Non solo Ue/2. L’Europa (delle Nazioni) secondo De Gaulle

Se Margaret Thatcher può essere considerata l’alfiere di un sovranismo declinato in chiave liberale, Charles De Gaulle è senza dubbio il portavoce di un sovranismo avente come parola d’ordine la tutela degli Stati-nazione. Questa concezione ha portato molti analisti ad affibbiare al Generale l’etichetta di nemico dell’Europa, tanto da essere spesso descritto come una sorta di ostinato sabotatore, sempre pronto ad ostacolare gli uomini di buona volontà che lavoravano per l’integrazione europea. Al contrario, De Gaulle era un convinto europeista. Come Margaret Thatcher, rifiutava la creazione di strutture sovranazionali che nel tempo avrebbero portato all’approdo finale caro ai funzionalisti come Jean Monnet e Robert Schuman, ovvero ad un’Europa federalizzata. David Mitrany, storico rumeno naturalizzato britannico, fu il primo fautore del funzionalismo, secondo cui “la sovranità non può essere trasferita attraverso una formula, ma solo attraverso una funzione. Affidando ad un’Autorità un determinato compito, il quale porta con sé il comando sui poteri e sui mezzi necessari, una porzione di sovranità si trasferisce alla nuova Autorità, e l’accumulazione di tali trasferimenti parziali nel tempo provoca un trasferimento della stessa sovranità”. Se applicare il funzionalismo al settore industriale del carbone e dell’acciaio – e successivamente all’energia atomica – fu relativamente agevole, molto più complicato si rivelò in altre aree più strategiche e al momento della creazione dei primi embrioni istituzionali, mostrando tutti i limiti di questo approccio. La lungimirante visione gollista, invece, unisce nazionalismo e europeismo. Scevra da qualsivoglia aspirazione sovranazionale e federale – «Non ci può essere altra Europa che quella degli Stati, tutto il resto è mito, discorsi, sovrastrutture» – si fonda innanzitutto sul raggiungimento di una stabile cooperazione intergovernativa avente come perno gli Stati-nazione, come dimostrato dalla proposta francese formulata nel giugno del 1959 – di creare un segretariato politico europeo permanente.

Allargando la prospettiva, De Gaulle ambiva a superare gli equilibri geopolitici emersi dopo Yalta. L’Europa immaginata dal Generale è una terza forza che si colloca autonomamente sullo scacchiere internazionale tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica; non è un’Europa delle Comunità frutto dell’erosione della sovranità degli Stati e delle dannose utopie funzionaliste, bensì un’Europa delle Patrie che si estende dall’Atlantico agli Urali, in grado di muoversi in maniera indipendente dai blocchi atlantico e sovietico e di recitare un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali una volta venuto meno il mondo bipolare. Nell’ottica gollista, ça va sans dire, l’Europa è considerata uno strumento per esaltare il ruolo-guida della Francia: la grandeur, il primato della Nazione, la force de frappe assicurata dall’atomica, l’élan vital ovvero la filosofia dell’azione frutto dell’incontro con le opere di Bergson, sono le coordinate sulle quali l’uomo della Quinta Repubblica concepisce lo sviluppo politico della Francia e del Continente. Non deve sorprendere, dunque, il suo costante gioco di sponda – apparentemente contraddittorio – alla ricerca degli appigli diplomatici di volta in volta più funzionali alla causa. Si pensi, ad esempio, all’altalenante e talvolta burrascoso rapporto con la NATO: l’idea di un’Europa “indipendente” dalle grandi potenze nasce anche dal rifiuto, da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna – nonché dalla ferma opposizione dell’Italia – di creare una sorta di direttorio Parigi-Washington-Londra da porre alla guida della NATO. Inoltre, sebbene in dissenso con i trattati di Roma – già in vigore quando De Gaulle diventa presidente del Consiglio nel giugno del 1958 – i gollisti non mettono in discussione l’adesione alla Comunità Economica Europea e al mercato unico. Seppur timorosi che l’economia tedesca avrebbe finito col marginalizzare quella francese, erano altresì consapevoli dei benefici apportati alle campagne d’oltralpe dall’avvio della Politica agricola comune.

La summa della visione gollista dell’Europa è rintracciabile nel cosiddetto “Piano Fouchet”, dal nome dell’ambasciatore francese a Copenaghen nonché uomo di fiducia di De Gaulle. Il periodo, infatti, tra il 1961 e il 1962 è particolarmente intenso dal punto di vista diplomatico: si susseguono i vertici tra i capi di Stato e di governo e dei ministri degli Affari esteri delle Comunità per cercare un’intesa su di un maggiore grado di integrazione politico-istituzionale tra i Paesi dell’Europa occidentale. Nel luglio del 1961, i Sei istituirono una commissione, guidata proprio dal diplomatico francese, per raggiungere questo obiettivo. Il Piano Fouchet ipotizzava un’Unione fra Stati tipicamente confederale, «fondata sul rispetto delle personalità dei popoli e degli Stati membri, l’uguaglianza dei diritti e degli obblighi», nonché sulla solidarietà, la fiducia reciproca e il mutuo soccorso, che avrebbe dovuto cooperare in quattro settori: politica estera, difesa, cultura e diritti umani. Si prevedeva la creazione di tre organi istituzionali: 1) il Consiglio, ovvero l’organo decisionale composto dai capi di Stato e di governo da riunire con cadenza quadrimestrale, che delibera all’unanimità; 2) la Commissione, che assiste il Consiglio nelle preparazione e nell’esecuzione delle decisioni, ed è composta dagli alti funzionari per gli affari esteri di ogni Stato; 3) l’Assemblea parlamentare, che fornisce raccomandazioni e interpellanze al Consiglio sulle materie di cui si occupa l’Unione. Una clausola, inoltre, prevedeva la revisione del trattato dopo tre anni, al fine di unificare la politica estera dell’Unione e “inglobare” in un’unica organizzazione le altre Comunità.

Il Piano Fouchet – al quale ne seguì un secondo, ancora più riduttivo in termini istituzionali e dal quale veniva eliminato ogni riferimento alla NATO – non incontrò il favore degli altri interlocutori – in particolare di Belgio e Paesi Bassi – e venne abbandonato, portando all’impasse culminata nella famosa crisi della sedia vuota. Nonostante ciò, l’interpretazione gollista dell’idea di Europa merita di essere ripresa e attualizzata, soprattutto per ciò che concerne la riforma delle istituzioni europee.

*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuto