Il vero volto del Qatar e dei Fratelli musulmani

L’uscita del libro inchiesta Qatar Papers. Come l’emirato finanzia l’Islam di Francia e d’Europa (Lafon, 2019) è un evento spartiacque nell’ambito della lotta al terrorismo e al fenomeno della radicalizzazione in Europa. Gli autori, i due giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot, hanno gettato luce sul sistema di finanziamenti milionari della “Qatar Charity” a moschee, associazioni e militanti dei Fratelli Musulmani in tutto il continente, allo scopo di trasformare i fedeli di religione islamica in militanti fondamentalisti. Nella documentazione fornita da Qatar Papers, il paese che risulta essere il principale destinatario dei fondi provenienti da Doha è l’Italia: segno della sua centralità nel “progetto” del Qatar e dei Fratelli Musulmani, volto a far avanzare l’agenda fondamentalista in territorio europeo e nel resto dell’Occidente. Come supporto informativo e di analisi rivolto alle istituzioni, al mondo della politica e agli addetti ai lavori, questo report prende pertanto in esame il ruolo della “Qatar Charity” nel finanziamento in Italia di realtà associative riconducibili ai Fratelli Musulmani, illustrandone le finalità di tipo proselitistico. Inoltre, viene descritta la crescente influenza in Italia dei Fratelli Musulmani in ambito politico, sociale e culturale, con l’indicazione di una serie di proposte d’intervento e misure di contrasto. Cenni storici introduttivi delineano il contesto internazionale in cui s’inseriscono i finanziamenti del Qatar ai Fratelli Musulmani in Italia.

1. IL VERO VOLTO DEL QATAR E DEI FRATELLI MUSULMANI
Perché il Qatar finanzia il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani? La risposta sta nelle ambizioni degli emiri che occupano il trono di Doha. L’anno della svolta è il 1995, quando con un colpo di stato Hamad Al Thani riesce a spodestare il padre Khalifa e a porsi alla guida del piccolo stato. Forte degli ingenti proventi dell’industria energetica (gas e petrolio), Hamad punta al conseguimento per il Qatar del rango di potenza globale, a cominciare dall’acquisizione dell’egemonia in Medio Oriente. A tal fine, Hamad fa affidamento su due caposaldi: l’emittente televisiva Al Jazeera, fondata nel 1996, e i Fratelli Musulmani, che saranno entrambi i protagonisti di quella passata impropriamente alla storia come “Primavera Araba”.

Le ambizioni di Hamad si sposano perfettamente con il “progetto” della Fratellanza, decisa a sfruttare l’opera di penetrazione compiuta nell’arco di decenni all’interno del tessuto religioso, sociale, culturale, politico ed economico dei paesi di Mashrek, Maghreb e Golfo per prendere il potere e stabilire in tutta l’area dittature fondamentaliste come piattaforma per l’espansione globale, in particolare verso l’Occidente. Le rivolte scoppiate nel 2011 erano finalizzate a portare la Fratellanza al governo di Egitto, Tunisia, Libia, Siria, innescando un effetto domino che avrebbe dovuto travolgere l’intero Medio Oriente e proiettare l’emiro del Qatar all’apice di un nuovo Califfato, l’obiettivo supremo dei Fratelli Musulmani.
L’idea del Califfato è stata rilanciata ufficialmente dall’ISIS, ma appartiene da sempre all’immaginario dei Fratelli Musulmani: dalla loro fondazione nel 1928 avvenuta con Hassan Al Banna in Egitto, alla divulgazione degli scritti dell’ideologo Said Qutb, fino alla tele-predicazione dal pulpito di Al Jazeera dello sheikh del terrore, Youssef Al Qaradawi, l’attuale leader della Fratellanza a livello mondiale, venerato alla corte del clan Al Thani. Sono questi i cattivi maestri che con la loro nefasta influenza hanno radicalizzato intere generazioni di imam, accademici, professionisti, studenti, comuni cittadini, nuclei familiari, donne e giovani nel mondo arabo-musulmano, elaborando le dottrine e le narrative da cui ha preso le mosse il terrorismo jihadista contemporaneo, da Al Qaeda all’ISIS.
L’ISIS è stato perciò la punta di lancia del gelido inverno islamista che i Fratelli Musulmani intendevano inaugurare in tutta la regione, con la spinta economica, politica e mediatica del Qatar. La propaganda della versione in lingua inglese di Al Jazeera si è rivelata indispensabile a far sì che dei rovesciamenti di regime venissero interpretati in Occidente come rivoluzioni democratiche, mentre Al Jazeera in lingua araba trasmetteva i sermoni incendiari, a sostegno persino di attentati suicidi, pronunciati da Al Qaradawi. Dopo i fallimenti delle rivolte in Egitto, Siria e Libia e gli ostacoli incontrati nella corsa al potere in Tunisia, la concretizzazione del “progetto” comune del Qatar e dei Fratelli Musulmani subisce una brusca battuta d’arresto, ma le loro ambizioni di conquista restano immutate.
Il passaggio di consegne avvenuto nel 2013 da Hamad Al Thani al figlio Tamim, l’attuale emiro, non ha prodotto cambiamenti di linea, perché Doha ha continuato e continua ancora oggi a interferire negli affari interni dei paesi vicini e a supportare i Fratelli Musulmani. Inoltre, ha intensificato le relazioni con la Turchia di Erdogan e l’Iran khomeinista, con cui ha dato vita a un nuovo polo dell’islamismo, cementatosi grazie all’ideologia dei Fratelli Musulmani, di cui il regime di Teheran rappresenta la versione sciita. Ciò ha spinto il Quartetto arabo contro il terrorismo (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto e Bahrein) a reagire. Di qui, la rottura delle relazioni diplomatiche con Doha, il lancio dell’embargo nei suoi confronti nel giugno 2017 e la designazione dei Fratelli Musulmani come organizzazione terroristica.

D’altro canto, malgrado le sollecitazioni del Quartetto, l’Occidente non ha preso una posizione netta contro le politiche del Qatar, mantenendo un’equidistanza che ha consentito agli emiri Al Thani di sostenere finora il peso dell’embargo. I giganteschi investimenti effettuati in Europa e negli Stati Uniti impediscono infatti a quest’ultimi di riservare a Doha il trattamento da “stato canaglia” che meriterebbe, sia perché costituisce insieme a Iran e Turchia il principale fattore di destabilizzazione e d’insicurezza nella regione, che per il sostegno finanziario al fondamentalismo dei Fratelli Musulmani nello stesso Occidente, Italia compresa.

2. QATAR PAPERS: COME DOHA FINANZIA IL “PROGETTO” DEI FRATELLI MUSULMANI IN ITALIA
L’esistenza di un “progetto” volto a far avanzare l’agenda dei Fratelli Musulmani anche in Occidente era già stata ampiamente denunciata nel 2005 dal giornalista franco-svizzero Sylvain Besson in La Conquête de L’occident: Le Projet Secret des Islamistes, seguito più recentemente dal mio ultimo libro I Fratelli Musulmani e la conquista dell’Occidente. Da Istanbul a Doha, la linea rossa del jihad (Armando Curcio Editore, 2018). La pubblicazione di Qatar Papers è giunta a complementare questi due volumi, poiché descrive in dettaglio la fase d’implementazione del “progetto”, resa possibile dalle enormi risorse economiche di cui dispone la “Qatar Charity”, il presunto braccio caritatevole degli emiri Al Thani.
Nata nel 1992, l’organizzazione dovrebbe limitarsi a servire i suoi scopi statutari: offrire supporto a comunità e gruppi che hanno bisogno di assistenza umanitaria e sociale. Ma i documenti interni e confidenziali pubblicati da Chesnot e Malbrunot, hanno rivelato ben altro, ovvero come Doha si sia servita della “Qatar Charity” per finanziare moschee, associazioni, centri culturali, case editrici e istituti scolastici legati ai Fratelli Musulmani in Francia, Italia, Germania, Svizzera, Gran Bretagna e Balcani. L’inchiesta dei due giornalisti riguarda il biennio 2013 e 2014, durante il quale erano ben 140 i progetti in corso, per un valore di centinaia di migliaia di euro. Nel libro, sono riportati i testi integrali di corrispondenze dove gli stessi esponenti della “Qatar Charity” fanno menzione delle somme elargite. E se anche questo dovesse non bastare a convincere gli scettici, vengono pubblicate le evidenze di pagamento.
Le pagine di Qatar Papers descrivono paese per paese le principali iniziative finanziate dalla “Qatar Charity”, dedicando un più ampio spazio al caso francese. Ma ad assumere una particolare rilevanza è il capitolo sull’Italia, il paese per il quale nel biennio in questione risulta stanziato il maggior numero di fondi: oltre 50 milioni di euro per un totale di 45 progetti, volti alla realizzazione del “progetto” fondamentale dei Fratelli Musulmani, quello di conquista. Il tutto confermato da email, copie dei versamenti bancari e dalle ammissioni dei diretti interessati, intervistati da Chesnot e Malbrunot nel corso del lavoro d’inchiesta da nord a sud della penisola.

A sottolineare la centralità dell’Italia nei piani del Qatar e dei Fratelli Musulmani, lo spiega senza giri di parole Al Qaradawi in persona, di cui vengono trascritte le parole esatte pronuncia dai teleschermi di Al Jazeera nel 2007: “La conquista di Roma, la conquista dell’Italia e dell’Europa, significa che l’Islam tornerà in Europa ancora una volta. […] La conquista si farà con la guerra? No, non è necessario. C’è una conquista pacifica [e] prevedo che l’Islam tornerà in Europa senza ricorrere alla spada. [La conquista] si farà attraverso la predicazione e le idee”.
Tali dichiarazioni sono ancor più inquietanti poiché corrispondono a quel che accade oggi senza che il Qatar e i Fratelli Musulmani incontrino ostacolo alcuno. In Italia, la strategia del “doppio binario” adottata dall’alleanza islamista si è rivelata particolarmente efficace. In cambio dei massicci investimenti della “Qatar Investment Authority” in ogni settore dell’economia, Doha ha ottenuto il via libera al finanziamento delle attività di proselitismo fondamentalista della Fratellanza in tutto il paese attraverso la “Qatar Charity”.
A beneficiare maggiormente delle donazioni provenienti dall’organizzazione sono state le numerose associazioni che fanno capo all’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (UCOII), vale a dire ai Fratelli Musulmani basati e radicati in territorio italiano. Persino l’ex presidente dell’UCOII e imam di Firenze, Izzeddin Elzir, ha ammesso di fronte all’incalzare degli autori di Qatar Papers che la “Qatar Charity” è il grande banchiere dei Fratelli Musulmani in Italia. Grande attenzione è riservata al nord del paese. Torino, Verona, Brescia, Vicenza, Lecco, Saronno, Piacenza, Alessandria, Mirandola: centinaia di migliaia di euro piovuti su ogni città, diretti nelle casse di enti affiliati all’UCOII. Una menzione particolare merita il caso di Milano. Con una lettera di raccomandazione risalente al 2015, Al Qaradawi sollecitava la “Qatar Charity” a offrire supporto finanziario al CAIM, il Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano e Monza e Brianza, gestito da David Piccardo, figlio di Hamza, tra i fondatori dell’UCOII.

Non tutte le operazioni congegnate dalla “Qatar Charity” e dall’UCOII nel milanese sono andate però a buon fine. Lo stop alla costruzione della moschea di Sesto San Giovanni, cittadina di 80 mila abitanti, brucia ancora ai Fratelli Musulmani e sono valse da parte di Elzir l’epiteto derogativo di “populista” al sindaco leghista Roberto Di Stefano. La colpa di Di Stefano è stata quella di aver posto il veto alla realizzazione di un progetto rispondente a chiare ambizioni di proselitismo fondamentalista, che le precedenti giunte di sinistra avevano avallato.
Lo stanziamento di 10 milioni di euro, con un contributo della “Qatar Charity” pari a 1 milione e 200 mila euro, mirava alla costruzione su un’area di 5.200 metri quadrati di un mega-complesso a tre piani comprendente, oltre alla moschea, un centro culturale, una biblioteca e un centro per bambini: un polo d’attrazione con una capienza di 1.200 persone, la cui prima pietra avrebbe dovuta essere posta in corrispondenza dell’inaugurazione dell’Expo di Milano.
Intervistato da Chesnot e Malbrunot, Di Stefano ha ribadito la sua contrarietà a un progetto sovradimensionato rispetto alle reali esigenze di Sesto San Giovanni, nonché controproducente per l’integrazione dei musulmani residenti nella zona. Ma è appunto la non-integrazione l’obiettivo dei Fratelli Musulmani, che puntano a mantenere le comunità islamiche in Italia e nel resto d’Europa in uno stato di contrapposizione con le società dei paesi in cui risiedono. Il fatto che sul sito dell’associazione promotrice della costruzione della moschea fosse esplicitato che una quota dei finanziamenti sarebbe giunta dal Qatar, ha convinto definitivamente il sindaco di Sesto San Giovanni a bloccare il progetto, temendo che i fondi venissero utilizzati per attività sospette, come quelle d’indottrinamento e radicalizzazione. Alla richiesta di presentare i bilanci avanzata da Di Stefano, l’associazione non ha mai risposto.

Altro episodio significativo in cui le ambizioni in Lombardia di Doha e dei Fratelli Musulmani sono rimaste frustrate riguarda Bergamo, dove la “Qatar Charity” sembra essere incorsa in una truffa. Talmente grande era l’entusiasmo per l’edificazione di un centro culturale che avrebbe dovuto essere il “faro dell’Islam in Italia”, che tra il 2013 e il 2014 da Doha sono giunti ben 5 milioni di euro nelle casse di un’associazione islamica locale in sette rate. Tuttavia, la “Qatar Charity” ha poi scoperto che l’ingente finanziamento sarebbe stato utilizzato per altri scopi che spetta al giudice identificare nell’ambito del processo attualmente in corso. L’UCOII si è dichiarata parte lesa, ma lo è davvero? L’amarezza della “Qatar Charity” è espressa in maniera evidente nella lettera che il Direttore Esecutivo, Youssef Al Kuwari, ha indirizzato a Imad El Joulani, il presunto autore della frode, pubblicata in “Qatar Papers”.
Finora nessuna delusione invece dall’Italia meridionale, dove l’attenzione della “Qatar Charity”, pur non trascurando Campania, Puglia e Sardegna, è concentrata soprattutto sulla Sicilia. Gli investimenti di natura religiosa nell’isola servono a far rivivere i 472 anni della dominazione arabo-musulmana, “durante i quali la regione ha conosciuto sicurezza, stabilità e lo sviluppo di tutte le scienze umane”, come recita la brochure nella quale la “Qatar Charity” presenta il nuovo centro culturale islamico di Messina finanziato per 457 milioni di euro. Far rivivere questo passato mitico serve a promuovere il proselitismo dei Fratelli Musulmani in Sicilia finalizzato alla conversione.
In tal senso, il testo tratto da un’altra brochure della “Qatar Charity” è inequivocabile: “I progetti della QC in Sicilia mirano a radicare la cultura islamica nell’isola e a far conoscere il vero volto dell’Islam a tutti coloro che sono interessati in questa religione e che ad essa vorrebbero convertirsi. È per questa ragione che la Qatar Charity costruisce centri islamici polifunzionali”.
Il partner principale della “Qatar Charity” nell’isola è il Centro Culturale Islamico di Sicilia, anch’esso affiliato all’UCOII. Per la realizzazione della Moschea della Misercordia, nel cuore di Catania, la “Qatar Charity” ha donato 1.7 milioni di euro (il costo totale dell’opera è stato di 2.3 milioni). Alla sua inaugurazione nel 2012, sono intervenuti il numero uno dell’organizzazione, il cosiddetto Supervisore Generale, Sheikh Ahmad Al Hammadi, e il Direttore Esecutivo Al Kuwari, insieme al sindaco della città, al prefetto e ad altri notabili siciliani.

Per quanto riguarda Roma, Qatar Papers richiama l’attenzione sulla moschea Al Huda nel quartiere di Centocelle, inaugurata nel 2015 e con una capienza di oltre mille persone, seconda solo a quella della Grande Moschea di Roma con cui è in aperta competizione. Si tratta di un complesso di 4 piani che oltre alla moschea ospita un centro culturale, una sala conferenze, una biblioteca e una ludoteca aperta a tutta la comunità del quartiere, spazi espositivi e aule per lo svolgimento di corsi di cultura islamica. Il contributo della “Qatar Charity” alla realizzazione di Al Huda è stato di 4 milioni, per un costo complessivo di 5.7 milioni di euro.
Nella documentazione raccolta da Christian Chesnot e Georges Malbrunot, è certificato che “la Qatar Charity ha reso la comunità musulmana dell’Italia, composta da 1.8 milioni di persone su 60 milioni di cittadini, il primo beneficiario dei suoi investimenti in Europa”. I due giornalisti hanno allora chiesto all’ex Ministro dell’Interno e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi d’informazione, Marco Minniti, in carica nel 2013 e nel 2014, come le autorità abbiano potuto lasciare che il Qatar e i Fratelli Musulmani promuovessero liberamente la propria agenda fondamentalista in Italia. “Il problema non è l’entità che finanzia, ma […] la trasparenza e la finalità [dei finanziamenti]”, ha risposto l’esponente del Partito Democratico (PD).
In sostanza, per Minniti non costituisce un problema che il Qatar eroghi finanziamenti volti alla diffusione dell’Islam fondamentalista e militante dei Fratelli Musulmani in Italia, basta che lo faccia seguendo canali legali: un’agevolazione per la “Qatar Charity”, che non deve quindi nemmeno preoccuparsi di occultare l’ingente flusso di fondi destinati all’UCOII. Su questi presupposti, non stupisce che l’UCOII abbia aderito al “Patto nazionale per un Islam italiano” fortemente voluto da Minniti quando era al Viminale, mentre si era rifiutata di firmare la “Carta dei Valori” emanata dalla precedente Consulta per l’Islam italiano.

Messo sotto pressione dalle rivelazioni di Qatar Papers, il nuovo Presidente dell’UCOII, Yassine Lafram, ha ammesso di aver ricevuto la somma di 25 milioni euro “per una trentina di progetti nel quadro di una collaborazione iniziata nel 2013 e andata avanti per un paio di anni”. Tuttavia, come comprovato da Qatar Papers, i finanziamenti ricevuti da associazioni legate all’UCOII sono stati impiegati per progetti che hanno come finalità il proselitismo e la conversione, non l’acquisizione di “33 capannoni in tutta Italia da adibire a sale di preghiera a beneficio di comunità che sono prevalentemente operaie”, come affermato da Lafram.
Per respingere le accuse di promuovere il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, il Presidente dell’UCOII ha imbracciato l’arma dell’islamofobia, utilizzata come clava per colpire chiunque osi denunciare le ambiguità che caratterizzano la sua organizzazione: “Quando lo Stato italiano fa affari miliardari sono tutte operazioni lecite, quando i musulmani in Italia ricevono briciole magicamente si parla di islamizzazione, si cerca in qualche di rappresentare la comunità islamica come una realtà assimilabile all’estremismo”. Tuttavia, i 25 milioni di euro ricevuti dalla “Qatar Charity”, non sono certo “briciole”. Inoltre, la documentazione contenuta in Qatar Papers dimostra che le somme realmente ricevute sono ancora più cospicue e che l’UCOII disponeva già di per sé di notevoli capacità di auto-finanziamento. Si tratta di milioni di euro per ogni singolo progetto: da chi sono stati donati?

3. L’ITALIA DEI FRATELLI MUSULMANI
Dopo l’uscita di Qatar Papers non è più possibile negare l’esistenza di un progetto di conquista dell’Occidente da parte dell’Islam fondamentalista e militante dei Fratelli Musulmani finanziati dal Qatar. È tutto scritto, dimostrato. Eppure, i governi europei continuano a chiudere gli occhi e a lasciar fare, senza prendere provvedimenti contro le centrali di propagazione dell’estremismo che operano al suo interno in piena trasparenza, alla luce del sole, come i luoghi di culto, le associazioni e i militanti dei Fratelli Musulmani in Italia.
Come se non bastasse, all’indifferenza e all’immobilismo delle classi dirigenti, va ad aggiungersi una vera e propria opera di fiancheggiamento dei Fratelli Musulmani da parte di quelle forze che si definiscono progressiste, un alleato fondamentale per l’avanzata dell’agenda fondamentalista. È stato grazie al sostegno e alla legittimazione dei partiti politici e ambienti culturali di sinistra che i Fratelli Musulmani hanno potuto stabilire la propria egemonia sulle comunità islamiche in Occidente, rendendo possibile persino l’ingresso di esponenti dell’organizzazione nelle istituzioni. In particolare, il settore giovanile è un bacino da cui le forze progressiste europee e nord-americane continuano a reclutare ambigui personaggi da lanciare come leader politici, malgrado la loro malcelata affinità con l’estremismo.
Tutto come previsto nel “progetto”, i cui contenuti sono stati illustrati da Besson e nel mio ultimo libro. Tra i 25 punti che definiscono le linee guida per la realizzazione dell’agenda per l’Occidente dei Fratelli Musulmani, un posto di rilievo occupa infatti la formazione di alleanze con le varie anime del mondo progressista. La sinistra del politically correct e del malinteso multiculturalismo rappresenta per i Fratelli Musulmani la porta d’accesso a partiti politici, università e centri di studio, media, organizzazioni non governative, sindacati, da infiltrare e porre al servizio della causa islamista. Da questo punto di vista, un caso di scuola è rappresentato dall’Italia, dove alcuni recenti episodi confermano le relazioni pericolose del PD con organizzazioni e militanti legati alla Fratellanza.

3.1 MILANO CAPITALE DEI FRATELLI MUSULMANI
La sinistra milanese è in prima linea nell’offrire supporto ai Fratelli Musulmani. Il sindaco PD, Giuseppe Sala, ha garantito alla Fratellanza anzitutto potere politico, con l’elezione al Consiglio Comunale tra i ranghi del suo partito di Sumaya Abdel Qader, affiliata al Forum Europeo delle Donne Musulmane, braccio operativo della Fratellanza a Bruxelles. Sala avrebbe voluto conferire ad Abdel Qader l’incarico di assessore alla cultura e ha desistito solo di fronte alle polemiche scatenatesi su scala nazionale. Il sindaco si è comunque prodigato per la regolarizzazione di moschee abusive e per ottenere l’approvazione alla costruzione di nuovi luoghi di culto in diverse zone della città, che l’opposizione teme verranno date in gestione a realtà associative riconducibili ai Fratelli Musulmani.
Oltre all’espansione territoriale, Sala si è mostrato ben disposto a concedere lo spazio pubblico ai militanti della Fratellanza milanese per lo svolgimento di attività propagandistiche. Lo scorso 22 giugno, affiliati appartenenti a diverse organizzazioni si sono radunati in Piazza Duca D’Aosta, “in lutto per l’uccisione del presidente Mohamed Morsi”, morto in realtà di ordinario infarto all’età di 67 anni durante un’udienza in un tribunale del Cairo, dove era in corso uno dei numerosi processi che lo vedeva come imputato.
Il maxi-raduno non aveva unicamente scopi commemorativi, ma si è configurato in una maratona oratoria in cui al microfono si sono alternati sedicenti imam e militanti, che nei loro interventi hanno esaltato la figura di Morsi, il “primo presidente civile” nella storia dell’Egitto, un “martire” che ha “lottato per uno stato civile costituzionale e per l’esercizio della vera democrazia”. Nulla di più falso e manipolatorio, poiché Morsi condivideva la stessa agenda fondamentalista di Al Qaradawi, con l’obiettivo d’imporla attraverso gli strumenti della democrazia a tutti gli egiziani. Ma si tratta della narrativa tipica dei Fratelli Musulmani, la stessa adottata da Al Jazeera, Qatar e Turchia di Erdogan, a cui Sala ha offerto come palcoscenico una delle principali piazze milanesi.
Milano capitale dei Fratelli Musulmani, dunque, isola felice dell’islamismo arcobaleno di Sala e compagni. D’altro canto, Sala non è il solo primo cittadino o esponente politico-istituzionale di sinistra a non fare mistero della propria infatuazione per la Fratellanza. Il problema in Italia investe persino il Quirinale, che malgrado le numerose sollecitazioni non ha mostrato alcun ripensamento rispetto alla decisione di conferire l’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica alla Sorella Musulmana, Asmae Dachan, figlia del capostipite dei Fratelli Musulmani in Italia, Nour Dachan, fondatore dell’UCOII, il satellite della “Qatar Charity” in Italia.

3.2 PREMIATA O CANDIDATA PERCHÉ VELATA
Mentre il mondo arabo continua a combattere per liberarsi dei Fratelli Musulmani e della loro nefasta influenza politica, sociale, culturale e religiosa, in Italia gli esponenti della Fratellanza ricevono non solo incarichi politici grazie al sodalizio con il PD, ma anche premi e riconoscimenti dal Capo dello Stato, già mostratosi particolarmente ossequioso verso il Qatar nel corso della cena ospitata al Quirinale lo scorso 19 novembre in onore dell’emiro Tamim Al Thani.
A proporre il conferimento ad Asmae Dachan, legata a doppio filo ai Fratelli Musulmani, del titolo di Cavaliere al Merito dell’Ordine della Repubblica è stato l’Ordine dei Giornalisti delle Marche, sostenuto dai deputati marchigiani PD Mario Morgoni, Alessia Morani e Francesco Verducci. Ma i presunti meriti giornalistici e di operatrice di pace della giovane, vantati dai peroratori della nomina, servono volutamente a oscurare la dimensione religiosa e culturale a cui la neo-Cavaliere appartiene: quella dell’UCOII, fondata guarda caso ad Ancona nel 1990 dal padre di Asmae, Nour Dachan, membro del ramo siriano dei Fratelli Musulmani.
Non dovrebbe stupire, pertanto, che le attività di reporter che hanno conferito una qualche fama ad Asmae Dachan si siano svolte in zone della Siria a suo tempo controllate da gruppi jihadisti, come il Fronte Al Nusra, legato ad Al Qaeda e supportato da Qatar e Turchia. E neppure il fatto che la giovane giornalista avrebbe avuto contatti con foreign fighters transitati in Italia dalla Siria e con altri militanti estremisti.
Ciononostante, la benedizione del Quirinale all’ordinazione cavalleresca della figlia d’arte su spinta del PD, conferma l’esistenza della cieca volontà politica da parte della sinistra di elevare i Fratelli Musulmani a interlocutore privilegiato, se non unico, dello Stato italiano in rappresentanza dell’intera comunità islamica. Inoltre, segnala la compiacenza della sinistra nei confronti degli obiettivi della Fratellanza, che punta a imporre figure come Asmae Dachan quale modello di donna musulmana in Italia, principalmente perché velata.
Il fenomeno delle forze di sinistra che accolgono nei loro ranghi e promuovono l’immagine e la carriera di donne musulmane a condizione che portino il velo è purtroppo comune a tutto l’Occidente. Basti pensare al PD americano e a Ilhan Omar, la deputata del Congresso che fa sfoggio dell’hijab e non fa mistero dei suoi addentellati fondamentalisti, tra i quali figura il presidente turco Erdogan. In Italia, dopo la candidatura nel Movimento 5 Stelle di Nasri Assiya al Consiglio Comunale di Montoro, provincia di Avellino, il PD ha perso l’esclusiva del “velismo” in politica, che aveva conquistato con Sumaya Abdel Qader,
Naturalmente, Nasri Assiya, giovane laureanda in matematica, ha fatto del proprio capo coperto un simbolo di democrazia e libertà, sebbene ciò non sia bastato a garantirle preferenze sufficienti ad essere eletta. Non bisogna comunque dubitare della sua sincerità, che è frutto della manipolazione ideologica, psicologica ed emotiva subita dal contesto socio-culturale d’appartenenza, improntato alla dottrina dei Fratelli Musulmani. Velata e felice insomma, anche se il velo è sottilmente utilizzato per sancire la condizione di sottomissione della donna.
Con ciò non si vuole in alcun modo denigrare o delegittimare le donne di religione islamica che lo indossano. Il problema è la politicizzazione dell’indumento ed è quello che i Fratelli Musulmani continuano a promuovere in Occidente grazie a partiti come PD e 5 Stelle, i quali, consapevolmente o meno, si pongono al servizio dell’avanzata dell’agenda fondamentalista dei Fratelli Musulmani in Italia finanziata dal Qatar.

4. UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA PER FERMARE IL “PROGETTO” DEL QATAR E DEI FRATELLI MUSULMANI
In Italia, partendo da sinistra, il Qatar e i Fratelli Musulmani sono arrivati a travolgere il sistema-paese nel suo complesso. Fare affari con il Qatar, lasciando campo libero al proselitismo dei Fratelli Musulmani, non si è rivelato un buon affare e liberarsi dal giogo islamista è ormai un’impellenza per l’Italia. Come riuscire nell’impresa? Il primo passo significativo da compiere è quello d’istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta che in collaborazione con la magistratura faccia luce sui finanziamenti del Qatar ai Fratelli Musulmani in territorio italiano. In particolare, occorre accertare scrupolosamente l’identità degli effettivi destinatari dei finanziamenti elargiti dalla “Qatar Charity”, verificando che non vengano o che non siano già stati utilizzati per attività d’indottrinamento e radicalizzazione.
In tale ambito, la Commissione dovrebbe chiamare l’UCOII a fare chiarezza sui restanti 25 milioni di euro che la “Qatar Charity” ha versato nelle sue casse, smentendo se vi riesce la documentazione fornita da Qatar Papers, che conferma il versamento di 50 milioni di euro nel biennio 2013-2014. L’UCOII dovrebbe poi spiegare in che modo sono stati impiegati i 5 milioni di euro oggetto del processo in corso a Bergamo e di cui la “Qatar Charity” ha chiesto la restituzione. La Commissione dovrebbe anche indagare sulle donazioni ricevute dall’UCOII negli anni successivi a quelli considerati da Qatar Papers. Dal 2015 a oggi, l’UCOII ha ricevuto nuovi finanziamenti dalla “Qatar Charity”? Inoltre, oggetto d’indagine per la Commissione dovrebbero essere i legami dell’UCOII con Al Qaradawi e le numerose organizzazioni islamiste in Europa e Medio Oriente riconducibili, direttamente o indirettamente, ai Fratelli Musulmani e supportate dal Qatar e dalla Turchia di Erdogan.
La Commissione, nell’ambito della lotta al terrorismo jihadista, dovrebbe promuovere l’adozione da parte del governo e delle procure di misure volte a stroncare le attività di proselitismo dei Fratelli Musulmani, a cominciare dal divieto per il Qatar di trasferire fondi in Italia e dall’introduzione di controlli stringenti sui bilanci e le movimentazioni di denaro ad associazioni sospette. I Fratelli Musulmani, infatti, occultano le donazioni che ricevono dall’estero attraverso il rodato sistema dell’hawala, che si avvale d’intermediari basati in territorio italiano apparentemente non legati al movimento, mentre con lo stesso sistema contribuiscono al cosiddetto “jihad per procura”, trasferendo somme a gruppi estremisti e terroristici nei vari teatri di crisi. Secondo la Direzione Investigativa Antimafia, le località con il primato delle rimesse verso l’estero nelle quali si nascondono finanziamenti a organizzazioni islamiste sono Milano e la Lombardia, dove la presenza della Fratellanza è in forte ascesa.
In una recente nota basata su informazioni provenienti dalle agenzie dell’Unione Europea, i servizi d’intelligence hanno messo in guardia dalla minaccia sempre incombente dell’ISIS, pronto a colpire strade, stazioni, aeroporti, aree di servizio. Tuttavia, nessun riferimento alla necessità di prosciugare la fonte ideologica del terrorismo: i Fratelli Musulmani, che continuano a seminare la cultura dell’odio con i finanziamenti del Qatar. Si riconosce l’esistenza di attività d’indottrinamento volte a reclutare nuovi adepti da utilizzare per attacchi terroristici, specie tra i giovani della seconda e della terza generazione, ma questa realtà sembra essere accettata passivamente e ogni intervento è rimandato a radicalizzazione avvenuta. L’Italia e l’Europa vogliono davvero sconfiggere l’ISIS? Le centrali di propagazione dell’estremismo non devono essere scoperte. Sono già tutte localizzate e per neutralizzarle bisogna solo decidere di passare all’azione.

*Contributo di Souad Sbai al Rapporto sull’islamizzazione d’Europa della Fondazione Farefuturo

IL TERRORISMO DI MATRICE ISLAMICA

La tragica data dell’11 settembre 2001, con l’attacco terroristico di Al Qaeda agli Stati Uniti, rappresenta un punto di “non ritorno” e stabilisce una linea di demarcazione, nell’immaginario collettivo globale e nella storia mondiale, tra un prima ed un dopo. E’stata una dichiarazione di guerra da parte dei fondamentalisti islamici all’Occidente! Ed il mondo è cambiato. I nostri figli ed intere generazioni sono nativi del “dopo 11 settembre” e, da allora ad oggi – purtroppo – abbiamo assistito ad un innalzamento della minaccia terroristica, ad una sua evoluzione tecnica ed alle molteplici modificazioni dei fenomeni terroristici.
Si è affermato, nel tempo, un nuovo modello terroristico ed il tema resta nevralgico e permane come cruciale e strategico, così come permanente è la minaccia che terroristica, al di là ed oltre la scomparsa della realtà statuale e geografica del sedicente “Stato islamico” di Daesh. Quel frutto del processo di trasformazione, espansione e radicamento del gruppo terroristico dell’Isis (nato come una cellula di al-Qaeda in Iraq nel 2013), che è riuscito – con molti e noti appoggi e finanziamenti stranieri – a conquistare militarmente un’area compresa tra la Siria nord-orientale e l’Iraq occidentale, ad organizzarsi in uno “Stato” con le proprie strutture ed assetti sociali ed a proclamare il Califfato (giugno 2014).

Dopo gli attacchi terroristici del 2004 (Londra), del 2007 (Madrid), del 2011 in Norvegia , ci si avvia verso una tragica escalation di attentati di matrice islamica e, dal fatidico 2014 (nascita di Daesh) al 2019 si sono registrati, attacchi terroristici continui, di intensità diversa (bassa, media, alta e quelli definiti emulativi) e di natura mista (attacchi di singoli attentatori o strutturati), con il picco toccato nel 2016 (l’anno degli attentati, tra gli altri, a Bruxelles, a Nizza, a Berlino , rivendicati dall’Isis e risultati legati a quelli di Parigi del 2015) .
Secondo il Report realizzato dal “National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism” (START) sulla base dei dati raccolti dal “Global Terrorism Database” (messo a punto dall’Università del Maryland) , gli attentati terroristici del 2016 in tutto il mondo (l’87% ha interessato la regione del MENA, il Sud dell’Asia e l’Africa subsahariana; il 2% l’Europa occidentale) sarebbero stati 13.488 ed avrebbero causato 34.676 vittime di cui più di 11.600 sono ritenuti attentatori; nel 2016 l’Isis si conferma come l’organizzazione terroristica più pericolosa ed attiva, portando a compimento circa 1.400 attacchi che hanno prodotto oltre 11.700 vittime , delle quali circa 4.400 erano attentatori.
E nel 2017 altri attentati terroristici: Istanbul, Londra, San Pietroburgo, Stoccolma, Manchester, e ancora Parigi e ancora Bruxelles , Amburgo, Barcellona e , purtroppo, potremmo continuare perché nonostante la flessione del numero degli attacchi, la media è rimasta alta.
Nel corso di questi anni di sangue gli attacchi condotti in Occidente non sono stati tutti uguali; alcuni sono stati molto sofisticati e condotti da professionisti addestrati, altri da emulatori meno preparati o addirittura improvvisati ma questo non gli ha impedito di portare a compimento i piani terroristici, sottolineando una certa permeabilità dei sistemi di difesa e sicurezza europei. Che si trattasse di “lupi solitari” o di cellule organizzate (che hanno potuto godere del supporto di molti fondamentalisti islamici presenti in Europa) l’offensiva jihadista si è protratta, dimostrando l’inefficacia di alcune strategie ed una debolezza strutturale nelle segnalazioni e nelle misure preventive. Troppi, infatti, i casi rivelati dalla cronaca e dalle indagini successive agli attentati, di sostenitori della Jihad che hanno dissimulato con successo il loro ruolo di fiancheggiatori (o molto di più!), dietro una facciata di integrazione e “mimetizzazione” occidentale; svolgendo per anni una funzione logistica, di propaganda, di finanziamento e di reclutamento utili alla causa. La tecnica della dissimulazione (in arabo taqyyia) è sempre più utilizzata dai soggetti radicalizzati per la loro infiltrazione nel tessuto sociale occidentale.
Tutti attacchi terroristici rivendicati, nella stragrande maggioranza dei casi, nel nome dell’Isis, con una frequenza elevata (e grande impatto mediatico, come voluto alla strategia degli stragisti) ed un evoluzione del fenomeno da cui emerge che si tratta di operazioni studiate e coordinate con “team-raid” tattici , in alcuni casi simultanee, compiute da soggetti radicalizzati e, tendenzialmente, di giovane età e con la cittadinanza europea, da commando suicidi, attentatori disposti al martirio in ossequio estremo alla loro fede islamica radicale.

Il bilancio complessivo degli attentati subiti dall’Europa (“il teatro operativo urbano europeo”) è impressionante, con migliaia di vittime civili colpite tra morti e feriti; sono cifre da guerra! Ma dietro gli aspetti quantitativi delle stragi – e non sono numeri, ma persone! – ci sono le necessarie analisi qualitative delle azioni terroristiche e delle loro rivendicazioni; la strategia dell’Isis e la minaccia jihadista hanno raggiunto il loro obiettivo, quello di rendere l’Occidente e l’Europa un “ campo di battaglia” attuando la tattica del terrore indiscriminato: “(…) frutto di un semplice principio dell’economia: ottimi risultati con un minimo investimento. Il susseguirsi di eventi sanguinosi che ormai da tempo riempiono intere pagine di giornali, nonché i profondi effetti tracciati sulle coscienze dei cittadini europei, lasciano un insegnamento per i giorni a venire: nessuno è al sicuro. La strategia dell’innalzamento del livello di prevenzione poteva forse risultare utile nei nefasti Anni di piombo, quando il nemico che si affrontava era noto, la sua ideologia comprensibile così come la lingua. Oggi la realtà è completamente diversa. I novelli terroristi agiscono per “delega divina”, hanno un background culturale completamente diverso dal nostro, parlano una lingua ai più sconosciuta e praticano una religione che solo negli ultimi anni si è fatta conoscere all’Occidente. (OFCS REPORT, La “delega divina” che autorizza le stragi‎‎)”; insomma l’incubo che prende forma e che assilla tutti, Governi e cittadini, la minaccia e l’insicurezza globali.
L’Europa, oltre che bersaglio si è rivelata una incubatrice (ma anche sorgente autonoma) di militanti, di estremisti, di Jihadisti di ritorno, di reclutatori e predicatori radicalizzati e la minaccia terroristica permane, come accennato, oltre la sconfittamilitare e la caduta delle roccaforti di Daesh e del sedicente Stato Islamico, perché ne resta l’ideologia e la sconfitta militare non è la fine della Guerra. Ed affrontare l’eredità della sconfitta dello Stato Islamico e la nuova minaccia terroristica è la sfida delle sfide; un terrorismo agguerrito e multidimensionale ci coinvolge, riguarda la sicurezza delle nostre collettività, richiede studi strategici adeguati e sofisticati e misure di contrasto mirate ed efficaci.

Il fenomeno terroristico, infatti, ha elaborato le sue nuove tecniche offensive e si è passati da un terrorismo tradizionale ad un “nuovo terrorismo insurrezionale”, multidimensionale, fluido, dinamico, contemporaneo, di matrice islamico-radicale. Vi concorrono atti coordinati ma anche le attività offensive isolate dei cosiddetti “lupi solitari”; gli attacchi suicidi, cui hanno cominciato a contribuire anche le donne: le mogli, le sorelle, le madri dei combattenti e, purtroppo, anche i bambini, impiegati come attaccanti suicidi, imbottiti di tritolo e mandati a morire telecomandati a distanza.
Non trova qui spazio e meriterebbe un capitolo a parte l’altro fronte dei foreign fighters che sono le donne; Al-Qaida non le impiegava mentre l’Is le ha utilizzate ampiamente: da quelle operative e combattenti , impiegate in ruoli militari operativi o di spionaggio o incaricate di condurre attacchi suicidi, alle mogli forzate dei miliziani del Califfato (comprate e costrette al matrimonio) , alle vedove, alle madri e alle sorelle dei combattenti jihadisti e poi i bambini, quelli indottrinati e obbligati a fare i soldati o i martiri e quelli – i “figli dell’Isis” – nati dai matrimoni forzati e , taluni, oggi ripudiati dalle loro madri.
Gli esperti di settore distinguono gli attacchi ad intensità bassa, media, alta; e quelli compiuti con armi cosiddette non convenzionali e condotti da soggetti singoli e attori solitari ed isolati dagli attacchi sferrati da gruppi strutturati o da reti di cellule organizzate. Si aggiungono, gli attacchi che convenzionalmente vengono definiti di tipo emulativo, che seguono quelli principali e coordinati e ad alto impatto mediatico, e proprio lo “jihad mediatico” evoca e produce un effetto virale e amplia la fascia di simpatizzanti anche se non radicalizzati.
Il nodo della radicalizzazione è un risvolto fondamentale del fenomeno. Solo un dato ed una riflessione introduttiva, al proposito; secondo le analisi e gli studi di settore il fenomeno di radicalizzazione risulta in aumento, ad esempio, all’interno delle carceri :+ 72% tra il 2016 e il 2017 e + 10% dal 2017 al 2018 (Fonte “ReaCT”, l’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo, nato per monitorare e prevenire il radicalismo e contrastare il Terrorismo e per contribuire alle politiche di difesa e di sicurezza dei Paesi europei e dei membri della NATO). Le prigioni sono i luoghi in cui il proselitismo raggiunge anche soggetti non radicalizzati e recluta facilmente.
Più sommerso ma non meno solido e preoccupante è l’aspetto della “radicalizzazione veloce” – che non coincide con il fondamentalismo – che utilizza i social media ed attraverso i social network si propaga esercitando una capacità di “fascinazione” ed un effetto reclutamento, suggestionando, in particolare, le fasce giovanili e quelle socialmente marginalizzate, sensibili ai richiami simbolici ed un bisogno di “appartenenza” identitaria unito ad una volontà di riscatto.
La radicalizzazione veloce talvolta coincide con l’auto-radicalizzazione individuale e produce il fenomeno definito di “reclutamento 3.0”, un processo che passa attraverso percorsi diversi da quelli tradizionali e noti, viaggia sul web e tramite canali meno ortodossi e formali anche rispetto alla pratica confessionale.
Osservato nel suo insieme il fenomeno della radicalizzazione si presta ad una duplice lettura: aumentano oggettivamente i soggetti radicalizzati ed i canali di radicalizzazione ma contestualmente si affinano le capacità degli operatori e degli analisti di individuare e rilevare le “sacche” di radicalizzazione, gli indicatori e le simbologie di reclutamento. Gli studiosi sono generalmente concordi nel ritenere che la radicalizzazione sia un fenomeno subdolo e sfuggente, dinamico e sottotraccia, difficile da contrastare e che debba essere fronteggiato anche con adeguate misure di prevenzione e di “de-radicalizzazione”; è indubbio che alla sua decifrazione contribuisca anche l’individuazione dei foreign fighters ed il loro ritorno in patria dopo la dissoluzione territoriale dello Stato Islamico.
I foreign fighters, i combattenti stranieri del Califfato che sono sopravvissuti, ritornano dai territori di guerra della Siria e dell’Iraq e rappresentano una minaccia reale; sono quelli che “importano” in Europa le tattiche di combattimento convenzionale e di guerriglia che hanno acquisito sul campo di battaglia e sono in grado, non solo di fare opera di proselitismo e radicalizzazione (dentro e fuori le carceri e nelle Moschee) ma anche di costituire cellule organizzate, capaci di azioni strutturate e pianificate secondo una strategia. Il ritorno dei foreign fighters può inoltre favorire anche un aspetto diverso da quello della nascita dei nuclei, ovvero può alimentare il numero e l’attività di soggetti operativi di prossimità, i “lupi solitari” ed il “combinato disposto” delle due figure costituisce un fattore di destabilizzazione interna agli Stati, rappresenta un rischio importante e costituisce la base della nuova allerta terrorismo.
Proprio la sconfitta dello Stato islamico ha incrementato il fenomeno dei rientri dei combattenti, una sorta di diaspora dei terroristi, soggetti il cui ritorno non è assimilabile a nessuna prospettiva che non sia combattentistica e terroristica. Inoltre, avvertono gli esperti di terrorismo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, potrebbero essere sopravvissuti almeno 30.000 foreign fighters di quelli che si erano uniti al Califfato e, ancora, dei circa 6000 che erano partiti dall’Europa per andare a combattere con l’IS (Stato Islamico) in Siria e in Iraq, almeno 2000 sarebbero rientrati. Sarebbero qui, a casa nostra! E nuovi attacchi Isis sono possibili, in Europa ma anche nel resto del mondo.
E l’allarme di nuovi attacchi in Europa (tendenzialmente di tipologia individuale-autonoma ed a “basso costo” e non coordinata ma potrebbero anche attivarsi reti di cellule internazionali) è stata appena confermato dal Rapporto Onu, datato 15 luglio 2019 e reso noto nel mese di agosto. E si tratta di una minaccia endogena (foreign fighters di rientro o terroristi dal passaporto europeo) ed esogena (che passa attraverso le direttrici migratorie della rotta balcanica e mediterranea).

L’ultimo Rapporto delle Nazioni Unite infatti, basato sui dati forniti dai servizi e dalle Agenzie di intelligence di tutti i Paesi membri dell’ONU, richiama l’attenzione mondiale sulla minaccia terroristica ed avverte che l’attuale diminuzioni degli attacchi terroristici sembra non essere destinata a durare a lungo e già entro l’anno in corso potrebbero essere sferrati nuovi attacchi ispirati dall’Isis. Insomma, la minaccia all’Europa è elevata e l’allarme resta alto in tutto il mondo; secondo gli esperti di terrorismo, lo scenario globale dei movimenti islamisti è estremamente preoccupante e continua a rappresentare una minaccia reale e significativa. A conferma della tesi per la quale, la scomparsa geografica del Califfato, del sedicente Stato islamico, non coincide con l’esaurimento dei fattori ideologico-religiosi e politici che hanno portato alla sua nascita e la minaccia terroristica resta attuale e se possibile più pericolosa, perché può produrre “nuovi brand” terroristici internazionali , nuovi leader e diffondere la radicalizzazione nelle forme che abbiamo analizzato. Viviamo nella consapevolezza, rafforzata anche dai contenuti del Rapporto, che è imminente il rilascio della prima ondata di foreign fighters arrestati dopo il loro rientro dai campi di battaglia del Califfato e che , fin qui, i programmi di deradicalizzazione e di prevenzione della radicalizzazione di carattere terroristico, si sono dimostrati inadeguati mentre il cosiddetto “califfato virtuale” continua a fare propaganda e reclutamento ed a godere di sostegni e mezzi economici (si valuta un accesso a fondi che vanno dai 50 ai 300 milioni di dollari e non mancano altre fonti (Cfr. studio Fondazione Icsa) che confermano i contributi di guerra ed i finanziamenti al terrorismo jihadista) e l’Isis ha le capacità operative per ordinare attacchi internazionali.

I miliziani di rientro dallo Stato Islamico, sono rimasti dei combattenti, sanno maneggiare armi ed esplosivi, sono pronti ad obbedire agli ordini, per loro il terrorismo è “un legittimo atto di guerra” e vedono nell’Europa il nuovo campo di applicazione delle loro teorie; dovrebbero essere sorvegliati, arrestati, messi nella situazione di non frequentare le moschee e di fare azioni di proselitismo. E non possiamo prevedere l’impatto emotivo sui potenziali attentatori, del richiamo lanciato da al –Baghdadi nel suo ultimo video, di colpire “con coltelli e veicoli” trasferendo il campo di battaglia dal Medio Oriente all’Occidente.
La “diaspora dei terroristi”, il flusso di ritorno dei foreign terrorist fighters nonché la presenza accertata in Europa di migliaia di fondamentalisti islamici, innalzano il livello della minaccia e richiedono una strategia condivisa e complessiva di intervento. E’ necessario incrementare il sistema di condivisione delle informazioni tra servizi di intelligence e le forze di polizia; realizzare l’interoperabilità delle banche dati e dei sistemi di informazione; implementare le misure di prevenzione e contrasto alla radicalizzazione. Su quest’ultimo aspetto gioca un ruolo fondamentale il Centro di eccellenza della Radicalization Awareness Network (Ran), istituito nel 2015 per fornire sostegno agli Stati membri e condividere prassi comuni, secondo un approccio multidisciplinare e multi agency; mentre sotto il profilo di coordinamento operativo nel contrasto alla minaccia terroristica, il compito principale è affidato al centro europeo antiterrorismo (Ectc), istituito a Gennaio 2016, in seno all’Europol (che pubblica annualmente il Report Terrorism Situation and Trend – Te-SAT). Al proposito vale la pena ricordare che l’ultimo Rapporto dell’Europol – l’Agenzia europea cui spetta il compito di assistere gli stati membri nelle attività di contrasto alla criminalità internazionale ed al terrorismo – contenuto nel documento TeSAT (luglio 2019) , ha lanciato l’allarme – unitamente alla relazione dei servizi di informazione italiani – sulle infiltrazioni jihadiste nei flussi di migranti e sui rischi connessi agli sbarchi, nonché sulla connessione tra il traffico dei migranti e il finanziamento al terrorismo di matrice islamista.

La sconfitta territoriale dello Stato islamico, infatti, ha portato il movimento a reinterpretarsi ed a delocalizzarsi nello scenario globale e in Europa. Nel suo complesso e nella sua complessità, il nuovo modello terroristico, non è circoscritto né circoscrivibile geograficamente ma sempre più fluido, diffuso territorialmente, più dinamico e multidimensionale; la nuova allerta terroristica richiede un diverso approccio metodologico per essere fronteggiato ed una definizione condivisa per una strategia di prevenzione e di contrasto davvero comune e in grado di rafforzare la sicurezza globale. Si tratta – anche e quindi – di modificare gli organi e le organizzazioni di intelligence, di rafforzare le attività di analisi della minaccia e i rapporti di cooperazione e di alleanza europea e internazionale; anche in considerazione degli spazi geopolitici instabili e delle nuove dinamiche globali. La mancanza di una definizione condivisa delle caratteristiche del nuovo modello di terrorismo condiziona e può pregiudicare il successo delle strategie di contrasto, perché complica la definizione comune dei parametri e dei criteri di valutazione delle Agenzie di Intelligence e degli altri stakeholder coinvolti e complica l’attività di analisi (e reazione) della minaccia.
La percezione diversa della minaccia può pregiudicare l’efficacia di una strategia di contrasto e portare alla sottovalutazione della capacità offensiva del fenomeno terroristico; può essere portata ad esempio la recente notizia, passata quasi sottotraccia, che la Corte europea dei diritti umani abbia stabilito che la “sharia non è contraria ai diritti umani e che non è proibito creare dei gruppi separati che seguano le norme coraniche”. Conclusione che di fatto rappresenta la negazione di millenni di storia europea e la resa incondizionata nei confronti di chi vuole annientare la nostra libertà e la nostra cultura. E ancora, c’è un’Europa che non considera politicamente corretta nel suo linguaggio formale (e nella sua narrativa!) l’espressione “terrorismo islamico” – titolo che invece abbiamo scelto per la nostra riflessione sulla minaccia esistente di un terrorismo non convenzionale ed insurrezionale di matrice islamica radicale! – e preferisce usare la definizione “minaccia terroristica di matrice jihadista”; il punto è che seppure si può operare una distinzione tra musulmani ed Islam, ed i suoi fedeli possono essere moderati e “dialogici”, la fede in Allah di un fondamentalismo radicale che si sta diffondendo, predica l’odio e la violenza verso i miscredenti.
Una percezione diversa della minaccia terroristica da parte dei singoli Stati Membri non solo non favorisce la necessaria interoperabilità dei dati al livello europeo ma condiziona- frena! – anche le politiche comuni di contrasto e di sicurezza mentre è urgente rafforzare gli strumenti giuridici ed operativi, i controlli alle frontiere interne ed esterne, la strategia di antiradicalizzazione e, migliorare la collaborazione europea in materia di difesa e sicurezza. La Commissione Europea sta studiando misure per il contrasto al radicalismo islamico ma la strada è ancora lunga e c’è tanto da fare in Europa anche in termini di coordinamento e controllo sulla libera circolazione stabilita dai Trattati di Schengen, per cui i terroristi possono muoversi liberamente tra gli Stati. Nel nostro Paese, oltre il difetto di percezione, mancano anche gli strumenti normativi, dalla carenza di percorsi strutturati e articolati per i processi di de-radicalizzazione all’assenza di una Legge (che Fratelli d’Italia ha proposto) che introduca il reato di integralismo islamico, per punire i predicatori d’odio, chi finanzia l’integralismo islamico e le moschee clandestine, chi sostiene atti che possono mettere a rischio la sicurezza pubblica. E non è solo una questione di sicurezza e di legalità ma anche di reazione al processo di islamizzazione che stiamo subendo in Europa e in Italia.

*Contributo di Isabella Rauti al Rapporto sull’islamizzazione d’Europa della Fondazione Farefuturo