In Veneto esiste una situazione di squilibrio. Tutto il potere è concentrato nel triangolo Venezia-Padova-Treviso. Verona è marginalizzata. Ciò si traduce in minori finanziamenti e nella “disattenzione” del governo regionale.
Ma se Verona nel Veneto è periferica, è centrale in un’ottica nazionale, crocevia degli assi di comunicazione nord-sud ed est-ovest, storicamente capitale geo-politica di una delle aree più produttive d’Europa (area del Garda) comprendente le province di Trento, Bolzano, Brescia, Mantova e Vicenza (4,5 milioni di abitanti). Tale visione travalica gli schematismi regionali e va a creare degli assi-cerniera fra province a loro volta marginalizzate nelle rispettive regioni, cosa che può solo essere utile alla coesione nazionale.
La marginalizzazione regionale di Verona e la conseguente perdita di ruolo dev’essere l’occasione per una battaglia politica di chi vuole porsi come autentico rappresentante degli interessi di tutta quest’area, producendo un’offerta politica concorrenziale a quella di chi avvalla il descritto squilibrio.
Per uscire dalla marginalizzazione Verona deve riprendersi il ruolo conferitole dalla geografia e dalla storia di capitale della “regione del Garda”. Non si tratta di un’operazione di campanile. Tutt’altro. Si tratta di attualizzare e riconoscere delle aggregazioni geo-politiche, e quindi anche economiche, che esistono nella realtà. Si tratta di prendere atto di ciò che è nell’ordine delle cose e che è percepito come esigenza dagli operatori economici, dagli amministratori e dagli stessi cittadini.
La realtà non può che andare in questo senso e la politica non può ignorarlo nell’interesse di tutti. Lavorare al riequilibrio di questa situazione significa lavorare per l’interesse di tutti perché armonia e giustizia sono le premesse per qualsiasi forma di sviluppo.
E non si tratta di fare nessuna rivoluzione, ma di acquisire una visione complessiva del mosaico e cominciare a comporne le tessere.
Un primo importante passo è stato fatto tre mesi fa con la fusione AGSM-AIM, le multiutility di Verona e Vicenza. La prospettiva logica è la fusione con le “sorelle” di Trento e Bolzano, e magari anche di Mantova, aggiungendo un’altra tessera del mosaico di cui fa già parte un’ importante istituzione finanziaria, la Fondazione Cassa di Risparmio, che rappresenta i territori di Verona, Vicenza e Mantova.
Anche per Veronafiere, uno dei quattro principali poli fieristici italiani, le sfide del mercato globalizzato impongono delle aggregazioni. Va da sé che quella con al Fiera di Vicenza sarebbe la più naturale. E un altro tassello del mosaico s’aggiungerebbe.
Quest’area ha in comune un’importantissima voce del Pil: il turismo, da quello del Garda che bagna le province di Verona, Brescia e Trento, a quello montano che interessa le province di Trento e Bolzano, a quello delle città d’arte, soprattutto Verona e Mantova. Le Olimpiadi Invernali del 2026, con il coinvolgimento delle Dolomiti e la cerimonia di chiusura all’Arena di Verona, sono un’altra imperdibile occasione.
Anche l’Università di Verona è un importante fattore di coesione della “regione del Garda”. Importanti sinergie sono possibili con Vicenza e Mantova, che non hanno un loro ateneo, e con le Università di Trento e Brescia. Ci sono solide basi culturali sulle quali costruire, a cominciare dalla Fondazione Arena, che gestisce il più grande teatro del mondo, l’Arena di Verona. Ma c’è anche un grande patrimonio culturale da valorizzare che va da quello dei Gonzaga a Mantova al MART di Rovereto, dai musei scaligeri a quelli palladiani di Vicenza, al Vittoriale di Gardone.
Ma il più potente fattore che può innescare l’integrazione delle province di Verona, Trento, Vicenza, Mantova, Brescia, Bolzano, estensibile anche a quelle di Cremona e Rovigo è l’Aeroporto di Verona, infrastruttura essenziale allo sviluppo di tutta quest’area. A dire il vero gli scali sono due, il Valerio Catullo di Verona e il Gabriele D’Annunzio di Brescia Montichiari, complementari in quanto il primo imperniato sul traffico passeggeri, il secondo sulle merci. Si tratta di un polo aeroportuale “a due teste” con bacino d’utenza una delle zone più produttive del mondo, ad alto tasso di scambio di persone e di cose, in posizione strategica fra il Nord-est e il Nord-ovest, a cavallo dei confini di Veneto, Lombardia e Trentino-Alto Adige, allo sbocco dell’asse del Brennero sul quale passano tutti i traffici fra il Mediterraneo e l’Europa Centrale, accanto al Quadrante Europa, uno dei centri logistici più importanti d’Italia.
A causa di cattive gestioni era stato dato in mano improvvidamente alla società che gestisce l’aeroporto di Venezia che si è ben guardata dal fare i necessari investimenti. E così è stato affossato. Ora però il suo rilancio è indispensabile se si vuol avviare la ripresa post-pandemia dell’area di cui è riferimento naturale. Le condizioni geo-politiche ci sono tutte. E non manca neanche chi vorrebbe investire su quello che può diventare uno dei più grandi aeroporti italiani. Basta la volontà politica. Ed una visione che spinga lo sguardo oltre il limite angusto dell’interesse particolare.
*Paolo Danieli, già senatore