Un’opposizione di alto profilo

Fratelli d’Italia sceglie di stare all’opposizione del governo Draghi. Una posizione, l’unica a ben vedere, “fuori dal coro” unanime di media e resto della politica che, improvvisamente, si scoprono da sempre militanti inconsapevoli del partito di Draghi. La competenza, la preparazione e la capacità manageriale dell’ex presidente della Banca d’Italia non sono certo in discussione, e non potrebbero esserlo. Ciò che davvero dovrebbe far riflettere, in particolare quei settori dell’opinione pubblica – se così si può definire – che su Giorgia Meloni hanno fatto cadere la solita volgare pioggia di provocazioni e derisioni, è la reale bontà di questa operazione politica eterodiretta dal Quirinale. Sebbene, di fatto, la mossa sia stata necessaria – considerata l’incapacità del governo precedente –, per Mario Draghi non sarà facile arrivare ad una sintesi programmatica fra forze politiche così diverse; e tale sintesi, molto spesso, rischierà di trasformarsi di volta in volta in un compromesso che virerà sempre più al ribasso. La flat tax, che era uno degli elementi portanti del programma condiviso del centrodestra, è già stata tolta bruscamente dal tavolo delle trattative. Fratelli d’Italia, in questa fase politica delicatissima per il Paese, non ha intenzione di andare sull’Aventino: questo è ciò che si è maldestramente tentato di descrivere. Al contrario, Fratelli d’Italia interpreterà un ruolo tanto prezioso quanto fondamentale: se il presidente della Repubblica, giustamente, ha auspicato un governo di alto profilo, è giusto aspettarsi che tale governo abbia anche un’opposizione di alto profilo. Fratelli d’Italia farà un’opposizione responsabile e autorevole, di alto profilo appunto, attenta all’interessa nazionale, priva d’ostruzionismi ma anche senza la piaggeria che sta contraddistinguendo altre forze politiche. Si può essere costruttori rimanendo fedeli alle proprie idee. Una sentinella, come l’ha definita Giorgia Meloni, che vigilerà sull’azione del nuovo esecutivo e non mancherà di metterne in evidenza le criticità quando necessario. E dovrà fornire contributi preziosi e impegnarsi in battaglie importanti: la tutela dei non garantiti (partite IVA, autonomi, freelance), il potenziamento del piano di vaccinazione e del sistema sanitario, la trasformazione digitale delle imprese e la formazione dei giovani. Anche senza reclamare una poltrona di governo, Fratelli d’Italia farà la sua parte. Senza la necessità – magari impellente per altri – di trovare legittimazione in un immaginario “arco costituzionale” al quale, secondo bizzarre teorie, si viene ammessi solo previa acritica dichiarazione di fede verso Bruxelles. Giorgia Meloni è già da tempo presidente dei Conservatori europei, gruppo parlamentare del parlamento europeo del quale fa parte stabilmente Fratelli d’Italia, e il partito è già sufficientemente legittimato dai milioni di voti ricevuti dagli italiani in questi anni. Tanto da essere l’unica formazione politica che, da quando si è presentata per la prima volta alle urne, è sempre cresciuta in tutte le elezioni seguenti, a livello nazionale e locale. Probabilmente è proprio questo aspetto che preoccupa.

*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta

 

 

 

Le ragioni di Giorgia Meloni

«Le forme costituzionali non sono, per me, che dei mez­zi tecnici come ogni altro apparato. Sarei stato felice di schierarmi al fianco del sovrano contro il parlamento, se solo egli fosse stato un politico, o avesse dato segno di volerlo diventare».
Max Weber, 1917

I.

Non conosco il Prof. Mario Draghi, economista monetario col quale l’unica cosa che potrei condividere per mia inferiorità è forse la conoscenza del tedesco, ma sono convinto che al di là dei convenevoli e delle cortesie la sola persona, tra quelle incontrate in questi giorni, che può aver riscosso rispetto e comprensione agli occhi dell’allievo di Caffè e di Modigliani sia stata Giorgia Meloni, le cui ragioni nel negare la fiducia al nuovo governo non solo non hanno invece trovato condivisione in molti commentatori – compreso un politologo che ha evocato, con poco senso storico, una presunta “sindrome della fogna”, e con poca eleganza un’altrettanto presunta “lavatrice Draghi” nella quale lavare panni ritenuti evidentemente sporchi –, ma anche in suoi sostenitori o simpatizzanti, quali per esempio i componenti del Comitato scientifico della Fondazione Farefuturo.

Ritengo invece, a titolo del tutto personale, che l’on. Meloni abbia non tanto confermato un percorso di coerenza politica quanto, con molta etica della responsabilità, fatto valere ragioni politiche tese a sanare, sia pure sul medio periodo, una serie di ferite inferte alla democrazia italiana negli ultimi dieci anni e forse più, ferite profonde che riguardano, al di là della decadenza del sistema istituzionale parlamentare nato con la costituzione del 1948, il tema della partecipazione politica, del rapporto tra rappresentanza e corpo elettorale, in sostanza della dignità della politica e direi anche del rispetto del Politico e della sua autonomia dall’Economico.

Ciò che è in gioco con il governo Draghi è infatti un primato: il primato della politica o per lo meno la sua non completa sudditanza alle ragioni dell’economia. Non voglio dire che il prof. Draghi non abbia presente la necessità di dare risposte politiche alla crisi italiana, ma in quanto economista e proprio per la dichiarata mission che gli è stata affidata (redazione del piano di risanamento e piano vaccinale) nessuna prospettiva autenticamente politica potrà caratterizzare il suo governo. Chi parla di “occasione perduta” per la destra, di “ultimo treno” mancato da Giorgia Meloni non ha colto il senso profondo della decisione, credo sofferta, presa dalla leader di FdI, di rinunciare ad una tavola imbandita per tutti in nome di una prospettiva forse anche solitaria, piena di rischi, ma tesa a dare al paese una chance alternativa nel caso che proprio il governo del prof. Draghi si riveli incapace di ricucire le lacerazioni profonde che infettano la vita italiana.

Non si tratta, a mio avviso, di non avere stima per un economista di vaglia, quanto di saper cogliere i limiti oggettivi di una iniziativa che nasce sulla disperazione e sul ricatto, da un lato, e sulla paura, dall’altro: la paura dell’Unione europea e in particolare della Germania di veder fallire il tentativo di legare definitivamente al carro di questa Europa, a egemonia tedesca, l’economia italiana, in una posizione di sudditanza e di servizio; la disperazione delle forze politiche esistenti, che si agitano impotenti per incompetenza e ignavia del tutto al di sotto delle loro spropositate ambizioni, e il ricatto di vedere andare altrimenti al governo i partiti della destra, ritenuti dall’establishment più radicato (quello che si muove per esempio intorno alla Presidenza della Repubblica), disomogenei ad un progetto politico di natura globalista e spacciato come ‘europeista’.

Non è un caso che il governo Draghi sia oggettivamente il prodotto dell’azione di un personaggio che ha inquinato definitivamente i pozzi della politica italiana già a partire da quel progetto di pseudo-costituzione che mirava a dare e a perpetuare tutto il potere nelle mani del governo allora esistente. Non si capisce la decisione di Giorgia Meloni se non si capisce che ci si trova dinanzi ad una strategia politica che coraggiosamente si svincola da una tattica che al momento sembra aver catturato tutti, da Grillo a Berlusconi.  Posso sbagliarmi, ma io non vedo nel governo Draghi il famoso “dittatore commissario” del diritto romano, quanto un agnello sacrificale che deve tappare una serie di buchi aperti dal prevalere dell’interesse privato sull’interesse pubblico. Immaginare che un governo appoggiato da tutte le forze presenti in parlamento, sempre soggette al ricatto del bullo di Firenze, detto non a caso Matteo d’Arabia, possa progettare una rinascita nazionale, in un confronto necessario con tutti i “grillini” che siedono nelle commissioni, è pura utopia. Potrà anche fare qualche “scelta di destra”, ma che senso può avere una gestione – ecco, appunto: gestione – dell’esistente malato quando occorre avere invece una prospettiva politica di lungo respiro per il risanamento sia delle istituzioni sia dell’economia?

Draghi sa quello che sa Meloni e fingono invece di ignorare  o forse veramente ignorano i politologi, che danno lezioni non richieste: sanno che i fondi del “Next Generation EU” non sono regali in moneta (sia i debiti che ci consentono o ci impongono di contrarre, sia anche i cosiddetti “fondi perduti”) bensì una specifica pratica politica mirata a salvare il principale socio economico di fatto della Germania, ovvero l’Italia, che se sprofondasse porterebbe con sé nel baratro anche il sistema produttivo tedesco, come ben sanno e scrivono anche i giornali tedeschi (ne ho parlato tempo addietro in un articolo su La Verità). Il senso del governo Draghi sta tutto in questo intreccio internazionale, che non è in sé perverso, ma esprime nel suo complesso una politica diversa e altra rispetto a quella dell’interesse nazionale: si tratta di una politica che – forse anche a ragione – non solo non ha fiducia nell’Italia come soggetto autonomo, ma punta a sterilizzarla come appendice diciamo così ‘museale’, senza una propria politica industriale, senza una propria politica estera, ma a rimorchio degli interessi, certo legittimi, dei paesi che si sono finora sottratti alla decadenza di civiltà in cui è sprofondata l’Italia. Per questo Draghi potrebbe anche “far bene” sul brevissimo periodo e c’è da augurarselo per esempio sul tema dei vaccini (se riuscirà a mandare a casa l’onnipresente Arcuri: ma ci riuscirà?), ma sul medio-lungo periodo si rischia di rinunciare preventivamente ad ogni piano di rinascita nazionale entro un’Europa rinnovata e caratterizzata in senso politico. Anche per questo Giorgia Meloni ha dimostrato non tanto il coraggio di un azzardo politico, quanto la consapevolezza che in questa fase va conservata al paese una via d’uscita, una sorta di carta di riserva per il futuro dell’Italia. Sono convinto che in ciò ha trovato la comprensione intellettuale dello stesso Mario Draghi.

II.

Ho parlato di pratica politica imposta dall’Europa: trattandosi appunto di pratica politica e non di un gioco sul salvadanaio non aveva senso che a gestirla fossero lasciati Conte, Arcuri e i loro “tecnici”; giustamente il loro piano è sembrato al prof. Giovanni Tria una scenetta da “scherzi a parte”. Occorreva una persona  all’altezza della partita, una persona come Draghi, che ha il compito specifico certo di organizzare un piano vaccinale (questo per qualche mese) ma anche e soprattutto di approntare un Recovery Plan (questo per qualche anno) funzionale al recupero dell’Italia e quindi a garantire l’economia tedesca (o, se volete, europea). Si tratta di una prospettiva alla quale il Presidente Mattarella si preparava da qualche giorno, scommettendo sul fatto che Renzi avrebbe mandato tutto a carte quarantotto, raggiungendo il suo piano: togliere di mezzo Conte e la sua idea balzana di gestire da solo, illustre sconosciuto che aveva vinto una lotteria senza nemmeno aver comprato il biglietto, non solo i 209 miliardi del Recovery, ma anche quelli del Sure e tutti gli scostamenti di bilancio interno, che altro non sono che soldi a debito ma gestiti dagli stessi soggetti (con tutte le fantasticherie note: dai banchi a rotelle alle lotterie ai premi e altre costosissime scemenze del genere).

Draghi è stato costretto ad accettare perché pressato, indubbiamente dalla propria coscienza di italiano, ma certo anche dalle insistenze delle presidenze e delle cancellerie europee, spaventate non tanto ora da un governo delle destre, ma dal fatto che l’Italia si apprestava (e al momento ancora di appresta) a precipitare in un burrone. Se questo è il compito, del resto non presunto ma dichiarato dallo stesso Presidente incaricato, la domanda che occorre porsi è: cosa impone di fare l’etica di chi si è messo al servizio del Politico? Badate bene: non dico, come direbbe qualcuno, “al servizio del paese” nel senso che “la politica è servizio” (una betise ritornante), ma proprio del Politico, ovvero di quella dimensione essenziale dell’esistenza irriducibile a tutte le altre dimensioni pure fondamentali dell’esistere: dall’economia alla morale. Se un politico deve essere coerente con l’autonomia del Politico è alla logica interna del Politico che deve rispondere, non ad altre forme di ragionamento, pure legittime entro la loro sfera di competenza,

Secondo me, Giorgia Meloni ha fatto benissimo a dire al Prof. Draghi che non avrebbe dato la fiducia al suo governo, perché non è certo con l’economista esperto che è andata a dialogare, ma con chi era stato investito di una funzione istituzionale mirata a specifici obiettivi e in quella veste aveva già dichiarato quale sarebbe stato il suo compito: organizzare il Recovery Plan. Non si trattava – mi attengo qui alle dichiarazioni di Draghi all’atto di accettazione con riserva dell’incarico – di disegnare un progetto per la società italiana secondo un’idea politica per i prossimi almeno dieci anni, ma qualcosa di molto più limitato, anche dal punto di vista temporale e ciò anche sulla base di quanto detto dal Presidente Mattarella al momento di annunciare la “scelta di alto profilo”. Detto in poche parole: si tratta di partecipare alla decisione su come spendere dei soldi le cui finalità sono state già predeterminate da soggetti diversi dall’Italia. Non voglio dire che queste finalità sono cattive, anzi, probabilmente, sarebbero buone se attuate con intelligenza, ma proprio perché la discrezionalità è per così dire puramente tecnica voler partecipare a tutti i costi non è espressione di una volontà e di un progetto politici “intelligenti”, quanto, piuttosto, di un retropensiero spartitorio dal quale l’on. Meloni si è semplicemente sottratta proprio in nome della autonomia del Politico.

Cosa sarebbe infatti un governo a guida Draghi con “tutti dentro”? Draghi è un Presidente del Consiglio, un primus inter pares, il cui compito è quello di dirigere la politica del governo, che dunque deve essere una politica omogenea e coerente. Io non vedo coerenza nello stare insieme al governo, Meloni, Salvini, Renzi, Di Maio, Boldrini e Zingaretti, quando il governo è dichiaratamente un governo funzionale ad un progetto apparentemente tecnico ma in realtà inevitabilmente politico, dove l’indirizzo politico è però predeterminato da condizioni e rapporti esistenti e quindi si sottrae pregiudizialmente a ciò che caratterizza il Politico e l’azione politica: la scelta responsabile.

A chi critica la Meloni per aver detto “no”, ricordo che in questo “no” ci sono molte altre negazioni: del compromesso deleterio, della rinuncia alle proprie idee, dell’abbandono della politica e anzi del suo sacrificio sull’altare dell’utile momentaneo (che poi alla fine cosa sarebbe: dirigere un ministero e spartirsi qualche finanziamento?), soprattutto della sovranità del popolo italiano. A me non piacciono gli slogans, nemmeno quello sulla sovranità del popolo, ma al di là dello slogan il punto è di sostanza, perché riguarda le forme e le procedure di scelte sostanziali fatte dalla costituzione italiana. Si tratta della decisione politica che sta sotto e a fondamento della costituzione e quindi dell’ordinamento giuridico, una decisione politica fondamentale che non può essere sospesa. La pandemia è un grave problema, ma proprio perché grave deve essere affrontato – come in tutti gli altri paesi europei – da un governo all’altezza della sua natura di governo in quanto esito della volontà popolare.

Sono state avanzate ragioni di merito, sulle quali ho detto quel che penso, ma anche di metodo; qui trovo che ha sempre avuto ragione Meloni a dire che ove manchi una maggioranza coesa che in Parlamento corrisponda minimamente alla volontà espressa, ma anche reale, del corpo elettorale sarebbe necessario tornare alle urne, come avviene in tutte le democrazie parlamentari quando non si riesce a trovare una siffatta maggioranza (tanto più se si considera quel parlamentarismo razionalizzato che è alla base della costituzione repubblicana). Per cui o Meloni ha sempre avuto torto oppure hanno torto quelli che pur essendo d’accordo prima oggi dicono che bisognerebbe invece stare con Draghi e andare al governo con Zingaretti e Di Maio. Cercare di avere ragione tutte e due le volte non risponde ai princìpi della logica, anche in contesti solo apparentemente diversi.

Il governo Draghi sarà un governo tendenzialmente tecnocratico, o almeno con aspirazioni del genere. Non sarà un governo politico nel senso esistenziale del termine, cioè come prodotto di una lotta politica entro il quadro costituzionale, di quella lotta politica che potrebbe portare aria nuova nelle stanze delle ammuffite istituzioni italiche. Indipendentemente dalla volontà e dalle intenzioni di Draghi, il suo governo sarà un governo pregiudizialmente anti-politico, che vorrà fondarsi sui pur evidenti fallimenti della politica per metterla da parte. Rispetto a questo governo, pericoloso proprio dal punto di vista della democrazia, essendo ogni anti-politica, anche la migliore, una cattiva politica, Giorgia Meloni ha fatto valere le ragioni del Politico, di contro a quelle dell’Economico. Per questo io sto apertamente e dichiaratamente dalla parte della Meloni, non contro il Professor Draghi, ma contro quello che egli oggettivamente rappresenta e che se può essere momentaneamente un sollievo per i cittadini e una panacea per i Grillo, i D’Alema e via dicendo porterà alla fine ad un aggravamento della crisi italiana, che da trent’anni si trascina stancamente alla ricerca di una classe politica all’altezza delle sfide.

*Agostino Carrino, professore ordinario di Diritto pubblico, Università Federico II Napoli