La Televisione nella “nuova” comunicazione di massa

La televisione in questi ultimi venti anni ha pagato a caro prezzo la concorrenza mediale sempre più agguerrita tra canali televisivi tematici e non ultima con la cosiddetta “radiovisione”, un prezzo ancora più salato se mettiamo in conto la accanita concorrenza del web all’interno del quale i social e i blog hanno fatto la vera parte del leone. La comunicazione si è profondamente modificata negli strumenti e nello stesso tempo in questa battaglia mediale gli strumenti più tradizionali utilizzati dalle Aziende Radiotelevisive si sono proiettate sempre più verso una comunicazione emozionale. Il campo delle emozioni è oggi il terreno più propizio ma, nella rincorsa alle emozioni per carpire i pubblici, la televisione ha abbassato notevolmente la qualità dei palinsesti compromettendo giocoforza la stessa qualità dei messaggi. Per arrivare a comprendere meglio il fenomeno occorre fare una parentesi sul web ed in particolare sui social network.

I social di maggiore impatto ed uso si sono trasformati in vere e proprie piazze virtuali nelle quali le persone dapprima si sono rapportate con egocentrismo e con buona socialità di scambio, nell’ultimo periodo invece, coincidente nei due anni pandemici, il web si è trasformato in un grande ring dove le persone, talvolta anche quelle colte, sono arrivate ad insultarsi, ad offendersi, a minacciare e spesso hanno dato lavoro alle aule giudiziarie dei tribunali, o quanto meno, nella migliore delle ipotesi, (se così si può dire) a forti penalizzazioni associative causate da espressioni a dir poco irriguardose verso terzi, compromettendo spesso la propria integrità morale o nella migliore delle ipotesi di immagine reputazionale. È qui che la televisione cerca di riprendersi il pubblico e gli ascolti, nel momento in cui i social corrono ai ripari cercando di controllare gli scontri tra le persone che cominciavano ad avere comportamenti connotati – solo per gli addetti ai lavori – di pericolo sociale.

I social network hanno preso in mano la situazione ed hanno gestito l’informazione portando giorno dopo giorno i dissidenti a depotenziare la presenza nella rete perché oggetto di azioni di blocco, di sospensione o addirittura di cancellazione dell’account. Da qui in poi le Televisioni hanno compreso che i social stavano spianando loro la strada al punto che la presenza di analisti in rete si è fatta più consistente al fine di intuire per primi quali fossero le argomentazioni più coinvolgenti ed attrattive nei social network per poi riportarle nell’etere. Pochi anni fa pensavamo che la televisione avesse toccato il suo punto più basso, si parlava di televisione e dei primi programmi trash ma, se in quel momento pensavamo di aver toccato il fondo, oggi cosa dovremmo dire? Infatti, se i programmi degeneravano nella loro qualità altrettanto si poteva dire che il pubblico ne subiva passivamente gli effetti devastanti sotto il profilo culturale. Negli ultimi tempi siamo stati subissati da una serie di programmi televisivi dove il confronto, la disputa, la lite hanno preso il sopravvento diventando un format vincente verso il quale l’utente a cui era rivolto il programma televisivo prestava e presta ancora molta attenzione. Con l’attrazione emotiva, il forte coinvolgimento psicologico sono nati i primi programmi di basso contenuto, alcuni dei quali veramente assurdi, basta pensare agli storici programmi di analisi e contestazione calcistica che nulla avevano a che vedere con lo sport, precursori di programmi attuali assimilabili alla spazzatura della comunicazione televisiva.

Oggi per effetto della pandemia le televisioni di ogni tipo e struttura sono riuscite a reinventarsi programmi nei quali gli invitati pro e contro si danno battaglia sovrastandosi sonoramente uno sull’altro mentre parlano fino a raggiungere con urla e gesti l’apoteosi della maleducazione, e questo la maggioranza delle persone inconsciamente lo apprezza – come dimostrano i dati dell’ascolto televisivo – e la minoranza lo disprezza apertamente, quindi ne parla ugualmente, conferendo involontariamente notorietà. Per chi analizza il fenomeno, tutto ciò fa comprendere che la richiesta da parte della massa è quella di farsi propinare programmi ad alto contenuto litigioso. Chi non ricorda il famoso detto, (mai come in questo caso calzante a pennello): “Parlare bene o parlare male, l’importante è parlarne”. Se poi analizziamo il programma nel dettaglio, le interruzioni, il parlare contemporaneamente sviliscono l’informazione la quale diventa spesso incomprensibile e lo spettatore non ne trae nulla di proficuo. L’ultimo periodo ne è l’esempio tangibile, infatti nel momento in cui parliamo di pandemia da virus, di vaccini si e vaccini no, Greenpass si o Greenpass no, subito emerge dai talkshow che il piano editoriale è a dir poco raccapricciante, eh sì, perché il popolo televisivo vuole questo e allora le televisioni si sono inventate i dualismi come fosse un ring e i confronti diretti tra no-vax e si-vax oppure tra si Greenpass e no Greenpass, virologi contro virologi e chi più ne ha più ne metta e così la battaglia crea disinformazione perché nel momento in cui si alza l’asticella della lite il popolo aumenta l’attenzione e guarda caso, proprio in quel momento cosa succede?

Il conduttore televisivo stoppa chi parla – specialmente se non è in linea con la redazione – mandando in onda la pubblicità. Tutto architettato in un piano editoriale di business che prevede disturbatori, sobillatori e vittime. Con questo modo di operare, notiamo quanto la manipolazione e il controllo dei messaggi da lanciare raggiungano livelli inaccettabili. Mai come in quest’ultimo anno si è potuto constatare che la televisione ha preso a pieno titolo il comando della comunicazione mediale sovrastando anche gli stessi social perché dobbiamo ricordare che i social hanno di fatto smorzato qualsiasi tentativo di esternazione dell’essere pro o contro qualsiasi tematica afferente la pandemia, il virus, il vaccino o argomenti simili. Quindi i social forti del controllo dei contenuti ad opera delle stesse piattaforme che hanno disincentivato molti utenti portandoli ad abbandonare l’agone di internet, hanno lasciato terreno libero all’informazione televisiva nonché il libero arbitrio alla disinformazione televisiva. Questo è un dato che emerge in modo eloquente e spietato, tutti noi siamo colpevoli di questa evoluzione del sistema di comunicazione che oggi trova linfa vitale nelle emozioni, quelle emozioni forti determinate dall’odio, dalla lite, dalla frustrazione, dal sentirsi liberi di offendere, cosa che ti si ritorce contro nella comunicazione bidirezionale dei social e non in quella unidirezionale televisiva che i dati confermano come fortemente apprezzata. L’informazione dovrebbe essere equilibrata dovrebbe essere come direbbero molti politologi “in stile di par condicio”, invece non lo è, si preferisce creare zizzania, creare attrito, creare beghe, creare lite, questo è il leitmotiv della televisione oggi, televisione che mette totale confusione e mette paura, tutto l’opposto del fornire una serena, corretta informazione.

È sotto gli occhi di tutti il profondo decadimento della comunicazione mediale televisiva che mette in luce la triste realtà di una società piena di contrasti autoalimentandosi come un avvoltoio solo di emozioni negative, sfruttando, come nel caso della pandemia dei nostri tempi, la paura o peggio il terrore delle persone.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e web marketing

La Tv di Stato presidio nazionale

Questo saggio di Giampaolo Rossi, consigliere Rai, è stato pubblicato nel Rapporto Nazionale “Italia 20.20” della Fondazione Farefuturo

Nell’epoca della rivoluzione digitale, il dibattito attorno al ruolo del Servizio Pubblico Radiotelevisivo e Multimediale rimane ancorato ad una natura, per così dire, «analogica»; attiva gli impulsi elettrici della polemica politica, alimenta scosse demagogiche che spesso fanno perdere di vista che la Rai non è semplicemente un’azienda di comunicazione ma la più importante media company italiana, uno dei principali vettori di costruzione dell’immaginario simbolico della nostra nazione e un asset industriale strategico negli interessi del Paese. L’accelerazione tecnologica degli ultimi 30 anni che sta operando una completa disintermediazione dei processi culturali e comunicativi, rende spesso la Rai come una sorta di eredità pesante di un passato ma in realtà in tutta Europa, il Servizio Pubblico Radiotelevisivo conserva una centralità funzionale anche a definire il ruolo internazionale della nazione di appartenenza. La Rai è un’entità eccezionalmente articolata che opera in un contesto complesso e in continua evoluzione; la sua rilevanza per la vita del Paese è sancita anzitutto dal suo status di S.p.A. d’interesse nazionale, che la pone in una condizione particolare rispetto alla disciplina civilistica pura, imponendole di operare all’interno di un mercato fortemente globalizzato e nello stesso tempo gravandola di oneri addizionali nel campo della trasparenza, della disciplina contabile e dei processi di governance e controllo, ma ponendola allo stesso tempo in un ambito di salvaguardia proprio delle infrastrutture strategiche. Le attività di Rai sono significative nell’ambito della tutela dell’interesse nazionale essenzialmente per il loro impatto su tre aspetti: tecnologico, sociale, culturale.

 

RUOLO TECNOLOGICO

L’apporto tecnico di Rai al sistema-Paese è dato dalla sua capillare infrastruttura di trasmissione di segnali audio/video e multimediali, con una copertura del territorio di poco inferiore al 100% sulla piattaforma digitale terrestre e totale su quella satellitare, garantita dalla sua consociata Rai Way, provider leader in Italia di infrastrutture e servizi di rete broadcast. Questa caratteristica la qualifica inoltre come infrastruttura critica, sottoposta anche a tutela NATO, per la sua importanza strategica in caso di emergenze e conflitti. Ma la Rai rappresenta anche un importante presidio d’innovazione tecnologica. Il suo Centro di Ricerche, Innovazione Tecnologica e Sperimentazione di Torino (Crits), nato nel 1929 come laboratorio di ricerche per l’Eiar, è oggi considerato uno dei più importanti laboratori di sviluppo a livello internazionale. Qui, negli anni ‘30, fu realizzato il «Visorium», il primo impianto italiano di ripresa e ricezione televisiva che, insieme agli esperimenti inglesi di John Logie Baird, mise l’Italia tra i precursori mondiali della nascita della TV. Nel corso dei decenni il Crits della Rai ha realizzato centinaia di brevetti di livello internazionale; tra i più recenti spiccano le applicazioni innovative per le trasmissioni in standard Dvb-T2. Brevetti le cui licenze di utilizzo sono state acquistate da numerose multinazionali. Lo sviluppo di tecnologie di comunicazione proprietarie rappresenta uno dei cardini della proiezione strategica di una nazione, come testimonia l’acceso dibattito sul 5G, che ha creato contrapposizioni di interessi a livello planetario. Nell’attuale assetto industriale italiano il Centro Ricerche Rai rappresenta un unicum d’eccellenza che contribuisce in maniera determinante a mantenere il Paese al passo con le grandi potenze dell’era della comunicazione globale.

 

RUOLO SOCIALE

La natura pubblica della Rai è ciò che ne fa un irrinunciabile elemento di coesione sociale, favorita attraverso una rappresentazione pluralista e verticale delle numerose e complesse anime che compongono la nazione, degli interessi diffusi e di quello generale, della miriade di realtà territoriali, sviluppando trame orizzontali di composizione e valorizzazione delle specificità. Questa matrice di comunicazione è sottesa a tutta la programmazione tv, radio e web della Rai, ma anche al cinema e alla fiction (di cui la Rai è leader in Italia alimentando il mercato della produzione nazionale), alla produzione di contenuti per ragazzi, alla tutela delle minoranze linguistiche e ad ogni altro aspetto della mission affidatale dal contratto di servizio. L’informazione Rai è un altro tassello fondamentale di questo mosaico: l’impostazione produttiva su una pluralità di testate garantisce una rappresentazione articolata della complessa cultura politica della nostra democrazia; il non avere il parametro degli ascolti e degli utili economici – fondamentale elemento di differenziazione dagli operatori commerciali – le consente da un lato di sviluppare profondità di ragionamento e dall’altro di contrastare il dilagante fenomeno delle fake news, il cui principale elemento scatenante è proprio la necessità di «fare notizia ad ogni costo» che ormai troppo spesso guida l’operato di alcune testate del settore privato. L’ampio spazio dedicato alla programmazione istituzionale è certamente un altro elemento rilevante nell’ambito dello sviluppo del Servizio Pubblico Radiotelevisivo quale motore di coesione sociale. Il nuovo Canale Istituzionale previsto nel Piano Industriale (e richiesto nell’ultimo contratto di servizio) va proprio nella direzione di contribuire ad avvicinare gli spazi naturali di vita della nostra democrazia, al sentire consapevole del cittadino.

 

 RUOLO CULTURALE

Venendo all’importanza culturale della Rai, essa poggia le sue basi su due pilastri fondamentali: il suo essere custode della memoria e dell’identità della Nazione tramite l’immenso archivio audio/video delle Teche, e la sua capacità di interpretare il ruolo di prima agenzia culturale del Paese, dedicando migliaia di ore all’anno di nuova programmazione alla valorizzazione della musica, della letteratura, dell’arte, dell’architettura, della danza, delle eccellenze del territorio, dell’artigianato e del design, sia inserendole all’interno della programmazione generalista sia dedicandole spazi appositi attraverso canali specializzati radio, tv e web. Costruzione di un immaginario nazionale, valorizzazione della nostra identità anche all’estero attraverso il nascente nuovo canale in lingua inglese previsto dal contratto di servizio che, al pari degli altri broadcaster pubblici, aiuta la circolazione della cultura italiana, del suo essere risorsa mondiale anche all’estero. Lo sforzo della Rai nell’ambito culturale è amplissimo ed interviene costantemente anche a supporto delle istituzioni nazionali e locali, mediante lo sviluppo di piattaforme e contenuti «educational», la realizzazione di programmi per le minoranze linguistiche e religiose, la valorizzazione di rievocazioni storiche e ricorrenze del territorio, che non troverebbero cittadinanza altrove a causa del grande sforzo produttivo e delle notevoli qualità professionali richieste per la loro ripresa e diffusione.

 

EMERGENZA COVID-19

Ancora di più l’emergenza Covid-19 ha evidenziato il ruolo centrale della Rai nel sistema di sicurezza sociale del Paese. È stato il Servizio Pubblico a supportare la scuola italiana con gli strumenti didattici preparati appositamente da Rai Cultura e rilasciati in dotazione a insegnanti e studenti per favorire la formazione a distanza degli studenti costretti alla sosta forzata per la chiusura delle scuole. Ed è stata la Rai a costruire un’apposita convenzione con il governo italiano per utilizzare il canale Rai Scuola in un progetto di insegnamento all’avanguardia in Europa. Ed è la Rai che oggi sta proponendo soluzioni operative per salvaguardare l’intero sistema del mercato audiovisivo italiano (cinema, fiction, documentari) colpito dalla crisi, a partire dall’ipotesi di utilizzare una parte del canone retrocesso allo Stato per investimenti specifici su questo settore fondamentale per la costruzione della nostra identità nazionale.

 

CONCLUSIONE

Nel dibattito attuale, la Rai risente spesso delle polemiche politiche legate alla crisi di legittimità del mainstream che attraversa il cambiamento radicale in atto nelle nostre democrazie. Per mainstream intendiamo quel complesso sistema di costruzione dell’immaginario simbolico, operato dai media, che ha dato forma e sostanza al potere di un’élite tecno-finanziaria che questi media per buona parte controlla. Ma la Rai che, ricordiamo, è tra i Servizi Pubblici europei quella con il canone più basso (di poco superiore solo a quello della Slovacchia), rimane in termini di classificazione EBU una delle aziende migliori per qualità di programmazione, produzione contenuti, redditività e servizi. Un patrimonio fondamentale della nostra Nazione, da allineare certo ai bisogni di rappresentazione reale della società italiana (e non a quelli dell’élite che in questi anni attraverso la Rai si è spesso auto-rappresentata); un patrimonio che una nuova politica dovrebbe comprendere non solo come spazio di occupazione ma come strumento essenziale per la difesa degli interessi nazionali nel tempo della grande sfida della globalizzazione. Anzi, l’importanza è incrementale, in ragione dell’esponenzialità delle dinamiche economiche su scala globale che stanno generando fenomeni di concentrazione della proprietà dei media nelle mani di pochi enormi soggetti multinazionali, i cui interessi possono divergere – se non addirittura contrastare – con quelli delle Nazioni destinatarie dei contenuti. La tv di Stato, per quanto fumoso possa oggi sembrare il concetto, è uno strumento sempre più indispensabile di tutela dell’interesse nazionale; è l’anticorpo attraverso il quale la democrazia difende se stessa dalle distorsioni indotte dalla viralità del mercato globale, un presidio di indipendenza, autorevolezza e buon senso che non è ipotizzabile garantire in altro modo.

*Giampaolo Rossi, consigliere di Amministrazione Rai

La TV di Stato presidio nazionale

Questo saggio di Giampaolo Rossi, Consigliere d’Amministrazione Rai, è stato pubblicato nel Rapporto Nazionale “Italia 20.20” della Fondazione Farefuturo.
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Nell’epoca della rivoluzione digitale, il dibattito attorno al ruolo del Servizio Pubblico Radiotelevisivo e Multimediale rimane ancorato ad una natura, per così dire, «analogica»; attiva gli impulsi elettrici della polemica politica, alimenta scosse demagogiche che spesso fanno perdere di vista che la Rai non è semplicemente un’azienda di comunicazione ma la più importante media company italiana, uno dei principali vettori di costruzione dell’immaginario simbolico della nostra nazione e un asset industriale strategico negli interessi del Paese. L’accelerazione tecnologica degli ultimi 30 anni che sta operando una completa disintermediazione dei processi culturali e comunicativi, rende spesso la Rai come una sorta di eredità pesante di un passato ma in realtà in tutta Europa, il Servizio Pubblico Radiotelevisivo conserva una centralità funzionale anche a definire il ruolo internazionale della nazione di appartenenza.
La Rai è un’entità eccezionalmente articolata che opera in un contesto complesso e in continua evoluzione; la sua rilevanza per la vita del Paese è sancita anzitutto dal suo status di S.p.A. d’interesse nazionale, che la pone in una condizione particolare rispetto alla disciplina civilistica pura, imponendole di operare all’interno di un mercato fortemente globalizzato e nello stesso tempo gravandola di oneri addizionali nel campo della trasparenza, della disciplina contabile e dei processi di governance e controllo, ma ponendola allo stesso tempo in un ambito di salvaguardia proprio delle infrastrutture strategiche.
Le attività di Rai sono significative nell’ambito della tutela dell’interesse nazionale essenzialmente per il loro impatto su tre aspetti: tecnologico, sociale, culturale.

RUOLO TECNOLOGICO
L’apporto tecnico di Rai al sistema-Paese è dato dalla sua capillare infrastruttura di trasmissione di segnali audio/video e multimediali, con una copertura del territorio di poco inferiore al 100% sulla piattaforma digitale terrestre e totale su quella satellitare, garantita dalla sua consociata Rai Way, provider leader in Italia di infrastrutture e servizi di rete broadcast. Questa caratteristica la qualifica inoltre come infrastruttura critica, sottoposta anche a tutela NATO, per la sua importanza strategica in caso di emergenze e conflitti.
Ma la Rai rappresenta anche un importante presidio d’innovazione tecnologica. Il suo Centro di Ricerche, Innovazione Tecnologica e Sperimentazione di Torino (Crits), nato nel 1929 come laboratorio di ricerche per l’Eiar, è oggi considerato uno dei più importanti laboratori di sviluppo a livello internazionale. Qui, negli anni ‘30, fu realizzato il «Visorium», il primo impianto italiano di ripresa e ricezione televisiva che, insieme agli esperimenti inglesi di John Logie Baird, mise l’Italia tra i precursori mondiali della nascita della TV. Nel corso dei decenni il Crits della Rai ha realizzato centinaia di brevetti di livello internazionale; tra i più recenti spiccano le applicazioni innovative per le trasmissioni in standard Dvb-T2. Brevetti le cui licenze di utilizzo sono state acquistate da numerose multinazionali.
Lo sviluppo di tecnologie di comunicazione proprietarie rappresenta uno dei cardini della proiezione strategica di una nazione, come testimonia l’acceso dibattito sul 5G, che ha creato contrapposizioni di interessi a livello planetario. Nell’attuale assetto industriale italiano il Centro Ricerche Rai rappresenta un unicum d’eccellenza che contribuisce in maniera determinante a mantenere il Paese al passo con le grandi potenze dell’era della comunicazione globale.

RUOLO SOCIALE
La natura pubblica della Rai è ciò che ne fa un irrinunciabile elemento di coesione sociale, favorita attraverso una rappresentazione pluralista e verticale delle numerose e complesse anime che compongono la nazione, degli interessi diffusi e di quello generale, della miriade di realtà territoriali, sviluppando trame orizzontali di composizione e valorizzazione delle specificità. Questa matrice di comunicazione è sottesa a tutta la programmazione tv, radio e web della Rai, ma anche al cinema e alla fiction (di cui la Rai è leader in Italia alimentando il mercato della produzione nazionale), alla produzione di contenuti per ragazzi, alla tutela delle minoranze linguistiche e ad ogni altro aspetto della mission affidatale dal contratto di servizio.
L’informazione Rai è un altro tassello fondamentale di questo mosaico: l’impostazione produttiva su una pluralità di testate garantisce una rappresentazione articolata della complessa cultura politica della nostra democrazia; il non avere il parametro degli ascolti e degli utili economici – fondamentale elemento di differenziazione dagli operatori commerciali – le consente da un lato di sviluppare profondità di ragionamento e dall’altro di contrastare il dilagante fenomeno delle fake news, il cui principale elemento scatenante è proprio la necessità di «fare notizia ad ogni costo» che ormai troppo spesso guida l’operato di alcune testate del settore privato.
L’ampio spazio dedicato alla programmazione istituzionale è certamente un altro elemento rilevante nell’ambito dello sviluppo del Servizio Pubblico Radiotelevisivo quale motore di coesione sociale. Il nuovo Canale Istituzionale previsto nel Piano Industriale (e richiesto nell’ultimo contratto di servizio) va proprio nella direzione di contribuire ad avvicinare gli spazi naturali di vita della nostra democrazia, al sentire consapevole del cittadino.

RUOLO CULTURALE
Venendo all’importanza culturale della Rai, essa poggia le sue basi su due pilastri fondamentali: il suo essere custode della memoria e dell’identità della Nazione tramite l’immenso archivio audio/video delle Teche, e la sua capacità di interpretare il ruolo di prima agenzia culturale del Paese, dedicando migliaia di ore all’anno di nuova programmazione alla valorizzazione della musica, della letteratura, dell’arte, dell’architettura, della danza, delle eccellenze del territorio, dell’artigianato e del design, sia inserendole all’interno della programmazione generalista sia dedicandole spazi appositi attraverso canali specializzati radio, tv e web.
Costruzione di un immaginario nazionale, valorizzazione della nostra identità anche all’estero attraverso il nascente nuovo canale in lingua inglese previsto dal contratto di servizio che, al pari degli altri broadcaster pubblici, aiuta la circolazione della cultura italiana, del suo essere risorsa mondiale anche all’estero.
Lo sforzo della Rai nell’ambito culturale è amplissimo ed interviene costantemente anche a supporto delle istituzioni nazionali e locali, mediante lo sviluppo di piattaforme e contenuti «educational», la realizzazione di programmi per le minoranze linguistiche e religiose, la valorizzazione di rievocazioni storiche e ricorrenze del territorio, che non troverebbero cittadinanza altrove a causa del grande sforzo produttivo e delle notevoli
qualità professionali richieste per la loro ripresa e diffusione.

EMERGENZA COVID-19
Ancora di più l’emergenza Covid-19 ha evidenziato il ruolo centrale della Rai nel sistema di sicurezza sociale del Paese. È stato il Servizio Pubblico a supportare la scuola italiana con gli strumenti didattici preparati appositamente da Rai Cultura e rilasciati in dotazione a insegnanti e studenti per favorire la formazione a distanza degli studenti costretti alla sosta forzata per la chiusura delle scuole. Ed è stata la Rai a costruire un’apposita convenzione con il governo italiano per utilizzare il canale Rai Scuola in un progetto di insegnamento all’avanguardia in Europa. Ed è la Rai che oggi sta proponendo soluzioni operative per salvaguardare l’intero sistema del mercato audiovisivo italiano (cinema, fiction, documentari) colpito dalla crisi, a partire dall’ipotesi di utilizzare una parte del canone retrocesso allo Stato per investimenti specifici su questo settore fondamentale per la costruzione della nostra identità nazionale.

CONCLUSIONE
Nel dibattito attuale, la Rai risente spesso delle polemiche politiche legate alla crisi di legittimità del mainstream che attraversa il cambiamento radicale in atto nelle nostre democrazie. Per mainstream intendiamo quel complesso sistema di costruzione dell’immaginario simbolico, operato dai media, che ha dato forma e sostanza al potere di un’élite tecno-finanziaria che questi media per buona parte controlla.
Ma la Rai che, ricordiamo, è tra i Servizi Pubblici europei quella con il canone più basso (di poco superiore solo a quello della Slovacchia), rimane in termini di classificazione EBU una delle aziende migliori per qualità di programmazione, produzione contenuti, redditività e servizi. Un patrimonio fondamentale della nostra Nazione, da allineare certo ai bisogni di rappresentazione reale della società italiana (e non a quelli dell’élite che in questi anni attraverso la Rai si è spesso auto-rappresentata); un patrimonio che una nuova politica dovrebbe comprendere non solo come spazio di occupazione ma come strumento essenziale per la difesa degli interessi nazionali nel tempo della grande sfida della globalizzazione.
Anzi, l’importanza è incrementale, in ragione dell’esponenzialità delle dinamiche economiche su scala globale che stanno generando fenomeni di concentrazione della proprietà dei media nelle mani di pochi enormi soggetti multinazionali, i cui interessi possono divergere – se non addirittura contrastare – con quelli delle Nazioni destinatarie dei contenuti. La tv di Stato, per quanto fumoso possa oggi sembrare il concetto, è uno strumento sempre più indispensabile di tutela dell’interesse nazionale; è l’anticorpo attraverso il quale la democrazia difende se stessa dalle distorsioni indotte dalla viralità del mercato globale, un presidio di indipendenza, autorevolezza e buon senso che non è ipotizzabile garantire in altro modo.

Una Rai non populista ma aderente all’interesse nazionale

Di tutto, di più? Per ora a farla da padrona è semmai il segno meno. Rai, è lì che alla fine i nodi del centrodestra vengono tutti al pettine. Forse un contrappasso. O forse l’amaro epilogo di una formula politica che deve tanto – forse troppo – alla galassia televisiva made in Milano. Silvio Berlusconi – “Sua Emittenza”– cuce e scuce l’alleanza che lui stesso ha creato a partire dal nodo editoriale, confermando alla lontana i sospetti di chi ha sempre sostenuto che l’unico ed esclusivo interesse dietro la discesa in campo del ’94 fosse proprio quello di salvare il Biscione. Se tale assunto è difficile da dimostrare, lapalissiano è invece – come ha detto giustamente Pietrangelo Buttafuoco – che sia la destra la principale nemica della destra stessa, anche e soprattutto in questo caso. Un tafazzismo vecchio quanto il cucco che prima o poi sarebbe ora di cestinare.
Sulla bocciatura tattica di Marcello Foa alla presidenza di viale Mazzini, si è già detto e scritto parecchio. E da qualsiasi angolatura si guardi la vicenda c’è da mettersi le mani nei capelli. A partire dal dettaglio, neanche troppo marginale, che sull’appartenenza sia culturale sia aziendale del diretto interessato, l’ex Cav avrebbe dovuto avere ben poco da obiettare. Al di là del ritorno del patto del Nazareno e degli eventuali sviluppi di una faccenda ormai paludosa, il problema connesso alle future linee editoriali della tv di Stato merita una profonda riflessione. Andando oltre alla conta delle poltrone, c’è infatti da capire quale sia l’idea di Paese che dovrebbe informare il nuovo palinsesto Rai. La Rai targata M5s + Lega, per inciso.
Un interrogativo non da poco, perché prima ancora c’è da individuare quale narrazione culturale complessiva dovrebbe fare da ancella alla stagione giallo-verde al governo. Stando al versante Cinquestelle si potrebbe andare tranquillamente di sciabola: no vax, no tav, no tap. Una filosofia al negativo che non sappiamo, però, quanto possa stuzzicare gli inserzionisti pubblicitari. Facendo leva sul versante giustizialista – main theme del primo grillismo – qualche spunto per il palinsesto lo si troverebbe: Report a go go e maratone di Torto o Ragione? Verdetto finale (Forum versione Rai, per intenderci). Decisamente poco, suvvia.
Foa o no, la presidenza Rai tocca alla Lega. Una responsabilità non da poco. Facciamo allora un passo indietro, a quando cioè il Carroccio pensò bene di sfruttare l’emittente di Stato per imporre il verbo padano sulla Roma lottizzatrice. A dirla tutta, la produzione del film Barbarossa di Renzo Martinelli (2009) non fu indimenticabile.  Per quanto goffo, però, il tentativo aveva delle premesse coerenti. In fondo, anche Il cuore nel pozzo (2005), miniserie che raccontava il dramma delle foibe, aveva come obbiettivo di offrire ai telespettatori un’alternativa ai tentativi politicamente connotati quali la Meglio Gioventù di Marco Tulllio Giordana. Mancò però la costanza, la qualità e la volontà di proseguire un percorso chiamato a dare dignità all’altra metà del Paese. In tal senso, la responsabilità di Berlusconi ha pesato parecchio e non in funzione di un’autocensura, ma perché l’idea d’intrattenimento proposta dalle sue stesse reti non è mai andata oltre un certo sentire tutt’altro che impegnato.
Quell’epoca però è superata e la distanza del sistema editoriale e il sentire del Paese non sono  mai state così ampie, tanto che il linguaggio da prima e seconda Repubblica sta stretto soprattutto a tutti coloro che pagano il canone in bolletta. Se il caso Foa ha qualcosa di allarmante, il dramma sta tutto in chi lo ha voluto dipingere il suo ritratto a tinte fosche sol perché da giornalista serio qual è, tenta di raccontare la realtà secondo categorie aderenti ai fatti e non filtrate da alcune centrali di potere. Ecco, appunto: la nuova Rai dovrebbe aggiornare il comparto dell’informazione e dell’approfondimento verso non una svolta populista, ma vicina semmai alla sensibilità popolare e all’interesse nazionale. Che non passa soltanto dalle fortunate serie quali Don MatteoIl commissario Montalbano o Tutto può succedere.
Raccontare la famiglia ai tempi del precariato evitando le declinazioni di una certa borghesia avvizzita sarebbe un buon inizio. Raccontare la forza dei territori, al di là dei soliti cliché turistici pure. Mettere al centro le capacità di un Paese che lavora e produce al di là delle narrazioni autolesionistiche che esso stesso produce, ovviamente. In ultimo: smontare gli ultimi ridotti della partitocrazia d’opposizione primorepubblicana – Rai3, per intenderci – non dovrebbe essere una opzione tra le altre. Semmai un dovere.

*Fernando Adonia, collaboratore Charta minuta