Perché in Italia attecchisce la disinformazione

Nelle ultime settimane anche l’Italia, come altri Paesi dell’Alleanza Atlantica, è stata bersaglio di diverse attività di disinformazione e più in generale di infodemia, riconducibili agli apparati del governo russo impegnati nella guerra all’Ucraina.

L’Italia in particolare sembra essere diventata uno degli obiettivi preferiti dalla Russia, che ha individuato ormai da anni il nostro Paese come una sorta di anello debole del fianco occidentale. In base ad una mai celata simpatia per Putin e in generale gli “uomini forti”, unita ad una particolare affinità con l’universo russofono, il mancato riposizionamento di ampi strati dell’opinione pubblica è apparso tangibile e ha fatto interrogare molti sulle ragioni alla base di una simile permeabilità infodemica.

Il tema andrebbe affrontato da due punti di vista differenti: il primo è inevitabilmente legato alla crisi del modello editoriale praticato in Italia, mentre il secondo alle tendenze anti-occidentali di una parte della classe dirigente. Il nostro Paese vive ormai da anni immerso in una lunghissima crisi della carta stampata e delle televisioni, in particolare quella pubblica, che oltre ad aver accusato enormi perdite dal punto di vista economico, soffrono anche una progressiva erosione del proprio bacino di lettori, che ne riduce enormemente l’autorevolezza e alimenta nicchie di polarizzazione. Questo fenomeno, le cui radici affondano a circa 30 anni fa con l’avvento di Mani Pulite, ha portato (unico caso nei paesi del G7) ad un’abdicazione de facto dal ruolo di guida dell’opinione pubblica dei quotidiani più importanti, a cui non è seguito un riposizionamento di nuovi editori che ne colmasse il vuoto. Il risultato è che oggi la mancanza di fiducia verso la stampa tradizionale, intesa anche come la riconosciuta veridicità delle notizie, pregiudica ogni tentativo di questa di orientare o promuovere una linea di pensiero che rappresenti in modo credibile agli occhi dei lettori il posizionamento dell’Italia nello scacchiere della crisi in Ucraina. Lo stesso problema si è verificato in passato con la sfiducia verso i vaccini e l’ascesa del populismo giustizialista di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle, dove addirittura alcuni editori, sia vicini alla destra che alla sinistra, sono scesi in campo consapevolmente come sostenitori di ogni tesi che si ponesse in modo contrario a tutti gli indirizzi scientifici consolidati.

Questa bizzarra declinazione del pluralismo è ancora più visibile nelle televisioni che hanno accolto e coccolato di buon grado i più disparati ospiti “anti sistema” contendendoseli per pochi punti di share in prima e seconda serata. Ci sono reti che hanno impostato la loro linea editoriale, unico caso in Occidente, addirittura all’equidistanza tra Russia e Ucraina, nonostante fosse inequivocabile sin dalle prime ore dell’invasione che Kiev fosse stata brutalmente aggredita. Questo format si è purtroppo ripetuto anche nel manifesto della recente marcia della pace, che è uno dei più chiari esempi dell’ambiguità che si vuole vedere tra vittima e carnefice. Anche questo rientra nella definizione surrettizia di libertà di espressione che è stata abilmente forgiata per poter permettere agli opinionisti di turno di propagandare senza contraddittorio tesi false, destinate ad essere ripetute e pubblicizzate spesso per la sola vendita di spazi pubblicitari. Non ci è dato sapere se gli “esperti” siano al libro paga di Mosca ma lo stesso copione è andato in scena durante la campagna vaccinale e oggi sappiamo con certezza che la Russia ha inteso screditare l’efficacia dei preparati occidentali a vantaggio di prodotti come Sputnik, che rimangono sensibilmente inferiori nonostante il generoso “contributo genomico” raccolto dai Russi in provincia di Bergamo.

La crisi del giornalismo e il suo asservimento alle logiche della raccolta pubblicitaria da parte degli editori si accompagna al fiume carsico del pensiero antioccidentale. Osserva bene Angelo Panebianco quando rileva la sua trasversalità: dall’estrema destra alla sinistra, passando per il cattolicesimo sociale, sia che venga declinato come irrazionale vicinanza a Putin, ostilità alla NATO o pacifismo di stampo religioso c’è sempre un motivo valido per esprimere tutta la propria contrarietà alle posizioni del blocco occidentale. Il “partito della resa altrui” si arricchisce di nuovi membri sia per l’opposizione all’invio di armi che per l’asserita inutilità delle sanzioni. Anche in questo caso l’Italia è un unicum nel panorama europeo. Se in Francia la classe politica in generale e lo stesso Presidente Macron hanno assunto toni più concilianti verso un negoziato con Mosca, senza arrivare mai a confondere il ruoli di aggredito e aggressore, in Italia i sostenitori di Putin hanno evitato di rimangiarsi il proprio giudizio positivo o cambiare posizione come nel caso di Melenchon e Marine Le Pen. Questo ha alimentato una paradossale commedia degli equivoci che ha visto protagonisti in particolare Salvini, Conte e una parte significativa della sinistra: falchi nel posizionare l’Italia fuori dalle alleanze tradizionali ma colombe nel riconoscere che Mosca è colpevole di una ingiustificata aggressione nei confronti dell’Ucraina, che ha invece tutto il diritto ad essere aiutata a resistere sul campo.

Questi pregiudizi giocano a vantaggio di qualsiasi potenza straniera che può insinuarsi agilmente in particolare tra le maglie dell’informazione televisiva, è facile in contesti di crisi belliche passare dal macchiettismo degli aspiranti Masaniello a vere e proprie minacce alla sicurezza nazionale. Interventi deliranti come quelli di Lavrov, avvenuti senza contraddittorio o format televisivi che rilanciano opinionisti alternativi dalla dubbia autorevolezza, condizionano fortemente l’opinione pubblica e un paese ostile potrebbe con facilità sfruttare l’indecisione e i timori legati alle conseguenze del conflitto, per esempio sul potere d’acquisto della classe media, per fare pressione sulla politica a vantaggio di un appeasement che quantomeno garantisca lo status quo delle relazioni.

L’Italia, impoverita culturalmente e politicamente dal crollo del sistema partitico è oggi più che mai in balia di messaggi fuorvianti diffusi con consapevole leggerezza dietro il paravento del pluralismo o della libera informazione. Quando la disinformazione diventa dezinformatsiya, assume i connotati di una strategia preordinata a destabilizzare, confondere il pensiero dei cittadini e orientarlo emotivamente a proprio vantaggio. L’avvento di internet e dei social network ha cambiato ulteriormente il fondamento delle tattiche russe e l’inserimento a febbraio della fabbrica dei troll di San Pietroburgo nella lista delle entità sanzionate non è di per sé sufficiente ad arrestare il flusso infodemico con cui Mosca cerca di mantenersi a galla.

Il paradosso più grande è che le enormi difficoltà che attraversa la Russia, sia nel campo bellico che in quello economico, non vengono né raccontate né percepite adeguatamente in Italia, così a farne le spese è in ultima analisi la posizione dell’Ucraina. Non c’è infatti altro paese in cui l’idea che Kiev sia un fantoccio americano provocatore abbia preso piede come in Italia, con alcuni opinionisti che non si sono limitati a descrivere una fantomatica equidistanza, ma ne hanno addirittura ribaltato i ruoli addebitando all’Ucraina le cause dell’aggressione. Purtroppo per Mosca il perdurare del conflitto, gli insuccessi militari e l’inaspettata forza della resistenza hanno obbligato a ripensare al ruolo della dezinformatsiya. Non più diretta a promuovere la narrazione di una rapida conquista indolore come nel caso della Crimea ma a cementificare in Russia e all’estero l’idea stessa di un conflitto che va evolvendosi verso una sanguinosa guerra d’attrito. L’Italia e l’Occidente hanno oggi l’opportunità di guardare in faccia la realtà e valutare con i propri occhi i costi del tragico fallimento criminale di Putin che trascinerà i suoi stessi connazionali in una spirale di povertà economica e sopraffazione politica che non ha eguali al mondo.

*Giovanni Maria Chessa, Comitato scientifico Fondazione Farefuturo

Dopo le regionali: cinque punti-chiave

L’Emilia-Romagna rimane al centrosinistra, la Calabria cambia e sceglie il centrodestra: questi i verdetti della prima tornata elettorale dell’anno, sorta di “aperitivo” di quella più ampia che a fine maggio vedrà coinvolte altre sei regioni (Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto). Vediamo cinque punti-chiave per capire gli orientamenti che sono emersi da queste consultazioni.

 

Il disfacimento del Movimento 5 Stelle. Fiaccato dalle dimissioni da capo politico di Luigi Di Maio e alle prese con una crisi interna conclamata, nel Movimento sembra già arrivata l’ora del “liberi tutti”. Emergono chiaramente tre schieramenti: una parte vorrebbe allearsi stabilmente con il Partito Democratico, una seconda vorrebbe riabilitare la vecchia linea “autonomista”, una terza continua ad avere nostalgia di Salvini. E se è vero che i grillini non hanno mai brillato alle elezioni amministrative, è altresì vero che si è ormai consolidato un trend negativo che ha portato alla smobilitazione in Emilia-Romagna come in Calabria: in quest’ultima regione il Movimento è addirittura fuori dal consiglio regionale, non avendo superato lo sbarramento dell’8% previsto dalla legge elettorale calabrese. In Emilia-Romagna la maggior parte degli ormai ex elettori grillini ha votato per Bonaccini, incidendo in maniera decisiva sulla sua vittoria (che anche in virtù di tale fattore è risultata essere più ampia delle previsioni).

La sconfitta (?) di Salvini. Può un leader che porta il proprio partito a raggiungere quasi il 32% nella regione politicamente più ostile – e ad aumentarne il consenso di quasi 200 mila voti rispetto alle ultime elezioni politiche – essere bollato come “il grande sconfitto” di questa tornata elettorale? Sì, perché la politica non è una scienza esatta e spesso risponde più alle emozioni che ai numeri. Quel 32% appare come una sconfitta perché le aspettative erano altre: e paradossalmente era stato proprio Salvini a crearle. La “nazionalizzazione” – e l’eccessiva personalizzazione – della campagna elettorale hanno pagato solo parzialmente in una delle poche roccaforti rosse rimaste. Rimane qualche utile lezione per le campagne future: prima fra tutte, la necessità di allargare le coordinate del voto leghista, che non riesce ancora a sfondare nelle grandi città; in secondo luogo, la necessità di diversificare lo stile comunicativo.

Forza Italia e il partito del Sud. Un imbarazzante 2,5% in Emilia-Romagna, il 12,3% in Calabria dove esprime il nuovo governatore, Jole Santelli: qual è la “vera” Forza Italia? La risposta è semplice se si osservano i trend delle ultime elezioni politiche, europee e amministrative. Come lo stesso Silvio Berlusconi ha affermato in una recente intervista, Forza Italia si sta caratterizzando come “partito del riscatto del Sud”. E non può che essere così, considerato che nelle regioni del Nord Forza Italia è praticamente sparita. Questo, tuttavia, è un problema per tutto il centrodestra: il mancato apporto in termini numerici di Forza Italia per Lucia Borgonzoni è stato un altro fattore determinante per la vittoria di Bonaccini. All’orizzonte ci sono le regionali in Campania, dove Forza Italia si appresta a sostenere un “suo” uomo, Stefano Caldoro, ma anche le regionali in Toscana, dove il partito esprime ottimi amministratori locali e dove il centrodestra non deve fare l’errore di partire già sconfitto.

La crescita costante di Fratelli d’Italia. Non è più una novità: anche in Calabria ed Emilia-Romagna il partito di Giorgia Meloni gode di ottima salute, raggiungendo percentuali intorno al 10% e ponendosi stabilmente come seconda forza della coalizione. Fratelli d’Italia continua a giovarsi da un lato della debolezza di Forza Italia, dall’altro del logoramento di Matteo Salvini dovuto alla sua sovra-esposizione mediatica: è probabile che nei prossimi mesi la percentuale del partito continui a crescere, considerato che Giorgia Meloni intende esprimere le candidature a governatore per le regionali in Puglia e nelle Marche. La concreta possibilità che venga varata una legge elettorale proporzionale aumenta la competizione all’interno del centrodestra, e Giorgia Meloni è attualmente la più in forma, come mostrano i sondaggi che la danno al primo posto in termini di gradimento.

La “vittoria” del Partito Democratico. La vittoria in Emilia-Romagna è, più che del partito, la vittoria di Stefano Bonaccini e del suo team di comunicazione, che ha saggiamente rinunciato a posizionare il simbolo del PD accanto al candidato e ne ha “rinfrescato” l’immagine. Bonaccini non si è lasciato trascinare nelle vicende romane e ha impostato una campagna elettorale prettamente territoriale, imperniata sulla presentazione dei buoni risultati dell’amministrazione uscente. C’è poi da ricordare che il campo di battaglia era l’Emilia-Romagna, che sta al PD come il Veneto sta alla Lega, dunque la vittoria era il minimo sindacale. Il bilancio finale di queste tornata elettorale, in verità, segna per il centrosinistra la perdita di un’altra regione, la Calabria: ora il centrodestra governa in 13 regioni, il centrosinistra in 6. Rimane interlocutorio il rapporto con le Sardine il cui apporto, come già evidenziato nella precedente analisi, è stato decisivo per contrastare Salvini sul piano identitario e per risvegliare una parte dormiente dell’elettorato di centro-sinistra: ma il dialogo con il Partito Democratico è solo all’inizio.

*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta

L’ANNO CHE VERRÁ

“Caro Giuseppi ti scrivo/ così mi diverto un po’/e siccome sei in un pantano/più forte ti irriderò/ Da quando sei al governo c’è una triste verità/ l’anno vecchio è finito ormai/ ma tu stai ancora là”
      A due ore dalla mezzanotte, sulla falsariga dell’Anno che verrà di di Lucio Dalla, Enzo strimpellava alla chitarra una sorta di filastrocca che pretendeva di essere ironica  sul futuro di Conte e del suo governo.
       “C’è poco da ridere, qui non ci resta che piangere – lo interruppe la moglie Silvana, impiegata di banca- coi licenziamenti in vista che oggi chiamano esuberi l’anno che verrà ci riserva brutte sorprese”.  “Vabbè – ribattè Enzo – anche per me al negozio è sempre più difficile tirare avanti, ma provo ad esorcizzare. Come si diceva una volta: una risata li seppellirà”.
           Gli amici ospiti per la serata di capodanno da trascorrere insieme li guardarono increduli.” Oh, ma di che vi lamentate? Proprio voi che ci avete rotto per anni le scatole con Grillo e con i suoi slogan” osservò Giulio, cinquant’anni, convinto sostenitore del PD con una non celata nostalgia di quando la sinistra si chiamava PCI.
        ” Che vuoi fare – si giustificò Enzo – in buona fede ci avevamo creduto, pensa avevamo votato anche per la Raggi, che amarezza”.
            “Ragazzi smettetela, basta parlare di politica, prepariamo le lenticchie e lo spumante – intervenne Federica, cattolica adulta – cerchiamo almeno stasera si essere più buoni. E comunque vada dobbiamo ringraziare il Signore che ci ha evitato le elezioni con la sicura vittoria di Salvini”.
           ” Ah, si questo è certo. Possiamo avere idee diverse ma qui siamo tutti antifascisti. L’abbiamo scampata bella” assentirono quasi in coro Gianni, Giulio, Franco e le rispettive compagne.
              A meno di un’ora dalla mezzanotte s’era creato un clima dì affabilità e condivisione nonostante i problemi che ognuno di loro si sentiva sul groppone. Mancava poco che qualcuno proponesse di cantare in coro Bella Ciao per chiudere in bellezza la serata quando si permise di dire la sua Filippo, sessant’anni, imprenditore un po’ in difficoltà, tutto sommato un brav’uomo, ma di quelli che la pensano in modo ritenuto dai presenti non politicamente corretto. Avesse fatto silenzio non avrebbe guastato la festa all’allegra compagnia di anime belle. E soprattutto non avrebbe messo in imbarazzo la moglie Giovanna, preoccupata di fare brutta figura con la sua ex compagna di classe Silvana che aveva usato la gentilezza di invitarla.
     “Sentiamo mo che ha da dire questo” pensò tra se e se Filiberto, uno che da sempre era convinto di ciò che proprio di recente aveva confermato Corrado Augias, uno degli intellettuali più in vista a Rai3, e cioè che quelli che non sono di sinistra sono, per dirla in povere povere, un po’ stupidi.
        Non è che Filippo avesse una precisa collocazione politica. No, ma di sinistra non era mai stato. Ai tempi della DC votava per lo scudo crociato, gli dava tranquillità e un po’ di garanzia  contro lo sbandierato pericolo comunista. Dopo tangentopoli aveva provato simpatia per Berlusconi, anzi, di più per Gianfranco Fini. La politica è passione, ma anche delusione. E per il povero Filippo fu una grossa delusione Gianfranco. Morto un papa se ne fa un altro e Filippo vide nella nuova Lega di Salvini l’immagine del futuro dell’Italia. Simpatico Matteo, ma gli manca qualcosa, dice le cose che tu vorresti dire, ma quanto a coerenza… basti dire che aveva proposto a Di Maio la Presidenza del Consiglio. Non ti regala Matteo quell’ideale che ti fa vivere e sognare, che ti fa vibrare il cuore.
         Matteo no ma… c’è lei…Giorgia. Avrebbe voluto gridarlo in faccia  all’allegra comitiva Filippo, avrebbe voluto dire che c’ è ancora chi crede nella politica come sangue e passione, come qualcosa che viene da lontano e andrá lontano, scarpe piene di fango e mani pulite. Ma no, le speranze ognuno se le tiene nel cuore e non le sbandiera agli occasionali compagni in una notte di capodanno.
       Alle anime belle Filippo si limitò a ricordare quello che tutti sanno e che alcuni fingono di non sapere o di dimenticare. Che Giuseppi sta lì senza essere stato eletto da nessuno.  Che aveva promesso un anno bellissimo, sì, bellissimo solo per lui. Che Zingaretti e Renzi con una rocambolesca capriola avevano contraddetto le loro precedenti solenni affermazioni e si erano alleati con i grillini. Che i cinque stelle sono allo sfacelo totale. Che la maggioranza non trova accordo su niente, dalla giustizia alla questione autostrade. Che la maggioranza di fatto non esiste più. Che Mattarella fa fatica a prenderne atto anche quando un ministro saluta e se ne va e come per il  miracolo dei pani e dei pesci viene sostituito raddoppiandolo. Che dall’ Ilva all’Alitalia il governo non riesce a fare nulla per impedire che decine di miglia di famiglie finiscano sul  lastrico. Che i porti  si sono riaperti e che è ripresa l’invasione islamica. Che le tasse e il deficit aumentano nonostante le menzogne dei Tg che predicano il contrario. Che il reddito di cittadinanza non ha creato posti di lavoro ed è finito in gran parte a sfaccendati, truffatori, spacciatori, ex terroristi e delinquenti. Che la la Turchia sta occupando la Libia mentre la politica estera dell’Italia è affidata all’ex steward dello stadio San Paolo.
       “Smettila Filippo. Sempre a lamentarti pure a capodanno” l’intervento della signora Giovanna sul marito fu accolto con un sospiro di sollievo dall’allegra comitiva. Hai voglia di cantare Bella Ciao o di puntare sulle sardine quando lo spettacolo che sta dando la sinistra è da ultimi giorni di Pompei. Ormai la festa l’aveva guastata Filippo riportandoli alla realtà.
             Ma la compagnia fece finta di sorridere perché a capodanno è obbligatorio ostentare allegria e soprattutto per non darla vinta a quel guastafeste di Filippo. Ormai mancavano dieci minuti alla mezzanotte. Enzo riprese in mano la chitarra e continuò a cantare la canzone di Lucio Dalla stavolta senza stravolgerla.
           “Vedi caro amico cosa si deve inventare/ per poter riderci sopra e continuare a sperare/… L’anno che sta arrivando tra un anno passerà/ io mi sto preparando/ è questa la novità/”
             Anche Filippo stavolta si era unito al coro. Cantava assieme agli altri l’anno che verrà, ma in cuor suo confidava nella novità , al 26 gennaio che verrà…
                 “Sette, sei, cinque, quattro, tre…”. Dalla Tv accesa una splendida ragazza scandiva i secondi. Mezzanotte!  Si stappa lo spumante. In cielo i colori dei fuochi d’artificio. È il Duemilaventi. Il futuro è già qui. L’alba, mancano poche ore, è vicina.
*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare

Date a Cesare quel che è di Cesare

“Il naufragio è la perdita totale di una nave o di una imbarcazione per cause accidentali cui può far seguito, anche se non necessariamente, la sua completa sommersione.”

Possono esserci varie cause a determinare un naufragio. L’arenamento; l’avaria; la collisione; la falla; l’incaglio; l’incendio; l’instabilità; errori di navigazione; eventi meteorologici e persino attacchi marini da animali e belve marine. Quindi il naufrago o i naufraghi, sono persone che trovandosi su una imbarcazione in naufragio per cause non previste in partenze si ritrovano in mare alla deriva. Queste persone, questi veri naufraghi sono tutelati dal diritto internazionale come ad esempio la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare che sancisce l’obbligo agli Stati di soccorrere le persone in pericolo di vita in mare. Oppure come la Convenzione SOLAS del 1974 e la Convenzione SAR del 1979 che sanciscono entrambi l’obbligo per gli Stati costieri di agire per soccorrere chi è in pericolo con attività di search and rescue ma obbligano anche tutti gli Stati coinvolti costieri a cooperare tra loro per salvare i naufraghi. Queste convenzioni, fanno riferimento anche l’obbligo di condurre le persone salvate in un luogo (porto) sicuro. Nello specifico un porto dove la persona salvata non deve temere per la propria incolumità.

Sulla base di questi elementi di diritto internazionale, la sinistra immigrazionista, parte della curia vaticana globalista e le ONG chiedono all’Italia “di salvare” le vite umane al largo delle sue coste. Questi signori però omettono intenzionalmente e spesso in male fede (perché coinvolti direttamente nel business dell’accoglienza) di raccontare e sopratutto di analizzare la reale situazione del Mediterraneo e cosa realmente accade al largo delle nostre coste. Si tratta veramente di salvare vite umane ? Si tratta veramente di applicare il diritto internazionale? Stiamo parlando realmente di naufragi? E chi determina quali sono i porti sicuri? E su quali basi ?

In molti, in questi anni, hanno analizzato la situazione e alcuni hanno anche dimostrato le attività poco chiare delle ONG al largo delle coste libiche. Qualcuno dirà che le attività giudiziarie investigative non hanno portato a nulla di rilevante sul piano penale. Ma esiste un piano politico sul quale Salvini ha deciso di giocarsi la partita. Ed ecco che arriviamo ai nostri giorni e al capitano Carola e la Sea-Watch 3.

Una nave che parte dall’Olanda (almeno la bandiera così ci suggerisce) per arrivare nel mediterraneo e poi andare al largo delle coste libiche capeggiata da una ONG e che lo fa con metodica e costanza negli anni sta svolgendo un’attività vera e propria. Questa attività viene studiata, finanziata organizzata e resa operativa. Non necessariamente debbono esserci degli illeciti penali e non è il mio compito quello di capire da dove arrivano questi soldi e perché. Ma certamente c’è un’attività politica ben precisa sulla quale gli italiani devono essere informati e sulla quale devono decidere da Paese sovrano come hanno fatto Germania, Francia Ungheria, Austria, Polonia, in pratica tutti i Paesi europei.

Questo maldestro tentativo di raccontare la questione come se si trattasse di eventi casuali che accadono a chi naviga, come se non esistesse una tratta neo-schiavista organizzata dalla criminalità (anche nostrana sia chiaro)  e dai terroristi islamici, come se nel Mediterraneo ci fossero solo le coste italiane, come se noi non avessimo già abbondantemente dato ogni tipo di assistenza umiliando finanche la nostra marina e costringendola a fare da taxi ai neo-schiavi sui quali la finanza apolide si arricchisce scaricando i problemi sociali alle fasce deboli delle nostre città.

Questo racconto atto a insinuare il senso di colpa negli italiani mistificando la realtà e creando addirittura ignobili passerelle sulle navi di turno che sbarcano illegalmente è alquanto stomachevole . Ma con Carola abbiamo raggiunto livelli inaccettabili.

In questo caso (come negli altri) non parliamo di diritto internazionale sui naufraghi, perché questi clandestini non si trovano lì per caso. La loro imbarcazione non si trovava in “avaria” per caso. Il numero di passeggeri a bordo non è un caso. E non è un caso neanche il numero delle donne (incinte) e dei sedicenti minori. Nulla è un caso in questa complessa organizzazione. È tutto organizzato, finanziato e pagato. Infine anche la destinazione non è un caso. In maniera del tutto arbitrale senza rendere conto a nessuno Carola ha deciso che il porto sicuro era solo ed unicamente Lampedusa.

Salvini ha cercato di mettere un argine a questa situazione annunciando (solo annunciando) la chiusura dei porti. Era chiaro a molti, che non avrebbe potuto fare granché la politica degli annunci e delle dirette Facebook, contro un’organizzazione così ben strutturata, internazionale e ben finanziata. Infatti arriva quando arriva la capitano tedesca, che dopo 17 giorni a zig-zag sul confine delle nostre acque territoriali, decide di forzare l’alt non possiamo far altro che assistere all’umiliazione dell’Italia e delle sue forze armate compiuta ad opera di una ONG.

A quel punto il PD immigrazionista non poteva non astenersi da questa passerella mondiale organizzata ad arte sulla pelle dei neo-schiavi. E si fiondano a bordo della nave.

Violano le leggi dello stato italiano, speronano una nave della GdF mettendo a rischio la vita dei nostri militari, creano un caso mediatico atto ad incitare azioni eversive contro lo stato e contro le forze militari di questo Paese. E’ chiaro a tutti che non potendo, il PD, recuperare l’elettorato perso e non potendo aspirare a cambiare le leggi in parlamento il vecchio vizio di filtrare con i sovversivi di turno non è morto. I parlamentari a bordo di quella nave illegale hanno scritto una della pagine più brutte della nostra storia repubblicana.

E allora che si fa? Si fa una bella diretta Facebook ? Si fa un tweet? Oppure finalmente si fanno provvedimenti a difesa dei nostri confini? E’ evidente che l’unico modo per fermare la tratta neo-schiavista e stroncare il business dell’immigrazione clandestina, è istituire un blocco navale militare con incursioni militari mirate sulle coste libiche per distruggere le imbarcazioni degli scafisti. Se Salvini non farà questo temo che perderà la partita perché avemmo altre Carola, avremmo altre azioni sovversive e gli sbarchi continueranno, come continuano in queste ore,  indisturbati.

Ah tutto questo scempio avviene con la benedizione del Segretario di Stato Vaticano Parolin che in barba a qualsiasi buonsenso diplomatico ed istituzionale incoraggia altre azioni sovversive nel nostro Paese incoraggiando a violare le leggi. Dove è finito “date a Cesare quello che è di Cesare?”

*Mario Presutti, collaboratore Charta minuta

LASCIATE STARE L’AL BANO NAZIONALE!

E’ notizia di queste ore che Albano Carrisi è stato inserito nella cosiddetta black list dal ministero della Cultura ucraino, in base alle richieste del Consiglio di Sicurezza e Difesa nazionale dell’Ucraina, dei servizi di sicurezza ucraini e del Consiglio della Tv e Radio nazionali. In sostanza il cantante famoso per le sue canzoni come “Felicità”, “Libertà”, “Bella” e tante altre, per il regime di Kiev non è altro che un individuo considerato una minaccia alla sicurezza nazionale.

Scorgendoci sulle piattaforme social, appare evidente che il pubblico sia quasi divertito da questo accostamento tra intrattenimento e geopolitica. Si ride. Si sorride. Quasi increduli che un “un bicchiere di vino con un panino” possano essere considerati una minaccia per un governo che aspira a entrare nell’Unione Europea. Questa notizia, tra il lieve e il grave in realtà nasconde una questione non più rinviabile per il nostro Paese.

Parliamo di un paese che noi sosteniamo, paese che finanziamo, paese nostro amico, paese con il quale abbiamo importanti legami culturali, se non altro per la numerosa comunità ucraina presente in Italia, paese cristiano. L’Ucraina che noi amiamo e per la quale abbiamo addirittura introdotto dannose sanzioni economiche ad un nostro importante partner commerciale come le Russia. Può avere dunque, questo paese, una black list con diversi nomi italiani? Può continuare ad aspirare ad entrare nell’Unione Europea avendo e utilizzando “liste” in cui vengono inseriti nomi di cittadini italiani (e non solo) soltanto per aver detto un’opinione o come nel caso di AL BANO per avere vantato un’amicizia con il Presidente Putin? E’ Possibile che il nostro ministro degli esteri Moavero non chieda immediati chiarimenti all’ambasciatore ucraino in Italia? Possibile che si continui a far finta che in Ucraina non ci sia un pericoloso problema che riguarda i dubbi metodi utilizzati dal governo ucraino per fronteggiare una ipotetica propaganda filo-russa? Possibile che i nostri concittadini debbano essere inserti arbitrariamente in questa black list? Ma soprattutto è possibile tollerare che uno dei maggiori simboli della nostra cultura nazional-popolare possa essere umiliato in questo modo senza che il governo intervenga?

A tal proposito visto che l’Ucraina non sembra essere riconoscente verso il nostro Paese, sarebbe anche ora che Salvini dia una plausibile spiegazione sul motivo per il quale in campagna elettorale ha promesso di togliere il regime di sanzioni alla Federazione Russa e invece il governo italiano continua a sostenere le proroghe. Il prossimo appuntamento utile sarà il 31 luglio. Avrà Salvini il coraggio di mettere il veto sulla proroga di queste inutili sanzioni? C’è un tessuto produttivo che attende e merita una risposta. Se poi nel frattempo, riusciamo a chiedere spiegazioni al governo ucraino su queste inaccettabili black list sarebbe una cosa utile non solo a tutela dei nostri concittadini, ma anche della nostra dignità come Paese sovrano.

*Mario Presutti, collaboratore Charta minuta

Vade retro Salvini? Il "peccato" (di convenienza) di Famiglia Cristiana

Se la tentazione era di dividere il palco della politica italiana tra buoni e cattivi, Famiglia cristiana c’è caduta in pieno. Ecco la prossima copertina: “Vade Retro Salvini”. Addirittura. Il settimanale del gruppo San Paolo scende in campo e raccoglie l’invito arcobaleno di Rolling Stone, “Da adesso chi tace e complice!”. Ma di che, di che cosa? Del fiume di livore, odio e banalità che sta ammorbando il Paese? Salvini uguale a Satana. Peggio di così, a questo punto, non resta che appendere il cartello wanted nelle edicole e nelle parrocchie e tirare a vista. Una chiesa così forse piace ad Antonio Padellaro che invoca «metodi bruschi» per far fuori il ministro dell’Interno dalla scena pubblica. Perché la critica (legittima) ha ormai varcato il Rubicone del buon senso assumendo toni apocalittici e febbrili. Intanto le chiese si svuotano e una parte del mondo cattolico vota per la Lega e per quei partiti che sulla questione migranti hanno almeno una visione pragmatica, aderente al reale.
Per carità, la crisi della Chiesa ha ragioni più vaste, più profonde, da studiare seriamente. Appunto per questo le sirene del politicamente corretto di scuola clintoniana andrebbero rifiutate di netto, dai vescovi e dagli intellettuali di una certa gauche ormai increspata. Invece no, paraocchi e non solo. Altrimenti la riflessione di un Orban che da iscritto al “pericolosissimo” Partito popolare europeo dice che è contro le migrazioni perché in difesa dell’identità cristiana ungherese andrebbero vagliate con maggior beneficio d’inventario. Siccome però anche lui rientra tra i satanassi del ventunesimo secolo, meglio non ascoltarlo. Peccato che il consenso sulla sua persona sia un fatto vero e misurabile a suon di voti e Pil. Metri di misura forse inefficaci, ma almeno da valutare.
Vade retro Salvini. Mai però dire vade retro barconi scricchiolanti. Vade retro scafisti. Vade retro trafficanti di uomini. Vade retro a tutti coloro che con la loro ipocrisia fanno sì che delle zattere siano messe in mare per poi affondare. Oppure, se proprio si vuole parlare del depauperamento dell’Africa, come ha fatto di recente il vescovo di Palermo Corrado Lorefice, sarebbe più opportuno stigmatizzare la violenza armata dell’intervento francese in Libia. Da lì partono molti degli attuali problemi del Mediterraneo. Quelli che l’Italia ha dovuto gestire in solitario.
Ammettere però che il no italiano all’attracco dell’Aquarius ha costretto le principali cancellerie europee a rivedere le proprie posizioni in tema d’immigrazione, significherebbe ammettere che forse il capo del Viminale non è poi così scellerato. Urlare “Vade retro Salvini” è molto facile, e porta molti meno problemi di relazione con certi poteri rispetto ai quali le Chiese giocano ormai di rimessa. Meglio le copertine dedicate a Matteo Renzi e Laura Boldrini. Soprattutto se c’è la convinzione che la crisi migranti, la crisi delle morti in mare, possano essere risolte con appelli al veleno. Quello è il fumo di Satana. A loro piace così.

*Fernando Adonia, collaboratore Charta minuta

Il giorno infausto dei mercati e della politica Italiana

Proviamo a dire, e in parte ad immaginare e ricostruire, cosa sia davvero successo ieri 29 maggio 2018, nella più folle giornata politica del nostro paese da molti anni, argomentando a metà tra mercati, stampa e partiti:
Tra le 10:10 e le 10:13 di ieri mattina un gruppo di mani forti tra loro coordinate (investitori importanti, possibilmente spinti anche da qualche potere politico) ha venduto tanti miliardi di Euro in BTP italiani da provocare un aumento dello spread di 40 punti in tre minuti, prima e dopo i quali il resto del mercato – che non era affatto in condizioni di panico – ha continuato per un certo tempo a comprare e vendere a ritmi normali.
Un aumento dello spread tanto concentrato, come mostra il grafico in alto, ci fu solo all’inizio della crisi del 2011 (prima della quale non si vide niente del genere dal 1992) e potrebbe anche segnare l’inizio di una crisi finanziaria mondiale se dovesse destabilizzare le nostre banche, che sono troppo grandi per essere salvate (da qualsiasi istituzione mondiale).
I notiziari TV e giornali economici del mondo, anche sui social, hanno dato la notizia del rialzo (senza spiegare più di tanto come fosse successo) e il mondo si è volto a guardare cosa succedeva in Italia. E si è spaventato più di quanto non avesse fatto per il ridicolo scandalo su Conte (che già era andato su tutti i giornali internazionali). Le borse di tutti i paesi hanno iniziato a perdere, e le scommesse sul mercato dei derivati contro stati ed aziende Europee (ed Italiane in particolare) ad aumentare, e così via per tutta la giornata.
Carlo Cottarelli, incaricato ieri di formare un Governo da Mattarella, dopo il noto colpo di mano, ha ricevuto in mattinata una prima aggressione da Lega e 5S, i quali hanno fatto circolare nei palazzi l’informazione che il Parlamento avrebbe votato in fretta una risoluzione vincolante sul DEF impedendo così a Cottarelli stesso di recarsi ai prossimi vertici europei per dire qualsiasi cosa fosse diversa dalla linea delle due forze euroscettiche. In pratica trasformandolo in un “pappagallo”.
Ma nel frattempo la Presidenza della Repubblica e il Partito Democratico con dichiarazioni tipo quella del capogruppo renziano Andrea Marcucci delle 12:30, di cui in foto, avevano diffuso in Italia e nel mondo l’idea assurda che Savona, Salvini e Di Maio volessero uscire dall’Euro in un fine settimana e di nascosto. Una totale, e pericolosa, fake news, costruita con un riferimento decontestualizzato a proposte puramente accademiche di Savona fatte tempo addietro sulla modalità migliore di uscita da una moneta (pubblica vs. segreta). Questo è importante perché le sedi degli investitori in tutto il mondo – che ormai fin dalle 10:30 di mattina ora italiana seguivano il nostro paese – hanno iniziato a pensare che in Italia fosse in atto il momento “decisivo” per l’euro o contro l’euro, e che il popolo, avendo premiato Salvini e Di Maio, fosse contro l’euro.
Marcucci Uscita Euro
Sulle agenzie di stampa italiane, e quindi mondiali, si sono ulteriormente diffuse le analisi che già ieri rilevavano che, a causa dei tempi tecnici, un’eventuale sfiducia immediata del Governo Cottarelli non avrebbe portato al voto in dicembre ma al voto in estate, avvertendo anche che fosse necessario un qualche tipo di risoluzione per rinviare il voto a settembre/ottobre, esponendo l’Italia a una “vittoria delle forze no-euro” in piena sessione di bilancio invernale, cioè quando si sarebbe dovuta decidere la finanziaria triennale 2019-2021.
Alle 16:30, con geniale tempismo, il PD in Senato ha attaccato pesantemente Cottarelli, unica figura apprezzata dai mercati poiché esponente del Fondo Monetario Internazionale, annunciando per puro tatticismo politico che non lo avrebbe sostenuto, poiché non voleva collegarsi politicamente come solo partito in sostegno della sua figura di “uomo di tasse e tagli” temendo di perdere voti nelle elezioni vicinissime, nonostante fosse espressione di Mattarella, cioè di un Presidente della Repubblica PD, voluto ed eletto da Renzi. In altre parole: il mondo ha visto che tutti i sostenitori dell’uomo del rigore FMI nuovo candidato premier si stavano dileguando in meno di 24 ore, e che chiedevano elezioni a Luglio, destinate a essere vinte dai “no euro”.
A questo punto, e siamo nel pomeriggio inoltrato, gli investitori di ogni tipo che osservavano la situazione hanno capito che presto su tutti i giornali del mondo sarebbe stato ulteriormente ridicolizzato il Governo dell’Italia, che non solo non avrebbe ottenuto la fiducia, ma avrebbe avuto addirittura zero voti a favore dal parlamento, per andare a fare in europa il “pappagallo” di una maggioranza con idee economiche opposte al premier nei vertici di giugno, e venire sostituito entro agosto da un gruppo agguerrito di personaggi intenzionati a uscire dalla moneta unica, magari titolari del 68% dei voti nelle Camere (come da recente analisi dell’Istituto Cattaneo).
Dalle 16:30, pertanto, il mercato normale del BTP ha iniziato a mostrare una curva frastagliata al rialzo, indice di piccole vendite diffuse in tutto il mondo (e non più opera di mani forti coordinate) andando direttamente nella fase in cui la crisi rialzista è diffusa e non più arrestabile dalle manovre di gruppi organizzati di investitori, non senza l’intervento di banche centrali.
I consiglieri di tutti i protagonisti hanno spiegato ai protagonisti  che se avessero continuato altre due ore con l’idea del Governo Cottarelli senza un voto e con il compitino dettato dal Parlamento, che nel frattempo celebrava un processo al capo dello Stato, non solo l’Italia non sarebbe arrivata finanziariamente integra fino a settembre, ma potenzialmente nemmeno a luglio perché nessun investitore avrebbe mai comprato un altro BTP se non a tassi di interesse insostenibili, in assenza di un capo politico del paese identificato, in presenza di una contestazione della massima carica, e senza alcuna garanzia che la linea politica immediata-ventura non fosse uscire dall’euro (fra l’altro con mezzo paese occupato ad accusare l’altra metà di mentire, ed il mondo finanziario a leggere Twitter in tempo reale) trasformando così l’aumento dello spread in un aumento del costo reale del servizio del debito.
Nel frattempo la BCE e Moody’s hanno fatto sapere che un eventuale declassamento del rating di pochissimo, molto probabile in questo scenario, avrebbe potuto (a causa delle regole interne della BCE) provocare il blocco del Quantitative Easing sull’Italia, lasciando aperta solo la cannula dell’ossigeno di eventuali operazioni OMT, il cosiddetto scudo anti-spread, molto più costose politicamente ed anche economicamente.
Moody's BCE Italia
Moody's BCE QE
In serata, poiché per fortuna sembra esistere ancora un barlume di razionalità anche nella politica italiana, tutti hanno capito di dover fermare la pièce teatrale per un momento, e magari occuparsi della “bomba che è qui fuori in corridoio” (Bersani, semicit.). In questo senso, quindi, Salvini per primo ha smentito definitivamente l’impeachment, segnalando che al paese serve un governo per la crisi finanziaria e che non manifesterà contro Matttarella.
Salvini Impeachment Mattarella
Di Maio, vista la decisione di Salvini di svelenire il clima, ha rinunciato anche lui all’impeachment di Mattarella (pur dando a Salvini del “pavido”, con una brutta caduta di stile) ed ha rilanciato la disponibilità a formare un governo con la Lega. Cottarelli, capendo di non essere in alcun modo utile a rassicurare i mercati da premier privo di poteri, ha fermato le macchine alle 17:30, lasciando il quirinale e facendo filtrare la possibilità di rimettere il mandato, ridando spazio o al voto subito o a un possibile governo, ufficialmente parlando di problemi sulla scelta dei ministri. Giorgia Meloni di fronte alla crisi dei mercati ha parlato di unità del paese e, dopo aver chiesto correttamente l’incarico a un premier del cdx, che è l’unica strada ancora non tentata da Mattarella, si è offerta comunque di sostenere M5S e Lega purché questi scongiurino le elezioni in luglio, rispetto alle quali l’Italia potrebbe arrivare sotto attacco della speculazione finanziaria.
Meloni Crisi MattarellaTra le 22:00 e le 23:00, Adnkronos e ANSA incredibilmente hanno battuto la notizia della concreta possibilità domani della formazione di un Governo Conte senza Savona o di un Governo Giorgetti con Cottarelli all’economia. L’ex dirigente dello FMI, anche perché indicato da Mattarella, è l’unico che può rassicurare i mercati che il governo, pur se politico e dotato di maggioranza per intervenire e fare leggi, non potrebbe comunque fare mosse avventate contro l’Euro. Se Cottarelli avesse l’economia, il Premier dovrebbe andare alla lega perché essa non avrebbe più il MEF (che aveva chiesto per dare la premiership ai 5 Stelle). Oppure, il MEF dovrebbe essere diviso (ma questo toglierebbe potere a Cottarelli spaventando i mercati). Un governo Conte, invece, anche senza Savona (che non è mai stato un problema, tranne che per Mattarella), resterebbe considerato “euroscettico” dai mercati e privo di un “capo” autorevole, e, se pure avesse potuto andar bene rispetto a una situazione normale, non sarebbe adeguato oggi con lo spread in tensione. Non è stato ancora ipotizzato un governo Cottarelli con ministri Lega e M5S, ma si è segnalata la volontà di Mattarella di insistere su di lui. Questa terza potrebbe essere la soluzione per tenere in equilibrio Salvini e Di Maio qualche mese, fino a elezioni in autunno.
Conte senza Savona
Giorgetti Premier
Da questi sviluppi in poi, sui giornali, in TV, e sui social network di tutto il paese, chiunque ha già iniziato a esercitarsi in insulti di incoerenza e scarsa serietà rivolti ai partiti responsabili dei cambi di linea, sul modello della sconvolgente dichiarazione di Matteo Renzi, che parlava di “telenovela italiana”. Tutti costoro, non sembrano capire che una tra queste possibilità, e le altre emerse nella giornata odierna, potrebbe essere la via per salvare il paese da un possibile disastro imminente, che il Governo “pappagallo” senza voti non garantirebbe. Bene hanno fatto quindi i partiti diversi dal PD a fermarsi a riflettere sul fatto nuovo, che non esisteva prima, dell’attacco speculativo più forte da molto tempo.  Lo ha dimostrato l’andamento dello spread nella giornata di oggi, che ha inoltre visto il rimbalzo delle borse mondiali e dei titoli bancari, anche grazie alla riapertura di margini di trattativa per una soluzione politica all’instabilità italiana.

*Giovanni Basini, collaboratore Charta minuta

Altro che "governo del cambiamento", qui sta nascendo un nuovo Nazareno…

Il “contratto di governo” tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini? Dopo una lettura attenta, in tutta onestà, non possiamo dire che questo: sembra piu un programma pensato per essere approvato con i “like” dal referendum on-line della piattaforma Rousseau o nei gazebo leghisti piuttosto che un progetto organico di governo e di riforme necessarie per l’Italia.
La cosa che ci sorprende – dietro il velo mediatico di diverse misure “manifesto” – è che sono rimaste scoperte proprio le tematiche centrali dei pentastellati e della Lega: da quelle strutturali richieste dal Mezzogiorno (a parte l’assistenzialismo-tampone del reddito di cittadinanza) alle risposte da dare ai produttivi, tanto cari agli elettori del Nord. Il risultato? Emerge un’accettazione di fatto della decadenza dell’Italia sotto la veste edulcorata della cosiddetta “decrescita felice”.
Le domande senza risposta infatti – una volta finito di leggere il programma dei giallo-verdi – sono tante: chi e perché dovrebbe creare ricchezza a questo punto? Come si riducono le diseguaglianze crescenti? Come si tutela l’innovazione tecnologica? Dov’è la ricetta per dare un ruolo all’Italia in Europa e nel mondo? Dove è l’impresa, soggetto del Nord leghista? E dove sono i giovani che hanno votato 5 Stelle? Dico questo perché il contratto di programma non delinea un futuro per l’Italia ma rappresenta solo il maldestro tentativo di preservare il presente. Guarda alla distribuzione ma non alla produzione. E proprio in questo conferma di non avere una visione politica e una mission chiara su come far risorgere l’Italia.
Non solo. Nelle trentanove pagine del documento si contano pure soluzione assai discutibili. Quali? La messa in discussione della Tav, che potrebbe costarci due miliardi di penali; la ristatalizzazione di Alitalia e di Monte dei Paschi di Siena, che serviranno a far piacere ai soliti noti; mentre l’eventuale chiusura di Ilva, principale polo siderurgico europeo, può significare che l’Italia dopo la chimica perderà anche la siderugia, pilastro necessario di una politica industriale.
Tutto sbagliato dunque? No. Il contratto sembra condivisibile su aspetti come l’agricoltura, l’ambiente, la cultura, la sicurezza, le pensioni: aspetti importanti ma non decisivi. Queste buone proposte, poi, non solo sono inserite in un contesto non omogeneo ma spesso sono il frutto di un copia e incolla di ciò che il centrodestra ha proposto in campagna elettorale. Discorso diverso invece su debito, fisco, famiglia, natalità, lavoro ed immigrazione: su questi nodi l’approccio è decisamente debole perché non basta andare nella direzione giusta. Giudizio pessimo, invece, sul capitolo Esteri ed Europa, perché privo di visione; sulle riforme istituzionali (regionalismo senza presidenzialismo); sulla sanità (permane il disequilibrio con il Sud) e sulla scuola (solo nuove assunzioni). Del tutto inesistente, infine, la proposta sul fronte dello sviluppo, della crescita, degli investimenti, delle infrastrutture e della politica industriale.
In ogni caso siamo a un passo da un nuovo Nazareno. Ieri composto da chi ha fatto nascere prima il governo Letta e poi quello Renzi, oggi animato da Di Maio e Salvini: vedremo se quest’ultimo finirà come il precedente. Oggi come allora, da parte nostra, restiamo scettici su governi e composizioni che nascono senza l’indicazione del corpo elettorale. Perché non hanno quel respiro che nasce solo dalla legittimazione popolare.

*Adolfo Urso, senatore FdI