L’ingresso delle aziende cinesi nella rete 5G italiana costituisce un pericolo per la sicurezza nazionale, sostiene il Copasir. Cosa può cambiare da domani?
Il rapporto è una relazione al Parlamento che il Copasir ha predisposto dopo un anno di indagini molto approfondite e ascoltando le diverse parti in causa, come gli organismi di sicurezza nazionale e le aziende italiane e straniere. L’obiettivo è stato quello di avere una valutazione certamente sulla sicurezza ma anche sui costi tecnologici di una decisione del genere da sottoporre a governo e Parlamento.
Qual è il vostro auspicio?
Che il governo possa valutare la sua azione anche alla luce di ciò che il Copasir ha accertato rispetto ai compiti che gli sono stati conferiti. La relazione, approvata all’unanimità, dimostra che adesso il governo ha gli strumenti legislativi per agire, come la riforma della golden power e alla possibilità di estensione alle reti infrastrutturali, in modo specifico al 5G.
Dal colosso tech Huawei, però, c’erano state molte rassicurazioni. Perché non hanno convinto il Copasir?
Come scritto nella relazione, abbiamo ascoltato tutte le parti in causa, quindi anche Huawei, e al contempo abbiamo ascoltato ciò che ci hanno riferito i nostri servizi di sicurezza. Cito un passaggio significativo della relazione, quando si sottolinea che dalle indagini emerge che la legislazione cinese, così come è stata innovata negli ultimi anni, consente che gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possano fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese. Ovvero aziende e cittadini di quel paese rispondono al sistema di sicurezza nazionale cinese.
Ci sono rischi e costi di un ritardo tecnologico?
Il lavoro svolto è stato significativo anche perché ha riguardato l’eventuale impatto economico sul sistema generale, oltre al faro della sicurezza nazionale. E abbiamo convenuto che rischi di ritardo tecnologico non ve ne sono e che il sistema italiano può essere modernizzato a costi contenuti anche senza la tecnologia cinese.
Senza dimenticare l’elemento dumping…
Molti dei nostri interlocutori in Commissione ci hanno riportato che alcune aziende cinese sono sovvenzionate dallo Stato, oltre al fatto che altrettante di fatto sono addirittura di proprietà statale e realizzando un dumping rispetto alle aziende di altri Paesi, perché possono vendere “sotto costo” spiazzando i concorrenti. Sul punto c’è anche la possibilità di rivolgersi all’autorità europea in materia, al fine di realizzare misure anti dumping sul piano commerciale ove fosse acclarato.
Importante il passaggio in cui si dice che ragioni di mercato, “che assumono un ruolo fondamentale in una economia aperta, non possono prevalere su quelle che attengono alla sicurezza nazionale, ove queste siano messe in pericolo”. La questione è stata sottovalutata fino ad oggi?
Il fatto stesso che sia stato migliorato l’impianto legislativo durante la visita del presidente cinese Xi in Italia ha rappresentato una diversa definizione del sistema, che ha portato il Paese a meglio definire il perimetro nazionale. Sotto la spinta di alcune forze politiche e le sollecitazioni di alcuni alleati internazionali il sistema italiano è stato notevolmente migliorato. Mi auguro che adesso nasca una maggiore consapevolezza della sicurezza nazionale, con l’auspicio che l’Italia sia non retroguardia, ma avanguardia di Europa ed Occidente, ergendosi a modello per gli altri Paesi.
*Francesco De Palo, Formiche.net