Mercato del lavoro tra sovranismo e fluidità

La spinta pro Ucraina sembra – forse già definitivamente – avere messo in crisi quella “guerra delle parole” per cui i concetti di Nazione, di sovranismo, di identità e di interesse nazionale erano il “male”, mentre tutto ciò che era globale, indistinto, unisex, transgender, senza differenza di età e di Stato era “il bene”. La crisi in atto dimostra che sovranismo significa difesa dell’Ucraina, come stato indipendente, per quanto “orbitante”, e che la globalizzazione come agente di pacificazione attraverso il profitto dei mercati sta fallendo.

Il mercato del lavoro sembra essere il figlio minore di questo assetto, essendo per sua natura sempre più fluido e per sua gestione sempre più vetusto, a cominciare dall’Italia (tranne alcune eccezioni regionali come il Veneto e la Lombardia), tanto che sembra legittimo chiedersi se esista un mercato del lavoro da gestire o se esso segua flussi e dinamiche spontanee.

Alla fluidità del mondo corrisponde la fluidità del lavoro. Il lavoro non identifica più. Il falegname, il ciabattino, il fruttivendolo, il panettiere, l’edicolante, il barista, il rappresentante…durante gli anni della piena occupazione di fine ‘900 valevano più del tuo nome e cognome, quello eri! Uscivi da scuola con un lavoro e con quel lavoro ci andavi in pensione. Quel lavoro era il sostegno della tua vita e ti identificava: eri quello che facevi. Nella fluidità del mondo non è più così. Non conta quello che sei, ma quello che fai. Il lavoratore, il disoccupato è quello sa fare (e deve rendersene conto per meglio competere). E’ più cose assieme e nello stesso tempo, siano essere referenziate, derivate dal lavoro sommerso o da semplici interessi e passioni.

Sono le competenze e non il profilo professionale che fanno il lavoratore. E’ un processo di destrutturazione del soggetto in tante cose, tante quante sono le sue competenze formali (titoli), non formali (esperienze) ed informali (interessi) che sa mettere in pratica.

Il lavoratore non può più (e non deve) passare per la cruna dell’ago con la sua identità, ma si deve frammentare nelle cose che sa fare, per poi ricomporsi nella dimensione che fa più “matching” con ciò che è richiesto dalle aziende. Il quid non è più chi sei. Ma cosa sai fare.

I servizi pubblici hanno pertanto una sfida in più, quella di intercettare la fluidità del mondo e la frammentazione dei profili professionali, in un modo mutato, tanto che i sistemi gestionali non possono di certo più, anche solo per un aspetto terminologico, incrociare domanda ed offerta di lavoro sul “battilamiere”, sull’ “ammondatore di pesce”, sullo “stampatore alla rotativa” e non farlo invece sull’ “esperto della reti on line”, “l’esperto di e-commerce”, il “free lance”, “l’operatore del delivery”, “l’europrogettista”, il “social media manager”. Inoltre la sfida è trovare uno standard terminologico di qualificazione almeno europeo, se non mondiale, per valutare titoli di studio, formazione, esperienze di lavoro, emersione di nuove lingue regionali…

Il mercato del lavoro deve mettere al centro le competenze del lavoratore nel corso della sua vita che a loro volta mutano nello spazio e nel tempo. C’è da chiedersi se lo stesso CV, per quanto europass, sia ancora uno strumento valido, dal momento che esso risponde più al “chi sei” che al “cosa sai”. Profili social, video curriculum potrebbero essere più adatti, comprendendo soft skills altrimenti impercettibili, oltre che dimostrando la messa in pratica con una presentazione video in inglese o alla guida di un muletto.

Tutta questa spinta in avanti, modernista, va poi bilanciata per non perdere chi potrebbe restare indietro da un punto di vista del gap tecnologico, linguistico, di genere, di età, di livello di studio, di disabilità.

La fluidità del mondo incontra la fluidità del mercato del lavoro non nel loro smanioso progredire per regredire, ma per evolversi in chiave neo conservatrice e pertanto reale, con senso di responsabilità per la gente che ci sta’ dentro. La sfida è quella delle competenze che con la loro leggerezza entrano meglio dalla finestre del treno in corsa, piuttosto che aspettando il lavoro in una remota stazione di periferia con un treno in ritardo.

La crisi russo/ucraina dimostra inoltre non solo la necessità di ritarare il mondo sulle persone, sulle competenze, ma fa emergere quello che del resto era già noto: la sfida delle competenze ci deve essere anche nel contesto di un Mediterraneo di cui l’Italia si è dimenticata, lasciandolo agli appetiti della Russia e della Cina. L’economia del mare: la pesca, la nautica, il turismo nautico, la logistica, la tutela ambientale e quindi le ZES (Zone economiche speciali), le ZEE (Zone economiche speciali) come luogo dell’interesse nazionale, come meta, tra le altre, del nuovo mercato del lavoro.

Il Sovranismo inclusivo e la fluidità estensiva del mercato del lavoro possono coesistere e rafforzarsi reciprocamente.

*Nicola Boscolo Pecchie, esperto mercato del lavoro

Caro energia: contro speculazioni intervenga lo Stato

L’ascesa del prezzo del gas di oltre 10 volte nel corso di pochi mesi ha qualcosa di sconcertante per due motivi. Il primo motivo è che le risorse energetiche non sono comparabili allo scooter o al cappotto, che si decide se comprare o meno e con qualità diverse a seconda del portafogli, bensì trattasi di beni essenziali, di fattori produttivi. Il secondo motivo è che tale aumento sia avvenuto senza un’efficace contrasto da parte della pubblica autorità.

Analogamente a quanto successo molte volte nei mercati finanziari di mezzo mondo, è accaduto che speculatori professionali siano riusciti a portare i prezzi sul “libero mercato” a livelli non sostenibili dalla popolazione, sotto lo sguardo impotente, quando non indifferente, di quelle autorità che dovrebbero tutelarla. Autorità nazionali o europee poco importa, il risultato è lo stesso.

L’elettricità è anch’essa fortemente legata al gas: così, se il prezzo del gas sale da 30 a 150 €/Mwh, ecco che l’elettricità, pur prodotta mediante fonti diverse (gas, carbone, rinnovabili, nucleare etc.) si vende ad analogo prezzo sul mercato, perché è la fonte più cara a concorrere nella formazione del prezzo.

Se dunque io sono un accumulatore di gas che ha comprato (poniamo) a 50 ed oggi rivendo a 100, avrò un superprofitto del +100% in tre mesi, senza che questo sia giustificato dall’aver realizzato nessun investimento di natura produttiva, avendo invece solo speculato ai danni della signora Maria che paga la bolletta del gas.

Parimenti, se io sono un produttore di elettricità da fonte solare o eolica, con un costo di produzione di (poniamo) 30 €/Mwh, mi trovo a vendere l’elettricità da un momento all’altro da 60 a 300 €/Mwh, sempre ai danni della signora Maria che paga la bolletta elettrica.

Si dirà che i numeri non sono esattamente questi, che la tecnicalità è complessa, che il discorso è semplicistico, ma di fondo la questione non è molto più complicata di questa.

Il governo italiano ha iniziato a tassare gli extraprofitti nati da questi semplicistici esempi. Ma pensiamo che basti il 10% di imposta addizionale? Gli extraprofitti non avrebbero mai dovuto avere luogo, perché bisognava porre in essere meccanismi di fissazione del prezzo in fasi di ingiustificato rialzo (o ribasso) del mercato, che equivale a tassare gli extraprofitti ma in modo più chiaro e pulito.

A parere di chi scrive, bisognerebbe ritornare a discutere di un prezzo di vendita dell’energia concordato con lo Stato, nazionale o europeo. La fissazione di una banda di oscillazione dei prezzi, all’interno del quali si muovano gli operatori di mercato, potrebbe tutelare dagli eccessi speculativi sia in rialzo (a favore dei venditori) come in ribasso (a sfavore dei venditori). Perché vanno evitati anche prezzi eccessivamente bassi che potrebbero frenare gli investimenti produttivi.

Naturalmente si può condizionare o imporre un prezzo ai produttori interni ma non quelli di importazione. Eppure l’autorità politica dell’intera Unione Europea, grande importatore di energia, potrebbe far sì che tali imposizioni del prezzo possono avvenire non soltanto nei confronti dell’Eni italiana, della Total francese o del produttore eolico in Puglia, ma anche nei confronti dei fornitori esteri.

I fattori produttivi, diversamente dai beni di consumo, non andrebbero mai lasciati al solo mercato. Come per il lavoro esistono legislazioni di tutela di salario e condizioni contrattuali, al medesimo modo andrebbero trattati prezzi e modalità della compravendita di energia.

 

*Stefano Filippini Lera, esperto di finanza di impresa

Intervista a Giulio Terzi di Sant’Agata ed Adolfo Urso sui temi del convegno “Il Dragone in Europa: opportunità e rischi per l’Italia”

Intervista a Giulio Terzi di Sant’Agata ed Adolfo Urso sui temi del convegno “Il Dragone in Europa: opportunità e rischi per l’Italia”” realizzata da Massimiliano Coccia con Giulio Maria Terzi di Sant’Agata (ambasciatore, presidente del Comitato Mondiale per lo Stato di Diritto – Marco Pannella), Adolfo Urso (senatore, vice presidente Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Fratelli d’Italia).