Siderurgia, la politica abbia visione!

La politica abbia visione!

La sentiamo pronunciare da tempo e da più parti ma cosa significa e come la si declina questa miracolosa parola che non è più un obiettivo ma è diventata una necessità? È giunto il momento di traslare il significato che da adito a molteplici interpretazioni su un piano operativo e concreto di idee e progetti atti a creare condizioni favorevoli per un nuovo e solido sistema Paese.La visione per essere realizzata ha bisogno di modelli e, più precisamente nel contesto sociale ed economico in cui viviamo, di Modelli Strategici Integrati. Applicare una visione al settore siderurgico, nello specifico ad un esempio dei nostri giorni come la crisi ILVA, significa cercare di dare un contributo di idee concrete alla soluzione di un problema che impatta su più piani e più livelli.

L’Italia ha bisogno del settore siderurgico ed ha bisogno di ILVA, l’industria da troppi anni per motivi ideologici ancora oggi radicati paga un ostracismo che ci ha reso deboli sui mercati globali. La responsabilità di questo retaggio culturale è anche della stessa industria che non ha voluto e saputo comunicare nel modo giusto, non ha fatto innovazione e ristrutturazioni volontarie se non quando il mercato le ha imposte. ILVA ha un impatto nazionale ed europeo sul comparto dell’acciaio ma anche sul tessuto economico e sociale della Puglia e dell’intero Sud. Voler dare soluzione al problema guardando solo all’azienda e alla riqualificazione green delle linee produttive è illusorio e riduttivo, dieci anni di tentativi su questa linea di pensiero dovrebbero essere sufficienti per capire che è necessario cambiare strategia.

Un Modello Strategico Integrato è quella cornice operativa che vede attuare strumenti e strategie dove l’azienda è un attore e non l’attore, dove il regista è lo Stato che guida e coinvolge con le opportune politiche le forze economiche, sociali, culturali del territorio per un grande progetto di interesse comune. L’Italia ha bisogno di acciaio, di innovazione, di eccellenze che esprimano le capacità, le conoscenze e competenze delle esperienze tra settori differenti per sviluppare nuovi business, nuove aziende, nuovi posti di lavoro, nuove opportunità di crescita del Paese per affermarsi nei mercati globali.

Nell’immediato futuro, solo per citare alcuni focus d’interesse:

– l’Italia e le aziende italiane avranno bisogno di acciaio e soprattutto di acciaio di qualità.

– l’acciaio sarà il materiale da costruzione del futuro soprattutto in Italia perché più Eco e Riciclabile.

– nei prossimi 20/30 anni il patrimonio immobiliare e infrastrutturale del Paese sarà giunto a fine vita, Acciaio, legno e plastica, prenderanno sempre più campo sul cemento.

– il know-how italiano sulla produzione di acciaio che sull’impiantistica innovativa e green   è da leader mondiali.

– in Italia la capacità di studiare, realizzare e produrre acciai di alta qualità, tipologie e composizioni innovative per utilizzi tradizionali e in applicazioni speciali è straordinaria. Dal mondo delle costruzioni e ricostruzioni (in ambito sismico sarà strategico) alla meccanica e robotica avremo sempre maggior bisogno di studiare e realizzare nuovi prodotti.

In questo contesto, applicare un Modello Strategico Integrato ad ILVA significa:

– riconversione della città di Taranto (salute, lavoro, economia, cultura, turismo).

– delocalizzazione della struttura produttiva ILVA in altra area fuori Taranto con polo integrato di produzione di acciaio e semilavorati speciali (meno quantità più qualità)

– bonifica ex area ILVA.

– realizzazione di un Campus Universitario dell’Acciaio (tecniche, tecnologie, studio, ricerca e sviluppo, architettura, ingegneria sismica, costruzioni, meccanica, robotica,, ecc..), giovani e studiosi da attrarre da tutto il mondo, una eccellenza per il mondo dell’acciaio. Le università del futuro oltre alla formazione iniziale dovranno ri-qualificare, ri-formare, ri-convertire le 3C (competenza, conoscenza, capacità) di ogni profilo professionale. La formazione continua sarà una necessità per tutta la vita lavorativa, dall’operaio al manager e la sinergia tra università e imprese sarà decisiva.

– realizzazione di un’area di eccellenza industriale con attività connesse e complementari alla Nuova ILVA (sismica, meccanica, robotica, aerospaziale, impiantistica, ecc..)

– realizzazione di un museo dell’acciaio e dell’industria.

– ri-qualificazione e ri-valorizzazione del quartiere Tamburi e dei quartieri limitrofi, costruzione di un quartiere attrattivo con grattacieli in acciaio simbolo di sviluppo della Nuova Taranto.

– realizzazione dell’aeroporto internazionale di Taranto a servizio di tutta la Puglia ed il Sud in genere con sistema integrato su rotaia per un forte Progetto Turismo con attrazione delle primarie catene alberghiere e strutture di servizio in ambito turistico.

Il perché lo abbiamo detto, il cosa pure, manca il come! Come finanziare tutto questo? La risposta più semplice sarebbe, abbiamo il Recovery! Sbagliato! Dobbiamo dimostrare che siamo in grado di farcela con la forza delle nostre idee e quindi saper coinvolgere ed attrarre finanziatori ed investitori con risorse superiori a quelli che saranno i fondi UE. Attrarre aziende e filiere italiane ma anche fondi e partners esteri per un progetto di grande risonanza a livello globale per dimostrare che il sistema Italia sa trasformare una crisi cronica in opportunità di sviluppo e innovazione. Facciamo di Taranto un esempio nel mondo di “buona industria” integrata nel territorio ad un benessere più ampio che è quello della comunità. L’obiettivo di questo progetto è attivare tutte le risorse economiche e sociali per dare una prospettiva di crescita non solo sostenibile ma lavorativa, demografica e di opportunità.

Le dinamiche della globalizzazione combinate con l’innovazione, la tecnologia, l’intelligenza artificiale, inevitabilmente porteranno nelle aziende di qualsiasi settore ma soprattutto nell’industria grandi riduzioni di personale operativo non qualificato. Inutile ed illusorio pensare di mantenere i livelli occupazionali, vale per ILVA come per Alitalia e tante altre aziende che nel post-covid si aggiungeranno. Da queste situazioni se ne esce solo con la convinzione che una crisi può e deve essere opportunità di aprire la strada a nuovi e innovativi business che creino da due a tre volte la necessità di nuove risorse umane, questo è il Modello Strategico Integrato, questa è la visione.

ILVA sia un Modello, sia un esempio replicabile nelle tante aree di crisi italiane che sono ormai croniche e strutturali a causa anche di un Modello di Impresa tutto italiano che ha difficoltà ad evolversi e rinnovarsi. La riflessione si allarga ovviamente a quello che è il tessuto economico imprenditoriale dove “nanismo” e “ricambio generazionale” sono due dei principali limiti e in prospettiva vitali problemi . Lo sentiamo dire spesso: le aziende italiane soffrono di “nanismo”. Nonostante sia una giusta affermazione, si devono considerare i vantaggi di tale frammentarietà. L’altissimo livello di specializzazione dovuto alle peculiarità locali che rendono ogni prodotto e servizio un’eccellenza agli occhi del mondo, l’espressione di una brand equity positiva sul piano internazionale, in quanto immagine di eleganza, creatività, ingegno e soprattutto di stile di vita, tutto questo è racchiuso nel marchio Made in Italy.

È necessario applicare anche in questo contesto un MSI mantenendo la nostra identità ma attuando strumenti di sistema e sinergia che ci permettono di creare condizioni di crescita e consolidamento nei mercati globali anche per le nostre piccole aziende. Parafrasando una nota pubblicità non abbiamo bisogno di “aziende grandi” ma di “grandi aziende”!  Agevolare, supportare, guidare il ricambio generazionale, che è il vero problema delle piccole aziende, nel contesto di uno strumento e forme di aggregazione che lascia piena autonomia all’azienda ma integrata ed inserita in filiere del valore con alta visibilità nei mercati internazionali, questo è il futuro, questo è il Modello Strategico Integrato per rendere forte e solido il mondo delle PMI.  Abbandonare le piccole aziende industriali al loro destino porterebbe a tante piccole ILVA, vorrebbe dire rischiare di far morire le imprese con il proprio fondatore, con conseguente impatto economico, sociale e ambientale su tutta la comunità, nelle generazioni a seguire.  Tali riflessioni sono da tenere in considerazione nel momento presente, con progetto di lungimiranza, per evitare l’inevitabile in futuro.

La pandemia anche quando sarà finita o tenuta sotto controllo avrà un impatto che noi oggi ancora non immaginiamo sia nelle persone che nelle attività economiche. I Modelli di Business cambieranno per piccole e grandi aziende, non tutti potranno o sapranno adeguarsi. Pertanto, al fine di evitare un darwinian shakeout tra le imprese, spetta allo Stato mettere in campo politiche, strumenti e strategie per gestire una fase dove tutti, in special modo coloro che saranno caduti, potranno rialzarsi per essere parte integrante di una nuova era. Un’era dove l’assistenzialismo sia l’ultima ratio, mentre il profluvio ordinato e organizzato di idee e progetti possano divenire un processo fondamentale di un nuovo tessuto economico, in modo da ristabilire un equilibrio nell’interesse della comunità!

In sintesi un Modello Strategico Integrato!
La politica abbia visione!

*Alessandro Maglioni, manager industriale

INVESTIMENTI ESTERI E INTERESSE NAZIONALE

L’Italia è ancora oggi un Paese strategico nello scacchiere internazionale per rilevanti motivi geopolitici ed economici. Catalizza interesse e attrae investimenti esteri, i cosiddetti IDE (Investimenti Diretti Esteri, appunto). Sul fronte dell’internazionalizzazione passiva, IDE in entrata, sono oltre 14.000 le imprese a controllo estero residenti nel Bel Paese, con oltre 1.300.000 dipendenti, un fatturato che supera i 500 miliardi di euro ed un valore aggiunto di oltre 100 miliardi di euro. Pur rappresentando solo lo 0,3% circa delle imprese attive in Italia, il loro peso sale a quasi l’8% degli addetti, a oltre il 15% del valore aggiunto prodotto e a poco più del 18% del fatturato complessivo.

Numeri importanti, quindi, e ben vengano gli investimenti esteri oggi più che mai! Anzi dovremmo essere in grado di attrarne di più perché, in generale, qualificano le nostre filiere produttive. Basti pensare che, in media, le imprese a capitale estero presentano delle performance di gran lunga migliori in termini di valore aggiunto per addetto (86 mila contro 38 mila euro), grazie alle maggiori dimensioni medie di impresa (90 addetti per impresa, contro i 4 delle imprese domestiche). In generale, poi, gli IDE portano anche maggiori e diverse competenze, tecnologie, capacità manageriali, vantaggi di scala e di network.

Ciò premesso, non è tutto oro quel che luccica e, a volte, dietro apparenti vantaggi si nascondo pericolose insidie. Se ne è parlato ad esempio, nel recente passato, con l’investimento della cordata franco indiana Arcelor Mittal in quella che era la più grande acciaieria d’Europa, l’ILVA di Taranto e i risultati attuali sono sotto gli occhi di tutti. Sempre restando a Taranto è di pochi giorni fa la notizia degli interessi cinesi per il suo porto e per la gestione della relativa logistica, cosa che ha subito fatto drizzare le antenne agli americani (in zona ci sono importanti presidi militari strategici per l’area del Mediterraneo). Oggi la notizia dell’acquisto, da parte dei tedeschi di Hhla, del pacchetto di maggioranza del terminal multifunzionale del porto di Trieste, altra infrastruttura strategica molto ambita (anche dai cinesi, per altro). Nelle operazioni appena citate, cosa non banale, non ci sono solo privati ma anche i rispettivi Stati di provenienza.

Ecco che, allora, entra in campo l’interesse nazionale, o almeno così dovrebbe essere. Nel contesto attuale le infrastrutture materiali (come ad esempio i porti) e immateriali (ad esempio le tecnologie 5G), assieme ai settori strategici, rappresentano infatti degli asset fondamentali per i singoli Paesi.

Questo all’estero sembra che lo sappiano bene mentre a livello governativo italiano pare non esserci al momento la stessa sensibilità. Diverso, invece, il clima che si registra in Parlamento, grazie all’azione meritoria portata avanti negli ultimi tempi dal COPASIR. Ma non basta, perché l’attività di monitoraggio va fatta prima, sulla base di azioni preventive che abbiano da un lato l’obiettivo di incentivare e promuovere gli investimenti che fanno bene all’Italia e, dall’altro, “attenzionare” con maggiore efficacia e nel caso stoppare quelle operazioni potenzialmente lesive dell’interesse nazionale.

Ecco che, allora, andrebbero promosse anche specifiche commissioni parlamentari con compiti sia di vigilanza, sia di indirizzo generale rispetto al tema della tutela dell’interesse nazionale in ragione dei tentativi di incursione di potenze straniere portate avanti anche attraverso gli IDE.

In parallelo andrebbe promosso un vero e proprio “Osservatorio Italia Internazionale” che monitori l’andamento degli investimenti esteri in Italia e italiani all’estero, per fornire non solo un cruscotto di dati ma un vero e proprio supporto tecnico ai decisori politici, cosa diversa dall’attuale Caie.

E mentre aumentano le insidie nei settori strategici delle infrastrutture, dai porti al 5G ma non solo, diminuiscono per effetto della crisi gli IDE buoni, quelli che creano valore per il Paese: nel 2019, in epoca cioè pre-Covid, l’Italia è scesa dal 15esimo al 16esimo posto a livello mondiale, che in soldoni vuol dire da 33 a 27 miliardi di dollari (fonte Unctad) con una perdita secca di 6 miliardi di investimenti rispetto all’anno precedente.

*Enrico Argentiero, esperto mercati finanziari

L’ANNO CHE VERRÁ

“Caro Giuseppi ti scrivo/ così mi diverto un po’/e siccome sei in un pantano/più forte ti irriderò/ Da quando sei al governo c’è una triste verità/ l’anno vecchio è finito ormai/ ma tu stai ancora là”
      A due ore dalla mezzanotte, sulla falsariga dell’Anno che verrà di di Lucio Dalla, Enzo strimpellava alla chitarra una sorta di filastrocca che pretendeva di essere ironica  sul futuro di Conte e del suo governo.
       “C’è poco da ridere, qui non ci resta che piangere – lo interruppe la moglie Silvana, impiegata di banca- coi licenziamenti in vista che oggi chiamano esuberi l’anno che verrà ci riserva brutte sorprese”.  “Vabbè – ribattè Enzo – anche per me al negozio è sempre più difficile tirare avanti, ma provo ad esorcizzare. Come si diceva una volta: una risata li seppellirà”.
           Gli amici ospiti per la serata di capodanno da trascorrere insieme li guardarono increduli.” Oh, ma di che vi lamentate? Proprio voi che ci avete rotto per anni le scatole con Grillo e con i suoi slogan” osservò Giulio, cinquant’anni, convinto sostenitore del PD con una non celata nostalgia di quando la sinistra si chiamava PCI.
        ” Che vuoi fare – si giustificò Enzo – in buona fede ci avevamo creduto, pensa avevamo votato anche per la Raggi, che amarezza”.
            “Ragazzi smettetela, basta parlare di politica, prepariamo le lenticchie e lo spumante – intervenne Federica, cattolica adulta – cerchiamo almeno stasera si essere più buoni. E comunque vada dobbiamo ringraziare il Signore che ci ha evitato le elezioni con la sicura vittoria di Salvini”.
           ” Ah, si questo è certo. Possiamo avere idee diverse ma qui siamo tutti antifascisti. L’abbiamo scampata bella” assentirono quasi in coro Gianni, Giulio, Franco e le rispettive compagne.
              A meno di un’ora dalla mezzanotte s’era creato un clima dì affabilità e condivisione nonostante i problemi che ognuno di loro si sentiva sul groppone. Mancava poco che qualcuno proponesse di cantare in coro Bella Ciao per chiudere in bellezza la serata quando si permise di dire la sua Filippo, sessant’anni, imprenditore un po’ in difficoltà, tutto sommato un brav’uomo, ma di quelli che la pensano in modo ritenuto dai presenti non politicamente corretto. Avesse fatto silenzio non avrebbe guastato la festa all’allegra compagnia di anime belle. E soprattutto non avrebbe messo in imbarazzo la moglie Giovanna, preoccupata di fare brutta figura con la sua ex compagna di classe Silvana che aveva usato la gentilezza di invitarla.
     “Sentiamo mo che ha da dire questo” pensò tra se e se Filiberto, uno che da sempre era convinto di ciò che proprio di recente aveva confermato Corrado Augias, uno degli intellettuali più in vista a Rai3, e cioè che quelli che non sono di sinistra sono, per dirla in povere povere, un po’ stupidi.
        Non è che Filippo avesse una precisa collocazione politica. No, ma di sinistra non era mai stato. Ai tempi della DC votava per lo scudo crociato, gli dava tranquillità e un po’ di garanzia  contro lo sbandierato pericolo comunista. Dopo tangentopoli aveva provato simpatia per Berlusconi, anzi, di più per Gianfranco Fini. La politica è passione, ma anche delusione. E per il povero Filippo fu una grossa delusione Gianfranco. Morto un papa se ne fa un altro e Filippo vide nella nuova Lega di Salvini l’immagine del futuro dell’Italia. Simpatico Matteo, ma gli manca qualcosa, dice le cose che tu vorresti dire, ma quanto a coerenza… basti dire che aveva proposto a Di Maio la Presidenza del Consiglio. Non ti regala Matteo quell’ideale che ti fa vivere e sognare, che ti fa vibrare il cuore.
         Matteo no ma… c’è lei…Giorgia. Avrebbe voluto gridarlo in faccia  all’allegra comitiva Filippo, avrebbe voluto dire che c’ è ancora chi crede nella politica come sangue e passione, come qualcosa che viene da lontano e andrá lontano, scarpe piene di fango e mani pulite. Ma no, le speranze ognuno se le tiene nel cuore e non le sbandiera agli occasionali compagni in una notte di capodanno.
       Alle anime belle Filippo si limitò a ricordare quello che tutti sanno e che alcuni fingono di non sapere o di dimenticare. Che Giuseppi sta lì senza essere stato eletto da nessuno.  Che aveva promesso un anno bellissimo, sì, bellissimo solo per lui. Che Zingaretti e Renzi con una rocambolesca capriola avevano contraddetto le loro precedenti solenni affermazioni e si erano alleati con i grillini. Che i cinque stelle sono allo sfacelo totale. Che la maggioranza non trova accordo su niente, dalla giustizia alla questione autostrade. Che la maggioranza di fatto non esiste più. Che Mattarella fa fatica a prenderne atto anche quando un ministro saluta e se ne va e come per il  miracolo dei pani e dei pesci viene sostituito raddoppiandolo. Che dall’ Ilva all’Alitalia il governo non riesce a fare nulla per impedire che decine di miglia di famiglie finiscano sul  lastrico. Che i porti  si sono riaperti e che è ripresa l’invasione islamica. Che le tasse e il deficit aumentano nonostante le menzogne dei Tg che predicano il contrario. Che il reddito di cittadinanza non ha creato posti di lavoro ed è finito in gran parte a sfaccendati, truffatori, spacciatori, ex terroristi e delinquenti. Che la la Turchia sta occupando la Libia mentre la politica estera dell’Italia è affidata all’ex steward dello stadio San Paolo.
       “Smettila Filippo. Sempre a lamentarti pure a capodanno” l’intervento della signora Giovanna sul marito fu accolto con un sospiro di sollievo dall’allegra comitiva. Hai voglia di cantare Bella Ciao o di puntare sulle sardine quando lo spettacolo che sta dando la sinistra è da ultimi giorni di Pompei. Ormai la festa l’aveva guastata Filippo riportandoli alla realtà.
             Ma la compagnia fece finta di sorridere perché a capodanno è obbligatorio ostentare allegria e soprattutto per non darla vinta a quel guastafeste di Filippo. Ormai mancavano dieci minuti alla mezzanotte. Enzo riprese in mano la chitarra e continuò a cantare la canzone di Lucio Dalla stavolta senza stravolgerla.
           “Vedi caro amico cosa si deve inventare/ per poter riderci sopra e continuare a sperare/… L’anno che sta arrivando tra un anno passerà/ io mi sto preparando/ è questa la novità/”
             Anche Filippo stavolta si era unito al coro. Cantava assieme agli altri l’anno che verrà, ma in cuor suo confidava nella novità , al 26 gennaio che verrà…
                 “Sette, sei, cinque, quattro, tre…”. Dalla Tv accesa una splendida ragazza scandiva i secondi. Mezzanotte!  Si stappa lo spumante. In cielo i colori dei fuochi d’artificio. È il Duemilaventi. Il futuro è già qui. L’alba, mancano poche ore, è vicina.
*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare

Serve un piano industriale per le PMI

Per tutte le aziende italiane sono alcuni anni che il momento è difficile voglio proporvi una analisi basata su alcuni punti che non sono i soli ma che potrebbero essere di aiuto per tracciare una linea di cosa bisognerebbe fare per cambiare il modo di venire incontro alle reali esigenze delle PMI.
Queste azioni è chiaro che dovrebbero essere portate avanti da un Sindacato che in questo caso si chiama CONFINDUSTRIA ma che come tutto in Italia e in mano a una lobby che apparentemente è attiva e opera su diversi fronti ma che in pratica anche lei non ha cognizione dei problemi reali perché chi si trova ai vertici e li per puri interessi personali .
Non abbiamo un piano industriale di nulla per quanto riguarda noi metalmeccanici L’iniziativa a volte di fare qualcosa e di qualche regione oppure di qualche camera di commercio .

Alcuni esempi eccoli:

Il governo ha esteso la possibilità di dedurre investimenti fatti con la 4.0 anche per il 2020 nessuno dice ho ha detto che se tu vuoi ottenere questo devi averlo pensato entro il 2019 ,avere fatto il contratto di cosa vuoi acquistare e avere pagato un acconto entro il 2019del 20/0
Questo equivale a dire facciamo tanta scena ma in realtà non diamo nulla.
Chi ci ha difesi ? Chi ci ha informati ?

Con il primo di ottobre sono cambiate molte regole e norme per le
Prevenzioni anti incendio specialmente per le PMI chi le ha discusse con il ministero proposto?
Chi ha portato un ragionamento di applicazione del buon senso ?
Nessuno vi saranno aziende che dovranno spendere soldi senza ragioni concrete
Questi due esempi come molti altri che vi potrei elencare sono senza regole che più delle volte anziché dalle PMI partono dai consulenti che in questo modo si accaparrano nuovo fatturato,
Ma qui non vi sono più utili per continuare a pagare.

Noi metalmeccanici con lo spettro della crisi ILVA provocata da incapacità presenti ma anche passate e non solo da parte dei politici ma da chi è stato al vertice di CONFINDUSTRIA che dopo avere non pagato dei prestiti ottenuti da MPS ha fatto l’ennesima marchetta,rischiamo di ritrovarci a non essere più competitivi perché andremo ad acquistare il ns acciaio a dei prezzi penalizzanti.
Come è stato fatto con L’avvento dell’euro da un genio come Prodi stabilendo il cambio della lira ad un valore insensato che ha riequilibrato i costi di produzione tra i diversi stati ,ma non i ricavi di chi produce e di chi lavora questa può essere una nuova carta per le industrie metalmeccaniche europee.

Cosa si può fare ,e come si può agire per dare eco a queste cose?

Mi auguro che partendo dal piccolo fondazioni come Farefuturo promuova in diverse aree italiane degli incontri per ascoltare queste esigenze; incontri che non siano solamente lo specchio per i politici per i loro interessi di visibilità ma per fare di tutte queste esigenze un archivio di informazioni che poi a livello centrale vengano utilizzate per il nostro futuro nel quale io ho sempre creduto come ho sempre creduto nella mia Patria.
Facciamo partire delle iniziative, facciamo in modo che chi si trova nei vari comitati si incontri e incominci a lavorare.

*Duilio Paolino, imprenditore, componente il Comitato Scientifico di Farefuturo

Ilva, industria muore sotto gli slogan

L’atto di recesso dal contratto, presentato in tribunale da Arcelor Mittal, e l’incapacità del Governo di trattenere il colosso franco indiano a Taranto è la cifra di un Paese con una politica industriale ridotta a slogan.
Il Governo italiano non sembra avere il polso dell’attuale contesto economico globale, succube del populismo di Cinque Stelle, che per ancoraggio agli originari gridi di battaglia concede un assist ad Arcelor Mittal per la fuga, ponendo un muro sullo scudo penale. Ma ancor più grave dell’incapacità di comprendere l’importanza strategica che rappresenta l’Ilva per l’intero settore siderurgico italiano, c’è l’arroganza di non ricorrere alla ricerca di una soluzione unitaria in Parlamento, come avvenne invece nel Conte I per il caso TAV su cui l’Aula si espresse trasversalmente.
In tempi allora utili, il senatore Adolfo Urso aveva messo in guardia il Governo dal rischio che avrebbe provocato il ritiro dello scudo penale. Se per Arcelor Mittal l’obiettivo è quello di affermare il proprio ruolo globale nel settore siderurgico, questo poteva essere raggiunto sia con l’acquisizione degli impianti di Taranto – strategici per livelli tecnologici e capacità produttiva – sia evitando che potesse finire in mano ad altri player internazionali del settore, portando alla chiusura il sito industriale. E se la soluzione più conveniente è la seconda, analizzava Urso, il ritiro dello scudo penale sarebbe stato per Arcelor Mittal l’alibi per battere la via più comoda: la fuga, figurando addirittura come parte lesa da un Governo che cambia le carte in tavola; lasciando all’Italia l’immagine di un Paese inaffidabile per gli investitori internazionali. Proprio in Aula, il senatore Adolfo Urso aveva chiesto spiegazioni al Governo sulla mancanza di un voto parlamentare, su indirizzo politico – industriale, riguardo lo scudo penale per l’Ilva e sottolineando il rischio del pericolo che tale atteggiamento avrebbe provocato. Ma a nulla sono serviti i moniti dell’Aula e addirittura la convocazione di Conte al Quirinale; nulla è riuscito a far comprendere al Governo il rischio di una debacle industriale e d’immagine e tanto meno l’inutilità di un ricorso al tribunale internazionale.
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta