COPASIR, CHI È COSTUI?

Una domanda che il contribuente italiano avrebbe potuto farsi, fino a sei mesi addietro.

Oggi, quello che era uno strumento (a stento) conosciuto soltanto negli ambienti parlamentari, è assurto invece agli onori della cronaca politica e non solo.

Bisogna dare atto agli attuali componenti del Comitato di aver riportato questo oscuro organismo interparlamentare alla sua nominale funzione di “Comitato per la Sicurezza della Repubblica. E non soltanto, come prima avveniva, con una funzione di visibilità e controllo del Parlamento sulle attività dell’intelligence nazionale, interno ed esterno. Per la verità i nostri costituzionalisti, affidandone, de iure o de facto, la guida ad un membro dell’opposizione politica, avevano individuato ab origine l’importanza che questo  strumento parlamentare  avrebbe dovuto avere per il nostro dettato democratico.

La sicurezza della Repubblica non è infatti qualcosa di cui dovrebbero occuparsi soltanto i nostri 007 che in giro per il mondo proteggono gli interessi attuali o potenziali del Paese o che contrastano attività illecite di potenze straniere nel nostro territorio.

È qualcosa che dovrebbe interessare tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, come avviene in Paesi che hanno un forte senso di identità nazionale. E per rendersene conto basta assistere ad alcuni talk show televisivi in Francia o nel Regno Unito dove viene spesso dibattuta la sicurezza dello Stato come tutela dell’interesse nazionale. Se consultiamo il sito web dell’Istituto Treccani: ” interesse nazionale è ciò che uno Stato non può evitare di perseguire senza creare un danno alla collettività”.

Da genuino liberale, orgogliosamente senza tessera di partito, con parole mie preferisco parlare di protezione dell’identità nazionale. E per far questo non possiamo evitare di toccare delicati aspetti di geopolitica, di sufficienza energetica, di sovranità nazionale, di difesa dei confini, di lingua e cultura storica del Paese, di fiscalità, di sicurezza cibernetica, di flussi migratori, persino di criminalità internazionale sempre più organizzata e minacciosa.

Insomma la tutela dell’interesse nazionale è un’attività che, come una passatoia, ha necessità di srotolarsi tra un presente che ci tocca da vicino, un passato che identifica il nostro Paese e un futuro che deve essere di umanità e tolleranza.

E allora non posso che plaudire a questo nuovo corso del COPASIR, che non esita a convocare in audizione Parlamentari e Sindacalisti, Alti Dirigenti e Amministratori Delegati, Autorità locali e nazionali, Ministri e Presidenti del Consiglio.

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente onorario ASE spa

La sicurezza della Repubblica per fronteggiare la “guerra ibrida”

Pubblichiamo il testo dell’intervento in Aula del 15 marzo del senatore Adolfo Urso in occasione del dibattito sulla relazione annuale del Copasir

Signor Presidente, cari colleghi, intervengo per la seconda volta in quest’Aula da quando sono stato eletto Presidente del Copasir nel giugno dell’anno scorso. L’ho fatto solo durante le comunicazioni del Governo sulla guerra in Ucraina, per dar conto proprio degli allarmi che il Comitato aveva espresso nelle sue relazioni sulla postura aggressiva della Russia in Ucraina e, più in generale, in Europa e nel Mediterraneo allargato, nei Balcani, in Libia e nel Sahel, in Africa; una minaccia accresciuta nel tempo, tesa ad accerchiare l’Europa, anche attraverso il controllo dell’energia e delle materie prime, pronta a utilizzare ogni mezzo in una moderna, terribile e pervasiva guerra ibrida.

Avevamo evidenziato il dispiegamento militare russo intorno all’Ucraina, così come le conseguenze del referendum costituzionale in Bielorussia, che avrebbe cancellato la neutralità di quel Paese, permettendo, quindi, alle truppe russe di agire, anche con dispositivo nucleare, dalla Bielorussia.

Avevamo evidenziato nel tempo, anche nelle precedenti relazioni, l’azione di spionaggio e di reclutamento russo nel nostro Paese; la pervasività della penetrazione russa in Europa, tesa a condizionare le istituzioni democratiche; l’azione aggressiva realizzata nei nuovi domini bellici, nello spazio e nel cyber e l’uso sistematico dei mercenari della Wagner, non soltanto in Africa.

Avevamo scritto, tra l’altro, e cito testualmente: «(…) un’escalation militare in Ucraina potrebbe comportare un ulteriore peggioramento della situazione, che risulterebbe rovinosa anche e soprattutto per l’Italia, che deve a Mosca oltre il 40 per cento delle importazioni» di gas. L’avevamo scritto.

Peraltro, proprio sulla sicurezza energetica il Copasir ha realizzato una specifica relazione al Parlamento il 13 gennaio di quest’anno, al termine di oltre sei mesi di indagine conoscitiva. In quella relazione abbiamo evidenziato la necessità di affrancarci dalla dipendenza estera, tanto più da Paesi come la Russia, che utilizzano l’energia quale fattore di potenza.

In quella relazione indicavamo alcune soluzioni, che sono poi quelle che ora il Governo si appresta a varare incalzato dall’emergenza. Già allora parlavamo della necessità di raddoppiare la produzione nazionale di gas, di diversificare le fonti, di utilizzare il potere sostitutivo dello Stato per gli impianti solari ed eolici che erano bloccati. Già allora parlavamo del nucleare di quarta generazione e dell’ipotesi di fusione nucleare, che il presidente Draghi ha citato pochi giorni fa alla Camera dei deputati. Erano tutte indicazioni già contenute nella nostra relazione sulla sicurezza energetica.

Così come, nella conclusione della relazione, abbiamo indicato con chiarezza l’assoluta necessità di realizzare un piano nazionale di sicurezza energetica al fine di raggiungere un’autonomia strategica, tecnologica e produttiva nel quadro europeo occidentale, di cui finalmente si parla a fronte dell’emergenza.

Cari colleghi, oggi finalmente discutiamo in modo compiuto di sicurezza nazionale sulla base della relazione annuale del Copasir del 9 febbraio. È una novità importante. Onorevoli colleghi – come abbiamo detto nell’incipit della relazione – in passato non è mai accaduto che una relazione annuale del Copasir o una relazione annuale della Presidenza del Consiglio fossero esaminate in Assemblea. La legge n. 124 del 2007, di quindici anni fa, prevede queste due relazioni che non sono state mai esaminate in Parlamento, né in Assemblea, né in Commissione. Per tale ragione, a nome del Comitato, ringrazio la Presidenza e i Gruppi parlamentari di averne condiviso la necessità – come spero accada ogni anno – con una specifica sessione parlamentare. Era questo ciò che chiedevamo nella premessa della nostra relazione annuale; una sessione parlamentare come quella che si svolge ogni anno sulla giustizia, con conseguenze poi legislative.

In questi anni in Assemblea si è svolto soltanto un dibattito su un argomento di competenza del Copasir, nel 2009, con l’allora presidente Rutelli. Si trattava del caso delle intercettazioni su cui peraltro – guarda caso – tanti anni dopo, il 21 ottobre dello scorso anno, siamo stati costretti a fare noi stessi una relazione al Parlamento. Nella nostra relazione sul sistema di intercettazioni abbiamo denunciato come perduri una situazione di assoluta discrezionalità sulle modalità e i criteri con cui vengono affidati i mandati a eseguire le intercettazioni giudiziarie anche in merito alla conservazione o alla distruzione delle stesse.

Ricordo a tutti che siamo sotto procedura di infrazione europea, perché le procure non intendono attuare quanto previsto in una precisa direttiva europea e quanto stabilito dalla legge italiana. Aspettiamo che il Ministro della giustizia mantenga quel che si era impegnato a fare nel corso dell’audizione.

In altri casi, invece, alle nostre relazioni sono seguite azioni concrete. Mi riferisco – per esempio – alla sicurezza cibernetica, che è stata oggetto della nostra prima relazione al Parlamento a inizio legislatura. Essa ha portato all’estensione del golden power al settore delle telecomunicazioni, alla realizzazione del perimetro nazionale sulla sicurezza cibernetica, alla nascita, seppure solo nel giugno scorso, con oltre dieci anni di ritardo, dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Non è stato dato seguito, invece, alla nostra richiesta di allora volta a individuare una fattispecie di reato che consentisse di perseguire gli autori degli attacchi in modo adeguato e di predisporre una difesa attiva; cosa di cui ovviamente si parlerà nei prossimi giorni.

In questa relazione evidenziamo a tal proposito anche la necessità di realizzare al più presto il cloud nazionale della pubblica amministrazione, la rete unica a controllo pubblico, una politica strategica per la connessione marittima, l’autonomia tecnologica e produttiva europea nell’economia digitale.

Purtroppo – cari colleghi – non vi è stata sufficiente attenzione nemmeno quando notavamo che la Russia è lo Stato più attrezzato nella guerra cibernetica e oggi dobbiamo pensare a come eliminare le criticità che possono emergere dal fatto che software antivirus russi siano utilizzati come cavalli di Troia. In queste ore il Governo – ovviamente anche dietro nostra sollecitazione – prenderà altre necessarie misure di cui siamo stati correttamente informati – come sempre accade – in un confronto pieno e leale tra gli organi istituzionali. Lo stesso vale – anzi di più – per la tecnologia cinese, di gran lunga più pervasiva, come abbiamo ampiamente dimostrato tre anni fa e ribadito in questa relazione, chiedendo, purtroppo senza successo, di inibire l’uso della tecnologia cinese nel sistema delle telecomunicazioni.

Altre indicazioni del Comitato sono state recepite e ne diamo conto in questa relazione, per esempio con l’estensione del golden power al settore finanziario e bancario e ad altri importanti asset strategici del Paese, anche alla filiera sanitaria; o con la norma penale che punisce la detenzione di materiale a fini terroristici. Penso altresì all’indicazione contenuta nella nostra relazione su come contrastare la radicalizzazione islamica e le nuove forme di terrorismo jihadista, che abbiamo presentato a seguito della caduta di Kabul nel regime talebano. Questa indicazione è stata di recente recepita dalla Commissione affari costituzionali della Camera e, quindi, abbiamo fatto un passo in avanti.

Sicuramente vi è molto altro da fare. Nella nostra relazione annuale abbiamo evidenziato quali siano alcuni asset strategici del Paese di cui ci siamo occupati nella nostra attività annuale: dalla ricerca all’università, alla tutela dei brevetti della tecnologia, dall’economia digitale alle infrastrutture portuali, dalla filiera siderurgica a quella automobilistica, dai semiconduttori alle batterie, dall’idrogeno al riciclo dei minerali preziosi, dalla nuova competizione duale sullo spazio all’industria della difesa. Sullo spazio come fattore geopolitico – oggi si parla di guerra interspaziale – e sulla difesa europea stiamo per concludere, dopo mesi di indagini, due apposite relazioni che vi presenteremo nei prossimi giorni; indagini che non a caso abbiamo attivato dopo la sciagurata ritirata dall’Afghanistan.

Nella relazione annuale, però, vi abbiamo già anticipato alcune osservazioni sulla difesa europea. Nello specifico, vi abbiamo anticipato come già a noi appariva insufficiente, ben prima dell’invasione russa in Ucraina, una previsione di appena 5.000 militari come forza rapida europea, a fronte del fatto che solo l’Italia impiega 9.200 militari in missioni internazionali. Anche in questa relazione vi abbiamo anticipato come ci sono apparse del tutto inadeguate le risorse previste nel quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea; risorse che sono state dimezzate rispetto a quanto prevedeva il precedente bilancio. Ora ovviamente tutto cambierà sotto l’incalzare della guerra – come ha fatto la Germania – e, se lo ha fatto la Germania, capite che dobbiamo farlo anche noi.

Chiediamoci però se la minaccia russa non sia anche frutto della distrazione europea, del nostro non voler vedere quello che accadeva. Non possiamo più permettercelo. Anche per questo un ampio capitolo della relazione riguarda l’intelligence economica, tanto più importante a fronte della guerra ibrida che è in corso da anni, non da oggi, e di cui il principale terreno di contesa è proprio il nostro Mediterraneo allargato. Si tratta di una guerra ibrida in cui sistemi autoritari (Cina e Russia in testa, ma non solo) aspirano alla supremazia tecnologica ed economica anche attraverso il controllo delle risorse energetiche e alimentari del pianeta, dal gas all’acqua, di materie prime, minerali preziosi e terre rare, di tutto ciò che serve all’economia digitale ed ecologica – lo dobbiamo assolutamente realizzare – che però sta cadendo sotto il loro controllo.

Chi non ha notato (noi lo abbiamo notato) che negli ultimi mesi si sono svolti sei golpe militari, di cui cinque riusciti, in quattro Paesi del Sahel, in due dei quali ovviamente hanno chiamato i mercenari della Wagner?

Intelligence economica e intelligence cibernetica si legano l’una all’altra. Per sottoporlo alla vostra attenzione, abbiamo condotto un confronto con alcune democrazie occidentali, con le nostre democrazie occidentali, Stati Uniti, Francia, Giappone, Svezia, che da tempo hanno sviluppato una intelligence economica, per capire cosa si possa fare, di più e meglio, nei Paesi democratici, a tutela della nostra tecnologia e delle nostre imprese, della nostra scienza e creatività, della nostra società e, quindi, delle nostre libertà.

Qualcosa è stato fatto a normativa vigente, su nostra richiesta pienamente condivisa dal Governo, e ne diamo atto anche al sottosegretario Gabrielli, come abbiamo fatto nella nostra relazione. Ma è necessario fare ancora di più, con apposite modifiche legislative, perché quanto è stato fatto finora è a legislazione vigente. Cambiare la legge è compito del Parlamento.

In questo contesto, abbiamo evidenziato come lo strumento del golden power sia utile, necessario, ma non sufficiente. Serve anche una politica industriale che punti a preservare e, se possibile, rafforzare gli asset strategici del Paese. Lo stesso strumento del golden power, notevolmente rafforzato in questi anni, è ancora poco usato. Guardate le relazioni al Parlamento sul golden power. Lo diciamo perché, talvolta, il Parlamento è distratto. Lo stesso strumento del golden power, notevolmente rafforzato in questi anni proprio su impulso del Comitato, va ulteriormente adeguato alle evidenze emerse nella sua applicazione. Il caso di Alpi Aviation, una piccola impresa ad alto contenuto tecnologico, che abbiamo esaminato e di cui vi diamo conto nella nostra relazione, sulla quale il Governo è recentemente intervenuto, bloccando la vendita a una società cinese statale, ci ha determinato nel chiedere che lo strumento del golden power contempli anche un’azione preventiva di monitoraggio, a tutela proprio delle piccole e medie imprese ad alto contenuto tecnologico, come accade in altri Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti. Questo è nella nostra relazione.

La nostra relazione ha sempre un preciso metodo di lavoro empirico: parte da un caso specifico, come quello sopracitato e dà conto delle nostre sollecitazioni al Governo ad agire nei limiti della legislazione vigente. Ciò avviene nel corso di audizioni (guardate il numero di audizioni fatte lo scorso anno, soprattutto nella seconda parte dell’anno) oppure attraverso note informative specifiche alle autorità competenti (leggete le note informative specifiche che abbiamo inviato e a chi le abbiamo inviate). Infine, attraverso le relazioni al Parlamento, sollecitiamo il legislatore a intervenire.

Ad esempio, nel campo del controllo sull’operato del comparto, cioè dell’Intelligence, sul quale c’è un intero capitolo e che è compito precipuo del Comitato, abbiamo riscontrato il caso Marco Polo Council. La nostra attività in proposito ha consentito all’autorità del comparto di predisporre un primo provvedimento sulla incompatibilità dei vertici dell’Intelligence dopo la cessazione del servizio. Provvedimento pubblicato in via straordinaria nella Gazzetta Ufficiale, affinché terzi ne fossero a conoscenza.

Ora occorre migliorare l’impianto legislativo, il che è compito del Parlamento. Così come, verosimilmente, mi auguro facciano anche altri organi dello Stato per quanto di loro competenza.

Nella parte conclusiva della relazione forniamo pertanto alcune indicazioni su ciò che riteniamo necessario modificare nella legge 124. Una legge ottima, ma approvata nel 2007, quindici anni fa, quando la guerra ibrida non era nemmeno immaginabile, quando la Russia sostanzialmente era ancora nello spirito di Pratica di Mare.

Nella relazione diciamo che è necessario fare già da subito una cosiddetta manutenzione ordinaria, ma assolutamente necessaria, e vi elenchiamo anche i punti in cui occorre intervenire.

Nel contempo, però, abbiamo evidenziato come la normativa abbia bisogno di una revisione più significativa anche per quanto riguarda l’architettura e le competenze delle agenzie di intelligence. Per tale motivo, abbiamo preannunciato che, nella prossima e conclusiva relazione di fine legislatura, al termine di ulteriori approfondimenti, forniremo le nostre relative informazioni in un confronto preventivo al Copasir con il Governo. Tra l’altro, abbiamo affrontato una tematica, emersa sia in questa legislatura che nella precedente, relativa alla composizione del Comitato nel momento in cui muta la collocazione parlamentare maggioranza-opposizione.

Nella precedente legislatura si era supplito con una leggina transitoria, incrementando il numero dei parlamentari componenti il Comitato: ce lo siamo dimenticato? Ebbene, noi non lo abbiamo dimenticato; ragion per cui abbiamo proposto in questa relazione una soluzione normativa che consenta ai Presidenti delle Camere di intervenire quando cambia la ripartizione maggioranza-opposizione per regolare l’attività del Comitato che di fatto, nei primi sei mesi dello scorso anno – si veda il numero di audizioni e di interventi – si era praticamente ridotto a un numero esiguo, quasi paralizzandosi rispetto a quello che abbiamo fatto nella seconda parte dell’anno. Non si può paralizzare l’attività del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica; non lo si può fare, ovviamente, tantomeno oggi.

Cari colleghi, leggendo il combinato disposto della relazione annuale e della relazione sulla sicurezza energetica, qualcuno ha scritto che il Copasir aveva previsto quel che sarebbe accaduto – alcuni giornalisti si sono sbizzarriti su questo – con l’aggressione militare in Ucraina. Qualcosa di significativo avevamo detto nei modi in cui potevamo dirlo, ovviamente, sulla base delle audizioni segretate che avevamo tenuto e, quindi, delle informazioni che noi stessi ricevevamo, perché la nostra fonte di informazione sono le audizioni: l’Intelligence, il Governo, le autorità che convochiamo, non altro, a scanso di equivoci.

Ora occorre reagire, consapevoli che siamo a un punto di svolta nella storia, a un passaggio epocale. Il mondo che sognavamo non c’è più e forse non c’era nemmeno ieri; vi è un prima e un dopo, e non serve a nulla recriminare o rinfacciare, o peggio ancora mettere in difficoltà l’avversario o l’alleato per quello che aveva dichiarato in altri tempi, in un’altra epoca storica, quando aveva altre informazioni. Questo è un gioco al massacro che non serve al Paese.

È il momento dell’unità e della responsabilità, come si sono realizzate (unità e responsabilità) nella risoluzione che definisce quale debba essere la posizione dell’Italia sulla guerra in Ucraina: una guerra che ci riguarda, perché è una parte della guerra ibrida che, con mezzi anche diversi, ma altrettanto devastanti, i sistemi autoritari hanno sviluppato nei confronti delle democrazie occidentali per sottometterci e, se volete, anche in qualche misura per toglierci le nostre libertà.

È un problema che riguarda anche l’Occidente. Vi pongo un esempio che deve essere chiaro a tutti, perché la tecnologia si sviluppa, e oggi la tecnologia consente agli algoritmi – attraverso il riconoscimento facciale e solo attraverso quello – di capire quali siano le opinioni politiche del cittadino che viene sottoposto al riconoscimento facciale, senza altre informazioni. Capite bene cosa ciò significhi rispetto a Paesi in cui è prevalente il controllo sociale del dissenso e in Paesi come il nostro in cui è fondamentale la privacy e le libertà degli individui, delle comunità e delle Nazioni.

Per questo mi auguro che la stessa unità e la medesima responsabilità si realizzino ogni qualvolta affrontiamo le tematiche della sicurezza della Repubblica, che non è soltanto il controllo sull’Intelligence; lo dico a scanso di equivoci.

Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, già nella sua denominazione, che il Parlamento ha scelto nel 2007, a differenza del Copaco precedente, non si limita al controllo dell’Intelligence – fa anche quello, ovviamente – e non si limita nemmeno agli apparati dello Stato, perché non parliamo di sicurezza dello Stato.

Nella denominazione si parla di sicurezza della Repubblica, che è qualcosa di più e di diverso – il legislatore è stato lungimirante – rispetto al controllo sull’intelligence o anche semplicemente al controllo sulla sicurezza dello Stato.

Per questo ci siamo occupati di relazioni tematiche: ne abbiamo fatte sei in questa legislatura, di cui tre negli ultimi sei mesi. Gli argomenti appaiono poco pertinenti a chi non guarda nell’ottica della sicurezza nazionale, ma oggi sappiamo quanto è importante la relazione che abbiamo fatto sulla sicurezza finanziaria e del sistema assicurativo del nostro Paese, a fronte delle decisioni che – per esempio – l’Europa e il mondo occidentale hanno dovuto assumere in materia di sanzioni finanziarie nei confronti della Russia. Allo stesso modo, ci rendiamo conto di quanto importante sia stata la relazione sulla sicurezza cibernetica di tre anni fa, rispetto alla possibilità che ci sia un attacco cibernetico nel nostro Paese e alle misure che devono essere prese per evitare che, attraverso il cavallo di Troia della tecnologia, si possano espropriare le nostre informazioni o, peggio ancora, scatenare una guerra cibernetica nel nostro Paese.

Mi auguro, quindi, che la stessa unità e la medesima responsabilità si realizzino ogniqualvolta parliamo di sicurezza alla Repubblica e che finalmente ogni anno si svolga una relazione, con una sessione con risoluzioni finali, in cui vengano esaminate e comparate la relazione della Presidenza del Consiglio che viene svolta ogni anno a febbraio e la relazione annuale del Copasir, in modo che il Parlamento e il Paese si possano rendere conto di come cambiano, rispetto ovviamente a quanto accade in ogni contesto internazionale, le necessità della sicurezza della Repubblica. Credo che questo sia utile al Parlamento per predisporre poi le misure necessarie.

Ritengo che in questo caso noi potremmo dire davvero di aver risposto alle necessità del Paese.

Concludo, cari colleghi, dicendo che dobbiamo renderci conto che non possiamo fuggire dalla storia, anche se forse lo vorremmo. Non possiamo fuggire dalla storia e la storia oggi ci impone di prendere da subito le misure necessarie per quanto riguarda la nostra difesa, la nostra sicurezza e gli asset strategici del nostro Paese per fronteggiare, insieme alle altre democrazie occidentali, nella nostra Unione europea e nella nostra Alleanza Atlantica quello che abbiamo di fronte.

Non possiamo fuggire dalla storia, possiamo però cambiare la storia.

*Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica

A rischio la nostra sicurezza (digitale)

Youtube, Instagram, Twitter, Facebook, Google – solo per fare alcuni esempi – sono piattaforme alle quali quasi 50 milioni di italiani e poco più di 4 miliardi di persone di tutto il mondo hanno volontariamente consegnato i propri dati personali. Noi tutti comunichiamo “gratuitamente” col mondo attraverso questi strumenti di comunicazione.

Ma ci siamo mai domandati perché utilizziamo questi mezzi di comunicazione senza pagare un centesimo? Queste piattaforme digitali sono veramente come Babbo Natale? No, nessuno fa nulla per niente, proprio come ci insegna un vecchio e saggio proverbio veneto che così recita: “nemmeno il cane muove la coda per niente“. Dobbiamo renderci effettivamente conto che se non ci fanno pagare nulla, significa che, il prodotto di scambio siamo noi. Noi stessi, la nostra identità, i nostri profili fisici, neurologici, psichici, emotivi, caratteriali, lavorativi, residenziali, affettivi sono nelle loro mani e decodificati dagli algoritmi per fini solo apparentemente commerciali.

Questi algoritmi si alimentano con le nostre informazioni, si auto-generano, si sviluppano e si perfezionano con i nostri comportamenti nella rete. Sanno quando andiamo a dormire e a che ora ci svegliamo, controllano i nostri gusti, conoscono il nostro credo religioso, politico e sportivo e ci danno le informazioni che vogliamo noi, al momento giusto, con info create su misura come se fossero abiti sartoriali. Ma tralasciamo, anche se sono importantissimi, gli effetti sulle singole persone, quelli che fanno parte del nostro micro sistema individuale e approfondiamo quegli aspetti che interferiscono sulla società nel suo insieme e nei macro sistemi – economici e politici. Le piattaforme digitali dei social hanno numerosissime peculiarità positive ma al tempo stesso nascondono delle autentiche insidie e dei pericoli per la società che sono di importanza strategica. Ebbene sì, non è esagerato, ma oggi le piattaforme social possono far scoppiare uno scandalo, un tafferuglio, condizionare la Borsa o addirittura controllare le Istituzioni e gli Stati, determinando ed influenzando votazioni e consenso popolare, in poche parole, minando seriamente la democrazia.

Vediamo come. Nello stesso modo in cui una piattaforma digitale raccoglie emozioni, pensieri e desideri di ognuno di noi, ci cataloga per località, origine, genere, età, carattere, cosicché la stessa piattaforma è in grado di influenzare i nostri comportamenti anche elettorali e modificare le nostre abitudini col solo fine commerciale che il prodotto (“ognuno di noi”) compia le azioni che il cliente vuole, non importa se è un voto oppure un acquisto. In entrambi i casi si può tranquillamente parlare di manipolazione. Tutto ciò è sufficiente per affermare che la sicurezza delle Nazioni – quindi anche dell’Italia – è in pericolo?

A mio parere sì, con questo processo evolutivo che porta dalla digitalizzazione alla “figitalizzazione”, ora si è capaci di interferire sulle azioni a tal punto da sovvertire qualsiasi governo, sia esso di destra o di sinistra, democratico o repubblicano, laico o religioso. Non è fantascienza, molti di questi sono accadimenti attuali ed altri potrebbero essere di prossima attuazione. A questo punto sorge immediata una domanda con la quale ci chiediamo: a chi possa essere utile la possibile disgregazione dei poteri costituiti e delle democrazie di tutto il mondo? Evidentemente ad organismi o entità sovranazionali che hanno come obiettivo la gestione economica e politica delle popolazioni dell’intero pianeta suddividendo il mercato globale in tanti allevamenti di mucche da mungere, ma attenzione il bestiame siamo ancora noi. Chi sarà o chi saranno mai questi grandi burattinai? La Cina? I potenti della finanza mondiale? Chi altro? E’ sempre più dimostrabile che la sicurezza delle Nazioni passa anche attraverso il controllo delle piattaforme social e della informazione online.

Siamo passati dalla potenza economica del cosiddetto “oro nero” a quella economico e finanziaria dell’ “oro virtuale“. La comunicazione digitale è la nuova frontiera dell’economia mondiale, è qui che si scontreranno i grandi del mondo, sugli strumenti come il 5G, sui big data, sui “Phygital“, favoriti dalla scarsa regolamentazione civile e fiscale da parte degli Stati dell’intero globo, rendendo la comunicazione vulnerabile e facilmente gestibile anche da chi ha obiettivi di dominio mondiale dell’economia e del genere umano. Tutto ciò avviene grazie alla comunicazione che oggi manipola gli utenti-prodotto verso un sostanziale equilibrio tra i pro e i contro, due grandi mercati che in conflitto tra loro faranno ingrassare in pari misura chi li gestisce, ma con un terribile denominatore comune: l’obiettivo di rendere gli Stati Nazionali ingovernabili, perché se non vi è un sensibile divario tra gli schieramenti, non ci sarà un vincente capace di governare nel lungo periodo, quindi il potere verrà consensualmente gestito da terzi, probabilmente da uno Stato egemone ed imperialista come la Cina o da una struttura sovranazionale o chi per loro. D’altronde in economia e in politica, se si finisce in pareggio, non si va ai tempi supplementari, si viene commissariati.

Se vogliamo vincere questa battaglia, siamo ancora in tempo, ma a due condizioni: la prima consiste in un serio impegno dell’Italia e dell’Europa come terza forza tra Cina e USA, la seconda riguarda una nuova regolamentazione che intervenga e non permetta alle piattaforme digitali di avere il totale “controllo” sulla ricchezza individuale, cosa che invece avverrà inevitabilmente nel giro di un paio di anni con le nuove forme di pagamento e con l’avvento delle monete virtuali quali la Libra di Facebook. Se non si interverrà, i colossi del web riusciranno ad avere il controllo anche sulla nostra capacità di spesa ed avranno piena conoscenza dei nostri patrimoni, condizione questa che ci metterà definitivamente con le spalle al muro e a quel punto … la partita sarà persa.

 

*Stefano Lecca, collaboratore Charta minuta

È tempo di sicurezza nazionale

In un momento di vulnerabilità, come quello che il Coronavirus ci costringe a vivere, il Paese diventa facile bersaglio di chi punta ad approfittarne per interessi geopolitici ed economici. Occorre dunque che lo Stato si difenda dalle silenziose aggressioni esterne che, seppur impercettibili, ledono fortemente la sicurezza del sistema Paese. Il Golden Power diventa così tema bollente di questi giorni. Se prima dell’epidemia il campanello d’allarme era principalmente sul 5G, ora ad essere esposti sono anche il mondo bancario, quello assicurativo e quello industriale che dopo i tonfi in Borsa vivono momenti delicati.

Nel rispetto della libera economia di mercato, il Golden Power è la barriera di contenimento per difendersi da campagne acquisti predatorie, da parte di fondi sovrani e nazioni, verso tecnologie in settori strategici o significativi come trasporti, telecomunicazioni ed energia. Un meccanismo non automatico, da innescare in caso di reale pericolo ponendo uno stop a scalate societarie ostili.
Il 2 marzo, nel corso della ‘Relazione sulla politica dell’informazione per la Sicurezza’, il vicepresidente del Copasir (il comitato per la sicurezza della Repubblica), Adolfo Urso, aveva dichiarato che “l’Italia deve fare un salto di qualità sul piano della sicurezza nazionale e in particolare sul fronte della tutela degli interessi strategici economici con il pieno coinvolgimento del Parlamento stesso e delle forze politiche, sociali e culturali del Paese”, evidenziando “le nuove minacce cibernetiche ed economiche produttive, così come la necessità di continui adeguamenti normativi, cosa peraltro avvenuta più volte nel corso dell’ultimo anno”.
Già il 5 marzo, Urso ha depositato un disegno di legge che va nella direzione di potenziare la cultura della sicurezza nelle istituzioni. Il DDL prevede un iter parlamentare, a seguito della relazione annuale sulla sicurezza dei Servizi, per non perderne il prezioso patrimonio di informazioni. In sostanza, a seguito della discussione nelle aule di Camera e Senato, il Parlamento vota delle risoluzioni fornendo le indicazioni per metterle in atto al governo, che ha due mesi per presentare una legge annuale sulla sicurezza, un po’ come con la legge annuale sulla concorrenza.
In questi giorni, preso atto del rischio Italia, il Governo sta dichiarando di lavorare ad una sintesi normativa che estenda lo scudo del Golden power, nel solco tracciato dal Copasir divenuto sempre più soggetto di impulso e riferimento. In proposito il vicepresidente Urso si spinge oltre il DDL depositato, dichiarando che ora, con la Borsa sotto attacco, il rischio di azioni predatorie e speculazioni internazionali sia aumentato; ed annuncia di lavorare ad un pacchetto di emendamenti al decreto Cura Italia sui temi della sicurezza nazionale. Un pacchetto di emendamenti, annuncia Urso, che “prevedono l’estensione del Golden power ai settori strategici”, oltre a “coinvolgere Cassa Depositi e Prestiti, Banco Poste, e Invitalia per la sicurezza del sistema industriale”, aggiungendo che “bisogna poi predisporre le necessarie contromisure per evitare che quanto previsto nel decreto Cura Italia per la digitalizzazione della pubblica amministrazione non diventi il cavallo di Troia per le aziende cinesi già oggetto della relazione del Copasir al Parlamento sul 5G”.
Mai come ora c’è bisogno di unità e responsabilità da parte di tutta la migliore classe dirigente, perché oltre al rischio sanitario c’è un altrettanto concreto rischio del sistema Paese. E c’è bisogno di uno Stato forte, autorevole, in grado di far fronte alla grande sfida che il 2020 ci ha posto dinnanzi. Nella storia della Repubblica l’Italia ha saputo affrontare diversi momenti bui, confidiamo ci riesca anche questa volta.
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta

Intervista a Giulio Terzi di Sant’Agata ed Adolfo Urso sui temi del convegno “Il Dragone in Europa: opportunità e rischi per l’Italia”

Intervista a Giulio Terzi di Sant’Agata ed Adolfo Urso sui temi del convegno “Il Dragone in Europa: opportunità e rischi per l’Italia”” realizzata da Massimiliano Coccia con Giulio Maria Terzi di Sant’Agata (ambasciatore, presidente del Comitato Mondiale per lo Stato di Diritto – Marco Pannella), Adolfo Urso (senatore, vice presidente Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Fratelli d’Italia).

L’Italia nel vuoto, il vuoto d’Italia. L’azione internazionale nella stagione del ritorno degli interessi nazionali: geopolitica, economia, sicurezza

L’evento è stato organizzato in collaborazione con il Center for Near Abroad Strategic Studies

Sono intervenuti: Paolo Quercia (direttore del Center for Near Abroad Strategic Studies), Adolfo Urso (presidente della Fondazione Farefuturo), Alberto Negri (giornalista de Il Sole 24 Ore), Giulio Maria Terzi di Sant’Agata (presidente del Comitato Mondiale per lo Stato di Diritto – Marco Pannella), Guido Crosetto (presidente dell’AIAD), Carlo Jean (professore), Gabriele Checchia (ambasciatore), Raffaele De Lutio (ministro plenipotenziario).