Italia più forte con Ministero del mare

L’Italia, come è noto, è circondata da 7.456 chilometri di coste, 155.000
chilometri quadrati di acque marittime, interne e territoriali, e 350.000 chilometri quadrati di acque.
Un patrimonio non solo naturalistico, storico e culturale ma anche economico. Oggi più che mai.
Con l’80 per cento dei nostri confini bagnati dal mare, la blue economy costituisce, infatti, una parte
molto importante del sistema produttivo nazionale, con circa 200.000 imprese impegnate nella
cosiddetta « economia del mare », che va dalle attività primarie come la pesca, a quelle terziarie del
turismo marino, dei trasporti marittimi e della ricerca e regolamentazione ambientale, passando per
quelle secondarie quali la cantieristica.
Una forza imprenditoriale che cresce rispetto al resto dell’economia, come emerge dal VII Rapporto
sull’economia del mare (2018), e che coinvolge anche giovani (dieci imprese della blue economy su
cento sono « capitanate » da under trentacinque), donne (venti su cento sono a guida « rosa ») e
stranieri (sei su cento).

L’economia del mare si sviluppa in svariati settori che vanno dalla filiera ittica (che comprende le
attività connesse con la pesca, la lavorazione del pesce e la preparazione di piatti a base di pesce) a
quella della cantieristica (attività di costruzione di imbarcazioni da diporto e sportive, cantieri navali,
fabbricazione di strumenti per navigazione, installazione di macchine e apparecchiature industriali
connesse); dall’industria delle estrazioni marine (sale, petrolio, gas naturale) alla movimentazione di
merci e passeggeri (attività di trasporto via acqua di merci e persone, sia marittimo che costiero,
connesse attività di assicurazione e di intermediazione degli stessi trasporti e servizi logistici), ai
servizi di alloggio e ristorazione, alle attività sportive e ricreative (tour operator, guide e
accompagnatori turistici, parchi tematici, stabilimenti balneari e altri ambiti legati all’intrattenimento e
divertimento, discoteche, sale da ballo, sale giochi, eccetera), ma anche attività legate all’istruzione
(scuole nautiche). Senza dimenticare, poi, il settore della ricerca e della tutela ambientale che include
le attività di ricerca e sviluppo nel campo delle biotecnologie marine e delle scienze naturali legate al
mare più in generale, assieme alle attività di regolamentazione per la tutela ambientale e nel campo dei
trasporti e delle comunicazioni.
I settori in cui è più forte l’allargamento della base imprenditoriale, in termini percentuali, sono le
attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale (più 34,6 per cento) e i servizi di alloggio e
ristorazione (più 23 per cento), mentre, tra le diverse ripartizioni territoriali, l’incremento maggiore del
numero di imprese della blue economy si riscontra nel Mezzogiorno e nel Centro Italia che
rappresentano, appunto, le due macro-ripartizioni a più alta concentrazione di imprese della blue
economy, con un’incidenza del 4,1 per cento e del 4,2 per cento sui rispettivi totali imprenditoriali.
Parliamo, dunque, di una forza imprenditoriale che rappresenta un motore per la produzione
economica, il cui valore aggiunto è arrivato, nel 2017, a 45 miliardi di euro, pari al 2,9 per cento del
totale economia, con un aumento di circa il 5,9 per cento, raddoppiando la variazione esibita dal resto
dell’economia.

Va poi rilevato il dato attinente alla forza lavoro che conta oltre 880.000 occupati, pari al 3,5 per cento
dell’occupazione complessiva nazionale, mentre dal 2011 al 2017 il numero di lavoratori è aumentato
di più 4 punti percentuali, a fronte di una crescita di solo l’1 per cento nel resto dell’economia.
Imprenditorialità, produzione e occupazione, a cui va ad aggiungersi la competitività in campo
internazionale, perché l’export della cantieristica e quello del settore ittico, nel suo insieme, ha toccato
nel 2017 quota 5,1 miliardi di euro.
Dati e numeri che per un effetto moltiplicatore devono aggiungersi a quelli dell’indotto relativi alle
attività fornitrici, ad esempio, di beni e servizi di input (materie prime, semilavorati, eccetera) e a
quelle che garantiscono la distribuzione commerciale, servizi di marketing, trasporti, logistica e così
via, per cui per ogni euro prodotto dalla blue economy se ne attivano quasi due sul resto dell’economia.
Analizzando in base alla ripartizione geografica, infine, il valore aggiunto prodotto dalla blue
economy, la sua attivazione sul resto dell’economia e il relativo moltiplicatore, emerge che l’intera
filiera della blue economy nel 2016 ha inciso, tra valore aggiunto prodotto in modo diretto e valore
aggiunto attivato, per circa l’11 per cento nell’economia del Mezzogiorno (36,3 miliardi di euro) e per
il 10,1 per cento in quella del Centro (33 miliardi di euro).
Un sistema che ha tenuto nonostante la crisi, che funziona, porta reddito e occupazione; una realtà,
quella marittima, molto complessa e articolata, legata al sistema portuale, al network trasportistico
terrestre, alla logistica e all’industria manifatturiera, oltre che ai servizi dedicati, che richiede una
organizzazione logistica puntuale, sistematizzata.

Appena un anno fa (8 giugno 2017), il Consiglio dell’Unione europea ha approvato la dichiarazione de
La Valletta sulla politica marittima dell’Unione europea che elenca tra le priorità: maggiore
competitività, decarbonizzazione e digitalizzazione, « per assicurare una connessione globale, un
mercato interno efficiente e un settore marittimo di primo livello ».
L’Italia su tutti questi aspetti può giocare un ruolo decisivo, ma per farlo deve presentare una strategia,
una vera politica dei trasporti e dell’economia marittima; è, dunque, necessario, come viene chiesto
dall’intera industria, promuovere una governance forte e unitaria del mondo del mare, declinato in tutte
le sue molteplici componenti.
Il controllo sul mare, il corretto svolgimento delle attività economiche, la tutela dell’ambiente marino,
la salvaguardia del trasporto umano e la sicurezza della navigazione sono competenze attualmente
ripartite in diversi Ministeri senza quella necessaria e doverosa visione comune e univoca delle
problematiche legate alla vita in mare.
Con il presente disegno di legge si intendono riportare nell’ambito di un unico dicastero le funzioni e i
compiti che hanno un collegamento con il mare, con la sua tutela, le sue risorse, il suo ecosistema e i
trasporti marittimi: un Ministero del mare deputato a valorizzare la peculiarità del sistema marittimo e
la complessità delle sue articolazioni e lo sviluppo di politiche organiche per il settore.

Il futuro dell’Italia è nel mare. Una sfida, una opportunità, forse anche una missione.

 

Relazione introduttiva alla Proposta di Legge n. 917/2019 presentata dal Senatore Adolfo Urso che sarà discussa al meeting organizzato dalla Fondazione Farefuturo a Bari giovedì 19 settembre