La ripresa sarà trainata dal digitale

Nei prossimi 12/24 mesi si deciderà il futuro delle aziende, delle imprese pubbliche, delle organizzazioni e degli stati e tutto passerà attraverso la comunicazione digitale e l’utilizzo dei nuovi strumenti sempre più tecnologici e alla avanguardia. Oggi al solo pensiero del telefono a rotella, al telex, al telefax, al megafono, alla filodiffusione, alla tv analogica, alla tv in bianco e nero, ci viene da sorridere. Per molti, ancora oggi, il computer, il drone, lo smartphone, la tv satellitare in 3d, le App, i social, sono strumenti di non facile approccio e talvolta di difficile accettazione se non addirittura di rifiuto.

Ma se vogliamo rimanere al passo col mondo che ci circonda e dire la nostra, l’immediato futuro ci chiede uno sforzo senza precedenti. Il 5G, l’intelligenza artificiale, i bot, i big data e i social stessi prenderanno il sopravvento e ci guideranno verso una società automatizzata e digitalizzata sulla quale fonderà le basi la nuova economia mondiale. Aziende private, imprese pubbliche, organizzazioni e gli stati stessi non potranno farne a meno, pena il loro inesorabile declino. Il domani è già “oggi”, l’intelligenza artificiale non è altro che un algoritmo che assume comportamenti “razionali” pronto a compiere azioni e dare risposte che si basano sull’interazione con gli esseri umani, sull’interpretazione del contesto, sia culturale che ambientale o sul riconoscimento di elementi fisici.

Sono molte le aspettative che riguardano l’evoluzione cognitiva della tecnologia, mentre gli esperti già sviluppano applicazioni intelligenti in campo medico o capaci di rendere elettrodomestici ed automobili veri e propri smart sistems, gestibili attraverso l’utilizzo delle applicazioni da mobile. Proviamo ad entrare nel vivo dell’argomento e pensiamo ai bot di Apple, in particolare all’assistente “SIRI” degli IPhone. Basta pronunciare un semplice “hey Siri” e subito dal cellulare una voce risponde facendoti capire che attende la formulazione di una domanda. Si può chiedere quasi tutto, quale sia il clima meteorologico in quel momento in un determinato luogo, qual è stato l’ultimo risultato dell’Atalanta nel campionato di calcio in serie A, o addirittura quando è stato firmato l’ultimo DPCM dal Premier Conte. Il Bot di Apple “Siri” risponde in pochi secondi ed il gioco è fatto.

Alexa è il software dell’intelligenza artificiale di Amazon che oggi risponde alle domande dell’utente ma a breve governerà il business della piattaforma. Fin qui nulla di nuovo o di trascendentale, anche perché si può pacificamente dire che l’intelligenza artificiale è nata nel 1956 con l’avvento dei primi computer. Oggi l’intelligenza artificiale è il settore dell’informatica che studia la programmazione e progetta sistemi hardware e software che interagiscono con l’uomo utilizzando caratteristiche tipiche del genere umano. L’intelligenza sociale è invece quella che percepisce il tono di voce, il contesto, le abitudini, gli spostamenti, i contatti, il tipo di relazione, i gusti e i sentimenti. Con questi presupposti giocheranno un ruolo importante i social media, i big data e il famigerato 5G. Si giocherà tutto il nostro imminente futuro nei prossimi 12/24 mesi sia sotto il profilo dell’intelligenza sociale, sia sotto il profilo dell’intelligenza corporeo – cinestesica, (interpretazione del linguaggio del corpo), ma ancor più importante è che questi strumenti accompagneranno inevitabilmente il nostro sviluppo economico.

La comunicazione fonda la sue basi sulla semiotica, sulla psicologia, sul bisogno, sul valore, elementi che fino ad oggi sono stati letti ed interpretati dall’uomo, da professionisti, ma da qualche anno questi elementi hanno iniziato ad essere letti ed interpretati anche dai software e dai loro algoritmi creati ad hoc da ingegneri informatici sulla base dei comportamenti umani. Con il 5G, le compagnie telefoniche come Wind Tre e Vodafone, i social media come Facebook ed Instagram, le piattaforme quali Google e Microsoft , le imprese leader nella telefonia quali Huawei ed Apple, le piattaforme di Amazon piuttosto che Alibaba godranno degli investimenti in tecnologia pronti a suddividersi il mercato dell’intero pianeta. Una spartizione Asia-Occidente che taglierà fuori il vecchio continente salvo non si intervenga massicciamente in difesa dell’economia europea e dei singoli Stati che la compongono.

Come? Innanzi tutto frenando, con forti incentivi a restare, la cosiddetta fuga di cervelli verso l’estero, in seconda battuta, organizzare delle grandi piattaforme di e-commerce misto pubblico-privato che contrastino i colossi già presenti sul mercato dell’ online. La Cina ci ha insegnato una cosa su tutte: non ha inventato nulla e ci ha sovrastato nei nostri settori tipici, depredando asset e mercati di sbocco già esistenti. Noi dovremo fare lo stesso con loro, in particolare sul commercio e sulla promozione dei nostri prodotti e servizi, uscendo dal profondo provincialismo in cui ci siamo insabbiati. Servono importanti asset online che sotto il controllo dei governi europei, promuovano, salvino ed incentivino (nel nostro caso) l’offerta turistica, l’alimentare, la moda, il design, l’arredamento, la cultura e la storia sia verso il mercato domestico che in chiave di export. Serve un nuovo approccio nel marketing e nella comunicazione online che porti aziende ed organizzazioni a fare rete, scacciando così quell’individualismo sfrenato che si è autoalimentato durante il successo delle PMI, che oggi, come dimostrato dalla pandemia, non rende più competitive.

*Stefano Lecca, dirigente A.I.A.

 

 

Necessario intervenire subito sul DURC

Le problematiche degli assetti produttivi, e in particolare delle PMI, alla luce dell’emergenza nazionale covid sono tante. Affrontiamo quelle immediate, a cominciare dal DURC. Le piccole e medie imprese rappresentano nello scenario industriale nazionale una risorsa importante per l’economia del Paese e per la vita stessa della Grande Impresa.

Le recenti evoluzioni dello scenario politico nazionale e internazionale, la crisi economico finanziaria ancora in atto, unitamente all’emergere di capacità  produttive in paesi dove vigono condizioni normative e fiscali assolutamente diverse da quelle nazionali ed europee, pongono non pochi ostacoli ad uno sviluppo concreto del mondo delle PMI o addirittura ne minacciano la sopravvivenza. Gli ostacoli che storicamente nel nostro paese impediscono uno sviluppo armonico della piccola e media impresa ( e come visto,non solo) , sono ormai noti. Tra questi: eccesso di burocrazia, alta tassazione, lentezza della Giustizia civile, inefficienza della Pubblica Amministrazione, instabilità politica e assoluta mancanza di visione e strategie di lungo periodo.

Facciamo qualche esempio: una media impresa con un centinaio di dipendenti e un giro d’affari compreso fra i 10 e 15 milioni di euro l’anno tra IRES,IRAP, INAIL, IMU,TARI,INPS e IRPEF è costretta a pagare da 2,5 a 3 milioni di euro l’anno, equivalenti ad un 20, 25% del proprio fatturato. E ciò non considerando in questi valori le spese fisse di personale interno ed esterno ( consulenti) necessario per fare fronte a tali innumerevoli incombenze. A questo si includa ancora, nel settore dell’Aerospazio e Difesa, la necessità di personale fisso per garantire le stringenti certificazioni e controlli che le normative internazionali impongono, in maniera quasi indipendente dal giro d’affari.

Stanti l’attuale scenario e le connesse difficoltà di cassa, le aziende sono costrette ad effettuare tardivamente i pagamenti sopra detti, e così facendo incorrono in sanzioni ed interessi, che ovviamente non fanno che aggravare la situazione. Ma c’è di più, incorrendo in queste fattispecie, le aziende si vedono negare il DURC con la nefasta impossibilità di partecipare a gare pubbliche ( talvolta anche a gare bandite da grandi gruppi a partecipazione statale), e quindi alla possibilità di fatturare e incassare. Come si suo dire, piove sul bagnato!

Alla luce di tutto ciò si chiede con forza che lo Stato possa concedere dilazioni significative di almeno 6/12 mesi, e non i 10/20 giorni come avvenuto nella scorsa primavera, eliminando l’automatismo negativo su concessioni e rinnovi del DURC.

Se questi auspicati provvedimenti aiuterebbero la situazione di cassa delle aziende, nulla potrebbero influire sul Conto Economico delle aziende stesse, le quali com’è noto possono fallire per difetto cassa o di conto economico. Si chiede quindi di tramutare parte dei provvedimenti in contributi a fondo perduto, in modo da non aggravare l’indebitamento e i bilanci delle società.

Va inoltre rilevato che mentre le aziende, pur dovendo ricorrere al cosiddetto smart working, hanno dovuto garantire accettabili livelli di efficienza, non così sembra essere avvenuto in alcuni settori della Pubblica Amministrazione. Come effetto di ciò in alcuni Ministeri abbiamo visto aumentare i già troppo lunghi tempi di smaltimento delle pratiche burocratiche e purtroppo di pagamento alle imprese!

Come ultima notazione si accenna alla urgente necessità di ripristino e revisione della Legge 808/85, che da sola, in uno scenario internazionale di estrema competitività con imprese di paesi concorrenti che dispongono di analoghi strumenti, può consentire la sopravvivenza del comparto nazionale dell’Aerospazio e Difesa.

*Carmelo Cosentino, già presidente distretto aerospaziale lombardo

La crisi del credito affossa il Sud

Ultimamente si torna a parlare di fusioni e acquisizioni bancarie, di alleanze e accordi. Dopo un periodo assai difficile legato ai crediti insoluti, il sistema italiano fa parlar di se con l’iniziativa partita dal gruppo Intesa San Paolo con l’offerta pubblica di scambio alla lombarda Ubi Banca, un istituto di medie dimensioni ubicato in una delle zone più ricche e dinamiche d’Italia.

La riduzione dei margini di intermediazione, la digitalizzazione, l’intervento massiccio della tecnologia nel mercato del credito, il costo zero dell’approvvigionamento presso la bce, che ultimamente ha iniettato enormi quantitativi di liquidità nel sistema del credito, ha ridotto fortemente il margine operativo degli istituti favorendo, contestualmente, fusioni e chiusura di sportelli di rete desertificando i territori, in particolar modo quelli del sud.

Questa tendenza sta procurando forti ricadute occupazionali ponendo in pre-pensionamento forza lavoro più anziana, meno motivata, meno propensa al cambiamento, più legata al vecchio modo di far banca per assumere giovani più incentivati al raggiungimenti di risultati commerciali.
In questo scenario si inserisce il rapporto idiosincratico tra banca e impresa, rapporto divenuto più conflittuale sia dal lato della domanda che dell’offerta.

Le difficoltà delle imprese incidono negativamente sulle banche, a causa delle perdite generate dal mancato rimborso dei prestiti, che pesano sul conto economico e lo stato patrimoniale. Il credit crunch attuale è l’effetto sia di fattori inerenti alla domanda sia di un irrigidimento dei criteri di offerta dovuto al nuovo scenario regolamentare. In tale situazione le imprese divengono più esposte agli shock dal lato dell’offerta di credito, poiché risentono di una liquidità fortemente deteriorata, trovando al contempo sempre più complicato ottenere prestiti. L’unica via praticabile per uscire dall’impasse sembra essere quella di restituire centralità all’aspetto relazionale, soprattutto nelle regioni meridionali, dove esso è stato in parte compromesso dal processo di consolidamento e dal conseguente aumento delle distanze funzionali.
Nel rapporto banca-impresa, e nel sistema del credito in generale, la geografia e le distanze svolgono infatti un ruolo di primissimo piano. La maggiore lontananza tra i centri strategici delle banche e il territorio rischia di accentuare i suoi effetti negativi in termini di minore coinvolgimento nelle vicende del tessuto economico, sociale e culturale locale, a danno soprattutto delle PMI, il cui merito di credito si basa essenzialmente su relazioni personali con il management locale e su informazioni difficilmente comunicabili.
Divengono dunque fondamentali le scelte organizzative e gestionali e il grado di autonomia concesso alle banche locali, il cui radicamento nel territorio risulta prezioso per la conservazione del patrimonio informativo locale. La crisi può essere, in tal senso, uno stimolo per rifondare su rinnovate basi il complicato rapporto tra sistema creditizio e tessuto produttivo, che deve evolvere in una visione di lungo periodo, in cui si persegua l’obiettivo di rafforzare la capacità competitiva delle banche, accompagnando al contempo le imprese nel percorso verso una struttura finanziaria più robusta ed equilibrata.

*Giuseppe Della Gatta, analista finanziario

Serve un piano industriale per le PMI

Per tutte le aziende italiane sono alcuni anni che il momento è difficile voglio proporvi una analisi basata su alcuni punti che non sono i soli ma che potrebbero essere di aiuto per tracciare una linea di cosa bisognerebbe fare per cambiare il modo di venire incontro alle reali esigenze delle PMI.
Queste azioni è chiaro che dovrebbero essere portate avanti da un Sindacato che in questo caso si chiama CONFINDUSTRIA ma che come tutto in Italia e in mano a una lobby che apparentemente è attiva e opera su diversi fronti ma che in pratica anche lei non ha cognizione dei problemi reali perché chi si trova ai vertici e li per puri interessi personali .
Non abbiamo un piano industriale di nulla per quanto riguarda noi metalmeccanici L’iniziativa a volte di fare qualcosa e di qualche regione oppure di qualche camera di commercio .

Alcuni esempi eccoli:

Il governo ha esteso la possibilità di dedurre investimenti fatti con la 4.0 anche per il 2020 nessuno dice ho ha detto che se tu vuoi ottenere questo devi averlo pensato entro il 2019 ,avere fatto il contratto di cosa vuoi acquistare e avere pagato un acconto entro il 2019del 20/0
Questo equivale a dire facciamo tanta scena ma in realtà non diamo nulla.
Chi ci ha difesi ? Chi ci ha informati ?

Con il primo di ottobre sono cambiate molte regole e norme per le
Prevenzioni anti incendio specialmente per le PMI chi le ha discusse con il ministero proposto?
Chi ha portato un ragionamento di applicazione del buon senso ?
Nessuno vi saranno aziende che dovranno spendere soldi senza ragioni concrete
Questi due esempi come molti altri che vi potrei elencare sono senza regole che più delle volte anziché dalle PMI partono dai consulenti che in questo modo si accaparrano nuovo fatturato,
Ma qui non vi sono più utili per continuare a pagare.

Noi metalmeccanici con lo spettro della crisi ILVA provocata da incapacità presenti ma anche passate e non solo da parte dei politici ma da chi è stato al vertice di CONFINDUSTRIA che dopo avere non pagato dei prestiti ottenuti da MPS ha fatto l’ennesima marchetta,rischiamo di ritrovarci a non essere più competitivi perché andremo ad acquistare il ns acciaio a dei prezzi penalizzanti.
Come è stato fatto con L’avvento dell’euro da un genio come Prodi stabilendo il cambio della lira ad un valore insensato che ha riequilibrato i costi di produzione tra i diversi stati ,ma non i ricavi di chi produce e di chi lavora questa può essere una nuova carta per le industrie metalmeccaniche europee.

Cosa si può fare ,e come si può agire per dare eco a queste cose?

Mi auguro che partendo dal piccolo fondazioni come Farefuturo promuova in diverse aree italiane degli incontri per ascoltare queste esigenze; incontri che non siano solamente lo specchio per i politici per i loro interessi di visibilità ma per fare di tutte queste esigenze un archivio di informazioni che poi a livello centrale vengano utilizzate per il nostro futuro nel quale io ho sempre creduto come ho sempre creduto nella mia Patria.
Facciamo partire delle iniziative, facciamo in modo che chi si trova nei vari comitati si incontri e incominci a lavorare.

*Duilio Paolino, imprenditore, componente il Comitato Scientifico di Farefuturo

Rinegoziare l’Unione Bancaria

La mia disamina muove sostanzialmente dal titolo. Quando abbiamo deciso di parlare di Banche, di Europa, ho fatto un ragionamento molto semplice, ho guardato a quando sostanzialmente questo tema è diventato un problema. Peraltro ne parleremo anche oggi pomeriggio con gli amici dell’Ucid a proposito del libro sull’educazione finanziaria che l’amico e collega Pedrizzi ha fatto e presentato in questi giorni.

Oggi la tematica bancaria è diventata la tematica oserei dire quotidiana e familiare. Oggi si parla di spread, rating, di rimborsi, di truffati, non è più un tema come lo era quando eravamo giovani noi, riservato ad una parte della comunità sociale, oggi direi che quasi tutti discutono di questi argomenti, ma perché? Perché negli ultimi 19 anni, dal duemila in poi, l’Europa è entrata con forza nella nostra vita. Ricordiamoci che il 2000 è l’anno di ingresso dell’euro, e dal duemila in avanti il nostro sistema sociale, economico, finanziario sconta i più gravi problemi. Questo è un dato di fatto. In questi 18 anni 44 miliardi se ne sono andati in fumo, in questi 18 anni un milione e duecentomila italiani sono rimasti coinvolti nei problemi della finanza. Ecco perché noi oggi ragioniamo di questi argomenti e guarda caso per la tematica bancaria e la tematica europea il periodo è lo stesso, dal 2000 in avanti, passando attraverso crisi, problemi di banche internazionali, e ora purtroppo negli ultimi anni anche nazionali. La prima cosa che potrebbe essere suggerita è quella di fare una critica al sistema bancario, alle banche.

Se c’è un problema ed il risparmiatore viene coinvolto, ovviamente per opinione pubblica e mediatica la banca è responsabile. Io qui invito però a fare una analisi più attenta, e quindi guardo soprattutto a quello che non ha fatto la politica italiana ed a quello che ha fatto purtroppo la politica europea sul sistema bancario europeo e nazionale. Ricordiamo che negli ultimi anni abbiamo familiarizzato con alcuni concetti, bail-in piuttosto di bail-out, dal 2016 l’Italia si è trovata a dover scaricare sui cittadini e sui risparmiatori le inefficienze del sistema, questo è il  bail-in per certi aspetti, e guarda caso entra in funzione nel 2016 in Europa, quando però i tedeschi avevano già capitalizzato a grandi mani tutte le loro banche con denari pubblici. Quindi qualcuno è entrato nelle nuove regole dopo essersi rafforzato, qualcun altro, non solo per ragioni di miopia politica, ma anche per ragioni di funzionamento del sistema non lo aveva fatto, e si è trovato dopo il 2016 coinvolto in regole ferree e stringenti che non permettevano al pubblico di intervenire efficacemente nella soluzione dei problemi.

Cito un altro argomento: i principi contabili. L’Italia si è trovata e si trova ad avere un sistema bancario quasi al 90% sottoposto ai principi contabili nazionali, mentre la forte Germania si trova con oltre il 40% del credito sottoposto ai principi contabili nazionali. Apparentemente si potrebbe dire che è una locuzione tecnica contabile di un ragioniere, ma non è così; parlare di principi contabili internazionali, piuttosto che di principi contabili nazionali, vuol dire ad esempio che quando un titolo a scadenza oscilla chi applica i principi contabili internazionali deve immediatamente svalutarlo se è momentaneamente svalutato, chi invece applica quelli nazionali, può, ritenendo di portarlo a scadenza, lasciarlo in bilancio a valore nominale.

Questo vuol dire che le nostre banche, che ripeto per il 90% rientrano nell’obbligo dei principi contabili internazionali (IASC), a differenza di una Cassa di Risparmio o Cassa Rurale tedesca devono svalutare il proprio attivo con  tutti i problemi che ne conseguono. Quindi un altro elemento per cui il nostro Paese si è fatto, permettetemi il termine, letteralmente -fregare- da queste regole. Quindi bail-in, principi contabili, ieri sul Sole 24 ore -Basilea tre-, delle cui conseguenze di fatto e se ne sarebbero ora accorti anche i francesi e gli austriaci, e quindi le nostre banche trovano difficoltà a finanziare ed erogare credito, anche se i soldi ci sono, a finanziare le piccole e medie imprese, guarda caso quello che è il tessuto economico del nostro Paese. Perché?

Perché quando una banca finanza una PMI quella banca deve fare degli accantonamenti maggiori rispetto a quando finanza la grande impresa. Dopo constatiamo però che i crediti deteriorati provengono perlopiù dalla grande invece che dalla piccola impresa. Questa è l’Europa con la quale ci confrontiamo, e che noi di Fratelli d’Italia vogliamo cambiare, proprio per impedirne la consunzione. Parliamo quindi della Sentenza europea sul caso Tercas che ha di fatto creato problemi ad una banca popolare solida quale era quella di Bari. Perché, perché la politica italiana, quella del Pd che ci ha al tempo governato, ha accettato passivamente le imposizioni della Commissione europea che impedivano di utilizzare il fondo interbancario per risolvere il problema di una banca, quando poi guarda caso a distanza di qualche anno, cioè poche settimane fa, interviene la sentenza europea e dice no, non è così vi siete sbagliati. Però intanto abbiamo trascinato nei problemi una banca popolare, abbiamo trascinato nei problemi le banche che si sono succedute nelle crisi, Etruria, Monte dei Paschi e questo grazie a chi ha accettato passivamente le istruzioni della Commissione europea quando invece avrebbe dovuto dire “me ne frego “e oggi il “me ne frego “ lo ha sancito il tribunale europeo. Ecco cosa significa essere sovranisti, cosa significa avere una dignità di Paese, cosa significa saper rispondere a delle imposizioni di una Europa che , come ho detto direttamente in audizione al Senato alla Commissaria UE Vestager, ha fatto figli e figliastri, perché quella Germania che ha potuto fare tutto, continua tutt’oggi ad usare denaro pubblico per salvare le banche, il caso di pochi giorni fa in Sassonia della Zeta Bank  che è stata alimentata con soldi pubblici, mentre noi in Italia veniamo impallinati o venivamo impallinati allorchè si creavano questi problemi, e si paventava l’intervento di soldi pubblici o addirittura di fondi privati quale erano quelli del  Fondo interbancario.

Ma vogliamo infine dimenticare in questi diciotto anni quello che, tra virgolette, è stato un esproprio delle nostre banche nazionali; ma sappiamo che Banca Intesa, BNL, Unicredit, Casse di Risparmio sono controllate da capitali stranieri per lo più francesi. Quello di cui mi meraviglio è che non c’è reciprocità, che quando noi andiamo al di là dei confini per fare altrettanto ci bloccano. Quando loro vengono in Italia per conquistare le nostre aziende lo fanno liberamente con una politica assente.

Qual è il vero problema? I circa 5 miliardi di risparmi italiano che esistono, sono di fatto controllati da banche italiane ma con capitale straniero. Allora cosa pensate, che colui che dirige una banca possa indirizzare il risparmio verso il mercato nazionale, o piuttosto verso il proprio, quello francese? Quindi in sostanza, semplificando, i nostri soldi, il nostro risparmio, che rende l’Italia unica o comunque tra i primi Stati del mondo viene spesso utilizzato in altre realtà, perché i capitali delle nostre banche, cioè coloro che guidano e governano le nostre banche non sono italiani. Allora se ci fosse reciprocità e i nostri capitali governassero le banche francesi e tedesche non ci sarebbe problema, ma siccome così non è, sarebbe ora che la politica si svegliasse. Questo è essere sovranisti, non è venir meno alla cultura liberale, è saper difendere su un piano paritario i nostri principi economici, le nostre aziende, le nostre imprese, la nostra cultura. Un ultimo aspetto. Cosa è accaduto in questi ultimi anni che ci aiuta a capire perché parliamo di Europa e banche. Sono state smantellate dal precedente Governo, senza fare polemica a tutti i costi ma il dato è questo, le banche di prossimità, le banche di territorio. Abbiamo distrutto le banche popolari e le Casse rurali, in modo diverso anche perché le Banche popolari si sono assottigliate allo zero, le Casse rurali almeno formalmente, provengo dal Trentino la patria del Credito cooperativo, ci sono, ma in realtà sono holding, spa. I direttori delle casse rurali territoriali, sotto voce perché non possono gridarlo, mi ringraziano per la battaglia fatta in Senato, senza risultato, perché anche il Governo giallo-verde ha sposato la causa obtorto collo del governo Renzi, che ha permesso che le Casse rurali diventassero di fatto delle holding, di fatto delle banche di credito nazionale.

Questo vuol dire che abbiamo perso la specificità, la territoriali della presenza del credito, questo erano le banche di territorio, quelle banche che conoscevano il nonno, il bisnonno, che valutavano non solo il rating, Basilea3, ma che valutavano le caratteristiche umane, sociali dell’impresa. Oggi quelle banche per lo più non ci sono. Questo è accaduto in questi anni, e quando mi ricollego alla mia introduzione, dico non prendiamocela tanto con le banche, prendiamocela soprattutto con quella politica europea e nazionale che ha portato le banche in queste condizioni.

Per concludere ed allacciarmi al titolo del meeting: quali sono le risposte che dobbiamo dare per avere delle prospettive? Vado per sintesi: 1) venga rinegoziata l’Unione bancaria europea. La vigilanza europea sul sistema bancario, che nasce nel 2014 quando doveva parallelamente vedere la crescita e la nascita delle assicurazioni europee sul credito, questo sistema di vigilanza europeo va rinegoziato, questa è la prima risposta cosicché non accadano più le problematiche avvenute in questi anni. 2) Cosa dobbiamo proporre? Una normativa speciale per le piccole banche, per quelle banche di territorio di cui parlavo prima, perché rinascano anche in Italia le banche di territorio e guarda caso nella mia regione abbiamo in Alto Adige la componente tedesca che ha fatto blocco contro quello che è successo al credito cooperativo nel resto del Paese, optando per un sistema di mutua garanzia invece che sulla strutturazione ad holding. Quindi una nuova normativa per le banche di territorio. 3) La divisione tra le banche di investimento e le banche commerciali; non è possibile infatti che quella banca che riceve il risparmio del pensionato o che dà il credito all’artigiano vada poi ad investire in derivati o in altre speculazioni.

Torniamo così a dare fiducia al nostro sistema bancario, a credere nelle nostre banche e darle la forza di tornare protagoniste, e in questo valutazione mi appello a BankItalia affinchè riscopra l’orgoglio delle proprie tradizioni, ritorni a fare quello che non ha fatto bene, in parte per colpa sua e in parte per i vincoli europei, torni ad essere la banca di riferimento del sistema bancario, e, visto che siamo in periodo di nomine, invito la politica ad una presa di coscienza, invito bankItalia a rivendicare la propria indipendenza, anche se indipendenza è un concetto ben diverso dall’autorefenzialità, quindi le nomine di Banca Italia vengano concordate con la politica, non siano i governatori ad imporli alla politica, perché l’amministrazione di Banca Italia è indipendente il giorno dopo l’elezione, ma il giorno prima va concordato con la politica e i Governi che reggono i Paesi. Quindi un invito al nostro sistema a riscattarsi, a Banca d’Italia a  tornare  ciò che era, al Governatore della Banca d’Italia a ricordarsi che l’indipendenza e l’autorefenzialità sono concetti ben diversi.

*Sen. Andrea de Bertoldi (Segretario Commissione Finanze e Tesoro, Capogruppo FdI Commissione Bicamerale Anagrafe Tributaria, Dottore Commercialista e Revisore Contabile)

Intervento svolto a braccio al meeting “L’Europa e le Banche. Quali prospettive per il credito alle imprese e alle famiglie. I casi NPL e immobili all’asta”