Francesco De Palo

Cina e 5G, cosa cambia dopo il dossier Copasir?

Il Vicepresidente del Copasir a Formiche.net: “Da oggi nasce una maggiore consapevolezza della sicurezza nazionale, con l’auspicio che l’Italia sia non retroguardia, ma avanguardia di Europa ed Occidente, ergendosi a modello per gli altri Paesi”. Più consapevolezza sulla sicurezza nazionale, e l’auspicio che l’Italia sia avanguardia in Europa ed Occidente, ergendosi a modello per gli altri Paesi. È quanto si augura ai microfoni di Formiche.net il vicepresidente del Copasir Adolfo Urso (FdI) commentando il rapporto conclusivo dell’indagine sulla sicurezza delle telecomunicazioni a proposito di 5G e Cina.

L’ingresso delle aziende cinesi nella rete 5G italiana costituisce un pericolo per la sicurezza nazionale, sostiene il Copasir. Cosa può cambiare da domani?

Il rapporto è una relazione al Parlamento che il Copasir ha predisposto dopo un anno di indagini molto approfondite e ascoltando le diverse parti in causa, come gli organismi di sicurezza nazionale e le aziende italiane e straniere. L’obiettivo è stato quello di avere una valutazione certamente sulla sicurezza ma anche sui costi tecnologici di una decisione del genere da sottoporre a governo e Parlamento.

Qual è il vostro auspicio?

Che il governo possa valutare la sua azione anche alla luce di ciò che il Copasir ha accertato rispetto ai compiti che gli sono stati conferiti. La relazione, approvata all’unanimità, dimostra che adesso il governo ha gli strumenti legislativi per agire, come la riforma della golden power e alla possibilità di estensione alle reti infrastrutturali, in modo specifico al 5G.

Dal colosso tech Huawei, però, c’erano state molte rassicurazioni. Perché non hanno convinto il Copasir?

Come scritto nella relazione, abbiamo ascoltato tutte le parti in causa, quindi anche Huawei, e al contempo abbiamo ascoltato ciò che ci hanno riferito i nostri servizi di sicurezza. Cito un passaggio significativo della relazione, quando si sottolinea che dalle indagini emerge che la legislazione cinese, così come è stata innovata negli ultimi anni, consente che gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possano fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese. Ovvero aziende e cittadini di quel paese rispondono al sistema di sicurezza nazionale cinese.

Ci sono rischi e costi di un ritardo tecnologico?

Il lavoro svolto è stato significativo anche perché ha riguardato l’eventuale impatto economico sul sistema generale, oltre al faro della sicurezza nazionale. E abbiamo convenuto che rischi di ritardo tecnologico non ve ne sono e che il sistema italiano può essere modernizzato a costi contenuti anche senza la tecnologia cinese.

Senza dimenticare l’elemento dumping…

Molti dei nostri interlocutori in Commissione ci hanno riportato che alcune aziende cinese sono sovvenzionate dallo Stato, oltre al fatto che altrettante di fatto sono addirittura di proprietà statale e realizzando un dumping rispetto alle aziende di altri Paesi, perché possono vendere “sotto costo” spiazzando i concorrenti. Sul punto c’è anche la possibilità di rivolgersi all’autorità europea in materia, al fine di realizzare misure anti dumping sul piano commerciale ove fosse acclarato.

Importante il passaggio in cui si dice che ragioni di mercato, “che assumono un ruolo fondamentale in una economia aperta, non possono prevalere su quelle che attengono alla sicurezza nazionale, ove queste siano messe in pericolo”. La questione è stata sottovalutata fino ad oggi?

Il fatto stesso che sia stato migliorato l’impianto legislativo durante la visita del presidente cinese Xi in Italia ha rappresentato una diversa definizione del sistema, che ha portato il Paese a meglio definire il perimetro nazionale. Sotto la spinta di alcune forze politiche e le sollecitazioni di alcuni alleati internazionali il sistema italiano è stato notevolmente migliorato. Mi auguro che adesso nasca una maggiore consapevolezza della sicurezza nazionale, con l’auspicio che l’Italia sia non retroguardia, ma avanguardia di Europa ed Occidente, ergendosi a modello per gli altri Paesi.

*Francesco De Palo, Formiche.net

Farefuturo attore della strategia della destra

Punto di svolta della nuova veste meloniana (e anche del 10% in Umbria) è la fase di allargamento di FdI ad associazioni e realtà locali, in grado di drenare voti e ampliare il partito oltre lo zoccolo duro romano

Come nasce il 10% di Fratelli d’Italia in Umbria? Non solo dagli arrivi nella squadra di Giorgia Meloni di vari esponenti locali, da Forza Italia o dal centro. Ma è il frutto di una strategia ragionata per allargare un movimento che, agli inizi della sua fondazione, era nato chiuso in modo particolare sullo zoccolo duro romano e sul “mondo Fuan”. E che in virtù di quel grande mutamento genetico nel panorama della destra italiana che si chiama salvinismo ha avuto la necessità di decidere (tatarellianamente) cosa fare da grande, anche grazie agli spunti valoriali di esponenti come Guido Crosetto e l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata. Oggi lo scenario appare più armonico, soprattutto al sud e su temi sensibili come la cyber security, l’atlantismo e il dossier energetico.

LA DESTRA AI TEMPI DEL SOVRANISMO

La candidatura lo scorso inverno di un esponente di FdI in Abruzzo (dove già governa il Comune dell’Aquila), il senatore Marco Marsilio, è stato un esperimento, riuscito, di mescolare classe dirigente affiatata con una nuova fase nei territori: ed il risultato è giunto, per il partito di Giorgia Meloni, che adesso punta evidentemente alla casella di vice premier, nonostante in molti continuino a far circolare l’ipotesi di sua corsa per il Campidoglio. Ma l’ex ministra della Gioventù, dopo aver lavorato pancia a terra a una ridefinizione strategica del partito, ha messo nel mirino il governo nazionale. Il 10% raggiunto in Umbria (anche se risultato locale) si avvicina a quel 12% che fece “grande” Alleanza Nazionale dopo Fiuggi e oggi sta aprendo interrogativi, anche al di fuori dei confini nazionali, su come potrà delinearsi la politica della destra nell’era del sovranismo in alleanza/convivenza col leghismo.

LE STRATEGIE

La fase della alleanze, avviata un anno fa, ha visto le interlocuzioni con una serie di soggetti sui territori italiani: tutte finalizzate sì a ricomporre un mondo ma al contempo a riallacciare fili programmatici e umani con sacche di consenso. È il caso del Movimento Nazionale per la Sovranità dell’ex sottosegretario all’ambiente, il triestino Roberto Menia, che il prossimo 7 dicembre sancirà il passaggio ufficiale tra i meloniani dopo il patto federativo per le elezioni europee. Lo stimolo è quello di costruire un’alternativa di governo “che ridia dignità allo Stato”, con la nascita di uno schieramento di centrodestra radicalmente nuovo, “imperniato sulle idee sovraniste di difesa intransigente dell’interesse nazionale”. In questo schieramento “deve crescere la forza della componente più legata alla tradizione della destra italiana, all’idea di Unità nazionale e ai valori fondamentali del nostro popolo, una forza capace di difendere le ragioni del Sud quanto quelle del Nord” osserva Menia.

IL CASO DELLA PUGLIA

Altro caso quello del Movimento Politico Mediterraneo voluto da Pinuccio Tatarella in Puglia e guidato dall’ex senatore biscegliese Francesco Amoruso, in una regione dove pare proprio che FdI potrà esprimere il candidato governatore, visto che FdI ha dato l’ok alla Lega per la presidenza del Copasir a Raffaele Volpi (mentre a Forza Italia dovrebbero andare Calabria e Campania). Pochi giorni fa infatti alla Camera i consiglieri regionali pugliesi di Direzione Italia, la formazione politica lanciata qualche anno fa da Raffaele Fitto (attualmente co-presidente del gruppo europeo Ecr-FdI al Parlamento europeo), hanno formalizzato l’ingresso in FdI, alla presenza di Giorgia Meloni, dello stesso Fitto e di Amoruso. E per la corsa alla successione di Michele Emiliano circolano i nomi in area FdI proprio di Fitto ma anche del giornalista e intellettuale Marcello Veneziani.

LA POSTURA ESTERA

Ma quale postura avrà il nuovo corso di FdI su temi scottanti anche di politica estera, come Cina, dossier energetico, infrastrutture e atlantismo? Una interessante linea di intenti si ritrova nella ritrovata Fondazione Farefuturo, guidata dal senatore Adolfo Urso, attuale numero due del Copasir e già sottosegretario al commercio estero, che ha nuovamente ripreso le attività del think thank (sotto la direzione generale di Mario Ciampi) tarando report e meeting sui temi di stretta attualità internazionale come jihadismo, cyber sicurezza, immigrazione ed energia.

Proprio la cyber security è stata oggetto alcuni giorni fa di un intervento in Aula di Urso, che ha messo l’accento su una serie di elementi di merito, contribuendo a rendere chiara la sensibilità atlantista del partito sul tema. In occasione della discussione del decreto ad essa dedicato in Senato infatti Urso ha parlato di “quarta rivoluzione industriale mondiale, quella digitale, che potrebbe comportare il crollo dell’occidente e la prevalenza dell’oriente”.

In questo contesto “il prezzo che l’Italia rischia di pagare è troppo alto per non avere da parte del governo una risposta convinta e decisa a tutela della sicurezza nazionale: il provvedimento in esame, comunque importante, non basta se non vi è anche la piena consapevolezza della sfida in corso e della necessità di intervenire senza titubanze e con tempestività”.

*fonte “Formiche.net”