L’Emilia-Romagna rimane al centrosinistra, la Calabria cambia e sceglie il centrodestra: questi i verdetti della prima tornata elettorale dell’anno, sorta di “aperitivo” di quella più ampia che a fine maggio vedrà coinvolte altre sei regioni (Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto). Vediamo cinque punti-chiave per capire gli orientamenti che sono emersi da queste consultazioni.
Il disfacimento del Movimento 5 Stelle. Fiaccato dalle dimissioni da capo politico di Luigi Di Maio e alle prese con una crisi interna conclamata, nel Movimento sembra già arrivata l’ora del “liberi tutti”. Emergono chiaramente tre schieramenti: una parte vorrebbe allearsi stabilmente con il Partito Democratico, una seconda vorrebbe riabilitare la vecchia linea “autonomista”, una terza continua ad avere nostalgia di Salvini. E se è vero che i grillini non hanno mai brillato alle elezioni amministrative, è altresì vero che si è ormai consolidato un trend negativo che ha portato alla smobilitazione in Emilia-Romagna come in Calabria: in quest’ultima regione il Movimento è addirittura fuori dal consiglio regionale, non avendo superato lo sbarramento dell’8% previsto dalla legge elettorale calabrese. In Emilia-Romagna la maggior parte degli ormai ex elettori grillini ha votato per Bonaccini, incidendo in maniera decisiva sulla sua vittoria (che anche in virtù di tale fattore è risultata essere più ampia delle previsioni).
La sconfitta (?) di Salvini. Può un leader che porta il proprio partito a raggiungere quasi il 32% nella regione politicamente più ostile – e ad aumentarne il consenso di quasi 200 mila voti rispetto alle ultime elezioni politiche – essere bollato come “il grande sconfitto” di questa tornata elettorale? Sì, perché la politica non è una scienza esatta e spesso risponde più alle emozioni che ai numeri. Quel 32% appare come una sconfitta perché le aspettative erano altre: e paradossalmente era stato proprio Salvini a crearle. La “nazionalizzazione” – e l’eccessiva personalizzazione – della campagna elettorale hanno pagato solo parzialmente in una delle poche roccaforti rosse rimaste. Rimane qualche utile lezione per le campagne future: prima fra tutte, la necessità di allargare le coordinate del voto leghista, che non riesce ancora a sfondare nelle grandi città; in secondo luogo, la necessità di diversificare lo stile comunicativo.
Forza Italia e il partito del Sud. Un imbarazzante 2,5% in Emilia-Romagna, il 12,3% in Calabria dove esprime il nuovo governatore, Jole Santelli: qual è la “vera” Forza Italia? La risposta è semplice se si osservano i trend delle ultime elezioni politiche, europee e amministrative. Come lo stesso Silvio Berlusconi ha affermato in una recente intervista, Forza Italia si sta caratterizzando come “partito del riscatto del Sud”. E non può che essere così, considerato che nelle regioni del Nord Forza Italia è praticamente sparita. Questo, tuttavia, è un problema per tutto il centrodestra: il mancato apporto in termini numerici di Forza Italia per Lucia Borgonzoni è stato un altro fattore determinante per la vittoria di Bonaccini. All’orizzonte ci sono le regionali in Campania, dove Forza Italia si appresta a sostenere un “suo” uomo, Stefano Caldoro, ma anche le regionali in Toscana, dove il partito esprime ottimi amministratori locali e dove il centrodestra non deve fare l’errore di partire già sconfitto.
La crescita costante di Fratelli d’Italia. Non è più una novità: anche in Calabria ed Emilia-Romagna il partito di Giorgia Meloni gode di ottima salute, raggiungendo percentuali intorno al 10% e ponendosi stabilmente come seconda forza della coalizione. Fratelli d’Italia continua a giovarsi da un lato della debolezza di Forza Italia, dall’altro del logoramento di Matteo Salvini dovuto alla sua sovra-esposizione mediatica: è probabile che nei prossimi mesi la percentuale del partito continui a crescere, considerato che Giorgia Meloni intende esprimere le candidature a governatore per le regionali in Puglia e nelle Marche. La concreta possibilità che venga varata una legge elettorale proporzionale aumenta la competizione all’interno del centrodestra, e Giorgia Meloni è attualmente la più in forma, come mostrano i sondaggi che la danno al primo posto in termini di gradimento.
La “vittoria” del Partito Democratico. La vittoria in Emilia-Romagna è, più che del partito, la vittoria di Stefano Bonaccini e del suo team di comunicazione, che ha saggiamente rinunciato a posizionare il simbolo del PD accanto al candidato e ne ha “rinfrescato” l’immagine. Bonaccini non si è lasciato trascinare nelle vicende romane e ha impostato una campagna elettorale prettamente territoriale, imperniata sulla presentazione dei buoni risultati dell’amministrazione uscente. C’è poi da ricordare che il campo di battaglia era l’Emilia-Romagna, che sta al PD come il Veneto sta alla Lega, dunque la vittoria era il minimo sindacale. Il bilancio finale di queste tornata elettorale, in verità, segna per il centrosinistra la perdita di un’altra regione, la Calabria: ora il centrodestra governa in 13 regioni, il centrosinistra in 6. Rimane interlocutorio il rapporto con le Sardine il cui apporto, come già evidenziato nella precedente analisi, è stato decisivo per contrastare Salvini sul piano identitario e per risvegliare una parte dormiente dell’elettorato di centro-sinistra: ma il dialogo con il Partito Democratico è solo all’inizio.
*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta