Enrico Sicilia

Governance pubblica su Autostrade e fibra ottica

“Autostrade e fibra ottica sono due asset strategici di interesse nazionale, peraltro recentemente inseriti proprio nel perimetro della “golden power”. Proprio per questo il governo deve vigilare su come sarà realizzata la partecipazione dei fondi esteri  garantendo comunque la governance pubblica delle società”: è quanto rileva in una interrogazione il sen. Adolfo Urso, di Fratelli d’Italia, vicepresidente del Copasir. “Ció riguarda sia il negoziato su Atlantia, laddove sembra profilarsi la presenza maggioritaria dei fondi «Blanckstone», americano, e «Macquarie», australiano, sia la realizzazione della Rete a fibra ottica in cui una parte significativa potrebbe averla ancora una volta Macquarie, il quale a sua volta intenderebbe far partecipare altri investitori stranieri nella compagine”. Il profilo del fondo australiano è peraltro tale da considerare la massima prudenza proprio perché ha fama di agire a fini meramente speculativi: sarebbe «famoso per garantire ottimi rendimenti ai suoi investitori ma non altrettanti servizi agli utenti», al punto da essere ribattezzato dagli australiani «la fabbrica dei milionari», e dagli inglesi «il canguro vampiro»;

Inoltre, dalle analisi e ricostruzioni giornalistiche sono emersi ulteriori elementi poco chiari in ordine alle «preziose consulenze» pagate a uno studio di ex politici ed ex amministratori pubblici, tra i quali proprio gli ex vertici dei soggetti in causa, che potrebbero far emergere conflitti d’interesse e comunque una contiguità o commistione di interessi pubblici e privati, sulla quale è opportuno adottare ogni possibile approccio prudenziale al fine di scongiurare ogni rischio di esposizione dei nostri asset pubblici strategici nazionali a possibili operazioni speculative;

Il senatore di Fratelli d’Italia chiede pertanto  “di sapere

a) se il Governo, in relazione al processo di costituzione della società della rete unica nazionale necessaria per l’accelerazione dello sviluppo digitale dell’Italia, e alla recente offerta avanzata dal fondo australiano Macquariea Enel, abbia svolto o ritenga di poter svolgere un’attenta valutazione in ordine alla qualità, sicurezza e provenienza degli investimenti in campo e alle finalità e continuità di gestione.

b) se il Governo abbia valutato le possibili conseguenze sulla governance di Autostrade della circostanza che i fondi esteri assumerebbero una partecipazione maggioritaria in Aspi, e in tal caso, come pensa di garantire il ruolo guida di Cassa Depositi e prestiti, gli investimenti in manutenzione e il costo per gli utenti, anche in relazione alle recenti osservazioni della Autorità di settore”;

c) quali indispensabili interventi ritenga di poter adottare al fine di garantire la messa in sicurezza degli assetstrategici dello sviluppo economico e infrastrutturale del nostro Paese, ponendoli al riparo da qualsivoglia operazione speculativa internazionale e preservando l’interesse nazionale”.

*Enrico Sicilia, collaboratore Charta minuta

Governo latitante sul conflitto in Corno d’Africa

Perché il governo italiano è rimasto del tutto assente a fronte del grave conflitto tra il governo etiope e il TPLF che domina in Tigray? Perché non ha nemmeno condannato il lancio di missili ad Asmara da parte delle milizie tigrine? Cosa ha fatto per aiutare i nostri connazionali in fuga da Makallè? Sono alcune delle domande poste dal sen. Adolfo Urso, di Fratelli d’Italia in una interrogazione nella quale, tra l’altro, si evidenzia che “sono passati oltre venti giorni da quando lo scontro politico e istituzionale tra il governo regionale del Tigray guidato dal Tigray People’s Liberatin Front (TPLF) e il governo nazionale guidato dal premier Abiy Ahmed è degenerato in un conflitto militare, che ha provocato già migliaia di vittime civili e oltre trentamila profughi nel vicino Sudan”.
Inoltre, “la sera del 14 novembre tre missili terra aria, lanciati dalle milizie del TPLF dal territorio del Tigray, hanno raggiunto la città di Asmara, capitale dell’Eritrea, con l’obiettivo dichiarato di colpirne l’aeroporto, come affermato dallo stesso Debretsion Gebremichael, leader della regione settentrionale etiope che guida la rivolta contro Addis Abeba”. Ora “l’esercito etiope sembra giunto a poche decine di chilometri da Makallè, capoluogo del Tigray, con il rischio di ulteriori vittime civili e di nuove ondate di profughi nel vicino Sudan”; tutti ciò mentre appare evidente la clamorosa assenza del nostro governo a fronte del “ruolo storico, culturale, economico e politico che Italia ha sempre avuto nella Regione” e delle “aspettative e speranze che quei popoli hanno sempre avuto nei confronti del nostro Paese”.
Urso,chiede, inoltre, di sapere, “quali informazioni il governo abbia avuto, sul piano diplomatico o dalla nostra intelligence, in merito a quanto stava per accadere in Etiopia e cosa abbia fatto in via preventiva per evitare che la situazione degenerasse in un conflitto armato”; ed, inoltre, “cosa il governo italiano abbia fatto nell’immediato degli eventi bellici per soccorrere gli italiani presenti a Makallè e nel Tigray, impegnati nelle loro attività produttive, che peraltro ora sono a rischio”.
Urso, infine, nel sollecitare “una immediata e significativa risposta alla richiesta di aiuti umanitari per evitare altre e più gravi tragedie”, sollecita interventi di alto livello bilaterali e multilaterali per fermare l’uso delle armi e una composizione pacifica del conflitto. “Vi è da chiederei, inoltre, se “dietro la sollevazione della classe dirigente tigrina e nello specifico del TPLF, partito espressione della etnia tigrina che aveva guidato il Paese sin dalla cacciata di Menghistu e che ora ritiene di essere stata estromesso dal potere dal nuovo corso di Abiy, possono esserci anche le mire di Paesi che si sono sentiti esclusi dal nuovo corso politico dell’Etiopia e quindi dal processo di pace che ne è seguito”.
L’interrogazione ricorda come ai primi di Novembre lo scontro politico e istituzionale tra il governo regionale del Tigray guidato dal Tigray People’s Liberatin Front (TPLF) e il governo nazionale guidato dal premier Abiy Ahmed è degenerato in un conflitto militare, che ha provocato già migliaia di vittime civili e oltre trentamila profughi nel vicino Sudan. La sera del 14 novembre tre missili terra aria, lanciati dalle milizie del TPLF dal territorio del Tigray, hanno raggiunto la città di Asmara, capitale dell’Eritrea, con l’obiettivo dichiarato di colpirne l’aeroporto, come affermato dallo stesso Debretsion Gebremichael, leader della regione settentrionale etiope che guida la rivolta contro Addis Abeba. Ora l’esercito etiope sembra giunto a poche decine di chilometri da Makallè, capoluogo del Tigray, con il rischio di ulteriori vittime civili e di nuove ondate di profughi nel vicino Sudan. Tutto nel silenzio assordante del governo italiano!
Si sono invece pronunciati altri governi europei mentre il 20 novembre l’Unione Africana ha nominato tre inviati per cercare di fermare le armi.
La cosa è particolarmente grave perché è noto a tutti quale sia il ruolo storico, culturale, economico e politico che Italia ha sempre avuto nella Regione e quale siano le aspettative e le speranze che quei popoli hanno sempre avuto nei confronti del nostro Paese.
Urso, pertanto, ha chiesto nella interrogazione:
quali informazioni il governo abbia avuto, sul piano diplomatico o dalla nostra intelligence, se e quando, in merito a quanto stava per accadere in Etiopia e cosa abbia fatto in via preventiva per evitare che la situazione degenerasse in un conflitto armato;
cosa il governo italiano abbia fatto nell’immediato degli eventi bellici per soccorrere gli italiani presenti a Makallè e nel Tigray, impegnati nelle loro attività produttive, che peraltro ora sono a rischio;
se risulta al vero che il governo non abbia espresso alcuna forma di condanna in merito ai missili lanciati dal territorio del Tigrai verso obiettivi civili in Eritrea, come invece fatto subito da altri Paesi Europei e dagli Stati Uniti; ove ciò corrispondesse al vero, quale sia il significato di questa assenza che rischia di far apparire il nostro Paese estraneo a quanto accade nel Corno d’Africa e comunque al destino del popolo eritreo proprio in una fase in cui occorre mostrare il massimo impegno per recuperare posizioni anche in riferimento alla nota grave vicenda dell’Istituto di cultura italiana ad Asmara;
se risulta al vero che non vi siano stati ancora contatti di alto livello tra il nostro governo e il governo etiope in merito a quanto di estremamente grave accade nell’area con immediate e pericolose ripercussioni in tutta la Regione; ove ciò fosse vero, se tale assenza non appaia incongrua rispetto al ruolo che l’Italia ha storicamente svolto in Etiopia e nella Regione e agli interessi strategici che ancora persistono, oltre alle giuste aspettative che i popoli e i governi di Etiopia, Eritrea e Somalia nutrono nei confronti del nostro Paese;
se risulta al vero che non vi siano stati contatti di alto livello con il governo di Somalia, paese che rischia di pagare il prezzo più alto ove l’esercito etiope dovesse ritirarsi lasciando campo libero al fondamentalismo islamico e nel contempo alla penetrazione turca, la cui egemonia contrasta apertamente, non solo in quell’area, con gli interessi nazionali italiani, oltre a favorire il radicalismo islamico; se ciò corrisponde al vero, quale il motivo di questo disimpegno che contrasta apertamente con quanto più volte affermato in sede parlamentare e nei consessi internazionali oltre che negli incontri bilaterali;
cosa il governo intenda fare in sede bilaterale e multilaterale in sostegno dell’Etiopia e degli altri Paesi della Regione per supportare la composizione pacifica dei contrasti, sopperire alla nuova crisi umanitaria che rischia di coinvolgere anche il Sudan, paese già stremato sul piano umanitario, e per dare nuovo impulso al processo di pace che proprio il premier etiope Abiy aveva attivato e a cui Eritrea e Somalia si erano subito associati, al fine di evitare che la sollevazione del TPLF, con le probabili interferenze esterne di altri Paesi, possano invece interrompere;
se non ritiene che dietro la sollevazione della classe dirigente tigrina e nello specifico del TPLF, partito espressione della etnia tigrina che aveva guidato il Paese sin dalla cacciata di Menghistu e che ora ritiene di essere stata estromesso dal potere dal nuovo corso di Abiy, possono esserci anche le mire di Paesi che si sono sentiti esclusi dal nuovo corso politico dell’Etiopia e quindi dal processo di pace che ne è seguito, con la risoluzione del pluridecennale conflitto tra Etiopia ed Eritrea e del conseguente sostegno alla stabilizzazione della Somalia.
Un vero atto d’accusa per la latitanza del governo che mette cosi a rischio anche gli interessi nazionali in un’area strategica!

*Enrico Sicilia, collaboratore Charta minuta