Sicurezza e Mediterraneo, una questione cruciale

Le conclusioni del Forum di Roma

L’intensa due giorni di lavori (Roma, 11- 13 ottobre) con la partecipazione di autorevoli studiosi e parlamentari d’oltre oceano, europei , medio-orientali e africani ha fornito ulteriore conferma della proficua collaborazione in atto ormai da quasi due anni tra la nostra Fondazione, l’“International Repubblican Institute “( prestigiosa “think -tank“ statunitense vicina ma non organica al Partito Repubblicano) e il Comitato Atlantico italiano.

Si è trattato infatti del sesto Forum congiuntamente organizzato dalle tre fondazioni a poco più di un anno dal primo, su Europa e relazioni transatlantiche dopo la pandemia e il ritiro americano dall’Afghanistan, svoltosi lo scorso anno in non casuale coincidenza col ventesimo anniversario dell’11 settembre. L’evento, iniziato con una sessione aperta al pubblico nella mattinata del 12 ottobre per poi proseguire a porte chiuse, ha preso avvio con interventi del responsabile del Dipartimento per le Relazioni Transatlantiche dell’IRI, Ian Surotchak giunto espressamente da Washington, dell’Incaricato d’affari americano presso il polo onusiano romano Rodney M. Hunter e del Presidente della nostra Fondazione,  Adolfo Urso.

Al centro delle discussioni le ricadute sull’area EMEA (Europa, Mediterraneo e Africa) dell’aggressione russa all’Ucraina analizzate nelle loro diverse dimensioni: da quella della sicurezza alimentare, a quella energetica, fino a quella migratoria. Il tutto nel segno di una ribadita comune fedeltà ai valori dell’atlantismo che ha costituito il filo conduttore di tutti i Forum sinora realizzati in partenariato dai tre organismi.

Il forte apprezzamento americano per la salda e inequivoca collocazione di Farefuturo è stato manifestato a chiare lettere dal direttore Surotchak nel suo saluto a nome dei vertici dell’IRI.

Il senatore Urso si è soffermato su tre aspetti qualificanti: 1) la sfida lanciata alle nostre democrazie nei più diversi scacchieri dalle potenze autocratiche, come la Repubblica Popolare cinese e la Russia di Putin; 2) la necessità di una risposta ferma e congiunta da parte dell’Occidente, in uno spirito di forte solidarietà e coordinamento euro-atlantico; 3) il rilievo crescente che la regione mediterranea, così come quella centro/nord africana, sta rivestendo ( e appare destinata ancora a lungo a rivestire) in tale confronto di civiltà e per il controllo delle fonti energetiche e delle materie prime, a cominciare dalle terre rare cruciali per la competitività dei nostri sistemi industriali.

Urso ha sottolineato anche come il ricatto energetico e quello alimentare esercitato dalla Russia ai danni dell’Occidente (e dell’Europa e Africa in particolare) non rappresentino che altrettanti tasselli della guerra ibrida portata avanti nei nostri confronti da Mosca ( e Pechino) anche attraverso articolate campagne di disinformazione, sia in Europa sia nel continente africano; campagne alle quali è doveroso rispondere avvalendosi di ogni appropriato strumento, anche sul terreno della contro-narrativa.

Dobbiamo pertanto investire, ha proseguito il Presidente Urso, sia in Africa sia nella sponda sud del Mediterraneo in uno spirito di “autentico partenariato” con i paesi dell’area anche sul fondamentale versante della sicurezza alimentare. Se investiremo in questo senso, ha proseguito, sconfiggeremo anche l’altra minaccia: quella delle migrazioni incontrollate. Migrazioni, ha rilevato, che creano un serio problema anche nei paesi africani, che perdono così le loro intelligenze migliori. Per tale motivo è indispensabile, ha voluto sottolineare, sviluppare d’ora in poi una “grande politica Italiana, europea e occidentale nel Mediterraneo allargato e nel continente africano”. Perché quella parte del mondo potrà raggiungere un vero benessere, fondamentale anche ai fini del contrasto al terrorismo di matrice islamista, solo in stretto raccordo con l’Occidente ciò di cui anche da parte americana, ha concluso, si è sempre più consapevoli.

Spunti di interesse sono emersi anche dalle successive sessioni a porte chiuse. Con riferimento ad esempio, nel caso della sicurezza alimentare, alla necessità per l’Occidente di adottare ai fini dell’assistenza ai paesi più fragili del continente africano un approccio multisettoriale. Essendo chiaro che la sicurezza alimentare, l’accesso a condizioni sostenibili alle fonti di energia, la salute e la governance sono dimensioni strettamente interconnesse, cosicché quando anche solo una delle stesse viene a essere fragilizzata ne derivano onde di shock su tutte le altre.

In sostanza, e per concludere, il Forum ha offerto eloquente riprova del ruolo di primo piano che la nostra Fondazione si è ritagliata, per molti versi un “unicum”, nel corso dei due ultimi anni, in Italia e non solo: quale prioritario punto di riferimento per tutti gli ambienti e organismi che abbiano a cuore, da un lato, le sorti dell’ Occidente nel confronto con gli stati autocratici; e, dall’altro , la volontà di fornire risposte concrete e credibili alle criticità che in tante aree del mondo portano acqua al mulino dell’estremismo e dell’instabilità.

*Gabriele Checchia, responsabile per le Relazioni internazionali della Fondazione Farefuturo

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La guerra in Ucraina e la reazione di UE e NATO

Farefuturo, International Republican Institute e Comitato Atlantico Italiano, hanno organizzato un importante convegno il 14 e 15 marzo u.s. su “La crisi ucraina: il ruolo
dell’Alleanza Atlantica e dell’Europa”.Nell’intervenire a nome del Comitato Globale per lo Stato di Diritto – Marco Pannella, ho svolto alcune considerazioni che ho ulteriormente sviluppato in questo breve articolo per Charta Minuta.

L’imminente tragedia che un potere criminale di matrice nazi-comunista ha scatenato sull’Europa, colpendo l’eroica nazione Ucraina, il suo popolo, la sua identità pluralista e democratica, libera e solidale, deve essere riconosciuta, sentita da ogni europeo: non con giravolte facili e assicurazioni stucchevoli, ma deve essere dimostrata – tale consapevolezza – nei fatti, nei comportamenti, nel riconoscimento delle responsabilità. Anche per discutere di ricostruzione della pace e della sicurezza nel Mediterraneo, specialmente nel Mediterraneo Orientale, dobbiamo riconoscere – prima di avanzare proposte o sottoscrivere impegni – le responsabilità che hanno contribuito a scatenare la bestialità sanguinaria dei carnefici, e a impedire alle vittime di proteggersi e di essere protette.

Dobbiamo riconoscere le responsabilità; e queste sono di tutto l’Occidente: per non aver fermato Putin, con la politica di una vera deterrenza militare, economica, di influenza sino dal primo manifestarsi delle sue ossessioni sanguinarie nella Seconda guerra in Cecenia; e di non averlo mai voluto fare in seguito, nelle tappe di un crescendo sistematico da parte della Russia di Putin di “terra bruciata” in Georgia nel 2008, in Siria nel 2013, in Ucraina (Donbass e Crimea) nel 2014, ed ora nella completa distruzione di un immenso paese, ricchissimo di civiltà di umanità e di risorse.

Siamo, noi europei ed americani, responsabili come e forse più che nel ’38 a Monaco – e dico “che a Monaco” perché ora incombe persino la minaccia di un Olocausto nucleare che Putin brandisce – di una radicata propensione all’”appeasement” a tutti i costi, motivato dagli affari,dalla convenienza, dalla corruzione o semplicemente dalla colpevole ignoranza su quanto avvenuto sugli ultimi vent’anni tra Nato, UE, Russia e Cina.

Ma non basta certo nascondersi dietro a un gesto facile di generico senso di autocommiserazione tipica dell’”intellettualismo” anti-Atlantico purtroppo diffuso in Occidente, per non aver fatto capire come non sia assolutamente vero e si debba cessare di insistere che tutti i mali del mondo, le rivoluzioni totalitarie, gli spaventosi conflitti degli
ultimi due Secoli sono monopolio esclusivo delle Democrazie liberali dell’Occidente, ma piuttosto il netto contrario.

Discutere di pace e stabilità nel Mediterraneo significa ragionare su strategie politiche, economiche e militari, per ottenere equilibri durevoli ricostruendo capacità di una deterrenza credibile dell’Occidente – nel rispetto di norme e principi condivisi – nei confronti della Russia e della Cina, e di altre potenze regionali che sono peraltro sostenute da una visione fondamentalista e messianica nel loro ruolo, come l’Iran.
Occorre liberarsi da pregiudizi, basarsi sulla conoscenza di dati e di uomini, in modo da individuare e condividere i sacrifici da fare e le opportunità per far valere i nostri interessi nazionali. La catastrofe umanitaria, e persino identitaria – e quindi una strategia di genocidio – che il nazi-comunismo di cui è intrisa l’esperienza umana, professionale e ideologica di Putin ha imposto all’Ucraina, esige anzitutto di riconoscere che il prioritario interesse nazionale dell’Italia è di garantire la libertà e la sicurezza in Europa, nella Comunità Atlantica, nell’Indo-Pacifico. A tal fine l’obiettivo politico da perseguire riguarda l’impegno che va oltre la stessa deterrenza militare e si deve trasformare in “deterrenza politica”: attraverso il più fermo contrasto e la coesa risposta all’immenso apparato di disinformazione, di censura esportata, di pesantissima influenza che Putin ha infiltrato ovunque in Occidente, e che continua a infiltrare per incrinare la nostra volontà di risposta. Si tratta di far reagire non pochi settori dell’opinione pubblica, dell’informazione e della politica, che la Russia ha da molto tempo “coltivato” per trovare alleati all’interno delle società liberali. E lo ha fatto per
proseguire impunemente e continuare a trovare risorse – essendo la Russia un gigante militare ma un nano economico sulla soglia del fallimento – per raggiungere i suoi obiettivi criminali,e ora persino genocidari di eliminazione del popolo e dell’identità ucraina.

Nel 2013 l’attuale Capo di Stato Maggiore della Federazione Russa, lanciava la cosiddetta “dottrina Gerasimov” che sosteneva la priorità da riservare ai conflitti con l’Occidente ancor più che allo strumento militare, alla disinformazione, alla propaganda, alla infiltrazione degli strati influenti delle società liberali, per destabilizzarle dall’interno e poterle quindi agevolmente sottomettere. L’anno dopo, nel 2014, la disinformazione di Mosca in Occidentee in Ucraina, su Crimea e Donbass è stata centrale nell’offensiva russa che ha portato all’annessione della prima e a un conflitto con almeno diecimila vittime e già durato otto anni
in Donbass. Non ci vorrebbe certo altro per dimostrare che il primo strumento di difesa di cui disponiamo deve essere inflessibile e dura denuncia di tutti coloro che Putin l’hanno da sempre sostenuto e di quanti ora sostengono di fatto, esplicitamente o implicitamente, il “Patto d’Acciaio del XXI Secolo” tra Mosca e Pechino. La denuncia non può ignorare tutti quelli che avendo giustificato e propagandato velenosamente le sue buone ragioni di Putin persino dopo che i 180.000 militari russi erano già al confine ucraino per invadere il Paese, appaiono disposti, o interessati, a continuare a farlo, continuando ad applicare la “dottrina Gerasimov” per minare
le società liberali dall’interno. Persone, enti di ricerca, media, ambienti di “intellettuali” che magari ora restano zitti o fingono di essersi improvvisamente svegliati dinanzi al genocidio ucraino, ma che sono sempre pronti e disponibili – come numerosi tedeschi nella Germania Orientale che collaboravano con la Stasi – a ridare fiato ai loro megafoni appena i primi segni di stanchezza o di insofferenza verso il perdurare del conflitto, dovesse acuirsi in seno alla Nato e all’UE.

A tale mondo appartengono purtroppo enti di ricerca che, come durante la Guerra Fredda sceglievano il campo sovietico sotto la bandiera del “pacifismo” e del “neutralismo”, hanno continuato a tirare la volata alla propaganda del Cremlino quando già da almeno quattro mesi era dimostrato un gigantesco schieramento di forze russe sui confini ucraini. E’ il caso emerso, ad esempio, con la pubblicazione il 27 gennaio scorso su Charta Minuta dell’appello indirizzato ai Presidenti delle Istituzioni europee, dal think tank francese Geopragma con le tesi ben note della propaganda di Putin, circa le condizioni di una “pacificazione duratura”
nei rapporti tra USA, Nato e Russia. In particolare, si insisteva per il pieno riconoscimento del referendum in Crimea (anche se condannato dall’Onu) e quindi della appartenenza della Crimea allo Stato russo; il “reciproco abbandono di tutte le sanzioni politiche ed economiche” – incluse quelle per l’illegale annessione russa della Crimea, e per il conflitto in Donbass alimentato da Mosca – spingendosi a commentare, come tipico della propaganda russa “L’Occidente si riduce agli Stati Uniti, a un’Europa mentalmente e strategicamente vassalla, a una visione del mondo che da più di 30 anni stenta a metabolizzare le fine della Guerra Fredda”. Come ha scritto il 12 marzo scorso Atlantico ha sottolineato come il pensiero «…“meglio russi che morti” sia il succo del discorso di gran parte dei commentatori in queste settimane
di guerra Ucraina. Man mano che la guerra si prolunga, l’appello per la resa incondizionata degli ucraini si fa più forte e sentito, condito con discorsi terroristici su possibili escalation e guerre nucleari. Per alcuni il problema di questo conflitto è solo uno e si chiama: Zelensky, il Presidente ucraino il cui Paese è stato aggredito. La sua colpa? Resistere ai russi. Più resiste, dicono costoro, più sarà il responsabile delle vittime militari e civili del conflitto. Un pacifismo peloso, mascherato da umanitarismo, ma con la stessa logica dei Borg, razza aliena inventata dagli sceneggiatori di Star Trek: “Assimilatevi, la resistenza è inutile”. Questo pacifismo lo avevamo già visto in azione durante la Guerra Fredda, quando la sinistra di piazza e di opposizione chiedeva il disarmo unilaterale della Nato. Se i sovietici avessero invaso la Germania Ovest, avremmo dovuto accoglierli con i sorrisi e i fiori, se avessimo invece opposto resistenza sovietici avrebbe potuto innervosirsi. E sai, se una potenza nucleare si innervosisce…. La logica è esattamente la stessa: se i russi invadono l’Ucraina, i difensori devono accoglierli con tutti gli onori e guai agli europei se provano a protestare. La Nato non sta intervenendo, l’UE è neutrale, ci limitiamo a mandare armi leggere ed anche la fornitura di vecchi caccia sovietici dalla Polonia viene negata. Al massimo la risposta consiste in sanzioni economiche e una protesta politica all’Onu. Ma per alcuni commentatori, questa reazione pressoché nulla è già da considerarsi un atto di belligeranza. A loro avviso,
dovremmo solo voltarci dall’altra parte. E sorridere. Perché se non sorridiamo, i russi si innervosiscono.

E sai, se i russi si innervosiscono… hai capito, no?”…»

L’aggressione criminale della Russia a un grande popolo libero, che aveva riacquistato la libertà, nel cuore dell’Europa, è un drammatico spartiacque, come era stata la fine della Seconda Guerra Mondiale e la calata della “cortina di ferro”. Ora la cortina non è solo tra libertà e oppressione: è anche tra Diritto, legalità, rispetto dei Diritti umani e Stato di Diritto da un lato; e aggressione, genocidario uso della forza, radicalizzazione ideologica e disprezzo per ogni Trattato o Accordo sottoscritto.

Con l’Ucraina è calata una “cortina di aggressione”, contro l’Europa, nel Mediterraneo in Medio Oriente, sino all’Asia e al Pacifico. La Russia di Putin ne è la protagonista da
quattordici anni. La Cina di Xi Jinping, sua alleata, da dieci anni. Ma ora l’Occidente c’è; è coeso; sta rispondendo. La coesione e risposta devono rafforzarsi.
Spetta a noi. Nato, UE, Indo-Pacifico, Mediterraneo sono le aree geopolitiche dove l’Occidente e i paesi like mindend devono rafforzare la loro strategia, difendere puntualmente i loro interessi nazionali e collettivi, e soprattutto – rendere inoppugnabilmente credibile, e temibile la loro deterrenza: per capacità di “resilience” e di “risposta” economica, tecnologica, militare. In una parola deve accrescersi e mantenersi a livelli sempre più elevati la deterrenza complessiva dei loro sistemi nazionali e delle loro organizzazioni e Alleanze. Per l’Italia, questo significa alimentare la piena consapevolezza dell’opinione pubblica interna e della classe politica, su provenienza, natura, intensità della minaccia: dalla Russia, dalla Cina, e dai loro alleati altrettanto messianici e fondamentalisti come l’Iran.
Il Mediterraneo è il playfield fondamentale per la sicurezza italiana e un playfield essenziale per quella Atlantica. La deterrenza nel Mediterraneo ha acquisito un valore esponenzialmente accresciuto dopo la tragedia Ucraina: la Russia a Tartus e le sue altre basi in Siria; la Cina da Gibuti al Pireo, a Trieste; la Turchia e la Russia in Libia sino al Sahel; l’Alleanza di Russia e Cina con l’Iran anti-israeliano e antisemita; la Turchia a Cipro, in fase di nuova aggressione. Sono tutti termini scomponibili e ricomponibili in pericolose equazioni. Sovrasta su tutto la distruzione del popolo, dello Stato, della identità ucraina da parte di un Presidente criminale, Putin. Sovrastano le minacce sulla nostra sicurezza che sono poste dalle Vie della Seta: veri cavalli di Troia acclamati in Italia perfino da ex Presidenti del Consiglio e Ministri di Governo; ed ora diventate vere e proprie autostrade per il dominio strategico da parte dell’Asse neo-imperialista tra Cina e Russia.

Non vi è infatti una sola “Via della Seta”, terrestre, marittima, scientifica, tecnologica e Cyber che non rappresenti nella sua reale declinazione una “Via della Sottomissione” per i Paesi o i mari da essa attraversati.

Il “Patto di Acciaio del XXI Secolo” tra Putin e Xi, santificato il 4 febbraio scorso, sugella la minaccia militare, oltre che di influenza politica ed economica, delle già osannate “Vie della Seta” che il Governo italiano dell’epoca ha, per primo in Europa, sottoscritto entusiasticamente in occasione della visita di Stato di Xi Jinping a Roma.

*Giulio Terzi di Sant’Agata, ambasciatore,  presidente Global Committee for the Rule of Law-Marco Pannella presidente Global Committee for the Rule of Law-Marco Pannella

 

Siamo più forti uniti. Il nostro orgoglio di lavorare insieme con partner italiani

To say that COVID19 has changed us may sound self-evident. Indeed, our daily lives have been so much affected by the virus that we now even wonder whether we will ever return to pre-pandemic “normal”. But whatever the impact on our individual lives, it is also important to analyze and understand the long-term changes that have happened at a higher level in our politics, the functioning of our democracies, and international relations.

For a number of reasons, Italy is probably the country in Europe that has been at the forefront of the momentous change we have lived over the past two years. Italy was the first country in Europe to shut down its economy due to the unexpected arrival and spread of the virus. Italy was also the country that paid the highest price last year for the first lockdown and, interestingly enough considering the rise of Euroscepticism in the country over the past few decades, it will also be the biggest single beneficiary of the European recovery fund – a lifeline for the national economy, and a unique opportunity to engineer a new start for the country, after 30 years of economic difficulties. Finally, Italy was also at the center of attention for Russian spies and Chinese propagandists, as they tried to use the occasion to weaken the country’s security and ties with its allies. To say that these attempts have backfired spectacularly may be true, but this is certainly not the end of the story. Russia will be back, and so too will China, as it desperately tries to extend its influence in Europe, sending more countries in a debt trap and extorting political favors from economic dependence.

There is much that Europeans (and more largely Westerners) can learn from Italy’s experience in fighting off the virus, and Italy is a key ally for the United States, as well as a key member of the European Union. With this in mind, and as the pressure builds on the Mediterranean – with the crisis in Afghanistan, but also the pressure China is exerting to gain a foothold in this key sea for East-West trade, it is high time for us to talk. This is what drove the International Republican Institute to organize this LEAD21 event in Rome, bringing up-and-coming MPs to discuss the lessons we can all take from the past year and a half, and most importantly talk about the future of Southern Europe, of the Mediterranean, and of the Transatlantic relationship.

Such an ambitious endeavor requires allies, and to provide the highest quality of debates, IRI, together with their Italian colleagues and experts from our partner organizations, Fare future, the Italian Atlantic Committee, but also the Fondazione de Gasperi and the Fondazione Luigi Einaudi, is glad to have teamed up with some of the best brains in the country to set up this discussion with  Europe’s future political leaders. The diversity of these think-tanks is in itself an asset, allowing for a wider and (importantly) a more profound debate, with conclusions not set as a foregone conclusion, but as the result of research and deliberation. Such is the strength of the West, and this seminar will be yet another chance for us to demonstrate that debate and intelligent dialogue, not the monolithic model offered by our adversaries, is the way forward.

Success requires teamwork, and this event is no exception. But in every team, some players are always more special than others, and so we are particularly grateful to Farefuturo for bringing the discussion to new levels in terms of international security, a crucial topic after this summer’s events, for inviting the group to debate in the Senate, and also for bringing us all together to commemorate the victims of jihadi terrorism – and those who fell fighting against it – at the Vittoriano, such an important symbol of Italian patriotism, where so many who fell for freedom and the unity of their country are celebrated.

The event that we are organizing together with our Italian friends these days should not be taken as a single event. It is part of a much wider discussion that IRI has undertaken in Italy and more widely in the Mediterranean. Together with politicians and actors in the think-tank universe, we believe it is time to discuss – and shape – the future of the Transatlantic alliance, and that of the Mediterranean. We also need to build a constructive dialogue about the current challenges facing our democracies – all of these crucial for the success of the West in the future, may the perspective be from Rome or Washington.

For this large and ambitious project, IRI is happy to have found in Farefuturo a great partner, with whom we hope to continue working in the future, through the exchange of ideas and further events we hope to organize jointly. This September event is the start of what we hope to be a long and mutually beneficial relationship.

 

*Thibault Muzergues, Europe and Euro-Med Program Director, Transatlantic Strategy