Questo saggio di Maurizio Leo, economista e accademico, è stato pubblicato nel Rapporto Nazionale “Italia 20.20” della Fondazione Farefuturo
Già la Legge di Bilancio 2020 (e il decreto fiscale ad essa collegato) avevano dato prova del disordine, della disorganicità e della totale mancanza di visione strategica che regna nella legislazione fiscale, rendendo indifferibile, ormai, una riforma complessiva dell’intero sistema tributario che garantisca la certezza delle regole per la crescita dell’intero Sistema-Paese. I decreti coronavirus, una pletora disorganica e per niente intellegibile di decreti-legge (se ne contano, con implicazioni di carattere fiscale, almeno quattro, molte volte con disposizioni contrastanti fra loro), non hanno fatto altro che rafforzare l’esigenza di una seria e ampia riforma fiscale e della finanza pubblica che, prescindendo da qualsiasi condizionamento di forze esterne, sappia andare nella direzione dell’interesse nazionale.
Certo, nessuno si aspettava interventi strutturali di riforma in questi decreti emergenziali (anche perché una vera riforma fiscale necessita dell’apporto di tutte le forze in campo), ma la crisi epidemiologica che stiamo vivendo era, è (e dovrà essere) l’occasione per creare davvero un fisco equo orientato allo sviluppo (o alla difesa) del Sistema-Italia. Lo impone l’eccezionale situazione in cui ci troveremo nei prossimi mesi, in cui occorre evitare che fenomeni di recessione si trasformino in depressione continuata e irreversibile. L’obiettivo è avere un fisco più efficiente, più stabile, più equo, più certo e più moderno. Al momento, si contano già le occasioni perse. Di certo, non va nell’interesse nazionale non garantire competitività e sopravvivenza ai nostri imprenditori, commercianti e professionisti, esponendoli all’arbitrio delle banche e non consentendo loro di godere della liquidità necessaria quantomeno a tirare avanti.
Il filo conduttore su cui si fonda il piano di misure per la «liquidità» è quello di indebitare chi è già in difficoltà, ponendogli pure delle condizionalità (un Mes in salsa nostrana!). Si tratta di misure molto farraginose, che denotano la scarsa dimensione pratica di chi scrive le norme e che implicano procedure lunghe e aleatorie, che mal si conciliano con l’esigenza immediata di liquidità che permea il nostro sistema economico. Il paradosso di tali misure è che qui la liquidità la ottiene chi è economicamente e finanziariamente solido e non chi ne ha bisogno. Chi se ne avvantaggia, ancora una volta, sono i competitor esteri dei nostri imprenditori beneficiari di politiche di aiuto sicuramente più efficaci. Ancora più grave, perché riguarda tutti, è non avere previsto un meccanismo di sospensione generalizza dei versamenti di imposte e ritenute (anche oltre l’anno solare in corso).
Ad esempio, si sarebbe potuto prevedere di far pagare tutti gli acconti Irpef/Ires/Irap di quest’anno (o una loro parte consistente), nonché il saldo Irpef/ 143 Ires/Irap dell’anno scorso, entro il prossimo anno. Al contrario, attraverso decine di disposizioni di legge differenti (contenute in almeno tre decreti differenti) si è introdotto un complicato meccanismo di slittamento di adempimenti e versamenti, tutti di poche settimane, senza, ovviamente, alcuna riduzione del carico fiscale per i contribuenti. Bisognava prendere atto di una situazione diffusa di mancanza di liquidità e delle attuali difficoltà oggettive ad onorare i pagamenti (compresi quelli fiscali), che di certo non può risolversi con slittamenti minimi e non generalizzati. In pratica, si è fatto l’interesse dell’Erario ma non della Nazione! Ancora, non si è fatto l’interesse nazionale, non mettendo in discussione, per quanto riguarda le imposte a carico delle società, tutte quelle disposizioni limitative difficilmente giustificabili nel contesto post-coronavirus. Come si spiegano i limiti all’utilizzo delle perdite pregresse, magari generate proprio dalla sospensione temporanea disposta, per legge, delle attività economiche? Come si giustificano, ancora, in questa particolare situazione, in cui molte imprese si troveranno a indebitarsi oltre i limiti fisiologici, le norme sulla limitazione alla deduzione degli interessi passivi in rapporto al Rol?
Perché creare un disincentivo indiretto alla contrazione di nuovo debito, magari utile a fare investimenti o comunque a tenere in piedi l’azienda? In linea generale, non si è fatto l’interesse nazionale neppure perché disposizioni instabili e sempre mutevoli rappresentano un freno alla crescita economica e un disincentivo agli investimenti, necessario volàno dell’economia nazionale. Il punto è sempre lo stesso: una situazione di instabilità normativa, un via-vai di norme, è la prima causa di disincentivo agli investimenti, specie se provenienti da soggetti esteri, poco avvezzi a estendere la propria presenza in Paesi a bassa «certezza giuridica». In definitiva, interesse nazionale equivale anche alla credibilità del nostro Paese di fronte a chi decide di investire, denaro e risorse, ma vuole in cambio regole certe e definite che non mutino ogni dodici mesi. Tutte esigenze che saranno ancora più forti nell’era post-coronavirus.
Per il futuro, le sfide fiscali del nostro Paese passeranno dal rivedere l’Irpef (che diventi più equa e più decifrabile), dal creare un solido sistema di incentivi fiscali per chi investe (rivedendo il sistema Ace, gli ammortamenti) e dal farsi seriamente carico delle nuove sfide poste dall’economia digitale, che richiedono altrettante risposte comuni. Il tutto in nome della certezza delle regole e di un fisco che sappia porsi dei limiti. La speranza è che le occasioni perse dal Legislatore siano finite qui!
*Maurizio Leo, economista, accademico