NEL MEMORANDUM LA TRAPPOLA DEL COMMERCIO

Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciammo noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Alessia Amighini

 

Stamattina affrontiamo una rosa di temi dove mi permetto di dire c’è stata scarsa e cattiva informazione in queste settimane. Sono contenta di poter parlare a nome del nostro istituto (ISPI) che è stato impegnato fin dal 2013, quando l’iniziativa della c.d. Via della seta è stata lanciata dal governo cinese, noi avevamo già iniziato a studiare le mosse del governo cinese all’estero. Essendo un istituto indipendente molto interessato ad offrire letture ed interpretazioni supportate dall’evidenza, sono contenta di poter condividere quello che abbiamo prodotto in termini di interpretazioni e letture negli ultimi mesi. Vengono a trovarci think tank cinesi e americani, per cui siamo ben posizionati ad ascoltare le loro domande. Vorrei dare seguito a quanto detto da Helena Legarda con un esempio concreto di come il dual-use viene realizzato e come viene percepito. Avete avuto modo di vedere negli ultimi giorni la sperimentazione della Stazione di Shanghai che combinando robotica e 5G sarà avveniristica, con un controllo dei passeggeri attraverso delle applicazioni scaricabili sui dispositivi mobili e attraverso dei totem verranno tracciati i movimenti degli individui, loro tempi ed interazioni. Tutto questo è stato presentato dal direttore di Huawei come un grande avanzamento tecnologico che migliorerà di molto la gestione della logistica ferroviaria della stazione, ma che chiaramente ha anche un risvolto meno positivo e potenzialmente anche inquietante in quanto l’individuo è controllato in ogni azione oltre che nelle sue intercettazioni con altri individui. Questo per noi è percepito in maniera molto diversa che un’efficienza di processo. Parlando di questo ai miei studenti e ad alcuni cinesi di seconda generazione, c’è stato un dibattito ferocissimo in aula. Questo tema dell’intrusione del pubblico nella sfera privata che per noi è eccessivo, non è tale per i cittadini cinesi che al contrario non considerano un problema essere controllati, anche quando si va alla toilette. Questo esempio ci aiuta a capire la diversa prospettiva di lettura di un fenomeno che può essere interessante per interpretare tante cose che noi leggiamo con la nostra lente ma che non è quella universale. Per tornare al tema di oggi, ci troviamo di fronte ad un memorandum che è in firma domani e di cui non si sa ancora bene del contenuto. La cosa più interessante e divertente se non fosse drammatica è che si tratta di un documento da un lato, vuoto, fumoso e quindi di fatto inconsistente, quindi innocuo. Questo è pericoloso, perché se non c’è scritto sostanzialmente nulla, firmeremo qualcosa di vuoto, senza pericolo per come è stato dichiarato da alcuni esponenti del Governo, perché non è un trattato, non è un accordo, né un contratto; semplicemente un documento non ben specificato perché è un’intesa tra Stati, un formato totalmente nuovo per noi, per cui non sappiamo come considerarlo. Questo ha spiegato le frizioni di questi giorni. È una larga intesa tra Stati e non tra Governi. In realtà il memorandum sarà un’intesa che sancisce una cooperazione della Repubblica italiana con la Repubblica popolare cinese in merito alla cooperazione bilaterale sulla realizzazione dell’iniziativa che noi romanticamente chiamiamo Via della seta, ma che ha un nome e un cognome Belt and Road che in italiano vuol dire poco o nulla ma che è il nome di battesimo iscritto nella costituzione della Repubblica Popolare Cinese. Quindi è un progetto, un programma di Stato della Repubblica Popolare Cinese. Questo nero su bianco, senza andare oltre, basta leggere le prime cinque righe del titolo per capire cos’è, a prescindere poi da quello che c’è scritto. Che cos’è allora questa Belt and Road? Pur essendo la più importante opera infrastrutturale, un grande progetto di sviluppo internazionale che interessa il settore navale, logistico, ferroviario, ma certamente è anche, per come dichiarato dai cinesi, un progetto di infrastrutturazione digitale, culturale e finanziario. Ora il digitale dà adito a preoccupazioni diverse, da quelle della cooperazione scientifica e tecnologica perché apre tutto un capitolo di sicurezza non convenzionale, ma anche l’integrazione finanziaria che pur è inserita a pieno titolo anche nella bozza che stiamo per firmare e dubito che vengano tolti i punti cruciali che corrispondono all’obiettivo dello Stato cinese di perseguire la Belt and Road. Ci sono dei punti molto precisi, oltre al commercio e agli investimenti. Uno di questi è il libero scambio che non appartiene agli Stati membri ma è competenza dell’Unione e anche qui è stato detto che in termini di gerarchia delle fonti questa intesa è chiaramente l’ultima ruota del carro, in quanto vengono prima i trattati europei. In termini di rapporto bilaterale cosa vuol dire per esempio che l’Italia e la Cina s’impegnano a trattare amichevolmente in sede bilaterale fuori dalle Corti, un eventuale screzio interpretativo come verrebbe sanato? L’Italia può sollevare casi di antidumping nei confronti della Cina? È una domanda alla quale sarebbe interessante avere una risposta. Perché se leggo nero su bianco che l’Italia e la Cina s’impegnano amichevolmente ad un “unempeted trade”, vuol dire che se noi solleviamo in modo giustificato e lecito casi di antidumping questo verrà considerato come una sorta di non ottemperanza a questa intesa. Quindi il fatto che sia fumoso non rende il documento innocuo, al contrario lo rende molto più pericoloso di quanto non sarebbe se ci fosse scritta una serie di accordi ben specifici con degli step concreti da perseguire con dei budget associati a questi progetti. Il vero motivo dell’intesa sarebbe veicolare maggiormente una serie di accordi più operativi che però sono sconosciuti, perché tra l’altro si tratta di privati che potrebbero non volere dichiarare quello che stanno firmando. C’è poi un altro punto: il memorandum è ufficialmente funzionale all’avanzamento delle relazioni politiche tra l’Italia e la Cina; ben venga. Ma cosa vuol dire avanzamento delle relazioni politiche senza altre specifiche? Nell’insieme quindi ci sono degli aspetti che sono stati sottovalutati, sminuiti più o meno volutamente, questo non lo sappiamo. C’è chi dice che la parte politica è troppo ampia quindi è stata limata, c’è chi dice che invece la parte commerciale è relativamente inconsistente e quindi è stata aumentata. Quindi non sappiamo quali possano essere le parti controverse, le parti limate oppure aumentate. La confusione permane. Cosa possiamo fare? Certamente dobbiamo migliorare il dialogo con gli altri grandi Stati Membri dell’UE, con la quale è auspicabile costruire una posizione comune o linee di azione comuni nelle relazioni con la Cina, per evitare la strategia cinese del divide et impera.

 

*Alessia Amighini Co-direttore Centro-Asia, ricercatore ISPI al meeting Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019

 

 

È IN GIOCO LA SICUREZZA NAZIONALE

Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciammo noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Giulio Terzi di Sant’Agata

 

I) Le indicazioni fornite dalla “Relazione sulla Politica dell’Informazione per la Sicurezza – 2018”

Una seria valutazione della minaccia che grava sulla nostra sovranità nazionale nel caso specifico del processo di avvicinamento della Cina al quale la visita di Stato del Presidente Xi Jinping intende imprimere un decisivo impulso anche attraverso il Memorandum of Understanding e l’adesione italiana alla “Via della Seta”, deve muovere, io credo, da una attenta rilettura della Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza recentemente resa pubblica dai nostri servizi di intelligence. In particolare, vorrei rilevare come alcune osservazioni alle pagine 61, 62, 63, nonché alcuni riferimenti nel documento allegato, riguardino specificamente la Cina, tracciando un identikit senza nome ma con una chiarissima profilatura complessiva, che fornisce la proporzione esatta del problema che abbiamo dinanzi. Il Rapporto della nostra Intelligence dice quanto segue: – Le iniziative attuate dal Governo nel corso dell’anno, intese ad attrarre in Italia partner economici con una prospettiva di lungo periodo, sono valse a ribadire la valenza strategica, per il Sistema Paese, dell’afflusso di capitali stranieri in grado di concorrere allo sviluppo delle imprese italiane, sia finanziando programmi di ricerca e innovazione volti a mantenere adeguati livelli di competitività, sia favorendo l’accesso a know-how industriale e a nuovi mercati di sbocco. – L’attività intelligence ha risposto all’esigenza di cogliere i rischi legati all’ingresso nel tessuto economico nazionale di soggetti, capitali e prodotti stranieri, quello di “decifrare” eventuali proiezioni estere in contrasto con l’interesse nazionale, perché rispondenti a finalità extraeconomiche o in quanto volte a depredare le imprese-target, specie di tecnologie o marchi.

– L’azione informativa è stata diretta in primo luogo al comparto della difesa e dell’aerospazio, con particolare attenzione alla tutela del know-how e dell’integrità delle filiere.

– Pari attenzione è stata rivolta agli altri settori strategici cui fanno capo le attività di base indispensabili per garantire i servizi vitali e il benessere della collettività: telecomunicazioni e relative reti, terrestri e mobili, anche con l’obiettivo di preservare l’integrità e la sovranità dei dati; trasporti, specie per quel che attiene alle dinamiche proprietarie dei vettori e degli operatori infrastrutturali; energia, con riferimento sia alle implicazioni sul piano industriale delle operazioni di merger and acquisition, sia alla salvaguardia delle infrastrutture.

– Ha incluso nel perimetro di tutela: dalle infrastrutture di immagazzinamento e gestione dati a quelle finanziarie, dall’intelligenza artificiale alla robotica, dai semiconduttori alla sicurezza in rete in analogia con i meccanismi di tutela adottati da alcuni importanti partner occidentali.

– La ricerca informativa si è in particolare appuntata sui soggetti espressione di un controllo pubblico, diretto o indiretto, che per loro stessa natura rappresentano non di rado i vettori per perseguire finalità extraeconomiche. Nella medesima ottica di protezione, si è guardato ad operatori caratterizzati da opacità sia nella governance sia nelle strategie di investimento.

– Quanto alle modalità di azione degli attori ostili o controindicati, il monitoraggio intelligence ha rilevato iniziative tese a esfiltrare tecnologia e know-how (anche attraverso l’acquisizione di singoli rami d’azienda) o a conquistare nicchie di mercato pregiate, facendo emergere, in qualche caso, la tendenza alla strutturazione di manovre complesse finalizzate a guadagnare posizioni di influenza in segmenti del sistema economicofinanziario nazionale, ovvero a conquistare peso monopolistico in specifici settori di attività.

– Evidenze informative hanno fatto stato, poi, dei tentativi di operatori esteri di alterare il quadro competitivo attraverso il sistematico storno di capitale umano ad alta specializzazione in forza a imprese nazionali, la studiata marginalizzazione del management italiano (anche nell’ambito di partnership e joint venture) e il ricorso ad azioni di influenza esercitate attraverso consulenti e manager “fidelizzati”.

– L’attività a protezione del know-how tecnologico e innovativo delle imprese italiane ne ha registrato la persistente esposizione ad iniziative di spionaggio industriale, specie con modalità cyber agevolate dalla digitalizzazione pressoché integrale dei processi produttivi e più pervasive nei confronti delle piccole e medie imprese, come si dirà nell’allegato Documento di Sicurezza Nazionale.

– La filiera marittimo-logistica ed i suoi nodi critici – rappresentati da porti, aree retroportuali e punti intermodali che connettono economie locali e sistemi produttivi – in un’ottica intesa a rilevare vulnerabilità di sicurezza in grado di condizionarne funzionamento e sviluppo.

– Dal monitoraggio delle Tecniche, Tattiche e Procedure (TTP) utilizzate è emerso un accresciuto livello di complessità e sofisticatezza delle azioni, l’uso combinato di strumenti offensivi sviluppati ad hoc con quelli presenti nei sistemi target impiegati in modo ostile, nonché il “riuso” di oggetti malevoli (malware) allo scopo di ricondurne la matrice ad altri attori (cd. operazioni false flag).

– In tale contesto, lo sforzo più significativo posto in essere dal Comparto ha riguardato il contrasto di campagne di spionaggio digitale, gran parte delle quali verosimilmente riconducibili a gruppi ostili strutturati, contigui ad apparati governativi o che da questi ultimi hanno ricevuto linee di indirizzo strategico e supporto finanziario.

– Quanto alle finalità perseguite, gli attacchi hanno mirato, da un lato, a sottrarre informazioni relative ai principali dossier di sicurezza internazionale, e, dall’altro, a danneggiare i sistemi informatici di operatori, anche nazionali, attivi nello Oil&Gas, nonché quelli di esponenti del mondo accademico italiano, nell’ambito di una campagna globale mirante a profilare settori d’eccellenza di università e centri di ricerca.

– Sul fronte delle infrastrutture di attacco, i gruppi responsabili di azioni di cyber-espionage hanno proseguito nell’impiego di servizi IT commerciali (domini web, servizi di hosting, etc.), forniti da provider localizzati in diverse regioni geografiche, anche per rendere difficoltoso il processo di individuazione. Qui, l’attaccante ha colpito le infrastrutture tecnologiche degli obiettivi finali tramite la violazione preventiva di quelle dei fornitori, abusando sovente anche delle relazioni di fiducia connesse al rapporto contrattuale.

II) Le indicazioni contenute nel Rapporto IISS- Merics

La Dr.ssa Helena Legarda ha approfondito come nella sua ricerca di diventare una “superpotenza nella scienza e nella tecnologia” e nell’obiettivo di acquisire la capacità militare dominante, la Cina abbia intrapreso da tempo, e ulteriormente accelerato negli ultimi anni, un percorso per conseguire una completa integrazione civile-militare, e sviluppare tecnologie a doppio impiego “Dual – use”. Per l’Europa, l’incentivo ad essere competitiva e a tenere il passo con i rapidissimi progressi tecnologici della Cina, risiede nella capacità di proteggere i propri settori innovativi. Si tratta di esigenze imperative che riguardano allo stesso tempo l’ambito militare, commerciale ed economico.

 

III)      “Belt and Road Initiative” (BRI) e “Via della Seta

I risultati conseguiti dal Presidente Xi Jinping sul piano interno nel consolidare il sistema di potere guidato dal Partito Comunista Cinese. Un potere sempre più accentrato nella figura di un Presidente ormai svincolato da termini di mandato e, apparentemente, da qualsiasi apprezzabile forma di opposizione interna.  La trasformazione “neo imperiale” della potenza cinese avvenuta in questo decennio muta radicalmente i presupposti sui quali si erano basate le politiche Americane ed Europee dall’inizio della particolarmente sensibili nell’affermare lo Stato di Diritto e i principi della democrazia liberale nel mondo – come scritto nei Trattati europei – ripetere come verità rivelata che BRI e Via della Seta costituiscono “il Piano Marshall” di questo primo secolo del millennio, riprendendo pedissequamente gli argomenti e la propaganda di Pechino. Ciò dovrebbe preoccupare quanti dovrebbero essere sensibili alla contrapposizione valoriale, in termini di libertà e di dignità della persona, tra l’impostazione sostenuta alla fine del secondo conflitto mondiale, dal Segretario di Stato Marshall, e il “pensiero unico” affermato da Xi Jinping e dalla sua classe dirigente. Questa tendenza non è purtroppo nuova nel mondo politico e imprenditoriale italiano. C’è troppo spesso l’ansia di dimostrare di “essere i primi” nel cogliere facili opportunità in mercati estremamente complessi, e in Paesi dove regole del mercato, rispetto degli investitori stranieri, parità di trattamento e reciprocità passano sempre dopo, molto dopo, le priorità di un interesse nazionale interpretato in chiave marcatamente ideologica, nazionalista e persino “militarista”. Non dovrebbe l’Italia, con la necessità assolutamente vitale di tutelare il “Made in Italy” nelle imprese strategiche oltre che nei beni di consumo e nei servizi, dimostrarsi ben più sensibile al proprio interesse nazionale e alla esigenza di una oggettiva valutazione della “questione Cinese”? Si tratta di una narrativa sulla quale influiscono enormi interessi economici, pubblici e privati, di sicurezza, di influenza, di visione geopolitica, di tutela delle libertà, di privacy e sicurezza nella “rete”, di attaccamento a valori fondamentali – Stato di Diritto, libertà politiche e diritti umani – che ogni Europeo dovrebbe sentirsi ad ogni costo impegnato ad affermare. Ciò dovrebbe in particolare valere ai “tavoli” delle trattative multilaterali dove Governi e Istituzioni Europee decidono regole, comportamenti e composizioni di interessi nazionali su questioni di vitale importanza per i loro popoli. Molti commentatori occidentali hanno rilevato la notevole opacità, probabilmente voluta, della strategia di Pechino. Se “road” sembra riferirsi essenzialmente a vie d’acqua, e “cintura” a infrastrutture tra Cina e Europa che colleghino ferrovie, strade, telecomunicazioni – importantissima nel progetto cinese la dimensione Cyber – sono certamente molti i Paesi e Governi asiatici, mediorientali e africani, e non pochi i politici e gli imprenditori europei, ansiosi di accogliere finanziamenti cinesi “senza condizioni”: negoziati con Presidenza Clinton. Lo sviluppo prodigioso dell’economia cinese, i successi registrati – sia pure con le carte spesso truccate della sottrazione illegale dei dati ad aziende e ricercatori occidentali – in campo scientifico e tecnologico (intelligenza artificiale, quantum computing, spazio e armi di ultimissima generazione) è stata indotta e sostenuta da una globalizzazione con vantaggi pesantemente unidirezionali per la Cina.  Ciononostante sembra prevalere nel dibattito che si sta sviluppando nel nostro Paese sui grandi temi della BRI, della Via della Seta e in generale sul rapporto tra Europa e Cina una tendenza all’accoglienza entusiastica e incondizionata alle tesi di Pechino che magnificano i grandi vantaggi dei finanziamenti cinesi, la visione di una globalizzazione guidata Pechino, e persino la “superiorità” del modello sociale, politico e dell’ideologia cinese rispetto allo Stato di Diritto occidentale. Abbiamo persino ascoltato in alcuni dibattiti dello scorso agosto personalità politiche di grande esperienza di Governo e nelle Istituzioni Europee, che dovrebbero quindi essere metodi e interlocutori spesso assai disinvolti sotto il profilo della lotta alla corruzione, delle garanzie di sicurezza sociale e dei diritti dei lavoratori. Le considerazioni di natura economica, pur problematiche sotto diversi profili, assumono colori ancor più inquietanti ove si consideri invece che il disegno di Pechino fa parte di un progetto geopolitico per il “nuovo ordine mondiale” nel quale la Cina intenda assumere il ruolo di Superpotenza dominante. Un progetto che viene da lontano. Ma che assume ora una sua marcata assertività in dichiarazioni, documenti, iniziative diplomatiche e militari, oltre che commerciali e finanziarie, della Cina di Xi Jinping. Questa ultima ipotesi diventa ancor più realistica a causa dell’opacità del gigantesco impegno finanziario ostentato da Pechino in una quantità di occasioni. Qual é il “blueprint” della BRI e della Via della Seta, ci si chiede in Occidente e in molti Paesi interessati dell’Asia, dell’Africa e de Medio Oriente? Quali sono i motivi dei continui ampliamenti che Pechino propone ai suoi orizzonti, dall’iniziale contesto Eurasiatico e Africano (“Vie della Seta” terrestri e marittime) a quelli della “Via della Seta nel Pacifico”, della “Via della Seta sul ghiaccio” nell’Artico, e ora della “Via della Seta digitale” attraverso lo spazio cyber?   Le preoccupazioni aumentano quando si constata che la BRI si lega a un ormai definito “culto della personalità” di Xi. La stampa cinese ha ribattezzato l’iniziativa “cammino di Xi Jinping”. Si sollecitano apprezzamenti dei Governi stranieri, così da farli rimbalzare nella martellante propaganda interna. Un’analisi delle strategie e intenzioni di Pechino deve anzitutto riguardare i rapporti con i Paesi vicini. Gran parte dell’Asia deve ora riconoscere che il gigante cinese non può essere visto soltanto come un partner commerciale. Con la ricchezza e il successo si è diffusa la capacità di attrazione del modello cinese. Ciononostante sono numerose le riserve e non di rado le nette opposizioni a seguire i “desiderata” di Pechino: perfino da parte di Paesi  come Myanmar, considerati per decenni sottomessi politicamente e economicamente alla Cina. I valori aggregati di cui si continua a parlare per BRI e “Vie della Seta” sono certo imponenti ma non ancora tali da comportare un “dominio finanziario globale”.  Le preoccupazioni più immediate riguardano i condizionamenti che il Governo e gli enti statali cinesi sono perfettamente in grado di esercitare in Europa, e in Italia in particolare, ogni volta che Pechino intenda acquisire aziende di valore strategico per i nostri Paesi e per il “Made in Italy”: sempre a condizioni estremamente svantaggiose per il “sistema Italia”, sia sotto il profilo economico, sia per quanto riguarda la tutela dei dati informatici, la protezione delle tecnologie, e l’assenza di qualsiasi condizione di reciprocità. Se il quadro descrive quanto avvenuto nell’ultimo decennio in Occidente, senza che le più importanti economie del mondo si ponessero seriamente l’obiettivo di instaurare con Pechino regole del gioco eque, rispettose della legalità e degli accordi sottoscritti, se interessi pubblici e privati legati a convenienze del giorno per giorno hanno fatto sì che si sia lasciata a Pechino la mano completamente libera nello sfruttare i “mercati aperti” che lobbies e gruppi di potere in America e in Europa mettevano ben volentieri a loro disposizione, ben possiamo immaginare quanto sia avvenuto, stia avvenendo e ancora avverrà nelle economie più deboli del pianeta, governate in molti casi da autocrati o presidenti a vita, sorretti da ristrettissime “elites” locali, operanti di fatto al di fuori di qualsiasi controllo popolare, di trasparente informazione, e di legalità sanzionata. Nei mesi scorsi un think tank particolarmente autorevole nelle questioni dello Sviluppo Sostenibile – il “Centre for Global Development”- ha pubblicato una ricerca su otto paesi che sono ad alto rischio di “collasso finanziario” a causa dell’indebitamento contratto da quei Governi nella “Belt and Road Initiative” (BRI). Si tratta di Laos, Kyrgyzstan, Maldive, Montenegro, Gibuti, Tajikistan, Mongolia, Pakistan. In meno di due anni, la percentuale debito/ PIL è passata per effetto dei progetti cinesi BRI, rispettivamente (a cominciare dal Laos) da circa 50% al 70%; dal 23% al 74%; dal 39% al 75%; dal 10% al 42%; dall’80% al 95%; dal 55% all’80%; dal 40% al 58%; dal 12% al 48%. In Montenegro l’autostrada finanziata da Pechino configura il solito “patto leonino”, dato che l’ammontare del debito corrisponde a un quarto dell’intero PIL del paese; la ferrovia in Laos, alla metà del PIL annuo. Si è stimato che nel solo quadriennio 2000-2014 il Governo Cinese abbia finanziato progetti pari a 354 Mld $, tre quarti dei quali a tassi di mercato. Non solo Trump ha definito “predatorie” tali iniziative, ma la stessa Christine Lagarde – Direttore esecutivo del FMI- ha sottolineato la loro problematicità, auspicando che “la BRI viaggi esclusivamente dove è realmente necessario”. L’UE sta insistendo con Pechino affinché al centro della BRI e delle Vie della Seta siano poste regole precise su trasparenza, standard nel mercato del lavoro, sostenibilità del debito, appalti, ambiente. Nei primi mesi del 2018 tutti gli Ambasciatori UE a Pechino, eccettuato l’ungherese, hanno firmato un rapporto per Bruxelles nel quale hanno definito la BRI una sfida alle regole del libero mercato e una manna per i sussidi statali. Per parte sua Atene, che ha ceduto alla compagnia COSCO nel 2016 il porto del Pireo per 312 Mil $, ha bloccato l’UE nel prendere posizione sulla militarizzazione cinese degli isolotti nelle zone del Pacifico reclamate anche da Filippine, Vietnam, e oggetto della controversia con gli USA e tutti gli altri Stati della regione. L’UE ha appena lanciato un’iniziativa per l’esame degli investimenti cinesi. è atteso un Rapporto con precisa valutazione del rischio e dei diversi elementi da considerare per gli investimenti esteri in Europa, in particolare dalla Cina.

Giulio Terzi di Sant’Agata, ambasciatore, già Ministro degli Affari Esteri, al meeting “Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019

Il dragone in Europa attraverso l’Italia

Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciano noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Adolfo Urso

 

Questo meeting è organizzato da Farefuturo insieme alla Fondazione New Direction, la fondazione che fa riferimento in Europa al gruppo dei conservatori e riformisti e quindi alla famiglia dei conservatori europeo-occidentale, su un tema centrale per l’interesse nazionale in una giornata particolarmente significativa a poche ore dalla visita del Presidente della Repubblica Popolare di Cina in Italia, evento a cui viene dato un alto valore politico. In tale contesto, abbiamo voluto proporre un seminario di studi dal titolo emblematico “Il Dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” per analizzare il valore politico ed economico di alcuni accordi che verranno firmati in quella occasione dal Presidente Xi Jinping, che rappresenta tutte le cariche della Cina a cominciare da quella più prestigiosa di Segretario del Partito Comunista Cinese, e come tutti sanno, in Cina la carica del partito viene prima di quella dello Stato. Lui stesso nel presentare la sua visita ad un quotidiano italiano ne parla all’interno di un contesto storico, culturale e politico di straordinaria importanza a suggello del quale sarà apposta la firma di un MoU che riguarda la cosiddetta Via della seta, il primo realizzato da un Paese importante della NATO e da un Paese del G7.

Oggi la “Via della seta” è la più importante infrastruttura navale, ferroviaria, logistica del mondo, quindi è acciaio più che seta. Altrettanto significativi i circa cinquanta accordi collegati, alcuni tra aziende pubbliche, quindi su indirizzo specifico dello Stato, altre di aziende private di varia natura. Nel MoU non si affronta la tematica commerciale ma si parla di infrastrutture, trasporti, logistica, spazio, telecomunicazioni quindi di assetti strategici. Ovviamente non si parla di commercio strettamente inteso perché come tutti sanno la politica commerciale è esclusiva competenza dell’Unione Europea. Si parla invece di economia, di finanza e anche di quei settori strategici che vi ho citato prima ma non certamente di commercio in quanto tale, come si è voluto far credere. Il nostro export non ne trarrà alcun beneficio diretto. Ieri nel due rami del Parlamento, sia alla Camera che al Senato, c’è stato un dibattito su questo evento, certamente estremamente significativo per le conseguenze che ha sulla nostra collocazione internazionale, prima ancora per le sue ricadute sulla nostra economia.

Il Parlamento ha approvato una davvero strana mozione di maggioranza in cui si impegna il Governo a fare i dovuti accertamenti sulle ricadute del Memorandum: se il nostro interesse nazionale è garantito, se la nostra sicurezza nazionale è garantita se le relazioni e gli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia a cominciare da quelli dell’Alleanza Atlantica e della UE sono garantiti; in sostanza, la stessa maggioranza chiede al governo di accertare e verificare ora a poche ore dalla sottoscrizione degli accordi se tutto ciò è garantito, dopo che per sette mesi i ministeri interessati hanno lavorato alla preparazione del MoU e degli accordi collegati avendo si presume fatto già tutti gli accertamenti necessari, in caso contrario sarebbe di fatto gravissimo. Il fatto che la stessa maggioranza impegni il suo governo a fare ora tutti i necessari accertamenti è di per se significativo e nel contempo inquietante per la leggerezza con cui si è affrontata la questione. Risalgono ai giorni immediatamente successivi alla formazione del governo le prime missioni in Cina del vice Primo ministro Di Maio e del ministro dell’economia Tria e poi un via vai di missione di esponenti di Cinque Stelle e del Sottosegretario al Commercio che di fatto in questi mesi ha vissuto più in Cina che in Italia. Quindi sette mesi di analisi, documentazione, contrattazioni avrebbero dovuto portare evidentemente a una verifica sotto gli aspetti che riguardano la sicurezza nazionale, quanto il rispetto dei nostri accordi internazionali e delle nostre alleanze storiche.

È anomalo, ripeto, che la maggioranza impegni il governo a fare tutto ciò a poche ore prima della firma degli accordi quando ormai tutto è già deciso. Questa missione e queste firme giungono proprio mentre l’Unione Europea, dopo un lunghissimo letargo politico e strategico in cui le singole Nazioni si sono mosse autonomamente e in cui tutti hanno affrontato la Cina come una grande opportunità, improvvisamente l’UE da una parte e gli Stati Uniti dall’altra stanno valutando con grande apprensione i rischi di quella che appariva una grande opportunità con dei provvedimenti alcuni già deliberati altri in via di deliberazione di straordinaria efficacia nella modifica di questa postura.  Tra quelli approvati io evidenzio il Regolamento sullo screening degli investimenti esteri in Europa che stranamente ha avuto come opposizione solo l’Italia (insieme alla Gran Bretagna che però non fa più parte di fatto dell’Unione Europea). Fatto perlomeno strano se lo compariamo al documento ufficiale presentato dall’attuale Governo poche settimane fa in Parlamento nel rapporto annuale dei servizi di sicurezza in cui vengono individuati alcuni rischi per la sopravvivenza del Paese. E tra i rischi per la sopravvivenza del Paese individuati nei rapporti ufficiali vi sono: – la sicurezza cibernetica come nuova frontiera per la sicurezza nazionale  su cui prestare la massima attenzione perché la sicurezza cibernetica significa la sicurezza sui nostri dati; – l’attività predatoria economica e finanziaria fatta da Paesi stranieri che utilizzano anche entità statuali per individuare per esempio le migliori start-up che hanno depositato i migliori brevetti per acquisirle prima che li sviluppino o per favorire la nomina di management nelle aziende che si intendono acquisire affinché preparino il terreno alla azione predatoria che ne seguirà.

Quindi le nuove frontiere della sicurezza nazionale e della sovranità economica – a cui io aggiungo la sovranità sulla conoscenza, sui dati, sull’intelligenza quindi sul nostro futuro – sono quelle economico-finanziarie e quelle della cyber security. Ho fatto notare recentemente al Primo Ministro in una riunione del nostro Comitato per la Sicurezza della Repubblica che l’Italia si è opposta in sede europea proprio al Regolamento sullo screening che invece il rapporto presentato in Parlamento e da Lui sottoscritto definiva come atto fondamentale per garantire la nostra sicurezza e sovranità economica e tecnologica. Com’è possibile? Se noi individuiamo in quel Regolamento il passo decisivo per tutelarci meglio, poi perché ci opponiamo in Europa a quel Regolamento? Altri episodi di questo tipo, dalla anomala posizione sul Venezuela all’annuncio del ritiro dei nostri militari dall’Afghanistan, alla lettera che quindici ambasciatori della UE hanno scritto con l’assenza della firma italiana, al governo cinese per la tutela delle minoranze in quel Paese, ci fanno capire come la postura del governo italiano nei confronti della Cina sia profondamente mutata ed appare clamorosamente diversa di quella dei nostri partner europei.

La nostra postura assomiglia sempre più alla postura (di sudditanza) che per esempio la Grecia ha assunto spesso dopo che la Cina gli ha acquistato i porti del Pireo. Tanto più grave perché l’Italia non è la Grecia e non è certo considerata come tale dai nostri alleati tradizionali e neppure dai nostri avversari tradizionali. Perché l’Italia dovrebbe guardare con attenzione non soltanto alle opportunità ma anche e forse soprattutto ai rischi? Lo dico sulla base della mia esperienza personale di Ministro delegato al commercio con l’estero: nel novembre del 2001 rappresentavo l’Italia al meeting del WTO a Doha dove la Cina realizzò ufficialmente l’obiettivo dell’adesione alla Organizzazione del commercio mondiale, che una volta era il simbolo del capitalismo mercantile. Ero fisicamente presente come capo delegazione italiana quando fu sottoscritto l’ingresso della Cina, allora qualificato come Paese in via di sviluppo a cui erano concesse, proprio per questo, anche dei vantaggi importanti. Allora essa era considerata anche una “economia non di mercato” che avrebbe dovuto nel frattempo nell’arco di quindici anni diventare un’economia di mercato. Cosa che allo stato non è ancora avvenuta. Tutt’altro: la sua economia resta dirigista e le sue aziende sono di fatto ancora in gran parte in mani allo Stato e comunque sussidiate dallo Stato. Le condizioni di allora sono ovviamente profondamente cambiate.

La Cina non è più un Paese in via di sviluppo; è la seconda economia del mondo e presto diventerà la prima economia del mondo, molto competitiva proprio sugli assetti tecnologici e industriali. Ma nel contempo è rimasta un’economia non di mercato anzi è sempre più un’economia non di mercato per la presenza importante e significativa dello Stato soprattutto nei settori strategici dell’economia cinese, come dimostra proprio il caso delle telecomunicazioni.  La situazione è molto cambiata in questi anni. Siamo in un’altra epoca. In quel periodo io stesso mi sono recato in Cina decine di volte con delegazioni di imprese italiane per tentare di cogliere le migliori opportunità di un Paese che si apriva al mondo. Mi recai in Cina anche nella primavera del 2003, durante la SARS, nel massimo momento di crisi del Paese, credo fui l’unico ministro del mondo a farlo per dare un sostegno politico ovviamente allora ritenuto significativo. L’anno successivo nel 2004, fui anche il propugnatore in Europa della misura anti dumping più importante della storia del WTO per vastità di settore, quella nei confronti delle calzature cinesi e vietnamite riproposta poi nel 2008. Non ho quindi mai avuto una visione ideologica o comunque pregiudiziale nei confronti della Cina. Ho guardato sempre e solo e comunque innanzi tutto all’interesse del mio Paese.

In questi anni, la Cina è profondamente cambiata, e da Grande Opportunità è diventata prevalentemente un Grande Rischio perché è molto accresciuta la sua forza competitiva e perché la nuova presidenza di Xi Jinping ne ha cambiato la postura.  Xi Jinping che sarà tra poche ore in Italia è l’unico presidente che ha assunto nelle sue mani, dopo Deng Xiaoping, tutti i poteri della struttura cinese: Segretario generale del Partito Comunista, presidente dallo Stato, coordinatore delle forze armate e altri dieci diversi incarichi di coordinamento. Ha inserito il suo Pensiero nella Costituzione cinese. Ha rimosso il vincolo dei due mandati si pone come un nuovo imperatore della Cina e nel contempo ha modificato profondamente nelle radici la stessa legislazione cinese.  Nel 2017 la “via della seta” è stata inserita nello statuto del partito comunista cinese, come obiettivo strategico per cambiare il mondo. Nel 2018 lo stesso concetto è stato ribadito nel preambolo della Costituzione cinese come nuova alleanza globale, alternativa capace di soppiantare quella del blocco occidentale. Quindi, la via della seta è tutt’altro che uno spot commerciale e nemmeno meramente economico se è inserito nello statuto del partito e nella costituzione della Cina. Inoltre dal  2015 con quattro differenti provvedimenti legislativi che riguardano la sicurezza si fanno una serie di obblighi legislativi tra i quali quello secondo cui e non solo i cittadini e le aziende cinesi operanti nel mondo hanno l’obbligo di fornire informazioni e assistenza al proprio Stato, ai propri servizi di sicurezza e alle proprie forze armate per motivi di sicurezza largamente intesi. Perché per sicurezza non intendono soltanto la sicurezza ovviamente nei confronti della lotta al terrorismo, sarebbe forse comprensibile, ma intendono la sicurezza, la sovranità economica, l’interesse sociale in sostanza ogni aspetto della vita nazionale.

Tra gli accordi sulla economia digitale, particolarmente sensibile, ve ne è persino uno che sarà sottoscritto per favorire la costituzione di una piattaforma commerciale europea di Alibaba in Europa.  Cosa significa? Significa che la piattaforma commerciale Alibaba in Europa, così come ha fatto la grande distribuzione globale per esempio francese, favorirà la vendita dei prodotti cinesi in Europa saltando ogni tipo di controllo anche sanitario. E questo mentre proprio in questo campo, sull’economia digitale, sull’intelligenza artificiale l’Europa vuole recuperare i suoi macroscopici ritardi proponendo di realizzare un piano straordinario europeo per fare dell’Europa la prima economia sull’intelligenza artificiale. Questa è  la frontiera della quinta rivoluzione industriale! Noi oggi parliamo dalla quarta rivoluzione industriale, quella della economia digitale, ma già si prepara la quinta rivoluzione industriale in cui la Cina è cinque anni avanti rispetto all’Occidente, la rivoluzione della intelligenza artificiale. Quindi l’Europa cerca di recuperare un ritardo nella frontiera più importante per il nostro futuro. Nella nuova postura dell’Unione ci sono nuove proposte di direttive o nuovi regolamenti che riguardano la cyber security, la tassazione della economia digitale, ma anche in maniera specifica le relazioni transatlantiche, le tariffe industriali. L’altro giorno nel mio intervento in Parlamento ho elencato almeno dieci argomenti che l’Europa in un senso o nell’altro sta inserendo o vorrebbe inserire nelle proprie normative comunitarie per tutelare il continente rispetto a questa competizione globale.

Nel meeting di oggi vogliamo porre a conoscenza degli addetti ai lavori e in particolare dei decisori ma anche di chi desidera meglio capire e conoscere, persino seguendoci nella diretta su Facebook di cosa si tratta, quale sia la vera posta in palio, cosa si sta per sottoscrivere, perché il Paese deve sapere.  Deve sapere che queste scelte cambiano la postura del rapporto dell’Italia rispetto alla Cina e quindi nei confronti del mondo. Il fatto stesso che in queste ore sia stata rivista la normativa contenuta nel MOU sui porti e gli investimenti in logistica ci deve far riflettere. Perché qual era quella precedente contrattata per mesi all’insaputa del Paese e degli stessi ministeri competenti?  Cosa prevedeva dato che è stata rimossa? Dato che i porti sono la chiave del Paese che non si può mai consegnare a chi ha l’infrastruttura che legherà il mondo. Una chiave che può essere aperta o può essere chiusa da chi la dispone. La conoscenza e la competizione globale si basa su tre-quattro livelli; certamente il primo è il controllo dell’infrastruttura cioè del trasporto di merci e noi stiamo consegnando le chiavi di casa dell’Europa, dell’Occidente ad un soggetto che mette nello Statuto del Partito Comunista che quella via è lo strumento per cambiare gli assetti globali del mondo. Secondo. Le altre “chiavi di casa” è la rete internet. La comunicazione è fondamentale perché riguarda la sicurezza del Paese, la conoscenza dei dati è oggi il centro di tutto e mi riferisco al 5G. Chi controlla, chi ha le chiavi delle infrastrutture digitali ha le chiavi del nostro cervello.  Terzo: chi controlla la vendita on-line ha le chiavi dei nostri mercati. Alibaba è l’esercito che controlla i mercati. Infine e su tutto, il problema dell’intelligenza artificiale, dello spazio e del suo sviluppo tecnologico ed economico, ma questo è un cuore della quarta anzi della quinta rivoluzione industriale che verrà ma i cui assetti si determinano oggi. Spero che questo meeting possa servire a capire e quindi a decidere meglio.

*Adolfo Urso, presidente Fondazione Farefuturo, al meeting “Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019

Italia terminal europeo della nuova Via della Seta

Mercoledì 26 giugno alle ore 15,30 il presidente della Fondazione Farefuturo Adolfo Urso, interverrà nella sua qualità di vicepresidente del Copasir al meeting  del CNEL  “Italia terminal europeo della nuova Via della Seta” per evidenziarne le conseguenze geopolitiche nella collocazione internazionale dell’Italia e sulla nostra sicurezza e sovranità nazionale.

 

Per info e accrediti: [email protected]

“Via della seta” strumento di dominio globale

Questo meeting è organizzato da Farefuturo insieme alla Fondazione New Direction la fondazione che fa riferimento in Europa al gruppo dei conservatori e riformisti e quindi alla famiglia dei conservatori europeo- occidentale, su un tema centrale per l’interesse nazionale in una giornata particolarmente significativa a poche ore dalla visita del presidente della Repubblica popolare di Cina in Italia, evento a cui viene dato un alto valore politico.

In tale contesto, abbiamo voluto proporre un seminario di studi dal titolo emblematico ” Il Dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” per analizzare il valore politico ed economico di alcuni accordi che verranno firmato in quella occasione dal Presidente Xi LinPing, che rappresenta tutte le cariche della Cina a cominciare di quella più prestigiosa di Segretario del Partito Comunista Cinese, come tutti sanno in Cina la carica del partito viene prima di quella dello Stato.
Lui stesso nel presentare la sua visita ad un quotidiano italiano ne parla all’interno di un contesto storico, culturale e politico di straordinaria importanza a suggello del quale sarà apposta firma di un MoU che riguarda la cosiddetta Via della seta, il primo realizzato da un Paese importante della Nato e dal un Paese dei G7.

Oggi la “via della seta” è la più importante infrastruttura navale, ferroviaria, logistica del mondo, quindi è acciaio più che seta. Altrettanto significativi i circa cinquanta accordi collegati, alcuni tra aziende pubbliche, quindi su indirizzo specifico dello Stato, altre di aziende private di varia natura.
Nel MoU non si affronta la tematica commerciale ma si parla di infrastrutture, trasporti, logistica, spazio, telecomunicazioni quindi di assetti strategici.
Ovviamente non si parla di commercio strettamente inteso perché come tutti sanno la politica commerciale è esclusiva competenza dell’Unione europea.
Si parla invece di economia, di finanza e anche di quei settori strategici che vi ho citato prima ma non certamente di commercio in quanto tale, come si è voluto far credere. Il nostro export non ne trarrà alcun beneficio diretto.

Ieri nel due rami del Parlamento, sia alla Camera che al Senato, c’è stato un dibattito su questa evento, certamente estremamente significativo per le conseguenze che ha sulla nostra collocazione internazionale, prima ancora per le sue ricadute sulla nostra economia. Il Parlamento ha approvato una davvero strana mozione di maggioranza in cui si impegna il Governo a fare i dovuti accertamenti sulle ricadute del Memorandum: se il nostro interesse nazionale è garantito, se la nostra sicurezza nazionale è garantita se le relazioni e gli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia a cominciare da quelli dell’Alleanza atlantica e della Ue sono garantiti; in sostanza, la stessa maggioranza chiede al governo di accertare e verificare ora a poche ore dalla sottoscrizione degli accordi se tutto ciò è garantito, dopo che per sette mesi i ministeri interessati hanno lavorato alla preparazione del MoU e degli accordi collegati avendo si presume fatto già tutti gli accertamenti necessari, in caso contrario sarebbe di fatto gravissimo. Il fatto che la stessa maggioranza impegni il suo governo a fare ora tutti i necessari accertamenti è di per se significativo e nel contempo inquietante per la leggerezza con cui si è affrontata la questione.
Risalgono ai giorni immediatamente successivi alla formazione del governo le prime missioni in Cina del viceministro Di Maio e del ministro dell’economia Tria e poi un via vai di missione di esponenti di Cinque Stelle e del Sottosegretario al Commercio che di fatto in questi mesi ha vissuto più in Cina che in Italia
Quindi sette mesi di analisi, documentazione, contrattazioni avrebbero dovuto portare evidentemente a una verifica sotto gli aspetti che riguardano la sicurezza nazionale ,quanto il rispetto dei nostri accordi internazionali e delle nostre alleanze storiche.
È anomalo, ripeto, che la maggioranza impegni il governo a fare tutto ciò a poche ore prima della firma degli accordi quanto ormai tutto è già deciso.
Questa missione e queste firme giungono proprio mentre l’Unione europea, dopo un lunghissimo letargo politico e strategico in cui le singole nazioni si sono mosse autonomamente e in cui tutti hanno affrontato la Cina come una grande opportunità , improvvisamente l’Ue da una parte e gli Stati Uniti dall’altra stanno valutando con grande apprensione i rischi di quella che appariva una grande opportunità con dei provvedimenti alcuni già deliberati altri in via di deliberazione di straordinaria efficacia nella modifica di questa postura.
Tra quelli approvati io evidenzio il Regolamento sullo screening degli investimenti esteri
In Europa che stranamente ha avuto come opposizione solo l’Italia (insieme alla Gran Bretagna che però non fa più parte di fatto dell’Unione Europea). Fatto perlomeno strano se lo compariamo al documento ufficiale presentato dall’attuale governo poche settimane fa in Parlamento nel rapporto annuale dei servizi di sicurezza in cui vengono individuati alcuni rischi per la sopravvivenza del Paese. E tra i rischi per la sopravvivenza del Paese individuati nei rapporti ufficiali vi sono:
– la sicurezza cibernetica come nuova frontiera per la sicurezza nazionale
su cui prestare la massima attenzione perché la sicurezza cibernetica significa la sicurezza sui nostri dati;
– l’attività predatoria economica e finanziaria fatta da Paesi stranieri che utilizzano anche entità statuali per individuare per esempio le migliori start-up che hanno depositato i migliori brevetti per acquisirle prima che li sviluppino o per favorire la nomina di management nelle aziende che si intendono acquisire affinché preparino il terreno alla azione predatoria che ne seguirà.
Quindi le nuove frontiere della sicurezza nazionale e della sovranità economica – a cui io aggiungo la sovranità sulla conoscenza, sui dati, sull’intelligenza quindi sul nostro futuro – sono quelle economico-finanziare e quelle della cyber security. Ho fatto notare recentemente al Primo Ministro in una riunione del nostro Comitato per la Sicurezza della Repubblica che l’Italia si è opposta in sede europea proprio al Regolamento sullo screening che invece io rapporto presentato in Parlamento e da Lui sottoscritto definiva come atto fondamentale per garantire la nostra sicurezza e sovranità economica e tecnologica. Com’è possibile?
Se noi individuiamo in quel Regolamento il passo decisivo per tutelarci meglio, poi perché ci opponiamo in Europa a quel Regolamento?
Altri episodi di questo tipo, dalla anomala posizione sul Venezuela all’annuncio del ritiro dei nostri militari dall’Afganistan, alla lettera che quindici ambasciatori della Ue hanno scritto con l’assenza della firma italiana, al governo cinese per la tutela delle minoranze in quel Paese, ci fanno capire come la postura del governo italiano nei confronti della Cina sia profondamente mutata ed appare clamorosamente diversa di quella dei nostri partner europei. La nostra postura assomiglia sempre più alla postura (di sudditanza) che per esempio la Grecia ha assunto spesso dopo che la Cina gli ha acquistato i porti del Pireo. Tanto più grave perché l’Italia non è la Grecia e non è certo considerata come tale dai nostri alleati tradizionali e neppure dai nostri avversari tradizionali.
Perché l’Italia dovrebbe guardare con attenzione non soltanto alle opportunità ma anche e forse soprattutto ai rischi? Lo dico sulla base della mia esperienza personale di Ministro delegato al commercio con l’estero: nel novembre del 2001 rappresentavo l’Italia al meeting del WTO a Doha dove la Cina realizzo ufficialmente l’obiettivo della adesione alla Organizzazione del commercio mondiale, che una volta era il simbolo del capitalismo mercantile. Ero fisicamente presente come capo delegazione italiana quando fu sottoscritto l’ingresso della Cina, allora qualificato come Paese in via di sviluppo a cui erano concesse, proprio per questo, anche dei vantaggi importanti. Allora essa era considerata anche una “economia non di mercato” che avrebbe dovuto nel frattempo nell’arco di quindici anni diventare un’economia di mercato. Cosa che allo stato non è ancora avvenuta. Tutt’altro: la sua economia resta dirigista e le sue aziende sono di fatto ancora in gran parte in mani allo Stato e comunque sussidiate dallo Stato.
Le condizioni di allora sono ovviamente profondamente cambiate. La Cina non è più un Paese in via di sviluppo; è la seconda economia del mondo e presto diventerà la prima economia del mondo, molto competitiva proprio sugli assetti tecnologici e industriali. Ma nel contempo è rimasta un’economia non di mercato anzi è sempre più un’economia non di mercato per la presenza importante e significativa dello Stato soprattutto nei settori strategici dell’economia cinese, come dimostra proprio il caso delle telecomunicazioni.

La situazione è molto cambiata in questi anni. Siamo in un’altra epoca. In quel periodo io stesso mi sono recato in Cina decine di volte con delegazioni di imprese italiane per tentare di cogliere le migliori opportunità di un Paese che si apriva al mondo. Mi recai in Cina anche nella primavera del 2003, durante la Sars, nel il massimo momento di crisi del Paese, credo fui l’unico ministro del mondo a farlo per dare un sostegno politico ovviamente allora ritenuto significativo. L’anno successivo nel 2004, fui anche il propugnatore in Europa della misura anti dumping più importante della storia del Wto per vastità di settore quella nei confronti delle calzature cinesi e vietnamite riproposta poi nel 2008. Non ho quindi mai avuto una visione ideologica o comunque pregiudiziale nei confronti della Cina. Ho guardato sempre e solo e comunque innanzi tutto all’interesse del mio Paese.

In questi anni, la Cina è profondamente cambiata per quello che vi ho detto rispetto ad allora e da Grande Opportunità è diventata prevalentemente un Grande Rischio perché è molto accresciuta la sua forza competitiva e perché la nuova presidenza di Xi Jinping ne ha cambiato la postura.

Xi Jinping che sarà tra poche ore in Italia è l’unico presidente che ha assunto nelle sue mani, dopo Deng Xiaoping, tutti i poteri della struttura cinese: Segretario generale del Partito Comunista, presidente dallo Stato, coordinatore delle forze armate e altri dieci diversi incarichi di coordinamento. Ha inserito il suo Pensiero nella Costituzione cinese. Ha rimosso il vincolo dei due mandati si pone come un nuovo imperatore della Cina e nel contempo ha modificato profondamente nelle radici la stessa legislazione cinese.
Nel 2017 la “via della seta” è stata inserita nello statuto del partito comunista cinese, come obiettivo strategico per cambiare il mondo.
Nel 2018 lo stesso concetto è stato ribadito nel preambolo della Costituzione cinese
come nuova alleanza globale, alternativa capace di soppiantare quella del blocco occidentale.
Quindi, la via della seta è tutt’altro che uno spot commerciale e nemmeno meramente economico se è inserito nello statuto del partito e nella costituzione della Cina.

Inoltre dal 2015 con quattro differenti provvedimenti legislativi che riguardano la sicurezza si fanno una serie di obblighi legislativi tra i quali quello secondo cui e non solo i cittadini e le aziende cinesi operanti nel mondo hanno l’obbligo di fornire informazioni e assistenza al proprio Stato, ai propri servizi sicurezza e alle proprie forze armate per motivi di sicurezza largamente intesi. Perché per sicurezza non intendono soltanto la sicurezza ovviamente nei confronti della lotta al terrorismo, sarebbe forse comprensibile, ma intendono la sicurezza, la sovranità economica, l’interesse sociale in sostanza ogni aspetto della vita nazionale.

Tra gli accordi sulla economia digitale, particolarmente sensibile, ve ne è persino uno che sarà sottoscritto per favorire la costituzione di una piattaforma commerciale europea di Alibaba in Europa.
Cosa significa? significa che la piattaforma commerciale Alibaba in Europa, così come ha fatto la grande distribuzione globale per esempio francese, favorirà la vendita dei prodotti cinesi in Europa saltando ogni tipo di controllo anche sanitari.
E questo mentre proprio in questo campo, sull’economia digitale, sull’intelligenza artificiale l’Europa vuole recuperare i suoi macroscopici ritardi proponendo di realizzare un piano straordinario europeo per fare dell’Europa la prima economia sull’intelligenza artificiale. Questa è la frontiera della quinta rivoluzione industriale!

Noi oggi parliamo dalla quarta rivoluzione industriale, quella della economia digitale, ma già si prepara la quinta rivoluzione industriale in cui la Cina è cinque anni avanti rispetto all’Occidente, la rivoluzione della intelligenza artificiale.
Quindi l’Europa cerca di recuperare un ritardo nella frontiera più importante per il nostro futuro.

Nella nuova postura dell’Unione ci sono nuove proposte di direttive  o nuovi regolamenti che riguardano la cyber security, la tassazione della economia digitale, ma anche in maniera specifica le relazioni transatlantiche, le tariffe industriali, l’altro giorno nel mio intervento in Parlamento ho elencato almeno dieci argomenti che l’Europa in un senso o nell’altro sta inserendo o vorrebbe inserire nelle proprie normative comunitarie per tutelare il continente rispetto a questa competizione globale.
Nel meeting di oggi vogliamo porre a conoscenza degli addetti ai lavori e in particolare dei decisori ma anche di chi desidera meglio capire e conoscere, persino seguendoci nella diretta su Facebook di cosa si tratta, quale sia la vera posta in palio, cosa si sta per sottoscrivere, perché il Paese deve sapere.
Deve sapere che queste scelte cambiano la postura del rapporto dell’Italia rispetto alla Cina e qui di nei confronti del mondo.

Il fatto stesso che in queste ore sia stata rivista la normativa contenuta nel MOU sui porti e gli investimenti in logistica ci deve far riflettere. Perché qual era quella precedente contrattata per mesi all’insaputa del Paese e degli stessi ministeri competenti?

Cosa prevedeva dato che è stata rimossa?
Dato che i porti sono la chiave del Paese che non si può mai consegnare a chi ha l’infrastruttura che legherà il mondo. Una chiave che può essere aperta o può essere chiusa da chi la dispone.
La conoscenza e la competizione globale si basa su tre-quattro livelli ; certamente il primo è il controllo dell’infrastruttura cioè del trasporti merci e noi stiamo consegnando le chiavi di casa dell’Europa, dell’Occidente ad un soggetto che mette nello Statuto del Partito Comunista che quella via è lo strumento per cambiare gli assetti globali del mondo
Secondo. Le altre “chiavi di casa” è la rete internet. La comunicazione è fondamentale perché riguarda la sicurezza del Paese, la conoscenza dei dati è oggi il centro di tutto e mi riferisco al 5G. Chi controlla, chi ha le chiavi delle infrastrutture digitali ha le chiavi del nostro cervello
Terzo: chi controlla la vendita on line ha le chiavi dei nostri mercati. Alibaba è l’esercito che controlla i mercati.

Infine e su tutto, il problema dell’intelligenza artificiale, dello spazio e del suo sviluppo tecnologico ed economico, ma questo è un cuore della quarta anzi della quinta rivoluzione industriale che verrà ma i cui assetti si determinano oggi.

Spero che questo meeting possa servire a capire e quindi a decidere meglio.

*Intervento di Adolfo Urso, presidente della Fondazione Farefuturo, al meeting “Il Dragone in Italia. Opportunità e rischi per l’Italia”

 

Urso: “L’Italia strumento dell’egemonia cinese”

Nel 2001 Adolfo Urso, allora viceministro al Commercio estero, era al Wto quando si decise l’ingresso della Cina. “E in passato ho fatto moltissimo per spiegare l’importanza della Cina alle aziende italiane. Ma la Cina non è più il paese di vent’anni fa. Oggi i cinesi sono politicamente aggressivi e sono economicamente competitivi. Inoltre la Cina sta costituendo un blocco di alleanze alternativo al blocco Atlantico di cui noi abbiamo sempre fatto parte. E’ proprio cambiata la postura dello stato cinese. Dunque è evidente che siglare un accordo dai tratti politici come il memorandum di cui si discute in queste ore – malgrado pare si stia modificandone il contenuto – è un’eventualità di primaria grandezza dal punto di vista della politica estera. E c’è una superficialità sconcertante da parte del governo”. Vicepresidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, senatore di Fratelli d’Italia, Urso ha una visione ampia della questione. “Sono successe cose poco comprensibili nell’ultimo anno”, dice. “In primo luogo l’Italia ha impedito il riconoscimento europeo di Juan Guaidó, il leader dell’opposizione venezuelana al dittatore Maduro. Il cui regime è un alleato della Cina. Altrettanto incomprensibile è stata l’op – posizione italiana al regolamento europeo sullo screening degli investimenti stranieri in Europa. Una cosa al limite dell’irrazionale. Certamente sbagliata, specialmente visto che i nostri servizi segreti hanno segnalato, in più recenti occasioni, con il governo Gentiloni e anche con il governo Conte, due minacce nuove: quella cibernetica e quella della colonizzazione predatoria da parte di potenze straniere nei confronti dell’industria tecnologica italiana” Adolfo Urso parla di “inconsapevolezza del governo”, eppure dalle sue stesse parole sembra venire fuori invece il quadro di una “intelligenza” che spinge l’Italia verso gli interessi cinesi. “I nostri servizi segreti hanno spiegato che ci sono entità statali, diciamo altri servizi di intelligence, che agiscono nel nostro paese per indirizzare la nomina di certi manager in aziende italiane, manager considerati amichevoli e ben disposti all’apertura nei confronti dei capitali provenienti da questi paesi. Come pure sappiamo bene che ci sono servizi di intelligence che segnalano quali nostre aziende possiedono i migliori brevetti tecnologici, favorendo così l’acquisizione di queste aziende da parte di compagnie controllate da stati stranieri. In questo contesto è molto strano che l’Italia si sia opposta allo screening sugli investimenti stranieri in Europa, ed è altrettanto strano che il nostro sia l’unico paese a non aver firmato la lettera degli ambasciatori europei a tutela delle minoranze etniche e religiose in Cina. Se metti insieme tutte queste cose, ti fai delle domande”. Tanto più se ci si concentra sulla natura e sul significato della cosiddetta Nuova Via della Seta, il progetto cui pare l’Italia stia aderendo. “La Nuova Via della Seta è stata inserita nel 2017 nello statuto del Partito comunista cinese come obiettivo strategico”, dice Urso. “Nel 2018 il governo di Pechino ha riformulato la Costituzione. E la Via della Seta è stata inserita pure nel preambolo della Costituzione. Questo lo dico per rendere l’idea di ciò di cui parliamo. La finalità è quella di creare una nuova alleanza mondiale alternativa a quella occidentale. Ecco. L’Italia storicamente ha avuto una posizione direi quasi da ‘nazione ponte’ nei confronti dei blocchi contrapposti al nostro. Ma senza mai confondersi su chi fossero gli alleati che condividono i valori della democrazia. Tutti ricordiamo i rapporti con l’Unione sovietica, gli stabilimenti della Fiat in Urss, a Togliattigrad. Ricordiamo bene quando Gianni De Michelis costituì l’Ince con Austria, Ungheria e Jugoslavia. Sappiamo anche quali sono stati i rapporti con il mondo arabo, a cominciare da Andreotti fino a Craxi e Berlusconi. Un atteggiamento sempre di ‘comprensione’ che ha giovato sia all’Unione europea sia all’alleanza atlantica. Il ruolo di ponte dell’Ita – lia è stato un elemento di forza e non di debolezza, per il nostro paese e per i nostri alleati. E questo è dipeso dal fatto che, malgrado ci fossero rapporti economici e di ascolto con i blocchi contrapposti, l’Italia non si sia mai confusa sulla sua natura e sulla sua posizione strategica. Abbiamo sempre saputo chi eravamo ‘noi’ e chi erano gli ‘altri’. Ecco, una cosa del genere si può fare anche con la Cina, oggi. Ma si tratta di un processo che andrebbe portato avanti all’interno di una visione che sia condivisa e comunicata ai partner occidentali. Guardi, la questione è molto seria. I cinesi intendono la Via della Seta come una specie di piano Marshall. Solo che noi non condividiamo gli stessi principi dei cinesi, e i cinesi non condividono i nostri principi di libertà civile ed economica. Quindi qualche preoccupazione sorge. L’Italia non deve perdere l’occasione di diventare una ‘nazione ponte’. Solo che il ponte non deve essere il luogo da dove passano poi le armate che vengono a colonizzare l’Europa”. Geraci e la regola diplomatica La colonizzazione è metaforica, ma neanche troppo. “Vede”, riprende Urso, “l’inter – connessione moderna si dipana su tre linee, sulle quali bisogna assolutamente vigilare: il trasporto delle merci, le telecomunicazioni con tecnologia 5G, e le reti di vendita online. Per quanto riguarda il trasporto merci, è evidente che chi ha le chiavi del casello autostradale poi può bloccare l’intero paese. Quindi bisogna porsi il problema di non cedere il controllo delle infrastrutture. Per quanto riguarda il 5G, anche qui è fondamentale il controllo, perché dalla rete 5G passano tutti i dati. E chi ha i dati ha in mano la sicurezza nazionale. E a questo proposito bisogna tener conto del fatto che, secondo la legge cinese, istituzioni, cittadini e aziende, anche quelle private, sono tutti obbligati per legge a condividere con i servizi segreti, se richieste, tutte le informazioni considerate di interesse nazionale. Chiaro, no? S’immagina cosa significherebbe l’orecchio cinese dentro l’in – frastruttura delle telecomunicazioni italiane? Infine non bisogna sottovalutare la questione del commercio online. E’ vero che Alibaba, cioè l’Amazon cinese, si prepara a lanciare una rete di vendita in Europa? E cosa succederebbe se questo accadesse? Già sappiamo cosa c’è costato perdere la grande distribuzione in Italia a vantaggio dei francesi. Ma con l’economia online, con la distribuzione via posta, porta a porta, potremmo essere sommersi dai prodotti cinesi. Con rischi evidenti dal punto di vista della competitività delle nostre imprese, dal punto di vista dell’elusione fiscale, e anche dal punto di vista della sicurezza perché diventerebbe difficile controllare che i prodotti venduti dal distributore cinese abbiano standard qualitativi e sanitari di tipo occidentale”. Cosa ci sia scritto nell’accordo tra Italia e Cina non lo sa nessuno. “Ma pare che, pian piano, si stia svuotando di affermazioni politiche impegnative che documenti simili, firmati da altri paesi con la Cina, invece contenevano. E mi pare che anche il tema delle telecomunicazioni stia saltando. Però ci sono anche altri 40 o 50 accordi collaterali di cui nulla sappiamo. La verità è che tutta questa faccenda è stata affrontata con grandissima superficialità, con tutti questi viaggi in Cina di membri del governo”. Luigi Di Maio. Ma soprattutto il sottosegretario Michele Geraci. “Non voglio esprimermi su Geraci”, dice Urso. Poi: “Le dico solo questo. Esiste una regola assoluta che vale per i diplomatici. Non devono stare troppo a lungo in un paese. Non più di quattro anni. Vi siete mai chiesti il perché?”.

 

*Salvatore Merlo, giornalista. Riproduciamo la sua intervista ad Adolfo Urso per Il Foglio

La sfida della sicurezza e della geopolitica

I) Le indicazione fornite dalla “Relazione sulla Politica dell’Informazione per la Sicurezza – 2018”

Una seria valutazione della minaccia che grava sulla nostra sovranità nazionale nel caso specifico del processo di avvicinamento della Cina al quale la visita di Stato del Presidente Xijinping intende imprimere un decisivo impulso anche attraverso del Memorandum of Understanting e l’adesione italiana alla “Via della Seta, deve muovere, io credo, da una attenta rilettura della Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza recentemente resa pubblica dai nostri servizi di intelligence.

In particolare, vorrei rilevare come alcune osservazioni alle pagine 61, 62, 63, nonché alcuni riferimenti nel documento allegato, riguardino specificamente la Cina, tracciando un identik senza nome ma con una chiarissima profilatura complessiva, che fornisce la proporzione esatta del problema che abbiamo dinanzi.

 

Il Rapporto della nostra Intelligence dice quanto segue:

– Le iniziative attuate dal Governo nel corso dell’anno, intese ad attrarre in Italia partner economici con una prospettiva di lungo periodo, sono valse a ribadire la valenza strategica, per il Sistema Paese, dell’afflusso di capitali stranieri in grado di concorrere allo sviluppo delle imprese italiane, sia finanziando programmi di ricerca e innovazione volti a mantenere adeguati livelli di competitività, sia favorendo l’accesso a know-how industriale e a nuovi mercati di sbocco.

– L’attività intelligence ha risposto all’esigenza di cogliere, i rischi legati all’ingresso nel tessuto economico nazionale di soggetti, capitali e prodotti stranieri , quello di “decifrare” eventuali proiezioni estere in contrasto con l’interesse nazionale, perché rispondenti a finalità extraeconomiche o in quanto volte a depredare le imprese-target, specie di tecnologie o marchi.

– L’azione informativa è stata diretta in primo luogo al comparto della difesa e dell’aerospazio, con particolare attenzione alla tutela del knowhow e dell’integrità delle filiere.

– Pari attenzione è stata rivolta agli altri settori strategici cui fanno capo le attività di base indispensabili per garantire i servizi vitali e il benessere della collettività: telecomunicazioni e relative reti, terrestri e mobili, anche con l’obiettivo di preservare l’integrità e la sovranità dei dati; trasporti, specie per quel che attiene alle dinamiche proprietarie dei vettori e degli operatori infrastrutturali; energia, con riferimento sia alle implicazioni sul piano industriale delle operazioni di merger and acquisition, sia alla salvaguardia delle infrastrutture.

– Ha incluso nel perimetro di tutela: dalle infrastrutture di immagazzinamento e gestione dati a quelle finanziarie, dall’intelligenza artificiale alla robotica, dai semiconduttori alla sicurezza in rete.

In analogia con i meccanismi di tutela adottati da alcuni importanti partner occidentali.

– La ricerca informativa si è in particolare appuntata sui soggetti espressione di un controllo pubblico, diretto o indiretto, che per loro stessa natura rappresentano non di rado i vettori per perseguire finalità extra- economiche. Nella medesima ottica di protezione, si è guardato ad operatori caratterizzati da opacità sia nella governance sia nelle strategie di investimento.

– Quanto alle modalità di azione degli attori ostili o controindicati, il monitoraggio intelligence ha rilevato iniziative tese a esfiltrare tecnologia e know-how (anche attraverso l’acquisizione di singoli rami d’azienda) o a conquistare nicchie di mercato pregiate, facendo emergere, in qualche caso, la tendenza
alla strutturazione di
manovre complesse finalizzate a guadagnerebbe posizioni di influenza
in segmenti del sistema economico-finanziario nazionale, ovvero a conquistare peso
monopolistico in specifici settori di attività.

– Evidenze informative hanno fatto stato, poi, dei tentativi di operatori esteri di alterare il quadro competitivo attraverso il sistematico storno di capitale umano ad alta specializzazione in forza a imprese nazionali, la studiata marginalizzazione del management italiano (anche nell’ambito di partnership e joint venture) e il ricorso ad azioni di influenza esercitate attraverso consulenti e manager “fidelizzati”.

– L’attività a protezione del know-how tecnologico e innovativo delle imprese italiane ne ha registrato la persistente esposizione ad iniziative di spionaggio industriale, specie con modalità cyber agevolate dalla digitalizzazione pressoché integrale dei processi produttivi e più pervasive nei confronti delle piccole e medie imprese, come si dirà nell’allegato Documento di Sicurezza Nazionale.

– La filiera marittimo-logistica ed i suoi nodi critici – rappresentati da porti, aree retro-portuali e punti intermodali che connettono economie locali e sistemi produttivi – in un’ottica intesa a rilevare vulnerabilità di sicurezza in grado di condizionarne funzionamento e sviluppo.

– Dal monitoraggio delle Tecniche, Tattiche e Procedure (TTP) utilizzate è emerso un accresciuto livello di complessità e sofisticatezza delle azioni, l’uso combinato di strumenti offensivi sviluppati ad hoc con quelli presenti nei sistemi target impiegati in modo ostile, nonché il “riuso” di oggetti malevoli (malware) allo scopo di ricondurne la matrice ad altri attori (cd. operazioni false flag).

– In tale contesto, lo sforzo più significativo posto in essere dal Comparto ha riguardato il contrasto di campagne di spionaggio digitale, gran parte delle quali verosimilmente riconducibili a gruppi
ostili strutturati, contigui ad apparati governativi o che da questi
ultimi hanno ricevuto
linee di indirizzo strategico e supporto finanziario.

– Quanto alle finalità perseguite, gli attacchi hanno mirato, da un lato, a sottrarre informazioni relative ai principali dossier di sicurezza internazionale, e, dall’altro, a danneggiare i sistemi informatici di operatori, anche nazionali, attivi nello Oil&Gas, nonché quelli di esponenti del mondo accademico italiano, nell’ambito di una campagna globale mirante a profilare settori d’eccellenza di università e centri di ricerca.

– Sul fronte delle infrastrutture di attacco, i gruppi responsabili di azioni di cyber-espionage hanno proseguito nell’impiego di servizi IT commerciali (domini web, servizi di hosting, etc.), forniti da provider localizzati in diverse regioni geografiche, anche per rendere difficoltoso il processo di individuazione. Qui, l’attaccante ha colpito le infrastrutture tecnologiche degli obiettivi finali tramite la violazione preventiva di quelle dei fornitori, abusando sovente anche delle relazioni di fiducia connesse al rapporto contrattuale.

 

II) Le indicazioni contenute nel Rapporto IISS- Merics.

La Dr.ssa Helena Legarda ha approfondito come nella sua ricerca di diventare una “superpotenza nella scienza e nella tecnologia” e nell’obiettivo di acquisire la capacità miliare dominante, la Cina abbia intrapreso da tempo, e ulteriormente accelerato negli ultimi anni, un percorso per conseguire una completa integrazione civile-militare, e sviluppare tecnologie a doppio impiego “Dual – use”. Per l’Europa, l’incentivo ad essere competitiva e a tenere il passo con i rapidissimi progressi tecnologici della Cina, risiede nella capacità di proteggere  i propri settori innovativi. Si tratta di esigenze imperative che riguardano allo stesso tempo l’ambito militare, commerciale ed economico.

 

II) “Belt and Road Initiative” (BRI) e “Via della Seta.

I risultati conseguiti dal Presidente Xi Jinping sul piano interno nel consolidare il sistema di potere guidato dal Partito Comunista Cinese. Un potere sempre più accentrato nella figura di un Presidente ormai svincolato da termini di mandato e, apparentemente, da qualsiasi apprezzabile forma di opposizione interna.

La trasformazione “neo imperiale” della potenza cinese avvenuta in questo decennio muta radicalmente i presupposti sui quali si erano basate le politiche Americane e Europee dall’inizio della Presidenza Clinton. Lo sviluppo prodigioso dell’economia cinese, i successi registrati – sia pure con le carte spesso truccate della sottrazione illegale dei dati a aziende e ricercatori occidentali- in campo scientifico e tecnologico (intelligenza artificiale, quantum computing, spazio e armi di ultimissima generazione) è stata indotta e sostenuta da una globalizzazione con vantaggi pesantemente uni direzionali per la Cina.

Ciononostante sembra prevalere nel dibattito che si sta sviluppando nel nostro Paese sui grandi temi della BRI, della Via della Seta e in generale sul rapporto tra Europa e Cina una tendenza all’accoglienza entusiastica e incondizionata alle tesi di Pechino che magnificano i grandi vantaggi dei finanziamenti cinesi, la visione di una globalizzazione guidata Pechino, e persino la “superiorità” del modello sociale, politico e dell’ideologia cinese rispetto allo Stato di Diritto occidentale. Abbiamo persino ascoltato in alcuni dibattiti dello scorso agosto personalità politiche di grande esperienza di Governo e nelle Istituzioni Europee, che dovrebbero quindi essere particolarmente sensibili nell’affermare lo Stato di Diritto e i principi della democrazia liberale nel mondo – come scritto nei Trattati europei – ripetere come verità rivelata che BRI e Via della Seta costituiscono “il Piano Marshall” di questo primo secolo del millennio, riprendendo pedissequamente gli argomenti e la propaganda di Pechino.

Ciò dovrebbe preoccupare quanti dovrebbero essere sensibili alla contrapposizione valoriale, in termini di libertà e di dignità della persona, tra l’impostazione sostenuta alla fine del secondo conflitto mondiale, dal Segretario di Stato Marshall, e il “pensiero unico” affermato da Xi Jinping e dalla sua classe dirigente.

Questa tendenza non è purtroppo nuova nel mondo politico e imprenditoriale italiano. C’è troppo spesso l’ansia di dimostrare di “essere i primi” nel cogliere facili opportunità in mercati estremamente complessi, e in paesi dove regole del mercato, rispetto degli investitori stranieri, parità di trattamento e reciprocità passano sempre dopo, molto dopo, le priorità di un interesse nazionale interpretato in chiave marcatamente ideologica, nazionalista e persino “militarista”.

Non dovrebbe l’Italia, con la necessità assolutamente vitale di tutelare il “Made in Italy” nelle imprese strategiche oltre che nei beni di consumo e nei servizi, dimostrarsi ben più sensibile al proprio interesse nazionale e alla esigenza di una oggettiva valutazione della “questione Cinese”? Si tratta di una narrativa sulla quale influiscono enormi interessi economici, pubblici e privati, di sicurezza, di influenza , di visione geopolitica, di tutela delle libertà , di privacy e sicurezza nella “rete”, di attaccamento a valori fondamentali – Stato di Diritto,  libertà politiche e diritti umani – che ogni Europeo dovrebbe sentirsi ad ogni costo impegnato a affermare.  Ciò dovrebbe in particolare valere ai “tavoli” delle trattative multilaterali dove Governi e Istituzioni Europee decidono, regole, comportamenti e composizioni di interessi nazionali su questioni di vitale importanza per i loro popoli.

Molti commentatori occidentali hanno rilevato la notevole opacità, probabilmente voluta, della strategia di Pechino. Se “road” sembra riferirsi essenzialmente a vie d’acqua, e “cintura” a infrastrutture tra Cina e Europa che colleghino  ferrovie, strade, telecomunicazioni – importantissima nel progetto cinese la dimensione Cyber –  sono certamente molti i paesi e Governi asiatici, mediorientali e africani, e non pochi i politici e gli imprenditori europei, ansiosi di accogliere finanziamenti cinesi “senza condizioni”: negoziati con metodi e interlocutori spesso assai disinvolti sotto il profilo della lotta alla corruzione, delle garanzie di sicurezza sociale e dei diritti dei lavoratori. Le considerazioni di natura economica, pur problematiche sotto diversi profili, assumono colori ancor più inquietanti ove si consideri invece che il disegno di Pechino fa parte di un progetto geopolitico per il “nuovo ordine mondiale” nel quale la Cina intenda assumere il ruolo di Superpotenza dominante. Un progetto che viene da lontano. Ma che assume ora una sua marcata assertività in dichiarazioni, documenti, iniziative diplomatiche e militari, oltre che commerciali e finanziarie, della Cina di Xi Jinping.

Questa ultima ipotesi diventa ancor più realistica a causa dell’opacità del gigantesco impegno finanziario ostentato da Pechino in una quantità di occasioni. Qual é il “blueprint” della BRI e della Via della Seta, ci si chiede in Occidente e in molti paesi interessati dell’Asia, dell’Africa e de Medio-Oriente? Quali sono i motivi dei continui ampliamenti che Pechino propone ai suoi orizzonti, dall’iniziale contesto Eurasiatico e Africano (“Vie della Seta” terrestri e marittime) a quelli della “Via della Seta nel Pacifico”, ” della ” Via della Seta sul ghiaccio” nell’Artico, e ora della “Via della Seta digitale” attraverso lo spazio cyber?

Le preoccupazioni aumentano quando si constata che la BRI si lega a un ormai definito “culto della personalità” di Xi. La stampa cinese ha ribattezzato l’iniziativa “cammino di Xi Jinping”. Si sollecitano apprezzamenti dei Governi stranieri, così da farli rimbalzare nella martellante propaganda interna.

Un’analisi delle strategie e intenzioni di Pechino deve anzitutto riguardare i rapporti con i Paesi vicini. Gran parte dell’Asia deve ora riconoscere che il gigante cinese non può essere visto soltanto come un partner commerciale. Con la ricchezza e il successo si è diffusa la capacità di attrazione del modello cinese. Ciononostante sono numerose le riserve e non di rado le nette opposizioni a seguire i “desiderata” di Pechino: perfino da parte di Paesi come Myanmar, considerati per decenni sottomessi politicamente e economicamente alla Cina.

I valori aggregati di cui si continua a parlare per BRI e “Vie della Seta” sono certo imponenti ma non ancora tali da comportare un “dominio finanziario globale”. Le preoccupazioni più immediate riguardano i condizionamenti che il Governo e gli enti statali cinesi sono perfettamente in grado di esercitare in Europa, e in Italia in particolare, ogni volta che Pechino intenda acquisire aziende di valore strategico per i nostri Paesi e per il “Made in Italy”: sempre a condizioni estremamente svantaggiose per il “sistema Italia”, sia sotto il profilo economico, sia per quanto riguarda la tutela dei dati informatici, la protezione delle tecnologie, e l’assenza di qualsiasi condizione di reciprocità.

Se il quadro descrive quanto avvenuto nell’ultimo decennio in Occidente , senza che le più importanti economie del mondo si ponessero seriamente l’obiettivo di instaurare con Pechino regole del gioco eque, rispettose della legalità e degli accordi sottoscritti, se interessi pubblici e privati legati a convenienze del giorno per giorno hanno fatto sì che si sia lasciata a Pechino la mano completamente libera nello sfruttare i “mercati aperti” che lobbies e gruppi di potere in America e in Europa mettevano ben volentieri a loro disposizione, ben possiamo immaginare quanto sia avvenuto, stia avvenendo e ancora avverrà nelle economie più deboli del pianeta, governate in molti casi da autocrati o presidenti a vita, sorretti da ristrettissime “elites” locali, operanti di fatto al di fuori di qualsiasi controllo popolare, di trasparente informazione, e di legalità sanzionata.

Nei mesi scorsi un think tank particolarmente autorevole nelle questioni dello Sviluppo Sostenibile – il “Centre for Global Development”-  ha pubblicato una ricerca su otto paesi che sono ad alto rischio di “collasso finanziario” a causa dell’indebitamento contratto da quei Governi nella “Belt and Road Initiative” (BRI). Si tratta di Laos, Kyrgyzstan, Maldive, Montenegro, Gibuti, Tajikistan, Mongolia Pakistan. In meno di due anni, la percentuale debito/PIL è passata per effetto dei progetti cinesi BRI, rispettivamente (a cominciare dal Laos) da circa 50% al 70%; dal 23% al 74%; dal 39% al 75%; dal 10% al 42%; dall’80% al 95%; dal 55% all’80%; dal 40% al 58%; dal 12% al 48%.

In Montenegro l’autostrada finanziata da Pechino configura il solito “patto leonino”, dato che l’ammontare del debito corrisponde a un quarto dell’intero PIL del paese; la ferrovia in Laos, alla metà del PIL annuo. Si è stimato che nel solo quadriennio 2000-2014 il Governo Cinese abbia finanziato progetti pari a 354 Mld $, tre quarti dei quali a tassi di mercato. Non solo Trump ha definito “predatorie” tali iniziative, ma la stessa Christine Lagarde – Direttore esecutivo del FMI- ha sottolineato la loro problematicità, auspicando che “la BRI viaggi esclusivamente dove è realmente necessario”.

L’UE sta insistendo con Pechino affinché al centro della BRI e delle Vie della Seta siano poste regole precise su trasparenza, standard nel mercato del lavoro, sostenibilità del debito, appalti, ambiente. Nei primi mesi del 2018 tutti gli Ambasciatori UE a Pechino, eccettuato l’ungherese, hanno firmato un rapporto per Bruxelles nel quale hanno definito la BRI una sfida alle regole del libero mercato e una manna per i sussidi statali. Per parte sua Atene, che ha ceduto alla compagnia COSCO nel 2016 il porto del Pireo per 312 Mil $, ha bloccato l’UE nel prendere posizione sulla militarizzazione cinese degli isolotti nelle zone del Pacifico reclamate anche da Filippine, Vietnam, e oggetto della controversia con gli Usa e tutti gli altri Stati della regione. L’UE ha appena lanciato un’iniziativa  per l’esame degli investimenti cinesi E’ atteso un Rapporto con precisa valutazione del rischio e dei diversi elementi da considerare per gli investimenti esteri in Europa, in particolare dalla Cina.

*Giulio Terzi di Sant’Agata, ambasciatore, già ministro degli esteri

Pubblichiamo stralci della sua relazione che sarà presentata al meeting della Fondazione Farefuturo