della manovra; unite al delirante commento di una funzionaria UE che ha dichiarato ai giornalisti “incrociamo le dita per le banche Italiane”, indicano che a Bruxelles una squadra di dichiaratori ricerca attivamente il panico, coordinandosi con operatori da far entrare in campo al momento giusto.
Esattamente come avevamo descritto qualche mese fa, in coincidenza con grandi annunci europei, e particolarmente il 21 novembre , alcune “mani forti” hanno creato un’improvvisa ondata di vendite di Btp, sperando di innescare un movimento ribassista, che è rimasta fortunatamente senza esiti, perché il mercato non ha voluto cogliere il segnale, avviando un lento miglioramento dello spread.
Differenziale Btp-Bund nov. 18
Osservando il grafico è legittimo chiedersi per quale ragione l’Europa cerchi lo scontro più dei mercati, ed anzi per quale ragione i mercati lo evitino; come mai i titoli italiani già in circolo valgano leggermente più dei giorni scorsi, ed anche il perchè, in questi stessi giorni scorsi, un’asta di nuovi Btp-Italia indicizzati all’inflazione sia andata in controtendenza, rivelandosi poco interessante per gli investitori e con una domanda di titoli molto bassa.
La risposta all’interrogativo sull’attuale aggressività delle istituzioni europee, che pure avevano dimostrato molta pazienza con Renzi e Letta, va cercata non solo nel venir meno dei continui regali politici del Nazareno alla Francia, ma anche nell’esistenza di problemi irrisolti di scala europea. In questo scenario, il tentativo della Commissione sembra essere quello di riedificare la sacralità di certe regole a danno dell’Italia operando un rèvirement dalla prassi consolidata di lasciarle violare (specie alla Francia). Inoltre, l’importanza delle elezioni europee dell’anno prossimo è evidente, e dunque anche la necessità di contendere la fune ai nazionalisti può spiegare in parte la postura ostile della Commissione.
Ma la UE non sta cercando solo l’immagine di un’ostilità verso Roma, perché la scelta della procedura di debito eccessivo, per infrazioni contestate relative ad anni passati, avviata dopo l’annuncio di una manovra sgradita, ma non ancora vigente, appare dettata dal preciso intento di produrre conseguenze sostanziali in qualunque caso, anche ove il debito pubblico italiano del 2019 dovesse poi, alla fine, scendere. Così è per anche per la proposta di un bilancio separato, che vorrebbe servire a toglierci parte del denaro che ritraiamo indietro dal nostro contributo lordo all’Unione.
Questo tentativo di accompagnarci, ostentatamente, fuori dall’UE potrebbe dipendere dal fatto che i funzionari della stessa sanno bene che le sanzioni economiche internazionali, a differenza delle pressioni dei mercati internazionali, non hanno mai funzionato a coartare le decisioni di nessun paese sovrano. In altri termini, l’unico modo in cui, la minaccia delle sanzioni può sortire effetti è quello di funzionare come innesco, per scatenare le seconde.
Dall’Italia nel 1935 al Giappone nel 1941, fino all’Iran ed alla Russia nei giorni nostri, le sanzioni hanno determinato sempre e solo blindature o peggioramenti degli assetti politici interni delle nazioni toccate, provocando anche tragedie storiche come la nascita dell’Asse Roma Berlino o l’attacco di Pearl Harbour. Al contrario, le pressioni dei mercati internazionali ‒ spontanee o aiutate ‒ si sono spesso rivelate efficienti a determinare cambiamenti politici significativi, indotti dall’esigenza di proteggere la popolazione ed i complessi produttivi da situazioni di più grave sofferenza, come si è visto da ultimo nel 2011 con il golpe tecnico in Italia, e ‒ andando poi molto più in là che da noi ‒ nel caso della Grecia.
Il disegno degli europeisti, dunque, potrebbe essere quello di innescare l’azione dei mercati, minacciando un’espulsione dell’Italia dall’Unione Europea, per coartare il governo ad allinearsi, e guadagnare così consensi sui nazionalisti dimostrando “l’inevitabilità” dell’Unione. Occorre chiedersi, tuttavia, se i mercanti vogliano cooperare con questo schema, davvero cadendo nel panico all’ipotesi di un’Italia fuori dalla UE, o se piuttosto non siano disposti tranquillamente ad ammetterla.
A questo proposito, merita una riflessione lo strano comportamento degli investitori già visto sullo spread e sull’asta dei Btp-Italia. Da una parte, in un periodo di bassa inflazione nonostante i vari QE, e con un’ipotesi di ZIRP che si mantiene all’orizzonte, non sembra scontato che un Btp indicizzato all’inflazione convenga sempre più di un altro tipo di bond pubblico ‒ e magari di un Btp già sul mercato, il cui acquisto riduce lo spread. Inoltre, in un mondo a tassi bassi, con l’orizzonte di emissioni di Btp a rendimenti ben più alti in futuro, l’investitore non ancora convinto del default italiano, e comunque alla ricerca di rendimenti alti, potrebbe essere stato anche portato ad attendere qualche mese, rinviando gli acquisti ed evitando vendite.
Tuttavia se esiste chi scommette sulla rottura dell’Unione, allora deve esistere anche chi può scommettere su di noi, sulla sopravvivenza dell’Italia all’Unione, sulla sua ricchezza privata, e sulle sue quarte riserve auree, per trarne un utile proprio, magari posizionandosi per una scommessa da esitare positivamente nel momento in cui l’Unione ed il valore dell’euro dovessero crollare. A costoro converrebbe sostenerci in una strada esterna, e non dimostrare l’inevitabilità del percorso europeo, giorno per giorno, con lo spread crescente.
Questo pensiero delle piazze ed agenzie di rating, specialmente americane, potrebbe aver tenuto lo spread basso finora e potrebbe anche tenerlo tale in futuro, in perdurante spregio delle bocciature europee dei nostri bilanci. Però, sia si consideri questo come un effetto complesso del combinato Trump/Brexit, sia che lo si ritenga un fenomeno puramente economico o puramente politico, tale scudo non è stabile.
Almeno un elemento, al riguardo, sembra ragionevole considerare rilevante perché, sperabilmente, l’imprevista stabilità dello spread e dei rating prosegua: il fatto che il governo, anche non tenendo conto del saldo di deficit tollerato dalla UE, scelga almeno di migliorare la manovra. Questo, forse, potrebbe influire.
Il punto chiave è la crescita. Serve per dimostrare che “può esserci vita fuori dai principi di Maastricht”, e rendere così realistica la possibilità di una perdurante, protratta, scommessa internazionale su di un’Italia che cambi le regole europee o che fuoriesca dalla tensione finanziaria comunque in modo sano (e, potremmo aggiungere, per l’ennesima volta).
La chiave politica per leggere questo sentimento dei mercati potrebbe essere: “se meno tasse, allora meno UE”. Seguendo questo principio, se dal reddito di cittadinanza 10 miliardi della manovra passassero ad un avvio importante di flat tax, i mercati potrebbero anche applaudire e finanziare lo sforzo di sganciarsi dai parametri europei per cambiarli, non essendo affatto vero che esista un consenso sulle politiche di austerità nei confronti di paesi da tempo sotto pressione, e sul metodo degli avanzi primari protratti [1].
Se questo sforzo conducesse infine ad un controllo della dinamica del debito, l’Italia avrebbe dimostrato il nuovo modello, e creato le condizioni per mutare le regole di convergenza europee, col consenso di una nuova Commissione più “nazionalista”. Vieppiù, agli investitori è certamente noto che solo una fase di crescita significativa ridurrebbe il debito in un modo veramente vincolante, perché nella fase di crescita opera il limite costituzionale dell’art. 81, il quale è superabile a maggioranza dal Parlamento solo quando il Pil, come oggi, è sotto il suo potenziale ‒ il che non si darebbe più se l’Italia, finalmente, dopo anni, agganciasse una fase positiva del ciclo ‒ di conseguenza il Governo non potrebbe destinare a politiche di spesa il maggior introito.
Da ciò traiamo un’indicazione politica: farebbe bene Salvini a battersi per la flat tax subito, ed i cinque stelle dovrebbero accettarlo, perché se salvassero il paese dal giudizio dei mercati rinviando il reddito di cittadinanza, e raggiungessero una crescita sostenuta, non è detto che non poi non sarebbero anche loro premiati elettoralmente, alle politiche anziché alle europee, dall’aver poi introdotto in un secondo momento, in un modo sicuramente più sostenibile il loro sistema di solidarietà sociale diffusa (magari al primo rallentamento del ciclo economico utile, che entro 4 anni sarebbe probabile).
Al contrario abbracciare la propaganda della Commissione UE, tornando alla scellerata politica degli avanzi primari di Monti con nuove patrimoniali, ucciderebbe il paziente, perché l’Italia produttiva, che già è provata dalle patrimoniali sopravvissute ‒ su cui sono sollevate critiche più che fondate [2] ‒ non ha margini di investimento sopravvissuti alle crisi del 2007 e del 2011 e perde costantemente posizioni nella concorrenza internazionale.
Se davvero si volesse ottenere “meno Europa”, senza uscirne in modo traumatico aprendo a un futuro pericoloso per il paese, la precondizione politica fondamentale di un programma sovranista sarebbe agire per “meno tasse”, anche facendo ricorso a tagli di spesa improduttiva ‒ particolarmente quella per acquisti di beni e servizi che, in tempi diversi, economisti di destra come Mario Baldassarri e tecnici come Piero Giarda, segnalarono essere un vero serbatoio della spesa pubblica improduttiva, aumentato anche del 50% in pochi anni, per decine di miliardi di euro.
Oggi l’Italia paga ancora la scelta di Monti di disattendere quell’indicazione e di colpire le pensioni (trasferimenti) anziché le spese effettive dello Stato, deprimendo il reddito nazionale e contemporaneamente attribuendone la necessità al clichè del “ce lo chiede l’Europa”. Questo ha alienato il consenso alle forze razionali e tradizionali e creato un fronte di contestazione delle istituzioni europee, proiettando verso l’ascesa il populismo incarnato dal Movimento Cinque Stelle, che a sua volta minaccia di far saltare i conti dello Stato italiano, e con essi l’Europa, prima ancora che sia possibile alle forze delle destre europee di influire sulla nuova Commissione e sulla BCE per cambiarne le politiche.
Per spezzare questo ciclo negativo è necessario rivedere al più presto la nostra politica economica, abbandonando l’austerità degli avanzi primari crescenti realizzati con misure fiscali, per abbracciare non un afflato assistenzialista ma un programma di riduzione delle tasse, taglio delle spese gonfiate, privatizzazione di beni improduttivi e liberazione della crescita.
Per questo vi è solo una speranza, da riporre in Salvini, Giorgetti e Meloni, nella Lega e in Fratelli d’Italia, alleate nel Centrodestra ‒ ed in quanto rimane di Forza Italia, se fosse disposta a cooperare ordinatamente ‒ perché possano convincere il Movimento 5 Stelle a cambiare la manovra, in cambio della stabilità del Governo, anche attraverso un posticipo della loro bandiera sul reddito e le pensioni di cittadinanza.
L’incredibile ottusità del Partito Democratico, che di fronte a questo rischio nazionale e sistemico ‒ e più pericoloso proprio per quello che più incarna oggi i suoi valori, cioè l’UE socialista ‒ non offre i suoi voti ed una tregua nazionale per cambiare la manovra “comunque sia” non può e non deve essere quella della destra italiana, che dovrebbe impegnarsi su questo e contribuire al cambiamento di linea economica avviato dal Governo, nel senso di aiutare la Lega.
Lo si potrebbe fare offrendo di negoziare l’accoglimento di alcune proposte simboliche, come quella di FDI sull’inserimento di un limite massimo alle tasse nella Costituzione, in cambio di un limitato impegno ad approvare insieme la linea finanziaria modificata del Governo, senza il quale il paese è ostaggio del Movimento 5 Stelle, ed in particolare della frangia più estremista e irragionevole di esso. Fare del sovranismo, anziché del populismo.

[1] V. Fratianni, Savona, Rinaldi, Una proposta per ridurre il fardello del Debito pubblico italiano, all’indirizzo http://docs.dises.univpm.it/web/quaderni/pdfmofir/Mofir081.pdf
[2] V.  D. Baiardi, P. Profeta, R. Puglisi, S. Scabrosetti, Tax Policy and Economic Growth: Does It Really Matter?, in Int. Tax Public Finance, 2018. Anche all’indirizzo https://ssrn.com/abstract=2932798
[3] V. M. Baldassarri, Sforbiciate ad acquisti e fondi perduti per ridurre le tasse a imprese e famiglie, in Libero, 2009, all’indirizzo http://www.mariobaldassarri.net/site/wp-content/uploads/2016/05/291009_LIBERO_3.pdf e la molto successiva relazione Giarda sulla spending review.

L’Italia sostituirà l’Inghilterra in seno alla UE?

Ieri, mentre in Italia tutti discutevamo su di un lancio di uova alla periferia di Torino, il Presidente Conte si è recato a Washington, per trattare con Trump delle relazioni atlantiche, della leadership sulla Libia, del gasdotto TAP, delle sanzioni alla Russia, di Iran e di caccia F-35, ricevendo, per la seconda volta in due mesi, un full-scale endorsement dal Presidente degli Stati Uniti d’America verso il Governo di Lega e M5S da lui rappresentato, il tutto apparentemente a costo zero per il nostro paese. Read more

Il giorno infausto dei mercati e della politica Italiana

Proviamo a dire, e in parte ad immaginare e ricostruire, cosa sia davvero successo ieri 29 maggio 2018, nella più folle giornata politica del nostro paese da molti anni, argomentando a metà tra mercati, stampa e partiti:
Tra le 10:10 e le 10:13 di ieri mattina un gruppo di mani forti tra loro coordinate (investitori importanti, possibilmente spinti anche da qualche potere politico) ha venduto tanti miliardi di Euro in BTP italiani da provocare un aumento dello spread di 40 punti in tre minuti, prima e dopo i quali il resto del mercato – che non era affatto in condizioni di panico – ha continuato per un certo tempo a comprare e vendere a ritmi normali.
Un aumento dello spread tanto concentrato, come mostra il grafico in alto, ci fu solo all’inizio della crisi del 2011 (prima della quale non si vide niente del genere dal 1992) e potrebbe anche segnare l’inizio di una crisi finanziaria mondiale se dovesse destabilizzare le nostre banche, che sono troppo grandi per essere salvate (da qualsiasi istituzione mondiale).
I notiziari TV e giornali economici del mondo, anche sui social, hanno dato la notizia del rialzo (senza spiegare più di tanto come fosse successo) e il mondo si è volto a guardare cosa succedeva in Italia. E si è spaventato più di quanto non avesse fatto per il ridicolo scandalo su Conte (che già era andato su tutti i giornali internazionali). Le borse di tutti i paesi hanno iniziato a perdere, e le scommesse sul mercato dei derivati contro stati ed aziende Europee (ed Italiane in particolare) ad aumentare, e così via per tutta la giornata.
Carlo Cottarelli, incaricato ieri di formare un Governo da Mattarella, dopo il noto colpo di mano, ha ricevuto in mattinata una prima aggressione da Lega e 5S, i quali hanno fatto circolare nei palazzi l’informazione che il Parlamento avrebbe votato in fretta una risoluzione vincolante sul DEF impedendo così a Cottarelli stesso di recarsi ai prossimi vertici europei per dire qualsiasi cosa fosse diversa dalla linea delle due forze euroscettiche. In pratica trasformandolo in un “pappagallo”.
Ma nel frattempo la Presidenza della Repubblica e il Partito Democratico con dichiarazioni tipo quella del capogruppo renziano Andrea Marcucci delle 12:30, di cui in foto, avevano diffuso in Italia e nel mondo l’idea assurda che Savona, Salvini e Di Maio volessero uscire dall’Euro in un fine settimana e di nascosto. Una totale, e pericolosa, fake news, costruita con un riferimento decontestualizzato a proposte puramente accademiche di Savona fatte tempo addietro sulla modalità migliore di uscita da una moneta (pubblica vs. segreta). Questo è importante perché le sedi degli investitori in tutto il mondo – che ormai fin dalle 10:30 di mattina ora italiana seguivano il nostro paese – hanno iniziato a pensare che in Italia fosse in atto il momento “decisivo” per l’euro o contro l’euro, e che il popolo, avendo premiato Salvini e Di Maio, fosse contro l’euro.
Marcucci Uscita Euro
Sulle agenzie di stampa italiane, e quindi mondiali, si sono ulteriormente diffuse le analisi che già ieri rilevavano che, a causa dei tempi tecnici, un’eventuale sfiducia immediata del Governo Cottarelli non avrebbe portato al voto in dicembre ma al voto in estate, avvertendo anche che fosse necessario un qualche tipo di risoluzione per rinviare il voto a settembre/ottobre, esponendo l’Italia a una “vittoria delle forze no-euro” in piena sessione di bilancio invernale, cioè quando si sarebbe dovuta decidere la finanziaria triennale 2019-2021.
Alle 16:30, con geniale tempismo, il PD in Senato ha attaccato pesantemente Cottarelli, unica figura apprezzata dai mercati poiché esponente del Fondo Monetario Internazionale, annunciando per puro tatticismo politico che non lo avrebbe sostenuto, poiché non voleva collegarsi politicamente come solo partito in sostegno della sua figura di “uomo di tasse e tagli” temendo di perdere voti nelle elezioni vicinissime, nonostante fosse espressione di Mattarella, cioè di un Presidente della Repubblica PD, voluto ed eletto da Renzi. In altre parole: il mondo ha visto che tutti i sostenitori dell’uomo del rigore FMI nuovo candidato premier si stavano dileguando in meno di 24 ore, e che chiedevano elezioni a Luglio, destinate a essere vinte dai “no euro”.
A questo punto, e siamo nel pomeriggio inoltrato, gli investitori di ogni tipo che osservavano la situazione hanno capito che presto su tutti i giornali del mondo sarebbe stato ulteriormente ridicolizzato il Governo dell’Italia, che non solo non avrebbe ottenuto la fiducia, ma avrebbe avuto addirittura zero voti a favore dal parlamento, per andare a fare in europa il “pappagallo” di una maggioranza con idee economiche opposte al premier nei vertici di giugno, e venire sostituito entro agosto da un gruppo agguerrito di personaggi intenzionati a uscire dalla moneta unica, magari titolari del 68% dei voti nelle Camere (come da recente analisi dell’Istituto Cattaneo).
Dalle 16:30, pertanto, il mercato normale del BTP ha iniziato a mostrare una curva frastagliata al rialzo, indice di piccole vendite diffuse in tutto il mondo (e non più opera di mani forti coordinate) andando direttamente nella fase in cui la crisi rialzista è diffusa e non più arrestabile dalle manovre di gruppi organizzati di investitori, non senza l’intervento di banche centrali.
I consiglieri di tutti i protagonisti hanno spiegato ai protagonisti  che se avessero continuato altre due ore con l’idea del Governo Cottarelli senza un voto e con il compitino dettato dal Parlamento, che nel frattempo celebrava un processo al capo dello Stato, non solo l’Italia non sarebbe arrivata finanziariamente integra fino a settembre, ma potenzialmente nemmeno a luglio perché nessun investitore avrebbe mai comprato un altro BTP se non a tassi di interesse insostenibili, in assenza di un capo politico del paese identificato, in presenza di una contestazione della massima carica, e senza alcuna garanzia che la linea politica immediata-ventura non fosse uscire dall’euro (fra l’altro con mezzo paese occupato ad accusare l’altra metà di mentire, ed il mondo finanziario a leggere Twitter in tempo reale) trasformando così l’aumento dello spread in un aumento del costo reale del servizio del debito.
Nel frattempo la BCE e Moody’s hanno fatto sapere che un eventuale declassamento del rating di pochissimo, molto probabile in questo scenario, avrebbe potuto (a causa delle regole interne della BCE) provocare il blocco del Quantitative Easing sull’Italia, lasciando aperta solo la cannula dell’ossigeno di eventuali operazioni OMT, il cosiddetto scudo anti-spread, molto più costose politicamente ed anche economicamente.
Moody's BCE Italia
Moody's BCE QE
In serata, poiché per fortuna sembra esistere ancora un barlume di razionalità anche nella politica italiana, tutti hanno capito di dover fermare la pièce teatrale per un momento, e magari occuparsi della “bomba che è qui fuori in corridoio” (Bersani, semicit.). In questo senso, quindi, Salvini per primo ha smentito definitivamente l’impeachment, segnalando che al paese serve un governo per la crisi finanziaria e che non manifesterà contro Matttarella.
Salvini Impeachment Mattarella
Di Maio, vista la decisione di Salvini di svelenire il clima, ha rinunciato anche lui all’impeachment di Mattarella (pur dando a Salvini del “pavido”, con una brutta caduta di stile) ed ha rilanciato la disponibilità a formare un governo con la Lega. Cottarelli, capendo di non essere in alcun modo utile a rassicurare i mercati da premier privo di poteri, ha fermato le macchine alle 17:30, lasciando il quirinale e facendo filtrare la possibilità di rimettere il mandato, ridando spazio o al voto subito o a un possibile governo, ufficialmente parlando di problemi sulla scelta dei ministri. Giorgia Meloni di fronte alla crisi dei mercati ha parlato di unità del paese e, dopo aver chiesto correttamente l’incarico a un premier del cdx, che è l’unica strada ancora non tentata da Mattarella, si è offerta comunque di sostenere M5S e Lega purché questi scongiurino le elezioni in luglio, rispetto alle quali l’Italia potrebbe arrivare sotto attacco della speculazione finanziaria.
Meloni Crisi MattarellaTra le 22:00 e le 23:00, Adnkronos e ANSA incredibilmente hanno battuto la notizia della concreta possibilità domani della formazione di un Governo Conte senza Savona o di un Governo Giorgetti con Cottarelli all’economia. L’ex dirigente dello FMI, anche perché indicato da Mattarella, è l’unico che può rassicurare i mercati che il governo, pur se politico e dotato di maggioranza per intervenire e fare leggi, non potrebbe comunque fare mosse avventate contro l’Euro. Se Cottarelli avesse l’economia, il Premier dovrebbe andare alla lega perché essa non avrebbe più il MEF (che aveva chiesto per dare la premiership ai 5 Stelle). Oppure, il MEF dovrebbe essere diviso (ma questo toglierebbe potere a Cottarelli spaventando i mercati). Un governo Conte, invece, anche senza Savona (che non è mai stato un problema, tranne che per Mattarella), resterebbe considerato “euroscettico” dai mercati e privo di un “capo” autorevole, e, se pure avesse potuto andar bene rispetto a una situazione normale, non sarebbe adeguato oggi con lo spread in tensione. Non è stato ancora ipotizzato un governo Cottarelli con ministri Lega e M5S, ma si è segnalata la volontà di Mattarella di insistere su di lui. Questa terza potrebbe essere la soluzione per tenere in equilibrio Salvini e Di Maio qualche mese, fino a elezioni in autunno.
Conte senza Savona
Giorgetti Premier
Da questi sviluppi in poi, sui giornali, in TV, e sui social network di tutto il paese, chiunque ha già iniziato a esercitarsi in insulti di incoerenza e scarsa serietà rivolti ai partiti responsabili dei cambi di linea, sul modello della sconvolgente dichiarazione di Matteo Renzi, che parlava di “telenovela italiana”. Tutti costoro, non sembrano capire che una tra queste possibilità, e le altre emerse nella giornata odierna, potrebbe essere la via per salvare il paese da un possibile disastro imminente, che il Governo “pappagallo” senza voti non garantirebbe. Bene hanno fatto quindi i partiti diversi dal PD a fermarsi a riflettere sul fatto nuovo, che non esisteva prima, dell’attacco speculativo più forte da molto tempo.  Lo ha dimostrato l’andamento dello spread nella giornata di oggi, che ha inoltre visto il rimbalzo delle borse mondiali e dei titoli bancari, anche grazie alla riapertura di margini di trattativa per una soluzione politica all’instabilità italiana.

*Giovanni Basini, collaboratore Charta minuta

Lezioni identitarie dall’America di Trump – the State of the Union address

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tenuto nei giorni scorsi il suo primo State of the Union address di fronte al Congresso e alle istituzioni. Lo commentiamo per voi lettori con in mente l’orizzonte delle destre patriottiche nel mondo, che nella destra di governo americana, sotto la leadership di Trump, ritrovano oggi un formidabile esempio, mancato per i molti anni di opposizione ad Obama.
Read more

“Più Europa” con Emma Bonino? Un falso idolo: è l’Ue. No grazie.

Il democristiano, ed ex alleato di Pisapia, Bruno Tabacci salva la lista di Emma Bonino, offrendole l’esenzione dall’obbligo di raccogliere delle firme, concedendole il suo simbolo di Centro Democratico, in cambio dell’apparentamento di questa con il PD. Messa così, quella del democristiano e della radicale sembra una barzelletta (e infatti ha dato luogo ad una messe di vignette) però è una cosa seria.
La premessa all’incredibile vicenda è che il ministro Minniti, dopo essere stato attaccato dalla Bonino perché non abbastanza genuflesso ai migranti, aveva cercato di escludere la lista “Più Europa” con una circolare capziosa e incostituzionale secondo cui, per raccogliere le firme in calce ai moduli per presentare una lista in una coalizione, sarebbe stato necessario avere, fin dall’inizio della raccolta, già stampato su questi i nomi dei candidati degli altri partiti della coalizione (pur se esentati dall’obbligo di raccoglierle).
Ovviamente, in un Parlamento nel quale quasi tutti i partiti maggiori, e comunque il PD, sono esentati dalla raccolta firme, i tempi tecnici della negoziazione delle candidature uninominali con l’alleato non avrebbero mai consentito alla Bonino di trovare le firme in tempo. Alla luce di ciò, la Bonino aveva elevato proteste in ogni sede, ottenendo un emendamento correttivo al Rosatellum, che era però stato bocciato dal centrodestra per mettere in difficoltà il PD, facendo emergere il pasticcio.
Qui finisce la storia vera di un abuso ed inizia, invece, la commedia dell’arte. La Bonino, cercando furbescamente visibilità, ha infatti sulle prime mostrato di rifiutare l’aiuto renziano. L’offerta di raccogliere le firme attraverso la capillare organizzazione del PD è stata quindi respinta dalla sedicente “Zia d’Italia” (per via dell’aborto, non della modestia) per poter presentare il proprio progetto come autonomo e distinto dal PD, riuscendo con la minaccia di andare da sola, ad ottenere paginate sui giornali.
La protesta legalitaria, del volere l’accesso come diritto e non privilegio, è però durata poco. Nella realtà, d’accordo con Matteo Renzi, per evitare la sconfitta totale nei collegi, dove anche lo zero virgola conta e dove il PD è accreditato di una misera quarantina di seggi su 231 totali, è presto emersa la soluzione: offrire un posto al fedele Tabacci, in cambio di un simboletto civetta. Più Europa sarà quindi sulle schede, a cercare voti radicali o montiani, per l’alleanza di Centrosinistra, puntando al 3% o – almeno – all’1%.
Dunque il PD avrà finalmente un alleato qualsiasi. Per tale servigio, Renzi porterà senz’altro in Parlamento, attraverso qualche collegio uninominale, anche due o tre rappresentanti degli ultras di Bruxelles, dei teorici laici dell’invasione di immigrati, degli alfieri dell’abortismo. Ci sarà magari in più qualche liberista, individualmente persona per bene, finito lì per caso, ma irrilevante dato il contesto al contorno.
Ma è davvero cosa loro l’Europa? Vale a dire: sono davvero con loro rappresentate le idee di Giulio Cesare, Costantino, Giustiniano, Carlo Magno, Churchill e De Gaulle? Non ci si crede davvero. Quella sarebbe l’Europa, ma loro sono solo la UE. E nemmeno. Loro sono la tecnocrazia. Sono per gli Juncker, i Van Rompuy, le Mogherini. Pacifinti, terzomondisti, sorosiani. La loro stessa leader distrugge i valori cristiani, parla la lingua dei nemici, e si sottomette ai loro costumi. Ma va fierissima contro tutti i nostri.
Torniamo ancora sul fatto che alcuni tra loro sono liberisti, per dire che è troppo poco il solo liberismo: non ci sentiamo solo consumatori e non aspiriamo solo al paradiso dei consumatori. Senza più nulla per cui valga la pena sentirsi italiani, con le strade invase da stranieri, non sapremmo accontentarci né della libertà di espatrio né del mercato unico in cui comprare tutto. E, tra le promesse impossibili degli uni e degli altri, la flat tax di Salvini e della Meloni è una promessa molto migliore dell’IMU alla Monti.
Di fronte a questo boninismo, e al PD dei sacchetti agli amici, Forza Italia purtroppo purtroppo prepara non una schiera di professori e professionisti (’94) ma un’infornata di nani, lacché e ballerine, che saranno tutti pronti all’alleanza con Renzi e Bonino un minuto dopo il voto – per fermare lo spauracchio M5S, ma anche per fare molto altro di male. Tutto quello che poteva venir fuori dalle quinte linee del vecchio pentapartito.
Contro costoro serve una Destra del Centrodestra forte – grazie ai parlamentari che saranno eletti in Fratelli d’Italia e nella Lega, nonché agli eletti di alcune componenti della quarta forza (Noi con l’Italia) tra quelli che non si sono compromessi con il Nazareno – per impedire che il patto tra Renzi e Berlusconi risorga alla prima occasione.
Occorre una maggioranza imprevista alla coalizione del centrodestra, che tolga ogni alibi, e ogni chance alla protesta grillina, che la marchi effettivamente come comunista, quale essa è, e che al contempo releghi il PD alla storia. Serve il 51% dei seggi con il 40% dei voti, e per questo è necessario quel landslide nei collegi uninominali che solo può correggere la natura proporzionalista del Rosatellum. Serve quindi proprio quello che Più Europa è nata per impedire, alleandosi al PD, per fornire voti in sostegno nei collegi al margine.
Chi vota Più Europa alleata col PD oggi non ha dunque alcun alibi: vota più Monti, più Letta, più Alfano, più Gentiloni. Vota per Renzi e Berlusconi di nuovo alleati. E per tutto quanto ha impedito al centrodestra e all’Italia di rinnovarsi. È una scelta di campo tra la cultura della vita e quella della morte, tra il mondialismo e la patria, tra la tregua e la sfida. Ma anche tra la Libertà e i suoi falsi idoli.

*Giovanni Basini, collaboratore Charta minuta