La moderna idea di sovranità

Il contributo di Giulio Tremonti pubblicato nel Rapporto sull’Interesse nazionale “Italia 2020”

L’idea moderna della sovranità deriva dall’idea romantica di patria, questa un’idea sviluppata al principio dell’800 per reazione alle inebrianti novità portate in Europa dalle armate di Napoleone che – vettori della «Rivoluzione» – irradiavano un effetto a sua volta rivoluzionario: «il popolo è ebbro. Non ascoltano leggi, necessità e giudici; i costumi, sono sommersi da un frastuono astruso, ogni giorno è una festa sfrenata, una festa per tutte le feste, e i giorni consacrati all’umile culto divino si sono ridotti a uno solo» (così Hölderlin, Emp. I, vv.188-96).

E questo è stato a lungo, fino a che, al principio del ‘900, l’idea della sovranità è degenerata in ideologie nuove, ma terrificanti e mortifere. E comunque quella della sovranità è un’idea che pare infine destinata a svanire, al principio di questo secolo, con la globalizzazione. Questa una rivoluzione di tipo nuovo, ma ancora come allora causa di un clima di festa. Una festa che è durata più o meno per venti anni, quanti sono gli anni che vanno dalla caduta del «Muro di Berlino» (1989), fino alla stipula del «Trattato WTO» (1994), per arrivare all’esplosione della crisi globale (2008). Anni in cui pareva che la sovranità svanisse, come nell’utopia di Tommaso Moro («De optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia», 1516).

Non per caso «utopia» è parola che letteralmente significa assenza di luogo e perciò assenza della base necessaria per l’esercizio della sovranità. In effetti è con la crisi che la storia – la storia che avrebbe dovuto finire – è tornata, accompagnata dalla geografia e con il carico degli interessi arretrati. Ed è proprio con la storia che è tornata la figura politica della sovranità. In Italia questa è tornata facendo emergere problemi provenienti tanto da un passato piuttosto remoto, quanto da un passato più prossimo. Il 7 febbraio 1992, sul volo di stato che li riporta da Maastricht a Roma, Guido Carli e Giulio Andreotti (e quanto segue è stato verificato parlando con entrambi) commentano: «al vincolo atlantico abbiamo aggiunto un vincolo ben più stretto: il vincolo europeo» (Guido Carli); «a Roma ancora non sanno quello che abbiamo fatto» (Giulio Andreotti). Il 17 febbraio 1992, preparata da tempo, ha inizio l’operazione «Mani pulite». Il 2 giugno 1992 il panfilo Britannia attracca al porto di Civitavecchia. A bordo due «grand commis» italiani illustrano ai banchieri stranieri da un lato l’esigenza e le ragioni perché si determini in Italia «un necessario shock politico», dall’altro lato prospettano le enormi chance di profitti da «privatizzazione» che, conseguentemente, 121 saranno loro offerte.

Questa una operazione certo elegante, servita in guanti bianchi ed apparecchiando coltelli e forchette, ma in definitiva non molto diversa da quella che in parallelo si veniva sviluppando in Russia a favore degli «oligarchi». Ed in effetti alcuni dei casi di cronaca più recenti – ad esempio il caso dell’Ilva – drammaticamente evidenziano gli effetti di una politica di «privatizzazione» così congegnata, una politica radicale, non limitata agli assets industriali ed alle banche, ma estesa alla ossatura stessa delle nostre infrastrutture strategiche. In ogni caso non è stato solo questo che ha minato la nostra sovranità. Più o meno in parallelo sono state infatti «riformate», e riformata unilateralmente da parte della sinistra, tanto la «vecchia» struttura dello Stato, quanto la Costituzione. Fu lasciata invariata la parte relativa ai diritti, ma fu radicalmente cambiata la parte che si pensava dovesse essere «modernizzata» allineandola all’ideologia del mercato. E tutto questo fu fatto con una azione sviluppata su tre direttrici essenziali: a) dal 1997 al 1999, con le cosiddette «Leggi Bassanini», fu introdotto il «mercato» nello Stato, così da destrutturarlo. È così che nelle funzioni pubbliche è iniziata la corsa verso il diritto privato, verso l’esternalizzazione, verso la societarizzazione; b) con il cosiddetto «Titolo V» la vecchia struttura dello Stato centrale, considerata troppo rigida, fu disarticolata, introducendovi in contemporanea, tanto il decentramento, quanto il federalismo.

Non l’uno in alternativa all’altro, o viceversa, ma – caso unico nel mondo occidentale – tutti e due insieme! c) nella vecchia Costituzione del 1948 erano certo previste limitazioni alla sovranità nazionale, ma queste erano previste solo come eccezioni e comunque «a condizione di parità con gli altri Stati». Nel 2001, fu invece, sempre con il «Titolo V», introdotto l’opposto principio della sistematica e permanente sottomissione della Repubblica italiana ai «vincoli derivanti dall’ordinamento europeo». È così che l’Italia, unico Stato in Europa, ha cominciato ad avere non una, ma due costituzioni: una costituzione interna e una costituzione per così dire esterna. Non solo: con il Governo Monti, replica di un passato che si pensava trascorso per sempre, è nuovamente venuta la «chiamata dello straniero». Con la lettera Banca d’Italia-BCE del 5 agosto 2011, e non altrimenti giustificato, ha infatti preso avvio quello che fu subito e molto autorevolmente definito come «un dolce colpo di Stato» (Habermas). Dolce, perché oggi i golpe non si fanno più nei palazzi, con le pistole, o nelle piazze, con i carri armati, come era ai tempi di Curzio Malaparte («Tecnica di un colpo di Stato», 1931), si fanno piuttosto nelle sale cambi, con il crepitare degli spread. Tra l’altro, da allora, la sottomissione dell’Italia si perpetua per effetto delle 122 cosidette «clausole di salvaguardia» introdotte pour cause già dal Governo Monti. Trattando di sovranità va comunque considerato un fenomeno più generale. Un fenomeno che è stato e che è ancora oggi tipico della globalizzazione, e che permane anche dopo la sua crisi: il travaso di quote crescenti di potere dal campo della politica al campo prima dell’economia e poi della finanza. E così con la sistematica vittoria di Creso (questo il simbolo della ricchezza) sull’imperatore (questo il simbolo del potere politico). Un travaso che, nella nuova geopolitica del mondo, ha generato e genera una drammatica confusione tra ciò che è pace e ciò che è guerra.

Oggi, infatti, per come è fatto il mondo, ed esclusa qualche eccezione periferica, la guerra non è più sviluppata in termini di conquista dell’altrui territorio (come è stato per millenni, dai tempi di Tucidide fino al «Lebensraum»), ma piuttosto è sviluppata nella forma della conquista dell’altrui mercato. E dunque una guerra fatta sul mercato e con il mercato. Come oggi tende a fare la Cina verso il resto del mondo. Su tutto questo sia oggi consentito il rinvio a due saggi, un tempo considerati scandalosi: Tremonti, La guerra «civile», Mulino, 1996; Jean-Tremonti, Guerre stellari, Franco Angeli, 2000. In ogni caso, non tutto è perduto. I popoli ci sono ancora, e sanno che il mercato non è tutto e non contiene tutto e comunque non contiene le cose più importanti della vita. Ed in specie i popoli sanno che la parola patria comunque deriva dalla parola pater, la terra dove riposano le ossa dei padri. Piuttosto è che devono ancora emergere o comunque devono affermarsi élites capaci di intendere lo spirito del tempo presente.

 

*Giulio Tremonti, già Ministro dell’Economia e delle Finanze

Appello per Norimberga del comunismo con Bukovsky

Nato nel 42’, Vladimir Bukovsky, si è spento pochi giorni fa lasciando ai posteri un’esperienza diretta di quello che è stato l’uso repressivo della pschiatria in Urss. Tuttavia i trattamenti disumani che aveva subito, lo avevano reso più forte e non erano riusciti a spezzarlo. Era entrato nel mirino delle autorità sovietiche appena ventenne. Amava frequentare i dissidenti e partecipava a manifestazioni in difesa dei prigionieri politici. Dall’arresto del 1971, Bukovsky fece in modo di far arrivare in Occidente le prove che dimostravano l’uso degli ospedali pschiatrici per i prigionieri politici considerati “affetti da disturbi genetici o schizzofrenia”.

Questo lo portò a diventare popolare all’estero e quindi la sua figura sempre più difficile da gestire in Urss. Nel 76’ il Cremlino decide di scambiarlo con il leader comunista cileno Luis Corvalan, detenuto nelle carceri di Pinochet. Rifugiatosi in Inghilterra ha continuato ad attaccare con i suoi scritti il regime sovietico, sperando dopo la caduta del comunismo di poter rientrare in patria; cosa che avvenne. È di quegli anni il best seller tradotto in nove lingue “Processo a Mosca, i crimini sovietici e le complicità occidentali” nel quale venivano fatti i nomi di tutti coloro che avevano contribuito a tener in vita l’ideologia comunista e soprattutto le sue amare espressioni. Tentò di promuovere un processo sui crimini del comunismo ma fallì in questo quando perse nel 2014 le elezioni contro Dmitry Madvedev. Fu in seguito accusato di pedofilia, ma cerco di respingere le accuse puntando l’indice contro i servizi segreti russi che lo avrebbero a sua dire incastrato dopo la sua testimonianza sul caso Litvinenko. Tuttavia il processo non si tenne perché già troppo malato per presentarsi in aula. Oggi ne piangiamo la morte.

E’ di questi giorni, l’iniziativa di carattere internazionale,di voler realizzare una Norimberga per i crimini del comunismo, e viene rilanciata attraverso un documento che Vladimir Bukovsky ha redatto quest’estate insieme con Renato Cristin, e con il sostegno di oltre duecento firmatari di rilievo.

Il testo dell’Appello è visualizzabile sul sito ufficiale  https://nuremberg.vladimirbukovsky.com/.

L’improvvisa scomparsa pertanto, ci impone anche, come obbligo morale, di proseguire nel tentativo di realizzare questa sua idea che verrà lanciata nell’occasione del trentesimo anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino. La parola Norimberga è una metafora, un termine simbolico che non vuole indicare un tribunale internazionale identico a quello di Norimberga ma che esprime l’esigenza di un giudizio storico e mira a un risultato civile che potrebbe avere oggi anche maggiore efficacia di un tribunale in senso letterale.Infatti, oltre all’aspetto giuridico in senso stretto, che è difficile per motivi pratici e formali, è importante che con questo appello si possa arrivare a una denuncia mondiale dei crimini del comunismo e svolgere un’azione educativa per svelare la sua essenza illiberale.

Si tratta di un’iniziativa caratterizzata dall’etica, che si prefigge di avanzare in forza del valore del principio antitotalitario che afferma. Ed in questa prospettiva, vi hanno aderito personalità e organizzazioni culturali e politiche di molti Paesi.

In Italia, l’Appello è promosso dal Centrodestra e in particolare da Fratelli d’Italia, ma si tratta di un appello super partes, che prendendo distanza dagli estremismi, traccia un perimetro di ragionevolezza che ha a che fare con l’equilibrio e perfino con l’umanitarismo (perché alcuni crimini commessi in nome di quell’ideologia sopravvivono ancora e vi sono pure nuove vittime).

Sul piano internazionale, l’iniziativa è già ufficialmente sostenuta, tra gli altri, da due importanti istituzioni: la Platform of European Memory and Conscience (con sede a Praga), e la Victims of Communism Memorial Foundation (Washington).

Le prime iniziative collegate sono nell’ordine:

Giovedì 7 novembre l’Appello per una Norimberga del comunismo, promosso da Renato Cristin (docente di ermeneutica filosofica presso l’Università di Trieste) e dal dissidente e scrittore russo Vladimir Bukovsky, recentemente scomparso, viene presentato in anteprima internazionale in Conferenza stampa alle ore 13, presso la sala stampa Nassirya del Senato della Repubblica. Alla Conferenza stampa, organizzata dal Gruppo di FdI, parteciperanno i senatori Adolfo Urso (FdI) e Lucio Malan (FI), l’onorevole Vito Comencini (Lega) e i professori Renato Cristin, Roberto de Mattei e Dario Fertilio. (foto)

L’8 novembre il documento verrà presentato nel corso di un evento per il trentennale della caduta del Muro, che si svolgerà a Washington presso il Victims of Communism Memorial Foundation, una delle più importanti istituzioni internazionali su questo tema.

Il 9 novembre si svolgerà a Madrid un convegno di presentazione dell’appello, con la partecipazione di Stéphane Courtois (il curatore del Libro Nero del Comunismo), Hermann Tertsch (parlamentare europeo), Francisco José Contreras (filosofo del diritto, Università di Siviglia), Federico Jimenez Losantos (giornalista).

Il 9 novembre l’appello verrà presentato in un convegno a Trieste organizzato dalla Presidenza della Regione FVG, in occasione del trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, al quale parteciperanno: Ryszard Legutko (europarlamentare, Polonia), Maria Schmidt (direttore del museo House of Terror, dedicato ai crimini dei totalitarismi, Budapest), Francesco Perfetti (storico, Università LUISS di Roma), Fausto Biloslavo (giornalista e inviato di guerra), Renato Cristin (filosofo, Università di Trieste).  In apertura del convegno di Trieste verrà data lettura di un breve scritto che Vladimir Bukovsky aveva inviato per l’occasione.

L’11 novembre l’appello verrà presentato a Bucarest nel corso di un convegno della Fondazione Eugenio Coposu.