Lockdown, la falsa efficienza dell’autoritarismo Cinese

Il recente focolaio che ha coinvolto l’area urbana di Shangai in Cina, dovuto al diffondersi della nuova variante omicron 2 del coronavirus, ha riacceso ancora una volta i riflettori sulle modalità scelte da Pechino per contrastare la pandemia.

Le tradizionali misure di contenimento basate sul trittico: lockdown, test e tracciamento vengono impiegate in modo ortodosso dalle autorità cinesi e sin dalla loro prima applicazione a Wuhan si confermano come l’unico meccanismo di contrasto alle infezioni ritenuto in concreto praticabile. La strategia “Covid zero”, la cui efficacia con le varianti meno contagiose era fuori discussione, ha iniziato a mostrare delle criticità evidenti al crescere dell’indice di trasmissibilità del virus. Le conseguenze sul piano economico inoltre, hanno interessato sul piano geografico tutto il mondo con le frequenti interruzioni della supply chain, soprattutto per il blocco delle città portuali, più colpite dai focolai rispetto all’entroterra. È la Cina tuttavia a pagare da un punto di vista economico il prezzo più alto per una strategia che in occidente appare fuori discussione. Se l’ultimo trimestre del 2021 ha visto un rallentamento della crescita di Pechino, pari solo al 4%, è nel 2022 che Xi Jinping rischia di mancare gli obiettivi di crescita prefissati, che diversi analisti stimano inferiori al 5% su base annua complici anche la crisi energetica e il calo degli investimenti esteri innescato dalla recente stretta autoritaria figlia della “Teoria del benessere comune”.

L’iniziale inasprimento delle misure restrittive deciso sin dagli esordi della pandemia nel gennaio di due anni fa, aveva trovato in Europa e negli Stati Uniti uno stuolo di sostenitori, pronti a sottolineare l’apparente efficienza del governo cinese nel contrasto al Covid. Misure draconiane imposte sfruttando un’indole altrettanto decantata della popolazione ad obbedire alle Autorità. Per tutto il 2020 e buona parte dell’anno successivo non sono mancati nemmeno coloro che ne chiedevano l’adozione speculare in Occidente per bloccare sul nascere i focolai più insidiosi, soprattutto nelle grandi conurbazioni che si confermano il serbatoio perfetto per i contagi.

Oggi, dopo aver testimoniato la straordinaria efficacia dei vaccini ad mRNA, frutto di una indiscussa superiorità tecnologica nel settore farmaceutico e biomedicale, la pandemia appare sotto controllo sul piano sanitario ed economico. Inoltre l’arrivo in quantità sempre più consistenti dei farmaci antivirali e degli anticorpi monoclonali di nuova generazione, anch’essi sviluppati tra Stati Uniti ed Europa, consentono di programmare concretamente un ritorno alla normalità, che culminerà con l’abbattimento della mortalità da Covid19 a valori simili all’influenza (0,1%).

La Cina sembra non possa contare su nessuna delle armi disponibili nell’arsenale occidentale. I vaccini a virus attenuato prodotti da Pechino con la tecnologia “tradizionale”, non solo risultavano di gran lunga meno efficaci contro il ceppo originario, ma già con la variante delta offrivano una protezione inferiore a quella di Pfizer e Moderna contro la malattia grave e il ricovero. Il divario si è ulteriormente ampliato con omicron, contro la quale ci sono dubbi che persino la terza dose dei vaccini cinesi possa riportare la protezione a livello comparabili a quelli occidentali. Non è un caso che Pechino abbia avviato da tempo la sperimentazione di vaccini a mRNA sviluppati in casa, pur non disponendo degli impianti e del know-how della nostra industria farmaceutica. Non è un caso infatti che per la produzione su larga scala delle dosi necessarie siano stati sondati stabilimenti in Europa e Asia a cui la Cina dovrà rivolgersi per disporre, con un ritardo di due anni, di un farmaco comparabile ai prodotti di Pfizer e Moderna.

Anche sul fronte degli antivirali Pechino si trova a dipendere completamente dalle forniture occidentali, a cui si aggiungono ostacoli regolatori, che hanno ostacolato l’approvazione del paxlovid, giunta condizionata e solo a febbraio e di approvvigionamento. Questi ultimi sono destinati a diventare insormontabili qualora la Cina pensasse di usare i nuovi farmaci come leva per mitigare il decorso clinico e temperare il confinamento. L’arco temporale richiesto per soddisfare tutti gli ordini sarebbe senz’altro superiore ad un anno ed è difficile pensare che senza una produzione in loco, le importazioni possano soddisfare le richieste anche nell’ipotesi assai remota in cui fossero concessi alla Cina canali preferenziali per le forniture. A differenza dei vaccini, l’industria farmaceutica di Pechino non ha ancora sviluppato alternative credibili e di efficacia sovrapponibile a quelle di Pfizer e Merck e non sembra che questo accadrà nel breve e medio periodo.

Tuttavia è la fragilità intrinseca del sistema sanitario cinese a costituire il fattore rende i lockdown l’unica soluzione praticabile per contrastare la circolazione del virus. In un recente studio del Journal of critical care medicine i letti di terapia intensiva disponibili in Cina risultavano essere 3,6 ogni mille abitanti, un decimo di quelli Americani che hanno superato ormai i 30 e meno della metà di quelli di Singapore (11,4) e Hong Kong (7,1). Se il problema riguardasse le sole strutture sanitarie si potrebbe porre rimedio costruendo nuovi ospedali sul modello di Wuhan nel 2020, purtroppo però il deficit peggiore di Pechino riguarda il personale, assolutamente insufficiente per contenere un focolaio di medie dimensioni in una grande città. Il sistema sanitario è ormai da anni alle prese con il sovrappopolamento e con una popolazione di età avanzata a cui diventa difficile assicurare cure con uno standard occidentale in tempi ordinari, impossibile durante una pandemia. Le scene caotiche del gennaio 2020, con i medici e gli infermieri inviati in massa nell’Hubei dalle altre province per lo screening di tutta la popolazione si sono ripetute questi giorni a Shanghai e la propaganda non ha perso l’occasione di enfatizzare la durissima lotta contro un virus ormai contagioso quanto la varicella. Qualora il contenimento fallisse e le autorità dovessero far fronte ai ricoveri con la creazione di nuovi posti letto, la Cina rischia di assistere inerme a casi come il focolaio di Jilin, dove gli ospedali improvvisati, costruiti come a Wuhan in pochissimi giorni, contavano su appena 5 medici e 20 infermieri ogni 100 pazienti ricoverati in gravi condizioni.

Simili previsioni sono confermate dalla mortalità per Covid che ad Hong Kong si è assestata ben sopra i 25 decessi ogni 100mila abitanti, con numeri che in alcuni giorni hanno superato i 300 morti al giorno. È naturale che le autorità cinesi abbiano valutato con grande attenzione le conseguenze di una diffusione incontrollata del virus come nella ex colonia britannica, sulla carta dotata di strutture sanitarie all’avanguardia e sicuramente più organizzate di quelle della confinante Shenzen o di Shanghai. A novembre il CDC di Pechino aveva stimato in almeno 260 milioni i casi e in 3 milioni i morti di covid, qualora la Cina avesse adottato restrizioni di intensità simile a quella di Regno unito e Stati Uniti. Oggi con Omicron è facile dedurre che il bilancio sarebbe da ritoccare al rialzo, anche in considerazione della bassissima efficacia dei vaccini a tecnologia “tradizionale” che non proteggono dalla malattia grave senza terza dose.

La Cina si trova dunque ad un bivio, la stretta autoritaria e illiberale che ha trovato in occidente le lodi sincere di una nutrita pattuglia di cultori dell’efficienza è ormai inattuabile per contenere omicron. Da metà marzo, più di 70 città che rappresentano il 40% della produzione industriale cinese hanno dovuto implementare misure restrittive per controllare i focolai di Covid, destinati ad essere sempre più aggressivi e diffusi. Se Pechino non dovesse riuscire nella missione di coniugare salute e libertà economica, accettando di convivere con il virus, l’obiettivo di crescita del 5,5% sarà un miraggio almeno per i prossimi due anni. In caso contrario, Xi Jinping dovrà prepararsi ad un numero di morti considerevole, non solo di Covid ma anche di tutte le altre patologie che gli ospedali hanno difficoltà a curare durante le campagne di screening. Il bilanciamento tra stabilità interna e benessere economico sarà ancora una volta la chiave di volta per comprendere il margine di rischio del governo cinese che, in ogni caso, non potrà rinunciare ai prodotti dell’industria farmaceutica americana ed europea per vincere la sfida finale al virus. Toccherà all’occidente decidere se e a quali condizioni fornirli a Pechino.

*Giovanni Maria Chessa, Comitato scientifico Farefuturo

Reagan e il “Nuovo Mao”: libertà e comunismo a confronto

L’anno 2018, un anno di vigilia di quell’annus horribilis 2019 nel  quale la catastrofe della pandemia prima negata e poi censurata dalla Cina  Comunista ha devastato le economie e a salute globale, in quel 2018 il  trionfo del nuovo Mao veniva acclamato  quasi universalmente. Come era d’altra parte avvenuto nei media Americani ed europei di molti paesi nella Seconda metà degli anni Trenta per Adolf Hitler.

Nel 2018, la Rivista “Forbes”, nella annuale classifica dei 75 uomini più potenti del mondo, lo collocava al primo posto, davanti a Putin e a  Trump.

Il Corriere della Sera lo dichiarava, con decisione apparentemente unanime del suo comitato di Redazione, come uomo dell’anno, suscitando  una reazione indignata di numerosi firmatari della lettera al Direttore  Fontana che peraltro ribadiva la correttezza di tale decisione, ignaro di  quello che già accadeva in Xinjiang e in Tibet, nel Mar della Cina  Meridionale, e che si preannunciava a Hong Kong, nello stretto di Taiwan,  in Birmania e nelle operazioni di colonizzazione tentacolare, finanziaria,  economica e logistica, delle “Vie della Seta”.

Un lume di saggezza sembrava invece già nel marzo 2018, provenire dall’Economist che scriveva: “La Cina è passata dall’autocrazia alla dittatura”.

Questo è avvenuto quando Xi Jinping, l’uomo più potente del mondo, ha fatto sapere che avrebbe cambiato la costituzione della Cina così da poter governare a vita. Dopo Mao nessun leader cinese ha mai avuto così tanto potere.

Dopo il collasso dell’URSS, l’Occidente ha accolto il nuovo grande continente comunista nel suo ordine globale. I leader occidentali credevano che inserire la Cina in istituzioni quali il WTO avrebbe mantenuto le sue grandi potenzialità all’interno di un sistema di regole costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Speravano che l’integrazione economica avrebbe incoraggiato la Cina a evolvere verso l’economia di mercato e, il suo popolo avrebbe ottenuto maggiori libertà democratiche e diritti.

Per diversi decenni, sembrava che questo potesse accadere.

La Cina è diventata più ricca. Sotto la guida di Hu Jintao la scommessa dell’Occidente sembrava ripagata. E quando Xi Jinping prese il potere cinque anni fa si credeva ancora che la Cina si sarebbe mossa verso lo Stato di Diritto e l’adozione di una Costituzione che vi si ispirasse. Oggi questa illusione è scomparsa. Xi Jinping ha indirizzato la politica e l’economia verso un crescente autoritarismo, controllo e repressione delle libertà individualiIl Presidente ha usato il suo potere per riaffermare il dominio del partito comunista. Ha annientato i rivali. Ha creato nuove Forze Armate e riportato l’intero sistema di sicurezza, intelligence e Difesa sotto il suo diretto controllo.

La nuova leadership si è mostrata durissima nel reprimere ogni forma di dissidenza, creando una sorveglianza di Stato. La Legge sulla Sicurezza Nazionale ha fatto strage a Hong Kong di qualsiasi libertà che Pechino si  era impegnata a rispettare con l’Accordo Sino-Britannico ratificato anche  dalle Nazioni Unite.

Pechino pretende di applicare la Legge sulla Sicurezza Nazionale ovunque nel mondo, nei confronti di cittadini cinesi che non dimostrino “amore” per il Partito Comunista Cinese, e minaccia chiunque altro manifesti sostegno alla causa della Democrazia e della Libertà in Cina.

La Cina è diventata un nemico dichiarato della democrazia liberale.  Nell’autunno 2018 il Presidente Xi Jinping ha offerto una sua teorizzazione proponendo che i Paesi partners della Cina comprendano la saggezza cinese e l’approccio cinese alla soluzione dei problemi. Ancor prima, nel 2012, Xi Jinping precisava che la Cina non esporterà il suo modello. Ma da un paio di anni afferma il contrario. L’Occidente e l’America hanno nella Cina – sempre più – non solo un rivale economico, ma anche un antagonista ideologico e strategico.

La scommessa per l’integrazione dei mercati ha avuto successo per Pechino, assai meno per gli altri. La Cina è stata integrata nell’economia globale. È il primo esportatore al mondo, con più del 13% del totale. Ha creato una prosperità straordinaria per sé stessa. Tuttavia, la Cina non ha un’economia di mercato, e ne resta assai distante.

Controlla il commercio come arma del potere statale. Tutte le industrie strategiche dipendono dallo Stato e così – in base alla legge – anche tutte quelle private, e non soltanto quelle ritenute strategiche. Il piano Made in China 2025 punta a creare leader mondiali in dieci industrie, tra le quali l’aviazione, la tecnologia e l’energia, che coprono quasi il 40% del tessuto manifatturiero.

La Cina viola abitualmente il sistema di regole esistente nella società internazionale, ma sembra anche progettare un sistema parallelo “revisionista”, autonomo e alternativo. L’iniziativa Belt and Road, che prometteva di investire $1tn in mercati esteri è uno schema per sviluppare il Nord della Cina e per creare una rete di spionaggio industriale, di collegamenti strettissimi tra imprese ICT e altre a elevata tecnologia: per imporre così una totale capacità di controllo del vertice del PCC in tutto ciò che avviene. Il Governo cinese alimenta analoghi legami con decine di migliaia di ricercatori e studenti all’estero.

Sono ormai migliaia i casi di spionaggio sui quali l’FBI sta indagando, attribuiti a ricercatori cinesi negli Stati Uniti.

La Cina usa il commercio per affrontare i suoi rivali. Cerca di punire le imprese direttamente, come la Mercedes-Benz tedesca, che fu obbligata a chiedere scusa dopo aver citato il Dalai Lama online. Li punisce anche per il comportamento dei loro Governi. Quando le Filippine contestarono la rivendicazione cinese della Scarborough Shoal nel mare cinese del Sud, la Cina subito fermò il commercio di banane, per “problemi di sicurezza sanitaria”.

L’Occidente ha bisogno di ridisegnare i confini della politica verso la Cina. Cina e Occidente devono imparare a vivere con le loro differenze.

Più a lungo l’Occidente sarà accomodante nei confronti degli abusi della Cina, più sarà pericoloso affrontarli in futuro. di fare luce sui collegamenti tra fondazioni indipendenti, e Stato cinese.

Una sintesi delle difficoltà e delle minacce poste dalla Cina di Xi  Jinping veniva tracciata, durante la campagna presidenziale  americana, dal Senatore Elizabeth Warren, che sottolineava in Foreign  Affairs: … in tutto il mondo la democrazia liberale è sotto assedio. I Governi autoritari acquistano potere. I movimenti politici fautori del pluralismo sono sotto scacco. Le disuguaglianze crescono trasformando il Governo del popolo in governo delle élite più ricche. Il fenomeno parte innanzitutto dall’America che è stata, negli ultimi 70 anni, il paladino delle libertà democratiche, dello stato di diritto e della democrazia liberale.

Dall’inizio degli anni 2000, con il consolidarsi della globalizzazione e l’estrema finanziarizzazione dell’economia, Washington ha virato in direzione di politiche che, invece di andare a vantaggio di tutti, sono andate ad esclusivo vantaggio di un ristretto vertice di élite. Il divario fra l’1% dei detentori della ricchezza in ognuno dei Paesi OCSE e il 99% della popolazione è fortemente cresciuto nel corso degli ultimi 20 anni ed ha avuto un ulteriore impressionante accelerazione negli ultimi 10, mentre la crisi finanziaria e la recessione economica facevano perdere milioni di posti di lavoro con una crescita intollerabile di poveri e di emarginati dalla società. E’ questo il particolare brand di capitalismo sul quale sono parse concentrarsi le ultime amministrazioni repubblicane, riducendo le regolamentazioni, abbassando le tasse soprattutto sui ricchi, favorendo le società multinazionali.

L’emergere della Cina come potenza assertiva e neo-imperiale – sottolineava ancora Elizabeth Warren – è avvenuto in un contesto nel quale la superiorità militare degli Stati Uniti è rimasta certamente indiscussa sul piano regionale e globale.

Essa è stata tuttavia erosa dai successi considerevoli di Russia e Cina nell’ammodernamento e potenziamento delle rispettive forze militari e dei formidabili progressi tecnologici di queste due potenze nella “quinta dimensione” della sicurezza: il dominio cyber.

Credo che il Direttore Sangiuliano abbia avuto una grande intuizione nel dedicare i suoi due ultimi importanti lavori a due protagonisti di mondi ideologicamente contrapposti, il mondo della dittatura comunista da un lato, e il mondo della democrazia liberale dall’altro.

Sono entrambe storie di assoluta attualità, perché esprimono ancora oggi come quarant’anni fa una profonda diversità di impostazione sui valori fondamentali della dignità della persona, della libertà individuale e collettiva, della rappresentatività del popolo, del rispetto del pluralismo, dei diritti delle minoranze e delle diversità.

Vi sono alcune singolari coincidenze cronologiche nei due libri che, nel segnare l’iniziare ascesa di Xi Jinping e la fase trionfale della Presidenza Reagan, si presterebbero certamente a un esercizio storico – letterario come quello di Plutarco nelle “Vite Parallele” (Βίοι Παράλληλοι).

Tali coincidenze riguardano gli anni del secondo mandato del  Presidente Reagan, dal vertice di Ginevra con Michail Gorbaciov e al  suo discorso del 12 giugno 1987 a Berlino (“Signor Gorbaciov abbatta questo  muro”), e le vicende che riguardano in quegli stessi anni le ritrovate fortune politiche  del padre di Xi Jinping, Xi Zhongxun e  proprio nel 1987 -quando Reagan provocava una reazione di Gorbachev a Berlino- lo scoppio del caso Hu Yaobang, Segretario del  Partito Cinese al quale Xi Zhongxun era legato quale esponente delle  posizioni più liberali in materia economica e riformiste anche sul piano  politico.

Il confronto viene perfettamente descritto nel libro “Il nuovo Mao” ; un confronto che infiammava la politica cinese degli anni ’80: una contrapposizione, cioè, tra quanto ritenevano che le  riforme economiche dovessero rimanere solo tali, e quanti le vedevano invece come il preludio alla  formazione di un ceto medio e quindi a improcrastinabili riforme politiche.

Hu Yaobang si era spinto ad affermare che il Marxismo non era immune da errori e alcuni aspetti della vita in Occidente erano da apprezzare. Erano gli anni in cui gli studenti scendevano in piazza nelle grandi città per rivendicare quelle riforme. L’epilogo sarà Piazza Tienanmen.

Xi Jinping nell’86 aveva 33 anni ed era saldamente ancorato al sostegno del generale Geng Biao amico da sempre del padre. Con le sue scelte di carriera all’interno del partito e la stretta ortodossia ideologica al marxismo maoista abbracciata da Xi Jinping per quanto riguardava il ruolo assoluto del partito unico nella politica, Xi  Jinping iniziava quel percorso che avrebbe incardinato sempre più la Cina Comunista in una traiettoria nettamente antagonista e nemica della democrazia liberale , costantemente affermata da Ronald Reagan.

*Giulio Terzi di Sant’Agata, ambasciatore, già ministro degli Affari esteri

 

 

È IN GIOCO LA SICUREZZA NAZIONALE

Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciammo noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Giulio Terzi di Sant’Agata

 

I) Le indicazioni fornite dalla “Relazione sulla Politica dell’Informazione per la Sicurezza – 2018”

Una seria valutazione della minaccia che grava sulla nostra sovranità nazionale nel caso specifico del processo di avvicinamento della Cina al quale la visita di Stato del Presidente Xi Jinping intende imprimere un decisivo impulso anche attraverso il Memorandum of Understanding e l’adesione italiana alla “Via della Seta”, deve muovere, io credo, da una attenta rilettura della Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza recentemente resa pubblica dai nostri servizi di intelligence. In particolare, vorrei rilevare come alcune osservazioni alle pagine 61, 62, 63, nonché alcuni riferimenti nel documento allegato, riguardino specificamente la Cina, tracciando un identikit senza nome ma con una chiarissima profilatura complessiva, che fornisce la proporzione esatta del problema che abbiamo dinanzi. Il Rapporto della nostra Intelligence dice quanto segue: – Le iniziative attuate dal Governo nel corso dell’anno, intese ad attrarre in Italia partner economici con una prospettiva di lungo periodo, sono valse a ribadire la valenza strategica, per il Sistema Paese, dell’afflusso di capitali stranieri in grado di concorrere allo sviluppo delle imprese italiane, sia finanziando programmi di ricerca e innovazione volti a mantenere adeguati livelli di competitività, sia favorendo l’accesso a know-how industriale e a nuovi mercati di sbocco. – L’attività intelligence ha risposto all’esigenza di cogliere i rischi legati all’ingresso nel tessuto economico nazionale di soggetti, capitali e prodotti stranieri, quello di “decifrare” eventuali proiezioni estere in contrasto con l’interesse nazionale, perché rispondenti a finalità extraeconomiche o in quanto volte a depredare le imprese-target, specie di tecnologie o marchi.

– L’azione informativa è stata diretta in primo luogo al comparto della difesa e dell’aerospazio, con particolare attenzione alla tutela del know-how e dell’integrità delle filiere.

– Pari attenzione è stata rivolta agli altri settori strategici cui fanno capo le attività di base indispensabili per garantire i servizi vitali e il benessere della collettività: telecomunicazioni e relative reti, terrestri e mobili, anche con l’obiettivo di preservare l’integrità e la sovranità dei dati; trasporti, specie per quel che attiene alle dinamiche proprietarie dei vettori e degli operatori infrastrutturali; energia, con riferimento sia alle implicazioni sul piano industriale delle operazioni di merger and acquisition, sia alla salvaguardia delle infrastrutture.

– Ha incluso nel perimetro di tutela: dalle infrastrutture di immagazzinamento e gestione dati a quelle finanziarie, dall’intelligenza artificiale alla robotica, dai semiconduttori alla sicurezza in rete in analogia con i meccanismi di tutela adottati da alcuni importanti partner occidentali.

– La ricerca informativa si è in particolare appuntata sui soggetti espressione di un controllo pubblico, diretto o indiretto, che per loro stessa natura rappresentano non di rado i vettori per perseguire finalità extraeconomiche. Nella medesima ottica di protezione, si è guardato ad operatori caratterizzati da opacità sia nella governance sia nelle strategie di investimento.

– Quanto alle modalità di azione degli attori ostili o controindicati, il monitoraggio intelligence ha rilevato iniziative tese a esfiltrare tecnologia e know-how (anche attraverso l’acquisizione di singoli rami d’azienda) o a conquistare nicchie di mercato pregiate, facendo emergere, in qualche caso, la tendenza alla strutturazione di manovre complesse finalizzate a guadagnare posizioni di influenza in segmenti del sistema economicofinanziario nazionale, ovvero a conquistare peso monopolistico in specifici settori di attività.

– Evidenze informative hanno fatto stato, poi, dei tentativi di operatori esteri di alterare il quadro competitivo attraverso il sistematico storno di capitale umano ad alta specializzazione in forza a imprese nazionali, la studiata marginalizzazione del management italiano (anche nell’ambito di partnership e joint venture) e il ricorso ad azioni di influenza esercitate attraverso consulenti e manager “fidelizzati”.

– L’attività a protezione del know-how tecnologico e innovativo delle imprese italiane ne ha registrato la persistente esposizione ad iniziative di spionaggio industriale, specie con modalità cyber agevolate dalla digitalizzazione pressoché integrale dei processi produttivi e più pervasive nei confronti delle piccole e medie imprese, come si dirà nell’allegato Documento di Sicurezza Nazionale.

– La filiera marittimo-logistica ed i suoi nodi critici – rappresentati da porti, aree retroportuali e punti intermodali che connettono economie locali e sistemi produttivi – in un’ottica intesa a rilevare vulnerabilità di sicurezza in grado di condizionarne funzionamento e sviluppo.

– Dal monitoraggio delle Tecniche, Tattiche e Procedure (TTP) utilizzate è emerso un accresciuto livello di complessità e sofisticatezza delle azioni, l’uso combinato di strumenti offensivi sviluppati ad hoc con quelli presenti nei sistemi target impiegati in modo ostile, nonché il “riuso” di oggetti malevoli (malware) allo scopo di ricondurne la matrice ad altri attori (cd. operazioni false flag).

– In tale contesto, lo sforzo più significativo posto in essere dal Comparto ha riguardato il contrasto di campagne di spionaggio digitale, gran parte delle quali verosimilmente riconducibili a gruppi ostili strutturati, contigui ad apparati governativi o che da questi ultimi hanno ricevuto linee di indirizzo strategico e supporto finanziario.

– Quanto alle finalità perseguite, gli attacchi hanno mirato, da un lato, a sottrarre informazioni relative ai principali dossier di sicurezza internazionale, e, dall’altro, a danneggiare i sistemi informatici di operatori, anche nazionali, attivi nello Oil&Gas, nonché quelli di esponenti del mondo accademico italiano, nell’ambito di una campagna globale mirante a profilare settori d’eccellenza di università e centri di ricerca.

– Sul fronte delle infrastrutture di attacco, i gruppi responsabili di azioni di cyber-espionage hanno proseguito nell’impiego di servizi IT commerciali (domini web, servizi di hosting, etc.), forniti da provider localizzati in diverse regioni geografiche, anche per rendere difficoltoso il processo di individuazione. Qui, l’attaccante ha colpito le infrastrutture tecnologiche degli obiettivi finali tramite la violazione preventiva di quelle dei fornitori, abusando sovente anche delle relazioni di fiducia connesse al rapporto contrattuale.

II) Le indicazioni contenute nel Rapporto IISS- Merics

La Dr.ssa Helena Legarda ha approfondito come nella sua ricerca di diventare una “superpotenza nella scienza e nella tecnologia” e nell’obiettivo di acquisire la capacità militare dominante, la Cina abbia intrapreso da tempo, e ulteriormente accelerato negli ultimi anni, un percorso per conseguire una completa integrazione civile-militare, e sviluppare tecnologie a doppio impiego “Dual – use”. Per l’Europa, l’incentivo ad essere competitiva e a tenere il passo con i rapidissimi progressi tecnologici della Cina, risiede nella capacità di proteggere i propri settori innovativi. Si tratta di esigenze imperative che riguardano allo stesso tempo l’ambito militare, commerciale ed economico.

 

III)      “Belt and Road Initiative” (BRI) e “Via della Seta

I risultati conseguiti dal Presidente Xi Jinping sul piano interno nel consolidare il sistema di potere guidato dal Partito Comunista Cinese. Un potere sempre più accentrato nella figura di un Presidente ormai svincolato da termini di mandato e, apparentemente, da qualsiasi apprezzabile forma di opposizione interna.  La trasformazione “neo imperiale” della potenza cinese avvenuta in questo decennio muta radicalmente i presupposti sui quali si erano basate le politiche Americane ed Europee dall’inizio della particolarmente sensibili nell’affermare lo Stato di Diritto e i principi della democrazia liberale nel mondo – come scritto nei Trattati europei – ripetere come verità rivelata che BRI e Via della Seta costituiscono “il Piano Marshall” di questo primo secolo del millennio, riprendendo pedissequamente gli argomenti e la propaganda di Pechino. Ciò dovrebbe preoccupare quanti dovrebbero essere sensibili alla contrapposizione valoriale, in termini di libertà e di dignità della persona, tra l’impostazione sostenuta alla fine del secondo conflitto mondiale, dal Segretario di Stato Marshall, e il “pensiero unico” affermato da Xi Jinping e dalla sua classe dirigente. Questa tendenza non è purtroppo nuova nel mondo politico e imprenditoriale italiano. C’è troppo spesso l’ansia di dimostrare di “essere i primi” nel cogliere facili opportunità in mercati estremamente complessi, e in Paesi dove regole del mercato, rispetto degli investitori stranieri, parità di trattamento e reciprocità passano sempre dopo, molto dopo, le priorità di un interesse nazionale interpretato in chiave marcatamente ideologica, nazionalista e persino “militarista”. Non dovrebbe l’Italia, con la necessità assolutamente vitale di tutelare il “Made in Italy” nelle imprese strategiche oltre che nei beni di consumo e nei servizi, dimostrarsi ben più sensibile al proprio interesse nazionale e alla esigenza di una oggettiva valutazione della “questione Cinese”? Si tratta di una narrativa sulla quale influiscono enormi interessi economici, pubblici e privati, di sicurezza, di influenza, di visione geopolitica, di tutela delle libertà, di privacy e sicurezza nella “rete”, di attaccamento a valori fondamentali – Stato di Diritto, libertà politiche e diritti umani – che ogni Europeo dovrebbe sentirsi ad ogni costo impegnato ad affermare. Ciò dovrebbe in particolare valere ai “tavoli” delle trattative multilaterali dove Governi e Istituzioni Europee decidono regole, comportamenti e composizioni di interessi nazionali su questioni di vitale importanza per i loro popoli. Molti commentatori occidentali hanno rilevato la notevole opacità, probabilmente voluta, della strategia di Pechino. Se “road” sembra riferirsi essenzialmente a vie d’acqua, e “cintura” a infrastrutture tra Cina e Europa che colleghino ferrovie, strade, telecomunicazioni – importantissima nel progetto cinese la dimensione Cyber – sono certamente molti i Paesi e Governi asiatici, mediorientali e africani, e non pochi i politici e gli imprenditori europei, ansiosi di accogliere finanziamenti cinesi “senza condizioni”: negoziati con Presidenza Clinton. Lo sviluppo prodigioso dell’economia cinese, i successi registrati – sia pure con le carte spesso truccate della sottrazione illegale dei dati ad aziende e ricercatori occidentali – in campo scientifico e tecnologico (intelligenza artificiale, quantum computing, spazio e armi di ultimissima generazione) è stata indotta e sostenuta da una globalizzazione con vantaggi pesantemente unidirezionali per la Cina.  Ciononostante sembra prevalere nel dibattito che si sta sviluppando nel nostro Paese sui grandi temi della BRI, della Via della Seta e in generale sul rapporto tra Europa e Cina una tendenza all’accoglienza entusiastica e incondizionata alle tesi di Pechino che magnificano i grandi vantaggi dei finanziamenti cinesi, la visione di una globalizzazione guidata Pechino, e persino la “superiorità” del modello sociale, politico e dell’ideologia cinese rispetto allo Stato di Diritto occidentale. Abbiamo persino ascoltato in alcuni dibattiti dello scorso agosto personalità politiche di grande esperienza di Governo e nelle Istituzioni Europee, che dovrebbero quindi essere metodi e interlocutori spesso assai disinvolti sotto il profilo della lotta alla corruzione, delle garanzie di sicurezza sociale e dei diritti dei lavoratori. Le considerazioni di natura economica, pur problematiche sotto diversi profili, assumono colori ancor più inquietanti ove si consideri invece che il disegno di Pechino fa parte di un progetto geopolitico per il “nuovo ordine mondiale” nel quale la Cina intenda assumere il ruolo di Superpotenza dominante. Un progetto che viene da lontano. Ma che assume ora una sua marcata assertività in dichiarazioni, documenti, iniziative diplomatiche e militari, oltre che commerciali e finanziarie, della Cina di Xi Jinping. Questa ultima ipotesi diventa ancor più realistica a causa dell’opacità del gigantesco impegno finanziario ostentato da Pechino in una quantità di occasioni. Qual é il “blueprint” della BRI e della Via della Seta, ci si chiede in Occidente e in molti Paesi interessati dell’Asia, dell’Africa e de Medio Oriente? Quali sono i motivi dei continui ampliamenti che Pechino propone ai suoi orizzonti, dall’iniziale contesto Eurasiatico e Africano (“Vie della Seta” terrestri e marittime) a quelli della “Via della Seta nel Pacifico”, della “Via della Seta sul ghiaccio” nell’Artico, e ora della “Via della Seta digitale” attraverso lo spazio cyber?   Le preoccupazioni aumentano quando si constata che la BRI si lega a un ormai definito “culto della personalità” di Xi. La stampa cinese ha ribattezzato l’iniziativa “cammino di Xi Jinping”. Si sollecitano apprezzamenti dei Governi stranieri, così da farli rimbalzare nella martellante propaganda interna. Un’analisi delle strategie e intenzioni di Pechino deve anzitutto riguardare i rapporti con i Paesi vicini. Gran parte dell’Asia deve ora riconoscere che il gigante cinese non può essere visto soltanto come un partner commerciale. Con la ricchezza e il successo si è diffusa la capacità di attrazione del modello cinese. Ciononostante sono numerose le riserve e non di rado le nette opposizioni a seguire i “desiderata” di Pechino: perfino da parte di Paesi  come Myanmar, considerati per decenni sottomessi politicamente e economicamente alla Cina. I valori aggregati di cui si continua a parlare per BRI e “Vie della Seta” sono certo imponenti ma non ancora tali da comportare un “dominio finanziario globale”.  Le preoccupazioni più immediate riguardano i condizionamenti che il Governo e gli enti statali cinesi sono perfettamente in grado di esercitare in Europa, e in Italia in particolare, ogni volta che Pechino intenda acquisire aziende di valore strategico per i nostri Paesi e per il “Made in Italy”: sempre a condizioni estremamente svantaggiose per il “sistema Italia”, sia sotto il profilo economico, sia per quanto riguarda la tutela dei dati informatici, la protezione delle tecnologie, e l’assenza di qualsiasi condizione di reciprocità. Se il quadro descrive quanto avvenuto nell’ultimo decennio in Occidente, senza che le più importanti economie del mondo si ponessero seriamente l’obiettivo di instaurare con Pechino regole del gioco eque, rispettose della legalità e degli accordi sottoscritti, se interessi pubblici e privati legati a convenienze del giorno per giorno hanno fatto sì che si sia lasciata a Pechino la mano completamente libera nello sfruttare i “mercati aperti” che lobbies e gruppi di potere in America e in Europa mettevano ben volentieri a loro disposizione, ben possiamo immaginare quanto sia avvenuto, stia avvenendo e ancora avverrà nelle economie più deboli del pianeta, governate in molti casi da autocrati o presidenti a vita, sorretti da ristrettissime “elites” locali, operanti di fatto al di fuori di qualsiasi controllo popolare, di trasparente informazione, e di legalità sanzionata. Nei mesi scorsi un think tank particolarmente autorevole nelle questioni dello Sviluppo Sostenibile – il “Centre for Global Development”- ha pubblicato una ricerca su otto paesi che sono ad alto rischio di “collasso finanziario” a causa dell’indebitamento contratto da quei Governi nella “Belt and Road Initiative” (BRI). Si tratta di Laos, Kyrgyzstan, Maldive, Montenegro, Gibuti, Tajikistan, Mongolia, Pakistan. In meno di due anni, la percentuale debito/ PIL è passata per effetto dei progetti cinesi BRI, rispettivamente (a cominciare dal Laos) da circa 50% al 70%; dal 23% al 74%; dal 39% al 75%; dal 10% al 42%; dall’80% al 95%; dal 55% all’80%; dal 40% al 58%; dal 12% al 48%. In Montenegro l’autostrada finanziata da Pechino configura il solito “patto leonino”, dato che l’ammontare del debito corrisponde a un quarto dell’intero PIL del paese; la ferrovia in Laos, alla metà del PIL annuo. Si è stimato che nel solo quadriennio 2000-2014 il Governo Cinese abbia finanziato progetti pari a 354 Mld $, tre quarti dei quali a tassi di mercato. Non solo Trump ha definito “predatorie” tali iniziative, ma la stessa Christine Lagarde – Direttore esecutivo del FMI- ha sottolineato la loro problematicità, auspicando che “la BRI viaggi esclusivamente dove è realmente necessario”. L’UE sta insistendo con Pechino affinché al centro della BRI e delle Vie della Seta siano poste regole precise su trasparenza, standard nel mercato del lavoro, sostenibilità del debito, appalti, ambiente. Nei primi mesi del 2018 tutti gli Ambasciatori UE a Pechino, eccettuato l’ungherese, hanno firmato un rapporto per Bruxelles nel quale hanno definito la BRI una sfida alle regole del libero mercato e una manna per i sussidi statali. Per parte sua Atene, che ha ceduto alla compagnia COSCO nel 2016 il porto del Pireo per 312 Mil $, ha bloccato l’UE nel prendere posizione sulla militarizzazione cinese degli isolotti nelle zone del Pacifico reclamate anche da Filippine, Vietnam, e oggetto della controversia con gli USA e tutti gli altri Stati della regione. L’UE ha appena lanciato un’iniziativa per l’esame degli investimenti cinesi. è atteso un Rapporto con precisa valutazione del rischio e dei diversi elementi da considerare per gli investimenti esteri in Europa, in particolare dalla Cina.

Giulio Terzi di Sant’Agata, ambasciatore, già Ministro degli Affari Esteri, al meeting “Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019

Il dragone in Europa attraverso l’Italia

Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciano noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Adolfo Urso

 

Questo meeting è organizzato da Farefuturo insieme alla Fondazione New Direction, la fondazione che fa riferimento in Europa al gruppo dei conservatori e riformisti e quindi alla famiglia dei conservatori europeo-occidentale, su un tema centrale per l’interesse nazionale in una giornata particolarmente significativa a poche ore dalla visita del Presidente della Repubblica Popolare di Cina in Italia, evento a cui viene dato un alto valore politico. In tale contesto, abbiamo voluto proporre un seminario di studi dal titolo emblematico “Il Dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” per analizzare il valore politico ed economico di alcuni accordi che verranno firmati in quella occasione dal Presidente Xi Jinping, che rappresenta tutte le cariche della Cina a cominciare da quella più prestigiosa di Segretario del Partito Comunista Cinese, e come tutti sanno, in Cina la carica del partito viene prima di quella dello Stato. Lui stesso nel presentare la sua visita ad un quotidiano italiano ne parla all’interno di un contesto storico, culturale e politico di straordinaria importanza a suggello del quale sarà apposta la firma di un MoU che riguarda la cosiddetta Via della seta, il primo realizzato da un Paese importante della NATO e da un Paese del G7.

Oggi la “Via della seta” è la più importante infrastruttura navale, ferroviaria, logistica del mondo, quindi è acciaio più che seta. Altrettanto significativi i circa cinquanta accordi collegati, alcuni tra aziende pubbliche, quindi su indirizzo specifico dello Stato, altre di aziende private di varia natura. Nel MoU non si affronta la tematica commerciale ma si parla di infrastrutture, trasporti, logistica, spazio, telecomunicazioni quindi di assetti strategici. Ovviamente non si parla di commercio strettamente inteso perché come tutti sanno la politica commerciale è esclusiva competenza dell’Unione Europea. Si parla invece di economia, di finanza e anche di quei settori strategici che vi ho citato prima ma non certamente di commercio in quanto tale, come si è voluto far credere. Il nostro export non ne trarrà alcun beneficio diretto. Ieri nel due rami del Parlamento, sia alla Camera che al Senato, c’è stato un dibattito su questo evento, certamente estremamente significativo per le conseguenze che ha sulla nostra collocazione internazionale, prima ancora per le sue ricadute sulla nostra economia.

Il Parlamento ha approvato una davvero strana mozione di maggioranza in cui si impegna il Governo a fare i dovuti accertamenti sulle ricadute del Memorandum: se il nostro interesse nazionale è garantito, se la nostra sicurezza nazionale è garantita se le relazioni e gli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia a cominciare da quelli dell’Alleanza Atlantica e della UE sono garantiti; in sostanza, la stessa maggioranza chiede al governo di accertare e verificare ora a poche ore dalla sottoscrizione degli accordi se tutto ciò è garantito, dopo che per sette mesi i ministeri interessati hanno lavorato alla preparazione del MoU e degli accordi collegati avendo si presume fatto già tutti gli accertamenti necessari, in caso contrario sarebbe di fatto gravissimo. Il fatto che la stessa maggioranza impegni il suo governo a fare ora tutti i necessari accertamenti è di per se significativo e nel contempo inquietante per la leggerezza con cui si è affrontata la questione. Risalgono ai giorni immediatamente successivi alla formazione del governo le prime missioni in Cina del vice Primo ministro Di Maio e del ministro dell’economia Tria e poi un via vai di missione di esponenti di Cinque Stelle e del Sottosegretario al Commercio che di fatto in questi mesi ha vissuto più in Cina che in Italia. Quindi sette mesi di analisi, documentazione, contrattazioni avrebbero dovuto portare evidentemente a una verifica sotto gli aspetti che riguardano la sicurezza nazionale, quanto il rispetto dei nostri accordi internazionali e delle nostre alleanze storiche.

È anomalo, ripeto, che la maggioranza impegni il governo a fare tutto ciò a poche ore prima della firma degli accordi quando ormai tutto è già deciso. Questa missione e queste firme giungono proprio mentre l’Unione Europea, dopo un lunghissimo letargo politico e strategico in cui le singole Nazioni si sono mosse autonomamente e in cui tutti hanno affrontato la Cina come una grande opportunità, improvvisamente l’UE da una parte e gli Stati Uniti dall’altra stanno valutando con grande apprensione i rischi di quella che appariva una grande opportunità con dei provvedimenti alcuni già deliberati altri in via di deliberazione di straordinaria efficacia nella modifica di questa postura.  Tra quelli approvati io evidenzio il Regolamento sullo screening degli investimenti esteri in Europa che stranamente ha avuto come opposizione solo l’Italia (insieme alla Gran Bretagna che però non fa più parte di fatto dell’Unione Europea). Fatto perlomeno strano se lo compariamo al documento ufficiale presentato dall’attuale Governo poche settimane fa in Parlamento nel rapporto annuale dei servizi di sicurezza in cui vengono individuati alcuni rischi per la sopravvivenza del Paese. E tra i rischi per la sopravvivenza del Paese individuati nei rapporti ufficiali vi sono: – la sicurezza cibernetica come nuova frontiera per la sicurezza nazionale  su cui prestare la massima attenzione perché la sicurezza cibernetica significa la sicurezza sui nostri dati; – l’attività predatoria economica e finanziaria fatta da Paesi stranieri che utilizzano anche entità statuali per individuare per esempio le migliori start-up che hanno depositato i migliori brevetti per acquisirle prima che li sviluppino o per favorire la nomina di management nelle aziende che si intendono acquisire affinché preparino il terreno alla azione predatoria che ne seguirà.

Quindi le nuove frontiere della sicurezza nazionale e della sovranità economica – a cui io aggiungo la sovranità sulla conoscenza, sui dati, sull’intelligenza quindi sul nostro futuro – sono quelle economico-finanziarie e quelle della cyber security. Ho fatto notare recentemente al Primo Ministro in una riunione del nostro Comitato per la Sicurezza della Repubblica che l’Italia si è opposta in sede europea proprio al Regolamento sullo screening che invece il rapporto presentato in Parlamento e da Lui sottoscritto definiva come atto fondamentale per garantire la nostra sicurezza e sovranità economica e tecnologica. Com’è possibile? Se noi individuiamo in quel Regolamento il passo decisivo per tutelarci meglio, poi perché ci opponiamo in Europa a quel Regolamento? Altri episodi di questo tipo, dalla anomala posizione sul Venezuela all’annuncio del ritiro dei nostri militari dall’Afghanistan, alla lettera che quindici ambasciatori della UE hanno scritto con l’assenza della firma italiana, al governo cinese per la tutela delle minoranze in quel Paese, ci fanno capire come la postura del governo italiano nei confronti della Cina sia profondamente mutata ed appare clamorosamente diversa di quella dei nostri partner europei.

La nostra postura assomiglia sempre più alla postura (di sudditanza) che per esempio la Grecia ha assunto spesso dopo che la Cina gli ha acquistato i porti del Pireo. Tanto più grave perché l’Italia non è la Grecia e non è certo considerata come tale dai nostri alleati tradizionali e neppure dai nostri avversari tradizionali. Perché l’Italia dovrebbe guardare con attenzione non soltanto alle opportunità ma anche e forse soprattutto ai rischi? Lo dico sulla base della mia esperienza personale di Ministro delegato al commercio con l’estero: nel novembre del 2001 rappresentavo l’Italia al meeting del WTO a Doha dove la Cina realizzò ufficialmente l’obiettivo dell’adesione alla Organizzazione del commercio mondiale, che una volta era il simbolo del capitalismo mercantile. Ero fisicamente presente come capo delegazione italiana quando fu sottoscritto l’ingresso della Cina, allora qualificato come Paese in via di sviluppo a cui erano concesse, proprio per questo, anche dei vantaggi importanti. Allora essa era considerata anche una “economia non di mercato” che avrebbe dovuto nel frattempo nell’arco di quindici anni diventare un’economia di mercato. Cosa che allo stato non è ancora avvenuta. Tutt’altro: la sua economia resta dirigista e le sue aziende sono di fatto ancora in gran parte in mani allo Stato e comunque sussidiate dallo Stato. Le condizioni di allora sono ovviamente profondamente cambiate.

La Cina non è più un Paese in via di sviluppo; è la seconda economia del mondo e presto diventerà la prima economia del mondo, molto competitiva proprio sugli assetti tecnologici e industriali. Ma nel contempo è rimasta un’economia non di mercato anzi è sempre più un’economia non di mercato per la presenza importante e significativa dello Stato soprattutto nei settori strategici dell’economia cinese, come dimostra proprio il caso delle telecomunicazioni.  La situazione è molto cambiata in questi anni. Siamo in un’altra epoca. In quel periodo io stesso mi sono recato in Cina decine di volte con delegazioni di imprese italiane per tentare di cogliere le migliori opportunità di un Paese che si apriva al mondo. Mi recai in Cina anche nella primavera del 2003, durante la SARS, nel massimo momento di crisi del Paese, credo fui l’unico ministro del mondo a farlo per dare un sostegno politico ovviamente allora ritenuto significativo. L’anno successivo nel 2004, fui anche il propugnatore in Europa della misura anti dumping più importante della storia del WTO per vastità di settore, quella nei confronti delle calzature cinesi e vietnamite riproposta poi nel 2008. Non ho quindi mai avuto una visione ideologica o comunque pregiudiziale nei confronti della Cina. Ho guardato sempre e solo e comunque innanzi tutto all’interesse del mio Paese.

In questi anni, la Cina è profondamente cambiata, e da Grande Opportunità è diventata prevalentemente un Grande Rischio perché è molto accresciuta la sua forza competitiva e perché la nuova presidenza di Xi Jinping ne ha cambiato la postura.  Xi Jinping che sarà tra poche ore in Italia è l’unico presidente che ha assunto nelle sue mani, dopo Deng Xiaoping, tutti i poteri della struttura cinese: Segretario generale del Partito Comunista, presidente dallo Stato, coordinatore delle forze armate e altri dieci diversi incarichi di coordinamento. Ha inserito il suo Pensiero nella Costituzione cinese. Ha rimosso il vincolo dei due mandati si pone come un nuovo imperatore della Cina e nel contempo ha modificato profondamente nelle radici la stessa legislazione cinese.  Nel 2017 la “via della seta” è stata inserita nello statuto del partito comunista cinese, come obiettivo strategico per cambiare il mondo. Nel 2018 lo stesso concetto è stato ribadito nel preambolo della Costituzione cinese come nuova alleanza globale, alternativa capace di soppiantare quella del blocco occidentale. Quindi, la via della seta è tutt’altro che uno spot commerciale e nemmeno meramente economico se è inserito nello statuto del partito e nella costituzione della Cina. Inoltre dal  2015 con quattro differenti provvedimenti legislativi che riguardano la sicurezza si fanno una serie di obblighi legislativi tra i quali quello secondo cui e non solo i cittadini e le aziende cinesi operanti nel mondo hanno l’obbligo di fornire informazioni e assistenza al proprio Stato, ai propri servizi di sicurezza e alle proprie forze armate per motivi di sicurezza largamente intesi. Perché per sicurezza non intendono soltanto la sicurezza ovviamente nei confronti della lotta al terrorismo, sarebbe forse comprensibile, ma intendono la sicurezza, la sovranità economica, l’interesse sociale in sostanza ogni aspetto della vita nazionale.

Tra gli accordi sulla economia digitale, particolarmente sensibile, ve ne è persino uno che sarà sottoscritto per favorire la costituzione di una piattaforma commerciale europea di Alibaba in Europa.  Cosa significa? Significa che la piattaforma commerciale Alibaba in Europa, così come ha fatto la grande distribuzione globale per esempio francese, favorirà la vendita dei prodotti cinesi in Europa saltando ogni tipo di controllo anche sanitario. E questo mentre proprio in questo campo, sull’economia digitale, sull’intelligenza artificiale l’Europa vuole recuperare i suoi macroscopici ritardi proponendo di realizzare un piano straordinario europeo per fare dell’Europa la prima economia sull’intelligenza artificiale. Questa è  la frontiera della quinta rivoluzione industriale! Noi oggi parliamo dalla quarta rivoluzione industriale, quella della economia digitale, ma già si prepara la quinta rivoluzione industriale in cui la Cina è cinque anni avanti rispetto all’Occidente, la rivoluzione della intelligenza artificiale. Quindi l’Europa cerca di recuperare un ritardo nella frontiera più importante per il nostro futuro. Nella nuova postura dell’Unione ci sono nuove proposte di direttive o nuovi regolamenti che riguardano la cyber security, la tassazione della economia digitale, ma anche in maniera specifica le relazioni transatlantiche, le tariffe industriali. L’altro giorno nel mio intervento in Parlamento ho elencato almeno dieci argomenti che l’Europa in un senso o nell’altro sta inserendo o vorrebbe inserire nelle proprie normative comunitarie per tutelare il continente rispetto a questa competizione globale.

Nel meeting di oggi vogliamo porre a conoscenza degli addetti ai lavori e in particolare dei decisori ma anche di chi desidera meglio capire e conoscere, persino seguendoci nella diretta su Facebook di cosa si tratta, quale sia la vera posta in palio, cosa si sta per sottoscrivere, perché il Paese deve sapere.  Deve sapere che queste scelte cambiano la postura del rapporto dell’Italia rispetto alla Cina e quindi nei confronti del mondo. Il fatto stesso che in queste ore sia stata rivista la normativa contenuta nel MOU sui porti e gli investimenti in logistica ci deve far riflettere. Perché qual era quella precedente contrattata per mesi all’insaputa del Paese e degli stessi ministeri competenti?  Cosa prevedeva dato che è stata rimossa? Dato che i porti sono la chiave del Paese che non si può mai consegnare a chi ha l’infrastruttura che legherà il mondo. Una chiave che può essere aperta o può essere chiusa da chi la dispone. La conoscenza e la competizione globale si basa su tre-quattro livelli; certamente il primo è il controllo dell’infrastruttura cioè del trasporto di merci e noi stiamo consegnando le chiavi di casa dell’Europa, dell’Occidente ad un soggetto che mette nello Statuto del Partito Comunista che quella via è lo strumento per cambiare gli assetti globali del mondo. Secondo. Le altre “chiavi di casa” è la rete internet. La comunicazione è fondamentale perché riguarda la sicurezza del Paese, la conoscenza dei dati è oggi il centro di tutto e mi riferisco al 5G. Chi controlla, chi ha le chiavi delle infrastrutture digitali ha le chiavi del nostro cervello.  Terzo: chi controlla la vendita on-line ha le chiavi dei nostri mercati. Alibaba è l’esercito che controlla i mercati. Infine e su tutto, il problema dell’intelligenza artificiale, dello spazio e del suo sviluppo tecnologico ed economico, ma questo è un cuore della quarta anzi della quinta rivoluzione industriale che verrà ma i cui assetti si determinano oggi. Spero che questo meeting possa servire a capire e quindi a decidere meglio.

*Adolfo Urso, presidente Fondazione Farefuturo, al meeting “Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019

“Via della seta” strumento di dominio globale

Questo meeting è organizzato da Farefuturo insieme alla Fondazione New Direction la fondazione che fa riferimento in Europa al gruppo dei conservatori e riformisti e quindi alla famiglia dei conservatori europeo- occidentale, su un tema centrale per l’interesse nazionale in una giornata particolarmente significativa a poche ore dalla visita del presidente della Repubblica popolare di Cina in Italia, evento a cui viene dato un alto valore politico.

In tale contesto, abbiamo voluto proporre un seminario di studi dal titolo emblematico ” Il Dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” per analizzare il valore politico ed economico di alcuni accordi che verranno firmato in quella occasione dal Presidente Xi LinPing, che rappresenta tutte le cariche della Cina a cominciare di quella più prestigiosa di Segretario del Partito Comunista Cinese, come tutti sanno in Cina la carica del partito viene prima di quella dello Stato.
Lui stesso nel presentare la sua visita ad un quotidiano italiano ne parla all’interno di un contesto storico, culturale e politico di straordinaria importanza a suggello del quale sarà apposta firma di un MoU che riguarda la cosiddetta Via della seta, il primo realizzato da un Paese importante della Nato e dal un Paese dei G7.

Oggi la “via della seta” è la più importante infrastruttura navale, ferroviaria, logistica del mondo, quindi è acciaio più che seta. Altrettanto significativi i circa cinquanta accordi collegati, alcuni tra aziende pubbliche, quindi su indirizzo specifico dello Stato, altre di aziende private di varia natura.
Nel MoU non si affronta la tematica commerciale ma si parla di infrastrutture, trasporti, logistica, spazio, telecomunicazioni quindi di assetti strategici.
Ovviamente non si parla di commercio strettamente inteso perché come tutti sanno la politica commerciale è esclusiva competenza dell’Unione europea.
Si parla invece di economia, di finanza e anche di quei settori strategici che vi ho citato prima ma non certamente di commercio in quanto tale, come si è voluto far credere. Il nostro export non ne trarrà alcun beneficio diretto.

Ieri nel due rami del Parlamento, sia alla Camera che al Senato, c’è stato un dibattito su questa evento, certamente estremamente significativo per le conseguenze che ha sulla nostra collocazione internazionale, prima ancora per le sue ricadute sulla nostra economia. Il Parlamento ha approvato una davvero strana mozione di maggioranza in cui si impegna il Governo a fare i dovuti accertamenti sulle ricadute del Memorandum: se il nostro interesse nazionale è garantito, se la nostra sicurezza nazionale è garantita se le relazioni e gli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia a cominciare da quelli dell’Alleanza atlantica e della Ue sono garantiti; in sostanza, la stessa maggioranza chiede al governo di accertare e verificare ora a poche ore dalla sottoscrizione degli accordi se tutto ciò è garantito, dopo che per sette mesi i ministeri interessati hanno lavorato alla preparazione del MoU e degli accordi collegati avendo si presume fatto già tutti gli accertamenti necessari, in caso contrario sarebbe di fatto gravissimo. Il fatto che la stessa maggioranza impegni il suo governo a fare ora tutti i necessari accertamenti è di per se significativo e nel contempo inquietante per la leggerezza con cui si è affrontata la questione.
Risalgono ai giorni immediatamente successivi alla formazione del governo le prime missioni in Cina del viceministro Di Maio e del ministro dell’economia Tria e poi un via vai di missione di esponenti di Cinque Stelle e del Sottosegretario al Commercio che di fatto in questi mesi ha vissuto più in Cina che in Italia
Quindi sette mesi di analisi, documentazione, contrattazioni avrebbero dovuto portare evidentemente a una verifica sotto gli aspetti che riguardano la sicurezza nazionale ,quanto il rispetto dei nostri accordi internazionali e delle nostre alleanze storiche.
È anomalo, ripeto, che la maggioranza impegni il governo a fare tutto ciò a poche ore prima della firma degli accordi quanto ormai tutto è già deciso.
Questa missione e queste firme giungono proprio mentre l’Unione europea, dopo un lunghissimo letargo politico e strategico in cui le singole nazioni si sono mosse autonomamente e in cui tutti hanno affrontato la Cina come una grande opportunità , improvvisamente l’Ue da una parte e gli Stati Uniti dall’altra stanno valutando con grande apprensione i rischi di quella che appariva una grande opportunità con dei provvedimenti alcuni già deliberati altri in via di deliberazione di straordinaria efficacia nella modifica di questa postura.
Tra quelli approvati io evidenzio il Regolamento sullo screening degli investimenti esteri
In Europa che stranamente ha avuto come opposizione solo l’Italia (insieme alla Gran Bretagna che però non fa più parte di fatto dell’Unione Europea). Fatto perlomeno strano se lo compariamo al documento ufficiale presentato dall’attuale governo poche settimane fa in Parlamento nel rapporto annuale dei servizi di sicurezza in cui vengono individuati alcuni rischi per la sopravvivenza del Paese. E tra i rischi per la sopravvivenza del Paese individuati nei rapporti ufficiali vi sono:
– la sicurezza cibernetica come nuova frontiera per la sicurezza nazionale
su cui prestare la massima attenzione perché la sicurezza cibernetica significa la sicurezza sui nostri dati;
– l’attività predatoria economica e finanziaria fatta da Paesi stranieri che utilizzano anche entità statuali per individuare per esempio le migliori start-up che hanno depositato i migliori brevetti per acquisirle prima che li sviluppino o per favorire la nomina di management nelle aziende che si intendono acquisire affinché preparino il terreno alla azione predatoria che ne seguirà.
Quindi le nuove frontiere della sicurezza nazionale e della sovranità economica – a cui io aggiungo la sovranità sulla conoscenza, sui dati, sull’intelligenza quindi sul nostro futuro – sono quelle economico-finanziare e quelle della cyber security. Ho fatto notare recentemente al Primo Ministro in una riunione del nostro Comitato per la Sicurezza della Repubblica che l’Italia si è opposta in sede europea proprio al Regolamento sullo screening che invece io rapporto presentato in Parlamento e da Lui sottoscritto definiva come atto fondamentale per garantire la nostra sicurezza e sovranità economica e tecnologica. Com’è possibile?
Se noi individuiamo in quel Regolamento il passo decisivo per tutelarci meglio, poi perché ci opponiamo in Europa a quel Regolamento?
Altri episodi di questo tipo, dalla anomala posizione sul Venezuela all’annuncio del ritiro dei nostri militari dall’Afganistan, alla lettera che quindici ambasciatori della Ue hanno scritto con l’assenza della firma italiana, al governo cinese per la tutela delle minoranze in quel Paese, ci fanno capire come la postura del governo italiano nei confronti della Cina sia profondamente mutata ed appare clamorosamente diversa di quella dei nostri partner europei. La nostra postura assomiglia sempre più alla postura (di sudditanza) che per esempio la Grecia ha assunto spesso dopo che la Cina gli ha acquistato i porti del Pireo. Tanto più grave perché l’Italia non è la Grecia e non è certo considerata come tale dai nostri alleati tradizionali e neppure dai nostri avversari tradizionali.
Perché l’Italia dovrebbe guardare con attenzione non soltanto alle opportunità ma anche e forse soprattutto ai rischi? Lo dico sulla base della mia esperienza personale di Ministro delegato al commercio con l’estero: nel novembre del 2001 rappresentavo l’Italia al meeting del WTO a Doha dove la Cina realizzo ufficialmente l’obiettivo della adesione alla Organizzazione del commercio mondiale, che una volta era il simbolo del capitalismo mercantile. Ero fisicamente presente come capo delegazione italiana quando fu sottoscritto l’ingresso della Cina, allora qualificato come Paese in via di sviluppo a cui erano concesse, proprio per questo, anche dei vantaggi importanti. Allora essa era considerata anche una “economia non di mercato” che avrebbe dovuto nel frattempo nell’arco di quindici anni diventare un’economia di mercato. Cosa che allo stato non è ancora avvenuta. Tutt’altro: la sua economia resta dirigista e le sue aziende sono di fatto ancora in gran parte in mani allo Stato e comunque sussidiate dallo Stato.
Le condizioni di allora sono ovviamente profondamente cambiate. La Cina non è più un Paese in via di sviluppo; è la seconda economia del mondo e presto diventerà la prima economia del mondo, molto competitiva proprio sugli assetti tecnologici e industriali. Ma nel contempo è rimasta un’economia non di mercato anzi è sempre più un’economia non di mercato per la presenza importante e significativa dello Stato soprattutto nei settori strategici dell’economia cinese, come dimostra proprio il caso delle telecomunicazioni.

La situazione è molto cambiata in questi anni. Siamo in un’altra epoca. In quel periodo io stesso mi sono recato in Cina decine di volte con delegazioni di imprese italiane per tentare di cogliere le migliori opportunità di un Paese che si apriva al mondo. Mi recai in Cina anche nella primavera del 2003, durante la Sars, nel il massimo momento di crisi del Paese, credo fui l’unico ministro del mondo a farlo per dare un sostegno politico ovviamente allora ritenuto significativo. L’anno successivo nel 2004, fui anche il propugnatore in Europa della misura anti dumping più importante della storia del Wto per vastità di settore quella nei confronti delle calzature cinesi e vietnamite riproposta poi nel 2008. Non ho quindi mai avuto una visione ideologica o comunque pregiudiziale nei confronti della Cina. Ho guardato sempre e solo e comunque innanzi tutto all’interesse del mio Paese.

In questi anni, la Cina è profondamente cambiata per quello che vi ho detto rispetto ad allora e da Grande Opportunità è diventata prevalentemente un Grande Rischio perché è molto accresciuta la sua forza competitiva e perché la nuova presidenza di Xi Jinping ne ha cambiato la postura.

Xi Jinping che sarà tra poche ore in Italia è l’unico presidente che ha assunto nelle sue mani, dopo Deng Xiaoping, tutti i poteri della struttura cinese: Segretario generale del Partito Comunista, presidente dallo Stato, coordinatore delle forze armate e altri dieci diversi incarichi di coordinamento. Ha inserito il suo Pensiero nella Costituzione cinese. Ha rimosso il vincolo dei due mandati si pone come un nuovo imperatore della Cina e nel contempo ha modificato profondamente nelle radici la stessa legislazione cinese.
Nel 2017 la “via della seta” è stata inserita nello statuto del partito comunista cinese, come obiettivo strategico per cambiare il mondo.
Nel 2018 lo stesso concetto è stato ribadito nel preambolo della Costituzione cinese
come nuova alleanza globale, alternativa capace di soppiantare quella del blocco occidentale.
Quindi, la via della seta è tutt’altro che uno spot commerciale e nemmeno meramente economico se è inserito nello statuto del partito e nella costituzione della Cina.

Inoltre dal 2015 con quattro differenti provvedimenti legislativi che riguardano la sicurezza si fanno una serie di obblighi legislativi tra i quali quello secondo cui e non solo i cittadini e le aziende cinesi operanti nel mondo hanno l’obbligo di fornire informazioni e assistenza al proprio Stato, ai propri servizi sicurezza e alle proprie forze armate per motivi di sicurezza largamente intesi. Perché per sicurezza non intendono soltanto la sicurezza ovviamente nei confronti della lotta al terrorismo, sarebbe forse comprensibile, ma intendono la sicurezza, la sovranità economica, l’interesse sociale in sostanza ogni aspetto della vita nazionale.

Tra gli accordi sulla economia digitale, particolarmente sensibile, ve ne è persino uno che sarà sottoscritto per favorire la costituzione di una piattaforma commerciale europea di Alibaba in Europa.
Cosa significa? significa che la piattaforma commerciale Alibaba in Europa, così come ha fatto la grande distribuzione globale per esempio francese, favorirà la vendita dei prodotti cinesi in Europa saltando ogni tipo di controllo anche sanitari.
E questo mentre proprio in questo campo, sull’economia digitale, sull’intelligenza artificiale l’Europa vuole recuperare i suoi macroscopici ritardi proponendo di realizzare un piano straordinario europeo per fare dell’Europa la prima economia sull’intelligenza artificiale. Questa è la frontiera della quinta rivoluzione industriale!

Noi oggi parliamo dalla quarta rivoluzione industriale, quella della economia digitale, ma già si prepara la quinta rivoluzione industriale in cui la Cina è cinque anni avanti rispetto all’Occidente, la rivoluzione della intelligenza artificiale.
Quindi l’Europa cerca di recuperare un ritardo nella frontiera più importante per il nostro futuro.

Nella nuova postura dell’Unione ci sono nuove proposte di direttive  o nuovi regolamenti che riguardano la cyber security, la tassazione della economia digitale, ma anche in maniera specifica le relazioni transatlantiche, le tariffe industriali, l’altro giorno nel mio intervento in Parlamento ho elencato almeno dieci argomenti che l’Europa in un senso o nell’altro sta inserendo o vorrebbe inserire nelle proprie normative comunitarie per tutelare il continente rispetto a questa competizione globale.
Nel meeting di oggi vogliamo porre a conoscenza degli addetti ai lavori e in particolare dei decisori ma anche di chi desidera meglio capire e conoscere, persino seguendoci nella diretta su Facebook di cosa si tratta, quale sia la vera posta in palio, cosa si sta per sottoscrivere, perché il Paese deve sapere.
Deve sapere che queste scelte cambiano la postura del rapporto dell’Italia rispetto alla Cina e qui di nei confronti del mondo.

Il fatto stesso che in queste ore sia stata rivista la normativa contenuta nel MOU sui porti e gli investimenti in logistica ci deve far riflettere. Perché qual era quella precedente contrattata per mesi all’insaputa del Paese e degli stessi ministeri competenti?

Cosa prevedeva dato che è stata rimossa?
Dato che i porti sono la chiave del Paese che non si può mai consegnare a chi ha l’infrastruttura che legherà il mondo. Una chiave che può essere aperta o può essere chiusa da chi la dispone.
La conoscenza e la competizione globale si basa su tre-quattro livelli ; certamente il primo è il controllo dell’infrastruttura cioè del trasporti merci e noi stiamo consegnando le chiavi di casa dell’Europa, dell’Occidente ad un soggetto che mette nello Statuto del Partito Comunista che quella via è lo strumento per cambiare gli assetti globali del mondo
Secondo. Le altre “chiavi di casa” è la rete internet. La comunicazione è fondamentale perché riguarda la sicurezza del Paese, la conoscenza dei dati è oggi il centro di tutto e mi riferisco al 5G. Chi controlla, chi ha le chiavi delle infrastrutture digitali ha le chiavi del nostro cervello
Terzo: chi controlla la vendita on line ha le chiavi dei nostri mercati. Alibaba è l’esercito che controlla i mercati.

Infine e su tutto, il problema dell’intelligenza artificiale, dello spazio e del suo sviluppo tecnologico ed economico, ma questo è un cuore della quarta anzi della quinta rivoluzione industriale che verrà ma i cui assetti si determinano oggi.

Spero che questo meeting possa servire a capire e quindi a decidere meglio.

*Intervento di Adolfo Urso, presidente della Fondazione Farefuturo, al meeting “Il Dragone in Italia. Opportunità e rischi per l’Italia”

 

La sfida della sicurezza e della geopolitica

I) Le indicazione fornite dalla “Relazione sulla Politica dell’Informazione per la Sicurezza – 2018”

Una seria valutazione della minaccia che grava sulla nostra sovranità nazionale nel caso specifico del processo di avvicinamento della Cina al quale la visita di Stato del Presidente Xijinping intende imprimere un decisivo impulso anche attraverso del Memorandum of Understanting e l’adesione italiana alla “Via della Seta, deve muovere, io credo, da una attenta rilettura della Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza recentemente resa pubblica dai nostri servizi di intelligence.

In particolare, vorrei rilevare come alcune osservazioni alle pagine 61, 62, 63, nonché alcuni riferimenti nel documento allegato, riguardino specificamente la Cina, tracciando un identik senza nome ma con una chiarissima profilatura complessiva, che fornisce la proporzione esatta del problema che abbiamo dinanzi.

 

Il Rapporto della nostra Intelligence dice quanto segue:

– Le iniziative attuate dal Governo nel corso dell’anno, intese ad attrarre in Italia partner economici con una prospettiva di lungo periodo, sono valse a ribadire la valenza strategica, per il Sistema Paese, dell’afflusso di capitali stranieri in grado di concorrere allo sviluppo delle imprese italiane, sia finanziando programmi di ricerca e innovazione volti a mantenere adeguati livelli di competitività, sia favorendo l’accesso a know-how industriale e a nuovi mercati di sbocco.

– L’attività intelligence ha risposto all’esigenza di cogliere, i rischi legati all’ingresso nel tessuto economico nazionale di soggetti, capitali e prodotti stranieri , quello di “decifrare” eventuali proiezioni estere in contrasto con l’interesse nazionale, perché rispondenti a finalità extraeconomiche o in quanto volte a depredare le imprese-target, specie di tecnologie o marchi.

– L’azione informativa è stata diretta in primo luogo al comparto della difesa e dell’aerospazio, con particolare attenzione alla tutela del knowhow e dell’integrità delle filiere.

– Pari attenzione è stata rivolta agli altri settori strategici cui fanno capo le attività di base indispensabili per garantire i servizi vitali e il benessere della collettività: telecomunicazioni e relative reti, terrestri e mobili, anche con l’obiettivo di preservare l’integrità e la sovranità dei dati; trasporti, specie per quel che attiene alle dinamiche proprietarie dei vettori e degli operatori infrastrutturali; energia, con riferimento sia alle implicazioni sul piano industriale delle operazioni di merger and acquisition, sia alla salvaguardia delle infrastrutture.

– Ha incluso nel perimetro di tutela: dalle infrastrutture di immagazzinamento e gestione dati a quelle finanziarie, dall’intelligenza artificiale alla robotica, dai semiconduttori alla sicurezza in rete.

In analogia con i meccanismi di tutela adottati da alcuni importanti partner occidentali.

– La ricerca informativa si è in particolare appuntata sui soggetti espressione di un controllo pubblico, diretto o indiretto, che per loro stessa natura rappresentano non di rado i vettori per perseguire finalità extra- economiche. Nella medesima ottica di protezione, si è guardato ad operatori caratterizzati da opacità sia nella governance sia nelle strategie di investimento.

– Quanto alle modalità di azione degli attori ostili o controindicati, il monitoraggio intelligence ha rilevato iniziative tese a esfiltrare tecnologia e know-how (anche attraverso l’acquisizione di singoli rami d’azienda) o a conquistare nicchie di mercato pregiate, facendo emergere, in qualche caso, la tendenza
alla strutturazione di
manovre complesse finalizzate a guadagnerebbe posizioni di influenza
in segmenti del sistema economico-finanziario nazionale, ovvero a conquistare peso
monopolistico in specifici settori di attività.

– Evidenze informative hanno fatto stato, poi, dei tentativi di operatori esteri di alterare il quadro competitivo attraverso il sistematico storno di capitale umano ad alta specializzazione in forza a imprese nazionali, la studiata marginalizzazione del management italiano (anche nell’ambito di partnership e joint venture) e il ricorso ad azioni di influenza esercitate attraverso consulenti e manager “fidelizzati”.

– L’attività a protezione del know-how tecnologico e innovativo delle imprese italiane ne ha registrato la persistente esposizione ad iniziative di spionaggio industriale, specie con modalità cyber agevolate dalla digitalizzazione pressoché integrale dei processi produttivi e più pervasive nei confronti delle piccole e medie imprese, come si dirà nell’allegato Documento di Sicurezza Nazionale.

– La filiera marittimo-logistica ed i suoi nodi critici – rappresentati da porti, aree retro-portuali e punti intermodali che connettono economie locali e sistemi produttivi – in un’ottica intesa a rilevare vulnerabilità di sicurezza in grado di condizionarne funzionamento e sviluppo.

– Dal monitoraggio delle Tecniche, Tattiche e Procedure (TTP) utilizzate è emerso un accresciuto livello di complessità e sofisticatezza delle azioni, l’uso combinato di strumenti offensivi sviluppati ad hoc con quelli presenti nei sistemi target impiegati in modo ostile, nonché il “riuso” di oggetti malevoli (malware) allo scopo di ricondurne la matrice ad altri attori (cd. operazioni false flag).

– In tale contesto, lo sforzo più significativo posto in essere dal Comparto ha riguardato il contrasto di campagne di spionaggio digitale, gran parte delle quali verosimilmente riconducibili a gruppi
ostili strutturati, contigui ad apparati governativi o che da questi
ultimi hanno ricevuto
linee di indirizzo strategico e supporto finanziario.

– Quanto alle finalità perseguite, gli attacchi hanno mirato, da un lato, a sottrarre informazioni relative ai principali dossier di sicurezza internazionale, e, dall’altro, a danneggiare i sistemi informatici di operatori, anche nazionali, attivi nello Oil&Gas, nonché quelli di esponenti del mondo accademico italiano, nell’ambito di una campagna globale mirante a profilare settori d’eccellenza di università e centri di ricerca.

– Sul fronte delle infrastrutture di attacco, i gruppi responsabili di azioni di cyber-espionage hanno proseguito nell’impiego di servizi IT commerciali (domini web, servizi di hosting, etc.), forniti da provider localizzati in diverse regioni geografiche, anche per rendere difficoltoso il processo di individuazione. Qui, l’attaccante ha colpito le infrastrutture tecnologiche degli obiettivi finali tramite la violazione preventiva di quelle dei fornitori, abusando sovente anche delle relazioni di fiducia connesse al rapporto contrattuale.

 

II) Le indicazioni contenute nel Rapporto IISS- Merics.

La Dr.ssa Helena Legarda ha approfondito come nella sua ricerca di diventare una “superpotenza nella scienza e nella tecnologia” e nell’obiettivo di acquisire la capacità miliare dominante, la Cina abbia intrapreso da tempo, e ulteriormente accelerato negli ultimi anni, un percorso per conseguire una completa integrazione civile-militare, e sviluppare tecnologie a doppio impiego “Dual – use”. Per l’Europa, l’incentivo ad essere competitiva e a tenere il passo con i rapidissimi progressi tecnologici della Cina, risiede nella capacità di proteggere  i propri settori innovativi. Si tratta di esigenze imperative che riguardano allo stesso tempo l’ambito militare, commerciale ed economico.

 

II) “Belt and Road Initiative” (BRI) e “Via della Seta.

I risultati conseguiti dal Presidente Xi Jinping sul piano interno nel consolidare il sistema di potere guidato dal Partito Comunista Cinese. Un potere sempre più accentrato nella figura di un Presidente ormai svincolato da termini di mandato e, apparentemente, da qualsiasi apprezzabile forma di opposizione interna.

La trasformazione “neo imperiale” della potenza cinese avvenuta in questo decennio muta radicalmente i presupposti sui quali si erano basate le politiche Americane e Europee dall’inizio della Presidenza Clinton. Lo sviluppo prodigioso dell’economia cinese, i successi registrati – sia pure con le carte spesso truccate della sottrazione illegale dei dati a aziende e ricercatori occidentali- in campo scientifico e tecnologico (intelligenza artificiale, quantum computing, spazio e armi di ultimissima generazione) è stata indotta e sostenuta da una globalizzazione con vantaggi pesantemente uni direzionali per la Cina.

Ciononostante sembra prevalere nel dibattito che si sta sviluppando nel nostro Paese sui grandi temi della BRI, della Via della Seta e in generale sul rapporto tra Europa e Cina una tendenza all’accoglienza entusiastica e incondizionata alle tesi di Pechino che magnificano i grandi vantaggi dei finanziamenti cinesi, la visione di una globalizzazione guidata Pechino, e persino la “superiorità” del modello sociale, politico e dell’ideologia cinese rispetto allo Stato di Diritto occidentale. Abbiamo persino ascoltato in alcuni dibattiti dello scorso agosto personalità politiche di grande esperienza di Governo e nelle Istituzioni Europee, che dovrebbero quindi essere particolarmente sensibili nell’affermare lo Stato di Diritto e i principi della democrazia liberale nel mondo – come scritto nei Trattati europei – ripetere come verità rivelata che BRI e Via della Seta costituiscono “il Piano Marshall” di questo primo secolo del millennio, riprendendo pedissequamente gli argomenti e la propaganda di Pechino.

Ciò dovrebbe preoccupare quanti dovrebbero essere sensibili alla contrapposizione valoriale, in termini di libertà e di dignità della persona, tra l’impostazione sostenuta alla fine del secondo conflitto mondiale, dal Segretario di Stato Marshall, e il “pensiero unico” affermato da Xi Jinping e dalla sua classe dirigente.

Questa tendenza non è purtroppo nuova nel mondo politico e imprenditoriale italiano. C’è troppo spesso l’ansia di dimostrare di “essere i primi” nel cogliere facili opportunità in mercati estremamente complessi, e in paesi dove regole del mercato, rispetto degli investitori stranieri, parità di trattamento e reciprocità passano sempre dopo, molto dopo, le priorità di un interesse nazionale interpretato in chiave marcatamente ideologica, nazionalista e persino “militarista”.

Non dovrebbe l’Italia, con la necessità assolutamente vitale di tutelare il “Made in Italy” nelle imprese strategiche oltre che nei beni di consumo e nei servizi, dimostrarsi ben più sensibile al proprio interesse nazionale e alla esigenza di una oggettiva valutazione della “questione Cinese”? Si tratta di una narrativa sulla quale influiscono enormi interessi economici, pubblici e privati, di sicurezza, di influenza , di visione geopolitica, di tutela delle libertà , di privacy e sicurezza nella “rete”, di attaccamento a valori fondamentali – Stato di Diritto,  libertà politiche e diritti umani – che ogni Europeo dovrebbe sentirsi ad ogni costo impegnato a affermare.  Ciò dovrebbe in particolare valere ai “tavoli” delle trattative multilaterali dove Governi e Istituzioni Europee decidono, regole, comportamenti e composizioni di interessi nazionali su questioni di vitale importanza per i loro popoli.

Molti commentatori occidentali hanno rilevato la notevole opacità, probabilmente voluta, della strategia di Pechino. Se “road” sembra riferirsi essenzialmente a vie d’acqua, e “cintura” a infrastrutture tra Cina e Europa che colleghino  ferrovie, strade, telecomunicazioni – importantissima nel progetto cinese la dimensione Cyber –  sono certamente molti i paesi e Governi asiatici, mediorientali e africani, e non pochi i politici e gli imprenditori europei, ansiosi di accogliere finanziamenti cinesi “senza condizioni”: negoziati con metodi e interlocutori spesso assai disinvolti sotto il profilo della lotta alla corruzione, delle garanzie di sicurezza sociale e dei diritti dei lavoratori. Le considerazioni di natura economica, pur problematiche sotto diversi profili, assumono colori ancor più inquietanti ove si consideri invece che il disegno di Pechino fa parte di un progetto geopolitico per il “nuovo ordine mondiale” nel quale la Cina intenda assumere il ruolo di Superpotenza dominante. Un progetto che viene da lontano. Ma che assume ora una sua marcata assertività in dichiarazioni, documenti, iniziative diplomatiche e militari, oltre che commerciali e finanziarie, della Cina di Xi Jinping.

Questa ultima ipotesi diventa ancor più realistica a causa dell’opacità del gigantesco impegno finanziario ostentato da Pechino in una quantità di occasioni. Qual é il “blueprint” della BRI e della Via della Seta, ci si chiede in Occidente e in molti paesi interessati dell’Asia, dell’Africa e de Medio-Oriente? Quali sono i motivi dei continui ampliamenti che Pechino propone ai suoi orizzonti, dall’iniziale contesto Eurasiatico e Africano (“Vie della Seta” terrestri e marittime) a quelli della “Via della Seta nel Pacifico”, ” della ” Via della Seta sul ghiaccio” nell’Artico, e ora della “Via della Seta digitale” attraverso lo spazio cyber?

Le preoccupazioni aumentano quando si constata che la BRI si lega a un ormai definito “culto della personalità” di Xi. La stampa cinese ha ribattezzato l’iniziativa “cammino di Xi Jinping”. Si sollecitano apprezzamenti dei Governi stranieri, così da farli rimbalzare nella martellante propaganda interna.

Un’analisi delle strategie e intenzioni di Pechino deve anzitutto riguardare i rapporti con i Paesi vicini. Gran parte dell’Asia deve ora riconoscere che il gigante cinese non può essere visto soltanto come un partner commerciale. Con la ricchezza e il successo si è diffusa la capacità di attrazione del modello cinese. Ciononostante sono numerose le riserve e non di rado le nette opposizioni a seguire i “desiderata” di Pechino: perfino da parte di Paesi come Myanmar, considerati per decenni sottomessi politicamente e economicamente alla Cina.

I valori aggregati di cui si continua a parlare per BRI e “Vie della Seta” sono certo imponenti ma non ancora tali da comportare un “dominio finanziario globale”. Le preoccupazioni più immediate riguardano i condizionamenti che il Governo e gli enti statali cinesi sono perfettamente in grado di esercitare in Europa, e in Italia in particolare, ogni volta che Pechino intenda acquisire aziende di valore strategico per i nostri Paesi e per il “Made in Italy”: sempre a condizioni estremamente svantaggiose per il “sistema Italia”, sia sotto il profilo economico, sia per quanto riguarda la tutela dei dati informatici, la protezione delle tecnologie, e l’assenza di qualsiasi condizione di reciprocità.

Se il quadro descrive quanto avvenuto nell’ultimo decennio in Occidente , senza che le più importanti economie del mondo si ponessero seriamente l’obiettivo di instaurare con Pechino regole del gioco eque, rispettose della legalità e degli accordi sottoscritti, se interessi pubblici e privati legati a convenienze del giorno per giorno hanno fatto sì che si sia lasciata a Pechino la mano completamente libera nello sfruttare i “mercati aperti” che lobbies e gruppi di potere in America e in Europa mettevano ben volentieri a loro disposizione, ben possiamo immaginare quanto sia avvenuto, stia avvenendo e ancora avverrà nelle economie più deboli del pianeta, governate in molti casi da autocrati o presidenti a vita, sorretti da ristrettissime “elites” locali, operanti di fatto al di fuori di qualsiasi controllo popolare, di trasparente informazione, e di legalità sanzionata.

Nei mesi scorsi un think tank particolarmente autorevole nelle questioni dello Sviluppo Sostenibile – il “Centre for Global Development”-  ha pubblicato una ricerca su otto paesi che sono ad alto rischio di “collasso finanziario” a causa dell’indebitamento contratto da quei Governi nella “Belt and Road Initiative” (BRI). Si tratta di Laos, Kyrgyzstan, Maldive, Montenegro, Gibuti, Tajikistan, Mongolia Pakistan. In meno di due anni, la percentuale debito/PIL è passata per effetto dei progetti cinesi BRI, rispettivamente (a cominciare dal Laos) da circa 50% al 70%; dal 23% al 74%; dal 39% al 75%; dal 10% al 42%; dall’80% al 95%; dal 55% all’80%; dal 40% al 58%; dal 12% al 48%.

In Montenegro l’autostrada finanziata da Pechino configura il solito “patto leonino”, dato che l’ammontare del debito corrisponde a un quarto dell’intero PIL del paese; la ferrovia in Laos, alla metà del PIL annuo. Si è stimato che nel solo quadriennio 2000-2014 il Governo Cinese abbia finanziato progetti pari a 354 Mld $, tre quarti dei quali a tassi di mercato. Non solo Trump ha definito “predatorie” tali iniziative, ma la stessa Christine Lagarde – Direttore esecutivo del FMI- ha sottolineato la loro problematicità, auspicando che “la BRI viaggi esclusivamente dove è realmente necessario”.

L’UE sta insistendo con Pechino affinché al centro della BRI e delle Vie della Seta siano poste regole precise su trasparenza, standard nel mercato del lavoro, sostenibilità del debito, appalti, ambiente. Nei primi mesi del 2018 tutti gli Ambasciatori UE a Pechino, eccettuato l’ungherese, hanno firmato un rapporto per Bruxelles nel quale hanno definito la BRI una sfida alle regole del libero mercato e una manna per i sussidi statali. Per parte sua Atene, che ha ceduto alla compagnia COSCO nel 2016 il porto del Pireo per 312 Mil $, ha bloccato l’UE nel prendere posizione sulla militarizzazione cinese degli isolotti nelle zone del Pacifico reclamate anche da Filippine, Vietnam, e oggetto della controversia con gli Usa e tutti gli altri Stati della regione. L’UE ha appena lanciato un’iniziativa  per l’esame degli investimenti cinesi E’ atteso un Rapporto con precisa valutazione del rischio e dei diversi elementi da considerare per gli investimenti esteri in Europa, in particolare dalla Cina.

*Giulio Terzi di Sant’Agata, ambasciatore, già ministro degli esteri

Pubblichiamo stralci della sua relazione che sarà presentata al meeting della Fondazione Farefuturo

Il dominio della tecnologia dual use cinese

Nel dicembre 2018 l’International Institute for Strategic Studies (IISS) ha pubblicato un fondamentale Rapporto sulla strategia del Presidente cinese Xi Jinping per dominare l’avanzamento tecnologico europeo nell’ampio settore del “dual use”, in campo civile e militare‎. Proponiamo di seguito alcuni estratti del Rapporto curato da Meia Nouwens e Helena Legarda intitolato: “Dominio emergente della tecnologia: il significato della ricerca cinese nelle tecnologie avanzate a duplice uso per il futuro dell’economia europea e l’innovazione della difesa”.

In entrambi i settori civile e militare, l’innovazione tecnologica è diventata un importante obiettivo politico per i governi delle economie più avanzate. Il ruolo e la portata della tecnologia moderna continuano ad espandersi.

Nello sforzo di diventare una “superpotenza scientifica e tecnologica” globale e di costruire un esercito forte che possa combattere e vincere guerre, la Cina ha intrapreso un processo importante per realizzare l’integrazione civile-militare (CMI) e sviluppare tecnologie avanzate a duplice uso. Utilizzando vari metodi sia per promuovere l’innovazione indigena che per accedere a tecnologia e know-how stranieri, l’obiettivo della Cina è quello di scavalcare gli Stati Uniti e l’Europa e ottenere il dominio in queste tecnologie, che avranno importanti implicazioni civili e militari in futuro. L’UE non ha strategie forti e coordinate per promuovere lo sviluppo delle tecnologie indigene a duplice uso o per proteggere l’innovazione dell’Europa.

Come risultato di questo regime di precarietà, la Cina sta raggiungendo o superando capacità europee per quanto riguarda la maggior parte di queste tecnologie attraverso un quadro normativo “intero di governo” e investimenti finanziari, nonché accedendo all’innovazione e alla tecnologia europee attraverso una varietà di strumenti. Per l’Europa, l’incentivo a tenere il passo con i progressi della Cina in queste tecnologie e a proteggere la propria innovazione in questo campo è un imperativo militare, ma anche commerciale ed economico. In un momento in cui la Cina sta aumentando il proprio impegno nel processo di sviluppo di tecnologie avanzate a duplice uso, è giunto il momento che l’Europa pensi in modo strategico e si attivi per sfruttare i propri vantaggi competitivi.

Entro il 2020, il numero di dispositivi Internet of Things (IoT) potrebbe raggiungere i 24 miliardi e un valore stimato di 6 miliardi di dollari in soluzioni IoT tra cui sviluppo di applicazioni, hardware del dispositivo, integrazione del sistema, memorizzazione dei dati, sicurezza e connettività. Il mercato globale della robotica e dei sistemi che utilizzano Artificial Intelligence (AI) dovrebbe raggiungere i 153 miliardi di dollari entro il 2020. L’ammontare dei finanziamenti di capitali a rischio destinati alla robotica nel 2015 ammontava a 587 milioni di dollari, il doppio dell’importo investito nel 2011.

La tendenza a focalizzare le politiche per trarre vantaggio da queste tecnologie e guidarle nel loro sviluppo è evidente nell’Unione europea, così come in Cina sotto la guida del presidente Xi Jinping. Nel tentativo di guidare il paese verso l’obiettivo del 2049 per diventare uno Stato socialista moderno e prospero, oltre a costruire un esercito globale di alto livello in grado di combattere e vincere guerre, Xi ha sposato una duplice strategia per la modernizzazione militare: rendere le grandi imprese statali di difesa (SOE) più efficienti, globalmente competitive e innovative, rivolgendosi sempre più anche ai settori civile e commerciale per una potenziale ispirazione e innovazione. In particolare, la Cina sta investendo massicciamente nella ricerca e nell’integrazione di tecnologie emergenti a duplice uso, nella speranza che possano aiutare l’Esercito Popolare di Liberazione ad andare oltre le capacità militari convenzionali e raggiungere il predominio su tutti i fronti. Tecnologie come l’intelligenza artificiale, l’infrastruttura informatica, i software e l’automazione sono principalmente civili nella loro applicazione, ma la loro rilevanza per la difesa e il modo in cui le guerre future saranno combattute è chiaramente in crescita.

Anche l’Unione europea ha un interesse in questi settori, oltre a incentivi economici e strategici per stare al passo con i tempi. Secondo uno studio effettuato da McKinsey, la metà delle attività attualmente svolte dai lavoratori in Europa potrebbe essere automatizzata nel prossimo futuro. Per Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, lo studio ha stimato che circa 1,9 trilioni di dollari USA in salari e 62 milioni di lavoratori sono associati ad attività tecnicamente automatiche. Si prevede che la quota della popolazione in età lavorativa nell’UE diminuisca fino al 2050 e che entro il 2080 il 29,1% della popolazione dell’UE-28 avrà almeno 65 anni. Si prevede che il rapporto età-dipendenza aumenti dal 53,9% all’80% della popolazione dell’UE-28 tra il 2017 e il 2080. A breve, ci sarà una maggiore domanda di risorse e servizi, ma una minore disponibilità di persone nel mondo del lavoro, creando così un imperativo per maggiori investimenti europei nella tecnologia dell’automazione, che sarà vitale per la forza lavoro futura e per mantenere il margine industriale e dell’innovazione dell’UE.

Benché paesi come la Cina, la Corea del Sud e gli Stati Uniti siano particolarmente attivi nella ricerca delle applicazioni militari delle tecnologie a duplice uso, non tutte le tecnologie emergenti sono state completamente integrate nelle forze armate e molte sono ancora in fase di sviluppo e test. Questo, tuttavia, non rimuove dal loro potenziale future applicazioni di difesa.

La letteratura attuale si concentra in gran parte sul rapporto tra Cina e Stati Uniti, e il dibattito riguarda come i controlli sulle esportazioni e i meccanismi di screening degli investimenti possano proteggere il margine di innovazione interna degli Stati Uniti. Di dibattiti simili si è avuto notizia in Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito. Tuttavia, deve ancora nascere un dibattito pubblico serio sul tentativo della Cina di diventare leader innovatore nelle tecnologie emergenti e di influenzare gli interessi dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri.

Mentre gli Stati Uniti hanno rafforzato la sorveglianza degli investimenti esteri rafforzando il ruolo del Comitato sugli Investimenti Esteri negli Stati Uniti (CFIUS), l’Unione europea e i suoi Stati membri sono stati lenti nel venire a patti con le strategie cinesi di R&S e non hanno ancora affrontato sistematicamente la questione e le implicazioni per le industrie nell’UE.

Negli ultimi anni, il governo cinese ha compiuto molte riforme industriali e ha elaborato piani ambiziosi affinché la scienza domestica e l’innovazione tecnologica sviluppassero e realizzassero prodotti di alta gamma e tecnologie emergenti. Allo stesso tempo, lo sviluppo delle capacità nazionali di ricerca in Cina è stato utilizzato anche nell’integrazione civile-militare, con l’innovazione commerciale che si riversava nelle applicazioni militari. L’aspetto militare dell’innovazione cinese è importante, in particolare in un momento in cui l’Esercito Popolare di Liberazione sta attraversando una serie di importanti interventi di modernizzazione e riforma nelle sue capacità militari convenzionali. La Cina cerca di sfruttare tecnologie emergenti nuove e innovative per “scavalcare” il suo principale concorrente strategico, gli Stati Uniti.

Il governo cinese ha quindi definito un approccio “interamente governativo” per colmare il divario con l’Occidente in settori quali la robotica, l’intelligenza artificiale, i sistemi senza pilota e completamente automatizzati, il calcolo quantistico, la tecnologia spaziale e le armi ipersoniche.

Grazie a questo approccio all’innovazione della tecnologia a duplice uso da parte del governo cinese, il Paese è attualmente in testa in alcuni settori industriali.

Il programma spaziale cinese è stato fonte di preoccupazione per le comunità di difesa in Occidente, in particolare a causa della natura intrinsecamente duale di molte tecnologie spaziali e della stretta collaborazione tra il l’Esercito Popolare di Liberazione, organizzazioni affiliate e industrie statali che consente alla Cina di sviluppare capacità con usi militari sotto le spoglie di attività nello spazio civile. Il Consiglio di Stato della Cina pubblica periodicamente White Papers in cui si delineano gli obiettivi a medio termine del programma spaziale cinese, ma è la China National Space Administration (CNSA) che produce i regolamenti specifici che la governano. Di conseguenza, ci sono più piani e documenti a livello nazionale che si riferiscono ai vari aspetti del programma spaziale cinese, tra cui il sistema di navigazione Beidou e i satelliti.

La Cina continua a lanciare regolarmente satelliti e veicoli spaziali, che consentono di perfezionare processi e applicazioni che potrebbero essere utilizzati anche contro avversari in caso di conflitto. Un buon esempio è la serie di sateliti Yaogan. Mentre Pechino sostiene che si tratta di satelliti che osservano la Terra solo per scopi civili, i satelliti Yaogan sarebbero satelliti per l’imaging militare di proprietà e gestiti dall’esercito. Il sistema satellitare di navigazione di Beidou, la risposta della Cina al GPS degli Stati Uniti e al sistema europeo Galileo nel 2018, sta rapidamente estendendo la copertura alle rotte della Belt and Road Initiative e mira a coprire l’intero globo entro il 2020. Ciò consentirà a Pechino di sviluppare in tempo reale le capacità di sorveglianza e di allarme dei sistemi globali.

Come affermato dal Presidente Xi Jinping durante la Conferenza su Cybersecurezza e Informatizzazione dell’aprile 2018, la sicurezza informatica è l’area all’interno dell’integrazione civile e militare con il maggior dinamismo e potenziale. Le capacità informatiche sono una priorità per il governo cinese e parte integrante della modernizzazione e dell’informatizzazione militare. La legge sulla sicurezza informatica 2017 è la principale politica che governa il cyberspazio in Cina. Questa legge promuove lo sviluppo di tecnologie indigene e limita le vendite di integrazione cilive e militare straniere, ma impone anche che le società straniere operanti in Cina conservino i dati in Cina e si sottopongano a revisioni governative. La Strategia internazionale di cooperazione nel cyberspazio, pubblicata a marzo 2017, attira l’attenzione sulla natura dualistica delle capacità informatiche, evidenziando l’importante ruolo del PLA nel difendere la sovranità cinese nel cyberspazio e invocando lo sviluppo di una “forza cibernetica” militare. Il cyber è ampiamente discusso nella strategia cinese 2025 della Cina e il 13° piano quinquennale – sia nel piano per la guida allo sviluppo S&T di fusione militare-civile che nel piano speciale per progetti di integrazione civile-militare della scienza e della tecnologia. La materia evidenzia la sicurezza nazionale del cyberspazio come un progetto da completare nel 2030 a beneficio sia dell’economia cinese che dell’esercito.

Dal punto di vista organizzativo, PLASSF è responsabile delle capacità informatiche dell’esercito, mentre l’amministrazione cinese del cyberspazio governa le capacità e gli sviluppi della cyber civiltà cinese. Le unità e le capacità di cyberspionaggio aziendale cinese, tuttavia, sembrano essere state recentemente trasferite dal PLASSF al Ministero della Sicurezza.

*Helena Legarda, ricercatrice, Mercator Institute for China Studies, GB

Pubblichiamo uno stralcio del suo rapporto che sarà presentato al meeting di Farefuturo sulla Cina. (Traduzione Matteo Angioli)

 

Intervista a Giulio Terzi di Sant’Agata ed Adolfo Urso sui temi del convegno “Il Dragone in Europa: opportunità e rischi per l’Italia”

Intervista a Giulio Terzi di Sant’Agata ed Adolfo Urso sui temi del convegno “Il Dragone in Europa: opportunità e rischi per l’Italia”” realizzata da Massimiliano Coccia con Giulio Maria Terzi di Sant’Agata (ambasciatore, presidente del Comitato Mondiale per lo Stato di Diritto – Marco Pannella), Adolfo Urso (senatore, vice presidente Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Fratelli d’Italia).