Se ne è andato il 25 novembre, come Mishima. E come lui a suo modo fu un Samurai. Aveva il mito di Fidel e sul braccio tatuato el Che. Eppure era uno di noi Diego: l’orgoglio di chi non si è arreso, il sangue dei vinti nelle sue vene.
Quel 22 giugno dell’86 la mano de Dios umiliò l’Inghilterra, fu il riscatto sia pure per un istante dei popoli sottomessi alla forza di chi ha vinto e che vuole continuare a governare il mondo. Non fu solo una partita di calcio quella giocata all’Azteca ai quarti di finale del mundial in Messico. Fu il grido di vendetta delle centinaia di morti dell’incrociatore General Belgrano mandato picco pochi anni prima dai siluri sganciati da un sottomarino nucleare britannico inviato alle porte dell’Argentina a ribadire che le Falkland non possono essere Malvinas e che non è consentito sfidare l’impero. La mano de Dios quel giorno rifulse come la rabbia di di un popolo, come l’eco del sogno di Evita, l’illusione di riscatto dei poveri, il canto del sangue che contro l’oro fa la storia.
Diego era uno scugnizzo nato di Argentina. Gli scugnizzi di Napoli o delle favelas di tutto il mondo hanno la stessa faccia, quella dei bronzi ottocenteschi di Vincenzo Gemito. Belli e maledetti. Lui basso, tarchiatello, eppure una magia, un sogno tra gli altari e la polvere.
Dietro il tocco magico di quello scugnizzo un popolo intero si incantò. Dal San Paolo ai vicoli senza sole con lui smarrì l’amarezza di una vita avara e dell’ingiustizia che opprime. Fu tammurriata e tango da Forcella ai quartieri spagnoli, dalla Duchesca , al Vomero, a Posillipo.
Due campionati in vetta non segnarono solo un risultato di calcio. Furono lo schiaffo alla Juventus abbonata agli scudetti, alle squadre blasonate abituate a vincere sempre. Diego, lui diventato ricco e coi diamanti all’orecchio, fu comunque uno sberleffo in faccia alla ricchezza, Fu la contraddizione del vivere, l’inferno fuori e dentro ognuno di noi. Fu come un’illusione nascosta che ti fa ritrovare la voglia di vivere e di lottare quando nel profondo dell’animo senti che è buio anche a mezzogiorno, quando gli altri hanno ragione e tu hai sempre torto, quando le anime belle sono corrette e tu sempre dalla parte sbagliata.
Una vita sbagliata anche la sua. La gloria e l’abisso. La vita di un ribelle che uccide se stesso, e il suicidio che grida la voglia di identità. Come Mishima, l’ultimo Samurai.
*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare