Il voto del 4 marzo scandisce una nuova fase politica che può essere considerata da due prospettive: l’avvento della cosiddetta Terza Repubblica – la cui durata, però, è ancora tutta da decifrare – ma anche come la fine simbolica di quella lunga crisi protrattasi dopo le elezioni del 2013. Il discorso di Giorgio Napolitano – inatteso e irrituale – ha idealmente tirato le somme di questo travagliato periodo, culminato con la netta sconfitta dei partiti tradizionali. Tuttavia, il ruolo dell’ex presidente della Repubblica non è sempre stato limpido; e le “frustate” riservate da Napolitano al Partito Democratico e a Matteo Renzi – accusato di “auto-esaltazione” – da alcuni commentatori sono sembrate, non a torto, un tardivo tentativo di distacco dall’ex sindaco di Firenze. “Re Giorgio”, come era stato ribattezzato dalla stampa, si è trovato sì controvoglia costretto ad un attivismo di supplenza ai partiti ingabbiati tra reciproci veti; ma tale supplenza, in particolare la scelta di scommettere su Matteo Renzi e sulla sua riforma costituzionale “contro tutti” si è rivelata un azzardo infausto.
Gli ultimi cinque anni hanno sancito un evidente e progressivo degrado delle nostre istituzioni: oltre al governo perennemente ostaggio delle faide interne al Partito Democratico e trasformato nella personale palco di Matteo Renzi, abbiamo assistito al consolidarsi di una pessima prassi che ha visto le presidenze di Camera e Senato impegnate in un insolito e inusitato attivismo politico, lontano anni luce dal ruolo di imparzialità e di garanzia richiesto rispettivamente alla seconda e alla terza carica dello Stato. L’ultima fase della legislatura ha visto Pietro Grasso e Laura Boldrini impegnati in prima linea nella costruzione – e poi in prima linea come candidati – della costola dei “dissidenti” anti-renziani, “Liberi e uguali”, che si è poi presentata alle elezioni ottenendo un risultato ben al di sotto delle attese. Inoltre, è per certi versi sconsolante ricordare la campagna in merito al referendum sulla riforma costituzionale, che da possibile alto momento di riflessione e di condivisione è stata trasformata da Matteo Renzi in un referendum sulla sua persona.
È pertanto auspicabile che questa legislatura, che parte tra mille dubbi e difficoltà, riesca perlomeno – al di là della durata – a recuperare un minimo di senso delle istituzioni. Da questo punto di vista, non può che emergere una legittima preoccupazione per la presidenza della Camera affidata a Roberto Fico, che rischia di essere – in senso negativo – l’ideale prosecuzione del quinquennio di Laura Boldrini. I grillini non commettano l’errore di considerare lo scranno della terza carica dello Stato come un pulpito a 5 stelle dal quale lanciare proclami, anatemi o scandire i punti di un programma partitico. Gli italiani hanno già dovuto sopportare per cinque anni le prediche, le ramanzine e le correzioni grammaticali di Laura Boldrini. Ora si pensi a iniziare dignitosamente questa legislatura e, se possibile, a dare all’Italia un governo e non un governicchio balneare.
*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta