Anche noi Robinhood

I fatti accaduti questi giorni a Wall Stret hanno una rilevanza che va oltre il mondo della finanza. Sono fatti che verranno consegnati alla storia perché sono destinati a cambiare radicalmente la società, l’economia e la politica dell’occidente. I mercati finanziari, nati come uno strumento di reperimento dei capitali necessari allo sviluppo dell’industria, nel corso dei decenni si sono progressivamente trasformati in una realtà parallela, una realtà nella quale in nome del profitto speculativo era ed è in parte lo è ancora, possibile scommettere su tutto. Un mercato oligopolistico dove pochi intermediatori sono in grado di influenzare l’andamento dei titoli, del prezzo delle materie prime, delle obbligazioni governative. Sono in grado, in altri termini, di decretare, sulla base di giudizi molto spesso sommari, la capacità di un’impresa o di un governo di sopravvivere ad un momento difficile. Sono in grado di influenzare il prezzo del grano o dell’avena decidendo sulla vita o sulla morte di molti abitanti dei paesi poveri la cui sopravvivenza dipende da beni alimentari di prima necessità.

Fondi speculativi immortalati da celebri film che esaltavano il mito di Wall Strett, coccolati dai giornali dei quali spesso sono azionisti, temuti da governi ostaggio dello spread. Un mondo irreale al quale, tutto sommato, c’eravamo abituati. Un’abitudine che nasce da un approccio culturale in base al quale se sei vincente hai ragione e se fai profitto sei un vincente. Punto. Come fai profitto è un aspetto irrilevante. Il dio mercato, o meglio, un dio che con il libero mercato ha poco a che fare, giustifica tutto, sempre, in ogni caso.

Questo è il mondo che abbiamo vissuto fino a qualche giorno fa. Fino a quando un gruppo di investitori, utilizzando i social network ed una piattaforma chiamata “robinhood” hanno deciso che forse era il momento di dire basta, sono scesi nella piazza telematica della finanza, si sono organizzati, si sono contrapposti al potere costituito, hanno espugnato la Bastiglia. Come? Scommettendo in modo uguale e contrario ai fondi speculativi ed hanno scelto come “campo di battaglia” una società che vende giochi on line, Game Stop. Una massa di piccoli investitori contro una cerchia di grandi speculatori. I risultati di questo scontro sono evidenti, perdite per gli speculatori pari a 40 miliardi nel giro di pochi giorni.

Quanti sono 40 miliardi? Più o meno la famosa quota a fondo perduto del recovery fund che spetta alla settima potenza industriale del pianeta, ovvero l’Italia. 40 miliardi sono il costo del reddito di cittadinanza per 10 anni o se preferite circa 10 linee di metropolitana a Roma o 20 ponti sullo Stretto di Messina. 40 miliardi sono una somma incredibile di denaro persi da chi per anni ha guadagnato senza produrre.

Cosa insegna quanto è accaduto e quanto sta accadendo negli USA? Insegna che l’impatto dei social non si esaurisce alle relazioni umane,  della politica, del giornalismo, nelle professioni. L’impatto dei social investe anche il dorato mondo della finanza perché è in grado di unire e di orientare il comportamento di una massa incredibile di piccoli investitori, un popolo di persone che smette di portare i soldi in banca ad un tasso negativo e che inizia ad investire con l’obiettivo di scardinare una sovrastruttura finanziaria che fa soldi sulle disgrazie altri.

Cosa dovrebbe insegnare all’Italia. Molto. Il nostro paese è il Paese dove il risparmio privato è il più alto del mondo e dove la liquidità nelle banche continua a crescere. Lasciamo i soldi in banca per paura, le banche li prestano ad investitori istituzionali che molto spesso li prestano ad investitori “meno istituzionali” a banche o istituti esteri che li usano per finanziare chi si compra le nostre aziende portando centri di ricerca e centri decisionali all’estero, rendendo, in altri termini, il Paese più povero.  Siamo al paradosso che ci stiamo impoverendo con i nostri soldi. E se guardassimo agli USA una volta tanto cogliendo lo spirito innovativo di quanto sta accadendo? Se lanciassimo una piattaforma che indirizzi i soldi degli italiani verso le aziende degli italiani, tanti piccoli azionisti, organizzati potrebbero vigilare su Generali, su Unicredit, su Stellantis, su Fincantieri, su pezzi dell’industria del Paese che rischiamo di perdere definitivamente compromettendo la nostra libertà economica, il nostro futuro, il futuro dei nostri figli. Non dobbiamo diventare la caricatura degli squali di Wall Strett, dobbiamo solo tornare ad essere padroni delle nostre cose e possiamo farlo con poco.

 

*Stefano Massari, Officine Moderne