Le sfide della nuova politica agricola europea

La politica agricola dell’UE è una politica dinamica che, attraverso riforme successive, si è adattata alle nuove sfide che si pongono all’agricoltura europea.

La nuova politica include i seguenti elementi a livello dell’UE: un insieme comune di obiettivi, un ampio strumentario di interventi, un insieme comune di indicatori concordato a livello dell’UE per garantire parità di condizioni nella valutazione dell’efficacia delle misure adottate.

Ogni paese è libero di scegliere gli interventi specifici che ritiene più efficaci per conseguire i propri obiettivi specifici, sulla base di una chiara valutazione delle proprie esigenze.

Gli elementi principali della politica sono: pagamenti diretti e interventi di sviluppo rurale più mirati e soggetti a programmazione strategica; nuova architettura “verde” e approccio basato sull’efficacia in base al quale gli Stati membri devono riferire annualmente in merito ai progressi compiuti.

I regolamenti proposti dovevano inizialmente applicarsi a decorrere dal 1º gennaio 2021. A causa di alcuni ritardi nei negoziati nell’ottobre 2019 la Commissione ha deciso l’adozione di un regolamento transitorio, che è stato successivamente adottato dal Consiglio e dal Parlamento europeo, per il periodo 2021-2022. Di conseguenza, la PAC riformata si applicherà integralmente dal 2023 al 2027.

L’obiettivo generale del regolamento transitorio sulla PAC è garantire agli agricoltori e agli altri beneficiari la continuità del sostegno giuridico e finanziario della PAC prima dell’entrata in vigore delle nuove norme riformate nel 2023. Tale sostegno consente la continuità dei pagamenti, senza interruzione, in un periodo in cui, a causa della pandemia di COVID-19, gli agricoltori e gli altri beneficiari devono far fronte a difficoltà.

Inoltre, il regolamento prevede che gli Stati membri dispongano del tempo necessario per elaborare i loro piani strategici nazionali conformemente a quanto previsto dalla nuova legislazione sulla PAC e per pianificarne l’attuazione dopo l’approvazione da parte della Commissione.

Mentre la Commissione Europea ha approvato i primi sette Piani Strategici Nazionali della PAC la revisione della prima bozza del Piano Italiano ancora non è giunta alla Commissione.

Dallo scorso mese di luglio (Draghi presidente, Patuanelli ministro) non si sono più avute notizie circa la nuova versione del documento di programmazione della PAC che dovrebbe recepire anche le 40 pagine di osservazioni critiche inviate dalla Commissione UE. Non sono arrivati aggiornamenti né tantomeno una bozza della nuova versione del PSP. Scarso e inadeguato è stato il coinvolgimento degli attori sociali ed economici. Le regioni rimangono ancora autorità di gestione dei Programmi di sviluppo rurale. Il lavoro è stato disomogeneo, di fatto venendo meno quella uniformità nazionale che la Commissione europea auspica con la richiesta di un unico documento per Stato Membro, come si è verificato in altri paesi come la Spagna e la Francia che, pur avendo anch’essi un sistema regionalizzato, vedono già approvato il proprio PSP.

Le Regioni potrebbero entrare nel sistema solo come organismi intermedi, con una riduzione del loro potere negoziale nei confronti della Commissione europea. Dall’altra parte, questa riforma troverebbe le strutture amministrative centrali impreparate a costruire un coordinamento tra tutte le politiche della Pac, il che richiederebbe una loro rapida ed efficace riorganizzazione interna. Un altro forte condizionamento, in un sistema sempre più legato al monitoraggio dei flussi e soprattutto dei risultati, è dato dall’esistenza di sistemi informativi frammentati, che non dialogano tra loro (Agea, OP regionali, ecc.). Infine, un tema che rimane irrisolto è il coordinamento con gli altri Fondi UE, per l’assenza di un luogo comune di dialogo, come lo è stato l’Accordo di Partenariato 2014-2020. In questo senss, emerge l’isolamento della Pac nel suo complesso e del Fondo Europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale (Feasr) in particolare, il quale non ha più alcun obbligo di integrarsi con gli altri strutturali. Questo condizionerà molto l’efficacia della Pac che, in un mondo sempre più interrelato, diviene una politica a sé stante con una forte impronta di pura redistribuzione, piuttosto che di contributo allo sviluppo locale.

Nessun aggiornamento anche sulla procedura di Valutazione Ambientale Strategica a cui deve essere sottoposto il PSP, il cui iter dovrebbe concludersi prima dell’approvazione da parte della Commissione Europea del Piano, al fine di assicurare che i fondi PAC non aggravino ulteriormente gli impatti che l’agricoltura genera sull’ambiente, come purtroppo si sta ora verificando.

La futura programmazione della PAC come appare ora dall’attuale versione del piano appare ben lontana dal perseguire gli obiettivi delle strategie Europee Biodiversità 2030 e Farm to Fork. Inoltre, ad essi dovrà essere affiancato un reale cambio di modello dell’intero sistema agro-alimentare che abbracci i principi dell’agroecologia, in particolare per una riduzione degli impatti su clima, salute.

C’è la necessità di garantire la sovranità alimentare a livello europeo. La crisi sugli approvvigionamenti non sarebbe stata così grave se si fossero fatte scelte lungimiranti.

I drammatici effetti del cambiamento climatico, della degradazione dei suoli e della perdita della biodiversità sono sotto gli occhi di tutti: siccità, alluvioni e invasione delle cavallette, sono le nuove piaghe del XXI° Secolo nel Mediterraneo. Nell’attuale contesto di crisi geopolitica ed economica un PSP realmente attento alla tutela di tutte le componenti ambientali e del paesaggio è uno degli strumenti di cui abbiamo bisogno anche per garantire l’accesso al cibo sano ed equo per le generazioni presenti e future.

Sarà interessante vedere quali nuove impostazioni verranno fuori dai diversi stakeholders, al di là della semplice difesa delle risorse finanziarie e dello statu quo; quali saranno le forze del cambiamento che sosterranno una strategia innovativa in alcuni punti qualificanti.

*Giuseppe Della Gatta, esperto di Diritto dell’Economia

Ora chieda scusa chi ha protetto Battisti!

Battisti ha chiesto scusa ammettendo gli omicidi per cui era stato condannato. Ma ancora nessuno di coloro che hanno firmato negli anni gli appelli per lui, nessuno di coloro che lo hanno coperto nella latitanza parlando male dell’Italia ha avuto la decenza di chiedere a sua volta scusa! Questo è lo scandalo più grande. La vicenda è chiara a tutti. E non ammette più giustificazioni, dopo anni di menzogne ideologiche.  L’ex terrorista dei proletari armati per il comunismo, dopo quasi quaranta anni di latitanza, ha ammesso per la prima volta, le sue responsabilità per i reati che gli sono stati attribuiti dalle sentenze sui Pac passate in giudicato. “ I quattro omicidi, i tre ferimenti e una marea di rapine e furti per l’autofinanziamento, corrisponde al vero”, “Mi rendo conto del male che ho fatto e chiedo scusa ai familiari delle vittime”, sono queste le parole di Cesare Battisti riportate dal Pm Nobili, capo del pool antiterrorismo di Milano. In un altro momento dell’interrogatorio, l’ex terrorista, ha spiegato come sia riuscito a farla franca, grazie alla protezione di un vasto ambiente di esponenti del mondo progressista. “ Vede dottor Nobili, io me la sono sempre cavata grazie agli appoggi che ricevevo in Francia, poi in Messico, poi in Brasile. E’ stato grazie a loro che sono sopravvissuto”.

Battisti si riferisce evidentemente ai politici, agli scrittori e filosofi, ai giornalisti, i cosiddetti intellettuali insomma, che colpevolmente ignari degli atti processuali a suo carico, hanno tessuto intorno a lui, per ragioni puramente ideologiche, una intricata rete di protezione internazionale che lo ha protetto fino all’arresto in Bolivia. Dopo la fuga dal carcere di Frosinone del 1981, l’ex terrorista trascorre un anno a Parigi come clandestino, per poi recarsi in Messico, paese dal quale apprende di essere stato condannato in contumacia per l’omicidio di quattro persone. Negli anni novanta fa ritorno in Francia dove vive al riparo della cosiddetta dottrina Mitterand, una sorta di ospitalità concessa dall’allora presidente francese ai ricercati, soprattutto dalla giustizia italiana, che avevano commesso atti di natura violenta, ma di ispirazione politica. Verso la fine degli anni Novanta, scrive un libro dal titolo “Travestito da uomo” grazie al quale riuscirà ad entrare nelle simpatie della sinistra intellettuale francese che qualche anno più tardi lo proteggerà a suon di manifestazioni e addirittura firmando una petizione, dalle richieste di estradizione avanzate dal governo italiano. La petizione verrà condivisa anche da una vasta schiera di intellettuali nostrani. Due anni dopo, ottiene la cittadinanza francese che però gli viene revocata prima di poter ottenere il passaporto. Battisti torna dunque alla latitanza e fugge facilmente in Brasile, dove viene arrestato. Fa richiesta dello status di rifugiato politico che in prima battuta gli viene negato e che ottiene probabilmente in seguito alla manipolatoria dichiarazione “se torno in Italia mi ammazzano”. Il ministro di giustizia brasiliano gli concede lo status di rifugiato, creando, peraltro, forti dissapori tra Italia e Brasile. Successivamente il Tribunale Supremo Federale brasiliano, dichiarerà illegittimo lo status di rifugiato. Nel frattempo viene condannato a due anni, per uso di passaporto falso, ma sconterà la pena in regime di semilibertà. Il presidente Inacio Lula da Silva, suo grande protettore, per chiudere in bellezza, l’ultimo giorno del suo mandato, non concederà l’estradizione dell’ex terrorista.

Il nuovo presidente Dilma Roussef ribadendo quanto stabilito dal suo predecessore, gli concederà il permesso di soggiorno permanente. La Giustizia Federale brasiliana decide di annullare l’atto del governo e l’ex terrorista rosso viene nuovamente arrestato, ma verrà scarcerato poche ore più tardi. Dopo il tentativo di fuga in Bolivia, ancora un nuovo arresto alla frontiera. Dirà alla polizia: “stavo andando a pescare”. Nel frattempo il presidente Temer, firma la richiesta di estradizione prima di lasciare la guida del paese al suo successore Jair Bolsonaro, il quale aveva annunciato già in campagna elettorale, di voler consegnare l’ex terrorista alle autorità italiane. A metà dicembre del 2018, viene emesso l’ordine di cattura per scongiurare il pericolo di fuga, ma Battisti, allertato dalle voci di un suo imminente arresto, aveva già fatto perdere le sue tracce. La sua fuga si concluderà, come sappiamo, il 12 gennaio del 2019 in Bolivia. In una delle ultime dichiarazioni al PM Nobili, forse la più inquietante, Battisti ringrazia, per così dire, politici ed intellettuali progressisti, dicendo di averli presi in giro per trent’anni. “Eh si dottore, li ho praticamente presi in giro per trent’anni”. Chi sa se i vari innocentisti, firmatari di appelli e negatori di estradizione, proveranno un briciolo di imbarazzo? Chi comincerà tra loro a chiedere finalmente SCUSA.

 

*David Mastrella, collaboratore Charta minuta