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Carmelo Cosentino

Presidente emerito del Cluster aerospaziale della Lombardia, già amministratore delegato di Asermacchi SpA e presidente di Superjet International

CONSOLIDARE LE FONDAMENTA DELLE NOSTRE IMPRESE, UNA NECESSITÀ NON RINVIABILE PER COMPETERE

Il nostro sistema imprese, lo sappiamo, è composto al 95% di #pmi, la maggior parte delle quali famigliari. Sono il vero scheletro del Sistema Paese che ha dimostrato resilienza ed elasticità anche nei momenti più difficili come il #covid_19.

Ora dobbiamo concentrarci su un obiettivo non più rinviabile, quello di consolidare e rafforzare queste realtà per proteggerle dai rischi di mercato e metterle in condizione di competere.

 

Riassumo i pericoli all’orizzonte:

– la guerra in Ucraina e i contesti geopolitici globali non sembrano mostrare segnali di rallentamento delle tensioni, anzi, si affaccia l’incognita Cina e le relazioni con Usa e Africa, nonche’ l’annoso nodo Taiwan;

 

– i tassi monetari sia #bce che #fed non vanno nella direzione di riduzione anzi ci troveremo nei prossimi mesi a un rischio di ulteriori aumenti;

 

– Covid19 ha ridisegnato le filiere mondiali di approvvigionamento con fenomeni come #reshoring e #deglobalizzazione che stanno interessando i principali Paesi Europei (e non solo);

 

– L’#inflazione non sembra arrestarsi spinta ancora dai costi degli approvvigionamenti di energia e gas e delle materie prime. In Europa assistiamo a un’inflazione da offerta e molte industries non sono riuscite ad adeguarsi al nuovo contesto di mercato;

 

– L’incognita Cina che si sta affacciando alla più grande crisi immobilare di tutti i tempi può impattare su molte economie UE, prima fra tutte quella Italiana. Il nostro Paese dovrà in autunno valutare se proseguire nell’ “Accordo della #viadellaseta”. L’Europa si trova di fronte alla necessità di affrancarsi dalla dipendenza di Russia e Cina che per anni hanno contraddistinto l’economia del Continente;

 

– Alcuni dei principali Paesi UE sono in recessione tecnica e prima fra questi la #germania che negli ultimi anni era stata l’economia “forte” e la locomotiva dell’UE: la sua dipendenza dalla Russia e la sua Industria che non è stata in grado di andare al passo con i tempi ed evolvere tecnologicamente hanno messo in crisi l’economia tedesca;

 

– in Italia siamo di fronte ad un’autunno caldo dove il Governo dovrà affrontare due importanti nodi. Quello della riforma fiscale che dovrà fare i conti con la revisione o cancellazione di molte tax expenditures (crediti imposta, deduzioni, agevolazioni fiscali etc…) e quindi con i rispettivi portatori di interessi. Quello della riforma della giustizia, vero nodo di svolta di questo Paese per attrarre investitori e dare certezza al mercato dei capitali.

 

– la carenza di manodopera e la necessità di riformare il mercato del lavoro, troppo congelato e irrigidito da anni di gestione del rapporto impresa-lavoratori come di due forze in competizione e non in collaborazione

 

Di fronte a questi allarmi il dato sulle imprese evidenzia 54 mila procedure tra crisi d’impresa e liquidazioni nel primo semestre 2023, um dato in incremento di quasi il 18 per cento.

Preoccupano in particolare i dati ABI sulla restituzione dei debiti. La gestione delle relazioni con le banche è diventata per le imprese cruciale ma anche l’attenzione politica dovrebbe orientarsi su questo focus ed in particolare su quelle operazioni definite “Forbone” cioè aventi ad oggetto una misura di tolleranza da parte dell’Istituto di Credito (come consolidamento del debito, moratoria, nuovi finanziamenti). Questo status rischia di riguardare sempre di più il sistema delle Imprese italiane e merita un intervento di supporto perchè è come trovarsi di fronte a un malato che è in bilico ma può essere ancora salvato.

Il sistema creditizio dovrà rispettare condizioni imposte dalla BCE e dai nuovi parametri Basilea: le normative bancarie sono sempre più stringenti e le banche sono obbligate a valutare meglio le imprese, i loro rating, e ad applicare logiche di pricing coerenti con il rischio e con i relativi accantonamenti a cui sono soggette nel momento della concessione del credito.

 

Proviamo a vedere quali soluzioni potrebbero essere messe in campo per supportare le nostre imprese:

 

  • il nostro Paese ha una chance unica. La sua posizione centrale nel Mediterraneo lo pone al centro delle nuove catene commerciali: dal mare passa il 90 per cento per volumi e il 70 per cento per fatturato dei traffici mondiali. E il “Mare Nostrum” intercetta oltre il 20 per cento di questi movimenti. Occorre quindi potenziare l’economia del mare, investendo sui nostri porti per attrarre navi sempre di maggiori dimensioni, potenziare i corridoi doganali europei, sostenere l’intermodalità e i collegamenti con i principali hub (come ad esempio il collegamento tra il porto di Genova e il corridoio verso Rotterdam che sarà definito con il Terzo Valico), investire nelle ZES perchè tutto il contesto del territorio cresca con la logistica

 

  • siamo il Paese della cultura, il popolo che è stato sempre conosciuto per il valore del capitale umano. Ripartiamo da qui, dalla formazione e dal rapporto scuola – lavoro. Ci sono oltre 975 mila posti vacanti in questo momento che non trovano addetti formati. E’ fondamentale investire sulle politiche attive anche sfruttando il fondo di Coesione inutilizzato dalle Regioni per il periodo 2022-2028 con miliardi di euro a disposizione. Abbiamo a disposizione molti giovani, i così detti Neet di cui si parla tanto e a cui va dedicato lo stimolo per esortarli e guidarli nel mondo del lavoro (la colpa non è solo loro ma anche della società).

 

  • il nostro export è rimasto con il segno più anche nel 2023 in linea con i record 2022, segno che il nostro Paese è riconosciuto in particolare nelle manifatture dove possiamo diventare il nuovo “fornitore dell’Europa” che dovrà affrancarsi sempre più dalla Cina. In questo senso la promozione del sistema Italia anche con il sostegno della nostra ECA (Export credit agency) Sace Spa e della nostra ITALIAN TRADE AGENCY (ex ICE) potranno spingere il Made in Italy nel Mondo

 

  • occorre rafforzare le nostre imprese in particolare finanziando la dimensione patrimoniale che indirettamente innesca il ciclo di crescita e di occupazione e al tempo stesso permette loro di essere “finanziabili” dal sistema creditizio e di competere nei tender internazionali anche in tema di garanzie.

In questa direzione possiamo supportare con garanzie di Stato gli investimenti in conto capitale delle nostre Imprese e dare vita a un Fondo Governativo (Made in Italy) per investire in minoranza nel capitale delle stesse sostenendo la crescita.

 

  • la supply chain assume un ruolo chiave e quindi anche il finanziamento della filiera diventa strategico per la crescita del sistema Paese. In Italia il mercato potenziale della supply chain finance vale circa 500 miliardi di euro di cui solo il 30% circa assistito da strumenti di finanziamento del capitale circolante. Abbiamo quindi a disposizione una manovra di circa 350 miliardi di euro che sta passando inosservata e che può costituire uno strumento efficace per le PMI di accesso al credito anche al di fuori del sistema bancario tradizionali (piattaforme Fintech, SPV, fondi rotativi). Le nostre imprese spesso hanno ordini e commesse ma non hanno le risorse e i flussi anticipati per finanziarle. Anche qui si evidenzia il ruolo delle garanzie pubbliche e del possibile Fondo Sovrano.

 

Il nostro Paese a dispetto di tutto e tutti ha continuato a crescere. Nel 2022 siamo la nazione con il più importante scostamento tra le previsioni del FMI e i risultati (su cui nessuno scommetteva). Nel 2023 dopo una crescita nel primo semestre abbiamo iniziato a rallentare ma senza lo spettro della recessione come avvenuto per altre super potenze. E’ il nostro momento, serve uno sforzo collettivo, non solo a livello politico ma di tutto il sistema Impresa-Lavoro. Insieme possiamo giocare una partita decisiva per il nostro futuro e riprendere la leadership a livello mondiale.  un

SPOILS SYSTEM, UNA RICCHEZZA PER IL PAESE

Si può dissentire da un maestro come lo stimato professore Sabino Cassese? Io mi permetto questa licenza e dissento sulle sue considerazioni in tema di spoils system.

Il ricorso allo spoils system non “tradisce merito e imparzialità”.

Al contrario, l’uso di questa pratica, nata negli Stati Uniti nella metà del diciannovesimo secolo, va nella direzione da lei pubblicamente auspicata di conferire maggiore stabilità ai governi.

In Italia 68 esecutivi nei 76 anni dalla costituzione della Repubblica hanno rappresentato  una delle principali debolezze nella considerazione che di noi hanno tutti gli altri players internazionali.

Ogni 13 mesi in media ogni nuovo ministro degli Esteri doveva presentare le sue credenziali alle cancellerie degli altri Paesi. Ogni 13 mesi un nuovo presidente del Consiglio doveva  presentarsi nei frequenti eventi internazionali iniziando da un “good morning I am…”, doveva riprendere le fila delle attività dei nostri servizi,  costruire un rapporto, diretto e per quanto possibile amicale, con i potenti della terra, e via di seguito.

Ma torniamo, professor Cassese, agli altri motivi della necessità da parte di ogni governo liberamente eletto di poter operare in linea con quello che gli elettori col proprio voto gli hanno chiesto di fare, sia pur nell’ovvio rispetto dei diritti  delle minoranze, garantito dall’impianto costituzionale.

Si fa ma non si dice, recitava una popolare canzonetta in voga negli anni trenta, ed infatti chi oggi sembra meravigliarsi, invocando quel politicamente corretto (espressione  ipocrita che faremmo bene a cancellare dal nostro vocabolario),   non ha mai esitato ad utilizzare, invocando ovvie competenze e professionalità. Ed infatti non è questo ciò di cui si parla, scegliere collaboratori incompetenti equivale sempre in un suicidio, quanto della condivisione dei criteri di fondo che sottintendono a qualunque azione che un esecutivo deve prendere.  Elemento irrinunciabile per qualunque governo è infatti la non ostilità preconcetta dei vertici delle organizzazioni che nel Paese contano a livello operativo e che in un sistema ordinato hanno il compito di mettere a terra le decisioni prese ad alto livello politico-istituzionale. Strutture ministeriali, banche, grandi aziende e gruppi industriali, specie se di elevato valore strategico, una certa stampa, che per sua natura tende  ad influenzare l’opinione pubblica, influencer e decision makers di vario tipo non possono essere trascurati, specie se la formazione di governo legittimamente eletta, come nel caso dell’Italia di oggi,  rappresenta una discontinuità con un lungo passato che inevitabilmente ha plasmato le figure apicali che aveva nominato. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la negazione delle libertà democratiche, ma al contrario le esalta, contribuendo allo sviluppo di una classe decisionale e manageriale anche alternativa e innovativa.

È una ricchezza del Paese.

QUANDO I NODI ARRIVANO AL PETTINE

Ischia, Soverato, Marmolada, Liguria, Stromboli, Barcellona pozzo di Gotto. Cos’hanno in comune queste località italiane? Nulla, se non quello di avere subito frane, smottamenti e calamità varie. Le accomuna forse allora un caso del destino? Una combinazione fortuita di eventi negativi? Direi proprio di no, visto che, a sentire i dati ufficiali, quasi il 94% del territorio nazionale è soggetto ad elevato rischio idrogeologico! Sì, vabbè ma perché tutto ciò sta accadendo proprio ora? Ora che, sfibrati da tre anni di pandemia, la crisi economica ci fa sentire più poveri, la guerra alle porte di casa ci minaccia, l’aumento delle materie prime turba i nostri sonni, la penuria degli approvvigionamenti energetici dall’estero rischia di farci passare un inverno al freddo, e l’inflazione comincia a mordere? Tutto questo accade contemporaneamente per uno caso beffardo de destino o si tratta di tragedie annunciate, curate con qualche rattoppo quando ci succedevano,  ma mai seriamente prevenute? Decenni di consociativismo politico fantasiosamente etichettati (DC,PSI, PC, PRI, PSDI, FI, PDL e infine persino quell’anarchismo politico chiamato cinque stelle) ci hanno illusi che dopotutto le cose andavano bene, anche senza pianificare, senza riformare, senza programmare il futuro. E il Bel Paese andava avanti così, con gli amati  Festival di Sanremo e i suoi Giri d’Italia. Basta che ce sta ‘o sole, basta che ce sta ‘o mare: cantavano gli italiani nei trenini che immancabilmente ballavano nelle notti capodanno. L’Italia andava avanti così, con le scarpe lucide e i calzini bucati, con i Rolex al polso e i cessi in casa sempre da riparare. L’Italia stava nel G5 sì, non tanto però per i reali meriti propri (che comunque c’erano), quanto per convenienze geostrategiche altrui. Ma i nodi prima o dopo arrivano al pettine!! E sembra proprio che adesso siano arrivati.

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente onorario ASE spa

COPASIR, CHI È COSTUI?

Una domanda che il contribuente italiano avrebbe potuto farsi, fino a sei mesi addietro.

Oggi, quello che era uno strumento (a stento) conosciuto soltanto negli ambienti parlamentari, è assurto invece agli onori della cronaca politica e non solo.

Bisogna dare atto agli attuali componenti del Comitato di aver riportato questo oscuro organismo interparlamentare alla sua nominale funzione di “Comitato per la Sicurezza della Repubblica. E non soltanto, come prima avveniva, con una funzione di visibilità e controllo del Parlamento sulle attività dell’intelligence nazionale, interno ed esterno. Per la verità i nostri costituzionalisti, affidandone, de iure o de facto, la guida ad un membro dell’opposizione politica, avevano individuato ab origine l’importanza che questo  strumento parlamentare  avrebbe dovuto avere per il nostro dettato democratico.

La sicurezza della Repubblica non è infatti qualcosa di cui dovrebbero occuparsi soltanto i nostri 007 che in giro per il mondo proteggono gli interessi attuali o potenziali del Paese o che contrastano attività illecite di potenze straniere nel nostro territorio.

È qualcosa che dovrebbe interessare tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, come avviene in Paesi che hanno un forte senso di identità nazionale. E per rendersene conto basta assistere ad alcuni talk show televisivi in Francia o nel Regno Unito dove viene spesso dibattuta la sicurezza dello Stato come tutela dell’interesse nazionale. Se consultiamo il sito web dell’Istituto Treccani: ” interesse nazionale è ciò che uno Stato non può evitare di perseguire senza creare un danno alla collettività”.

Da genuino liberale, orgogliosamente senza tessera di partito, con parole mie preferisco parlare di protezione dell’identità nazionale. E per far questo non possiamo evitare di toccare delicati aspetti di geopolitica, di sufficienza energetica, di sovranità nazionale, di difesa dei confini, di lingua e cultura storica del Paese, di fiscalità, di sicurezza cibernetica, di flussi migratori, persino di criminalità internazionale sempre più organizzata e minacciosa.

Insomma la tutela dell’interesse nazionale è un’attività che, come una passatoia, ha necessità di srotolarsi tra un presente che ci tocca da vicino, un passato che identifica il nostro Paese e un futuro che deve essere di umanità e tolleranza.

E allora non posso che plaudire a questo nuovo corso del COPASIR, che non esita a convocare in audizione Parlamentari e Sindacalisti, Alti Dirigenti e Amministratori Delegati, Autorità locali e nazionali, Ministri e Presidenti del Consiglio.

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente onorario ASE spa

MAGISTRATURA: L’INTERMINABILE RIFORMA

Financo Giobbe perderebbe la pazienza!

Mai riforma fu più auspicata dagli stakeholder nazionali e stranieri, più volte progettata dalla politica, richiesta a gran voce dalle autorità comunitarie, da sempre attesa dall’opinione pubblica e necessaria per il progresso del paese.

E mai ipotesi di riforma fu più osteggiata, contrastata, vituperata, persino derisa da tanti sapientoni interessati, forti del loro peso culturale e di una autoreferenziale superiorità morale!

Chi tocca i magistrati muore: questo  sembrava essere l’inconfessato motivo per cui la classe politica, che nelle piazze a sempre minacciato di voler riformare tutto, non è mai riuscita ad andare sino in fondo.

E può capirsi non soltanto da parte di chi proprio specchiato non lo è ma anche di chi ha consapevolezza dello strapotere di coloro che senza rispondere del proprio operato, hanno il potere di sbattere un incensurato nelle patrie galere perché “così avrà tutto il tempo per ricordare meglio”.

Per l’uomo qualunque  senza (quasi) macchia e senza(ingiustificata)  paura non è mai stato invece difficile immaginare che, volendo giocare una partita a scacchi contro l’immobilismo corporativo, si sarebbe potuto vincere in cinque o sei mosse.

E se non proprio vincere si poteva almeno riuscire a smuovere la palude melmosa dell’intoccabilità.

Vado alla rinfusa: la presunzione di innocenza, la separazione delle carriere con riporto dei PM  ai dicasteri della giustizia e/o dell’interno, una effettiva responsabilità civile e se necessario penale, immediata eliminazione delle scandalose porte girevoli, inclusione nel CSM a sorteggio (solo per gli aventi diritto), ragionevole limitazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, non appellabilita’ dei PM  dopo la vittoria dello Stato nel primo grado di giudizio.

Tutto qui? Sì tutto qui e stavolta siamo forse vicini a smuovere il carrozzone!

Qui non voglio fare delle liste di proscrizione tra coloro che si sono battuti pro o contro, né all’interno del campo politico né tantomeno (figuriamoci!) tra quello togato.

Mi limito soltanto a prendere atto che uno dei tre poteri dello Stato, quello Giudiziario, pretende di fare il mestiere di un altro, il Legislativo.

E a leggere sulla stampa notizie di mal di pancia e financo scioperi minacciati che mi pare confermino i sospetti del popolo incolto e malpensante.

Se la vulgata popolare di una magistratura schierata e corporativa e’ veramente priva di fondamento vorrei che qualcuno mi spiegasse come mai fior di leader di partito in uno con le associazioni dei magistrati stanno ancora impedendo che possa essere la dea bendata bendata a smantellare quelle velenose correnti denunciate da Palamara e Sallusti, e più in generale a far rientrare nei ranghi costituzionali chi ha sempre preteso di debordarne.

A pensar male si fa peccato?

Forse sì, però ricordiamoci delle parole di Andreotti !

 

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente onorario ASE spa

Cominciamo a riformare l’ONU

Lo avevamo intuito già all’indomani del fatidico 24 febbraio, inizio dell’aggressione russa in Ucraina.Ed oggi dopo aver vissuto, anche soltanto attraverso i media, questi ultimi 43 giorni di guerra ce ne convinciamo sempre di più.
Siamo ad un punto di svolta nella storia, un passaggio epocale.
Il mondo che sognavamo non c’è più, e forse non c’era nemmeno prima!
A questa conclusione siamo giunti applicando la conseguenza logica degli orrori del fronte, di una riprovazione internazionale mai vista, di gravi sanzioni che fanno male a chi le applica prima che a chi le subisce, dell’uso degli epiteti e aggettivi personali più infamanti, delle minacce durissime paventate da ambo le parti.
Tutto ciò porta ahimè ad una pratica irreversibilità della situazione, la certezza, più che il timore, che nulla sarà più come prima.

E se è vero che questo “prima” ha contribuito a portare il mondo sull’orlo del baratro di missili nucleari ormai a “sicure disinserite”, è anche vero che bisognerà assolutamente cambiare il sistema che dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale ha condizionato  il mondo.
Oggi ho finalmente concordato in pieno-e non mi succede spesso-con Zelensky quando ha affermato che chi siede nel consiglio di sicurezza dell’ONU non può macchiarsi di crimini contro l’umanità e quando ha chiesto a gran voce una nuova Norimberga: due temi a me cari.
Il primo sull’ONU, che io considero  la madre di tutte le ingiustizie.

Nonostante occorra dare atto al coraggio della diplomazia italiana che provò a riformarlo nella metà degli anni 90, ad opera del compianto Ambasciatore Francesco Paolo Fulci, senza che gli ex “five winners” abbiano mollato l’odiosa e ormai  anacronistica rendita di posizione imposta come fece Brenno con la sua spada.
Il secondo tema proviene dal non poter dimenticare le atrocità dei bombardamenti a tappeto con cui i sedicenti alleati hanno ucciso migliaia di inermi civili nostri connazionali (anche lì c’erano donne e bambini)  e raso al suolo le nostre città, patrimonio dell’umanità. Per non parlare poi delle bombe atomiche americane sganciate per provarne l’efficacia su centinaia di migliaia di giapponesi, ormai distrutti e pronti ad una resa incondizionata.

Gli enormi errori geostrategici commessi dal sistema “post war two” sono molteplici,impressionanti nelle loro conseguenze e meriterebbero il contributo di tutto un mondo realmente libero e svincolato dagli interessi di questa o quella parte. È questa la sola utopia che può salvarci dall’ auto annientamento? Non so, intanto cominciamo a rimettere in discussione l’ONU.

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente ASE spa

Meglio un vero presidenzialismo

Caro Direttore,

dopo l’indecoroso spettacolo a cui la classe politica italiana ci ha costretti e la grande lezione di civiltà, eleganza istituzionale e disponibilità al limite del sacrificio personale offerta dal Presidente Mattarella, il tema che si sta dibattendo su queste pagine scivola fatalmente sul come e perché si sia arrivati ad un tale scollamento di tanto diverse facce di una stessa Italia.

Senza voler qui affondare le mani nella storia, da fare eventualmente in altra sede, mi sembra che tutto nasca dall’azione dei nostri Padri Costituenti, che certamente con le migliori intenzioni, nel 1948 ci hanno dotati di una Costituzione repubblicana.  E così per evitare che si potessero formare autoritarismi di ogni sorta, hanno costruito, a futura memoria, l’ossatura di una democrazia, forse esteticamente bellissima, ma strutturalmente debole e inefficiente. Più di quanto non lo sia, per sua stessa natura, qualunque democrazia. Una struttura che in anni di generalizzata crescita mondiale ha consentito al Bel Paese di svilupparsi anche in mancanza di una vera alternanza politica, ma certamente non adatta a tempi in cui i nuovi assetti causati dalla globalizzazione, la velocità di nascita di nuove tecnologie, e l’insorgere di nuove opportunità e minacce, richiedono chiarezza di obbiettivi e rapidità decisionale.  Mi permetto quindi di inserirmi nell’interessante dibattito aperto da alcuni tuoi editoriali, con autorevoli interventi di Hamel, Sunseri, Woodrow, La Loggia ed altri per sostenere che non è la politica che va riformata bensì la Costituzione.

Con un sistema maggioritario puro, che gli italiani, spudoratamente poi gabbati dal Parlamento, avevano plebiscitariamente votato nel 1993, sarebbe la politica ad adattarsi di conseguenza. È così avrebbe fine il florilegio di partitini e gruppuscoli parlamentari che pur di ottenere un raggio di sole (e utilità di ogni tipo), non esitano ad accodarsi ad improbabili alleanze, scambiandosi giuramenti di amore eterno e tradimenti quotidiani. Bipartitismo secco, dunque, dove persino il doppio turno, con le furbizie degli italiani, sarebbe un compromesso, se possibile da evitare.

Qualcuno dovrebbe spiegarmi perché fior di Paesi democratici- e nostri alleati- come Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Spagna, debbano godere di quella reattività e prontezza oggi preclusa agli italiani. Sistemi parlamentari realmente bipartitici, con formazioni limpide e democratiche, capaci entrambe di governare per una intera legislatura, salvo affidarsi alla fine al giudizio degli elettori che eleggono direttamente a loro volta un Capo dello Stato con funzioni di supervisione e presidio costituzionale. E allora usciamo dalle furbizie e dalle ambiguità in cui ahimè siamo specialisti, avendo finalmente il coraggio di forzare i nostri rappresentanti verso un sistema bipartitico e andare su un semipresidenzialismo “de iure” e non soltanto “de facto” come oggi sta fatalmente avvenendo.

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente ASE spa

G20 E I NUOVI ASSETTI INTERNAZIONALI

Il G20 straordinario, voluto e presieduto dall’Italia, ha portato ad una decisione condivisa sul futuro dell’Afganistan.
Come risultato è stato conferito all’ONU uno specifico mandato operativo per implementare  “con tutti i mezzi necessari” le decisioni prese dai venti Paesi più importanti della terra.
Per la prima volta il Palazzo di Vetro non è più il luogo dove, anche se solo formalmente, si decide sui destini del mondo, ma diventa il braccio operativo delle decisioni dei Grandi della Terra, riuniti in un diverso ed evidentemente più autorevole consesso internazionale.

Vengono così “de facto” bypassati interminabili riti e procedure e con essi le complesse strutture ( Assemblea, Commissioni e Sottocommissioni, Consiglio di Sicurezza, Membri permanenti con diritto di veto,Segretariato Generale) che, dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale, avevano discusso dei destini del mondo. Riti consunti e strutture obsolete che da settant’anni erano oggetto di un perenne tentativo di revisione e aggiornamento, sempre impedito dai cosiddetti Grandi (4+1), fortemente determinati a non perdere rendite di posizione allora assegnatesi e diritti arrogatisi.
A nulla erano valse le considerazioni sulla crescente valenza di alcune economie, i cui pesi specifici venivano evidenziati dall’importanza dei vari G5, G7,G10, dove crescevano Germania, Giappone e Italia. A nulla avevano portato i morbidi e timidi tentativi  degli “esclusi”  di trovare nuovi schieramenti al passo coi tempi, come quello, pur pregevole, del “circolo del caffè”, ideato dall’ambasciatore Francesco Paolo  Fulci e perseguito negli anni novanta dalla diplomazia italiana.
Il mondo di oggi, che rinasce dopo la terribile pandemia, è partito al galoppo verso una direzione non precostituita ed ancora difficile da prevedere, dove stanno contando personalità e autorevolezza dei nuovi leader e in definitiva delle singole nazioni da essi guidate.

Non possiamo escludere colpi di coda di chi non intende perdere anacronistiche rendite di posizione, anzi aspettiamoceli, ma gli ultimi accadimenti macroeconomici e geopolitici, di cui questo G20 guidato dall’Italia, è solo l’ultimo e più eclatante episodio, sembrano indicarci che probabilmente siamo all’inizio di una trasformazione degli assetti mondiali.

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente ASE spa

Necessario intervenire subito sul DURC

Le problematiche degli assetti produttivi, e in particolare delle PMI, alla luce dell’emergenza nazionale covid sono tante. Affrontiamo quelle immediate, a cominciare dal DURC. Le piccole e medie imprese rappresentano nello scenario industriale nazionale una risorsa importante per l’economia del Paese e per la vita stessa della Grande Impresa.

Le recenti evoluzioni dello scenario politico nazionale e internazionale, la crisi economico finanziaria ancora in atto, unitamente all’emergere di capacità  produttive in paesi dove vigono condizioni normative e fiscali assolutamente diverse da quelle nazionali ed europee, pongono non pochi ostacoli ad uno sviluppo concreto del mondo delle PMI o addirittura ne minacciano la sopravvivenza. Gli ostacoli che storicamente nel nostro paese impediscono uno sviluppo armonico della piccola e media impresa ( e come visto,non solo) , sono ormai noti. Tra questi: eccesso di burocrazia, alta tassazione, lentezza della Giustizia civile, inefficienza della Pubblica Amministrazione, instabilità politica e assoluta mancanza di visione e strategie di lungo periodo.

Facciamo qualche esempio: una media impresa con un centinaio di dipendenti e un giro d’affari compreso fra i 10 e 15 milioni di euro l’anno tra IRES,IRAP, INAIL, IMU,TARI,INPS e IRPEF è costretta a pagare da 2,5 a 3 milioni di euro l’anno, equivalenti ad un 20, 25% del proprio fatturato. E ciò non considerando in questi valori le spese fisse di personale interno ed esterno ( consulenti) necessario per fare fronte a tali innumerevoli incombenze. A questo si includa ancora, nel settore dell’Aerospazio e Difesa, la necessità di personale fisso per garantire le stringenti certificazioni e controlli che le normative internazionali impongono, in maniera quasi indipendente dal giro d’affari.

Stanti l’attuale scenario e le connesse difficoltà di cassa, le aziende sono costrette ad effettuare tardivamente i pagamenti sopra detti, e così facendo incorrono in sanzioni ed interessi, che ovviamente non fanno che aggravare la situazione. Ma c’è di più, incorrendo in queste fattispecie, le aziende si vedono negare il DURC con la nefasta impossibilità di partecipare a gare pubbliche ( talvolta anche a gare bandite da grandi gruppi a partecipazione statale), e quindi alla possibilità di fatturare e incassare. Come si suo dire, piove sul bagnato!

Alla luce di tutto ciò si chiede con forza che lo Stato possa concedere dilazioni significative di almeno 6/12 mesi, e non i 10/20 giorni come avvenuto nella scorsa primavera, eliminando l’automatismo negativo su concessioni e rinnovi del DURC.

Se questi auspicati provvedimenti aiuterebbero la situazione di cassa delle aziende, nulla potrebbero influire sul Conto Economico delle aziende stesse, le quali com’è noto possono fallire per difetto cassa o di conto economico. Si chiede quindi di tramutare parte dei provvedimenti in contributi a fondo perduto, in modo da non aggravare l’indebitamento e i bilanci delle società.

Va inoltre rilevato che mentre le aziende, pur dovendo ricorrere al cosiddetto smart working, hanno dovuto garantire accettabili livelli di efficienza, non così sembra essere avvenuto in alcuni settori della Pubblica Amministrazione. Come effetto di ciò in alcuni Ministeri abbiamo visto aumentare i già troppo lunghi tempi di smaltimento delle pratiche burocratiche e purtroppo di pagamento alle imprese!

Come ultima notazione si accenna alla urgente necessità di ripristino e revisione della Legge 808/85, che da sola, in uno scenario internazionale di estrema competitività con imprese di paesi concorrenti che dispongono di analoghi strumenti, può consentire la sopravvivenza del comparto nazionale dell’Aerospazio e Difesa.

*Carmelo Cosentino, già presidente distretto aerospaziale lombardo