Red Land-Rosso Istria. Operazione verità contro l’oblio di Stato

Le urla di disperazione, gli spari che echeggiano nel vuoto del bosco, i corpi senza vita che cadono, portandosi dietro i vivi, nell’oscurità di quelle gole carsiche: le Foibe. Con queste immagini, che rappresentano il doloroso climax del film “Red Land – Rosso Istria”, Maximiliano Hernando Bruno ricostruisce con necessaria crudezza le fasi più drammatiche della pulizia etnica, praticata dai partigiani comunisti di Tito, ai danni della popolazione italiana in Istria.
Il film, infatti, è ambientato nel settembre drammatico del 1943. In quei giorni, successivi l’armistizio di Cassibile da parte degli anglo-americani, richiesto dal maresciallo Badoglio che fuggì da Roma insieme al Re, l’Italia e gli italiani vennero abbandonati a se stessi. L’esercito, non sapendo distinguere chi fosse l’alleato o il nemico, era allo sbando. Fu l’inizio della tragedia per le popolazioni civili Istriane, Fiumane, Giuliane e Dalmate che si trovarono praticamente davanti ad un nuovo nemico: i comunisti di Tito, che penetrarono in quei territori, alimentati dal feroce odio per gli italiani.
In quel contesto storico, il film racconta la storia di Norma Cossetto, giovane studentessa istriana, laureanda in lettere e filosofia all’Università di Padova, e figlia del dirigente locale del PNF. In quei giorni di settembre, come avvenne per altri italiani, la famiglia Cossetto iniziò a ricevere minacce e intimidazioni da parte dei partigiani jugoslavi e italiani presenti in quelle zone. Un giorno la giovane venne prelevata dalla sua abitazione e condotta presso la caserma dei Carabinieri di Visignano, diventata avamposto dei Titini. Presa di mira dai partigiani, a causa della carica di spicco ricoperta dal padre, venne separata dagli altri prigionieri e inizialmente interrogata; non ottenendo valide risposte dalla ragazza, i carcerieri decisero allora di seviziarla e stuprarla, a turno, ripetutamente e per giorni. L’incubo di Noma terminò pochi giorni dopo, nei pressi della foiba di Villa Surani, dove venne gettata insieme ad altri prigionieri italiani deportati.
Il film di Maximiliano Hernando Bruno, uscito nelle sale alquanto sottotraccia e molto poco promosso, boicottato come hanno dimostrato diverse inchieste giornalistiche, è necessariamente duro, brutale. Regala allo spettatore quell’ansia crescente, vissuta dai protagonisti e dovuta ad un destino che, mano a mano che la storia prosegue, diventa sempre più incerto e pericoloso. Proprio lo sguardo freddo, smarrito e rassegnato del professore Ambrosin, interpretato magistralmente da Franco Nero, trasmette la precarietà di quelle tante vite ingiustamente spezzate dalla rabbia anti-italiana. Quella rabbia che ha mietuto migliaia di vittime innocenti tra donne, vecchi, bambini, intellettuali e contadini, senza escludere tutti coloro (350.000 il numero stimato) che, invece, furono costretti ad abbandonare le loro case e la loro terra per salvare la propria vita. La memoria di quel triste ma salvifico esodo è ancora oggi custodita all’interno del Magazzino 18, presso il Porto Vecchio di Trieste, dove le masserizie dei rifugiati, accatastate le une sulle altre, attendono ancora il ritorno dei loro proprietari.
Oltre a Franco Nero, il cast artistico, diretto dal regista italo-argentino, ha saputo far rivivere brillantemente la complessità di quei momenti terribili e intensi della storia italiana del novecento: Selene Gandini è Norma Cossetto, Geraldine Chaplin un’esule sopravvissuta, Romeo Grebenseck lo spietato capo dei Titini. Hanno contribuito a rendere ancora più autentiche le performance attoriali gli straordinari paesaggi del territorio istriano, sapientemente colti dalla macchina da presa del regista.
A “Red Land– Rosso Istria”, in definitiva, va riconosciuto il merito di rompere sul grande schermo il silenzio su una tragedia italiana, spesso dimenticata dai partiti di centro e di sinistra e silenziata per decenni dalla storiografia ufficiale, affrontando oltretutto il tema delle violenze che le donne, ieri come oggi, hanno subito e subiscono in situazioni di conflitto. La pellicola, con l’aspra forza dei suoi fotogrammi lascia nella mente di chi la guarda un segno, necessario e indelebile come il sangue innocente che ha bagnato quella terra rossa di bauxite.

 

Per sessant’anni “storia di serie B”, nascosta all’opinione pubblica del resto d’Italia, la vicenda delle Foibe e dell’esodo giuliano-dalmata è il grande peccato morale della Repubblica nata dalla fine della Guerra. Per precisa volontà della cultura comunista allora dominante. Ecco perché – proprio durante il periodo natalizio – invitiamo tutti i nostri lettori a recarsi alle presentazioni di “Red Land” organizzate, con meritoria dedizione, da tante associazioni e circoli in tutta la Penisola. Noi non dimentichiamo, ma soprattutto noi ricordiamo. (Ff)

*Alessandro Boccia, collaboratore Charta minuta