la strage di bologna e lo “stato profondo”

L’Italia repubblicana nasce con un atto di omertà. Una rimozione radicale del proprio vissuto, un’amputazione della memoria.

A più di Settant’anni dalla nascita dell’Italia democratica, la volontà e la capacità con cui fu da subito imposto il silenzio sulla tragedia patìta da centinaia di migliaia di italiani costretti all’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia, ha ancora dell’incredibile.

Fu il frutto necessario di quello che Biagio Di Giovanni ha definito “il patto egemonico” con il quale Dc e Pci si spartirono da subito il potere in Italia, con un accordo che ricorda molto il Patto di Yalta. La loro egemonia durò fino al crollo del comunismo sovietico.

La fine dell’Urss non ha segnato però la fine dell’apparato dei comunisti in Italia, i cui esponenti si sono mimetizzati, forse trasformati, ma non hanno ceduto le posizioni di potere che avevano conquistato in ogni snodo dello Stato.

Non può esistere un’identità nazionale, una comunanza di destino, un riconoscersi come popolo in assenza di una storia condivisa. Ma è necessario che sia una storia vera. Non si può essere agnostici sulla storia, non si può dire “ognuno ha la sua” o chiamarsi fuori con frasi vili come “sono cose del passato, pensiamo al presente”. Perché è necessario che si sappia chi furono le vittime e chi i carnefici. Soprattutto se le vittime hanno pagato il fatto di essere come noi, di parlare la nostra lingua e amare la nostra Patria.

Non si può costruire una nuova Italia sulle menzogne. Chi controlla il racconto del passato è padrone del futuro, o comunque detiene su di esso un’ipoteca.

Per decenni il Partito comunista, tra connivenze e viltà, ha deciso cosa si poteva e doveva scrivere nei libri di storia, lanciando anatemi, esautorando, mettendo al bando e perseguitando chi si ribellava alla linea.

Ma la falsificazione storica è continuata per decenni anche nei tribunali e sui mezzi di informazione.

La vicenda Battisti, come ogni altra che ha riguardato i terroristi che combattevano dalla “parte giusta”, ha fatto riemergere non solo le reti di connivenza tutt’altro che disciolte, ma anche le manipolazioni giudiziarie che hanno permesso di deviare le indagini e guadagnare tempo sottraendo i colpevoli alla giustizia.

C’è un altro campo della storia sofferta della nostra Nazione che è ancora ostaggio del controllo che il Pci e i suoi associati esercitavano fino a pochissimo tempo fa sull’informazione e la magistratura: il capitolo giudiziario delle stragi.

Nulla esiste di più abietto che colpire alle spalle i propri vicini di casa, i propri concittadini, i passanti innocenti. In Italia le bombe sono scoppiate nelle banche, nelle stazioni e nei treni. Per il patto egemonico, tenuto insieme dalla pregiudiziale antifascista, determinare ancor prima che iniziassero le indagini che i colpevoli fossero “fascisti” era doveroso e naturale: doveva essere per forza l’altro da sé, un’incarnazione mostruosa dell’altro da sé. L’etichetta era a monte dell’individuazione del nome. Erano stati sicuramente i fascisti… poi si sarebbe deciso quali.

Non è causale che legittimi dubbi sulle indagini e le sentenze sulle stragi siano stati sollevati in modo argomentato e coerente proprio dopo la caduta dell’Urss e dei suoi satelliti. Grazie alle commissioni parlamentari sulle stragi, ma in particolare alla commissione Mitrokhin, è stato possibile accedere agli archivi dei servizi segreti dei regimi comunisti e svelare le reti di agenti dell’Est, scoprire il ruolo degli agenti operativi della Stasi della DDR in Italia, i traffici di armi e di esplosivi che venivano dalla Romania di Ceaucescu e servivano per seminare il panico in Europa, i patti scellerati di protezione e sostegno che esponenti dei nostri servizi di sicurezza avevano con i servizi nemici e con i loro gruppi di fuoco.

Grazie ai consulenti indipendenti che hanno lavorato per le commissioni parlamentari d’inchiesta – tra tutti meriterebbe una medaglia Gian Paolo Pelizzaro – sono stati scoperti documenti, indizi, riscontri sul sequestro di Moro e sulla Strage di Bologna che i magistrati e gli inquirenti italiani nei decenni avevano scientemente ignorato, lasciandosi guidare da depistaggi orditi dai vertici stessi degli apparati dello Stato e giungere a condanne a dire poco incerte.

Se, come è vero, lo Stato italiano è stato dominato da accordi oscuri fino alla caduta del Muro di Berlino, se il potere assoluto del “patto egemonico”, che ha permesso la coesistenza di una “Gladio Bianca” e una ormai altrettanto nota e identificata “Gladio Rossa”, se la politica di spartizione non si è fermata, com’è documentato, nemmeno sulle nomine dei magistrati e l’assegnazione dei processi e sulle nomine dei vertici dei Servizi di Sicurezza, non è solo legittimo, ma doveroso, stendere il dubbio sulla gestione di tutte le vicende più gravi e nebbiose della storia recente d’Italia. E valga d’esempio la scabrosa storia dell’abbattimento su Ustica.

Chiamarli “misteri” è ipocrita, perché invece tutti i documenti e tutti gli elementi per trovare la verità sono “custoditi” nei monumentali archivi delle commissioni parlamentari d’inchiesta. E molti documenti sono desecretati o solo riservati. Ma, scandalosamente, nessuno vuole vederli…

Se veramente vogliamo un’Italia nuova, forte, libera e giusta, dobbiamo fare i conti con l’Italia sbagliata sulle cui fondamenta stiamo cercando di creare la nuova casa comune. Perché quelle fondamenta sono marce e nei loro interstizi ancora covano le ombre.

Ancora oggi delle Foibe si parla poco e male. Qualcuno aveva persino consigliato al sindaco pentastellato Virginia Raggi di inviare staffette dell’associazione partigiani nelle scuole di Roma in occasione del giorno del ricordo dei martiri istriano-dalmati, per riaffermare la linea dei filo-titini. Nel 2019! E la stessa associazione, finanziata con ingenti somme pubbliche, ha lanciato iniziative negazioniste nei confronti dei massacri e insultanti nei confronti degli esuli e dei loro discendenti.

Questo significa che gli anti-italiani che hanno asservito l’Italia ai suoi nemici per mezzo secolo sono ancora forti, coesi e in condizione di sabotare ogni tentativo di ricostruire l’identità italiana e il senso di appartenenza dei suoi cittadini odierni e futuri.

Ci sono processi ancora aperti da quarant’anni, che in quarant’anni hanno fatto arricchire sicuramente qualcuno ma non certo la ricerca della verità.

Che a Bologna si stia svolgendo, nella distrazione e nel disinteresse, un ennesimo processo per la strage del 2 agosto 1980, con un unico imputato mai coinvolto nei precedenti processi e al quale si sta cercando, annaspando, di assegnare un ruolo nella vicenda in assenza totale di qualunque prova o indizio del suo coinvolgimento, è una vicenda che dovrebbe far rizzare i capelli in testa anche a chi non sa nulla del Diritto e della Giurisprudenza.

Esiste ancora uno “Stato profondo” che resta impermeabile ai cambiamenti, il cui potere non viene minimamente intaccato dall’opinione pubblica e dalla volontà popolare, che domina lontano dalle luci della ribalta e che teme la verità che possa esporre al giudizio pubblico la gestione criminale degli ultimi Settant’anni.

Voltare la testa, pensare che quelle vicende appartengano a un passato da seppellire anziché da scoperchiare, è un atteggiamento che avvantaggia solo chi ha commesso i crimini e chi, con depistaggi e manipolazioni, li ha protetti e ha allontanato le indagini indirizzandole in direzioni spesso opposte.

Chi non conosce e non conserva le proprie radici è destinato ad essere portato via dal vento. Chi pensa che la ricerca della verità sia una perdita di tempo finirà avvelenato dalla menzogna.

Migliaia di vittime italiani meritano la giustizia che gli è stata negata. Milioni di italiani meritano di conoscere la verità della propria storia, per potersi ritrovare e riconoscere.

In Italia nessun passato può passare davvero, perché chi si è imposto e ha consolidato il proprio potere sulla semina dell’odio fazioso e sulla falsificazione della storia – anzi, delle storie! – ancora oggi ha il potere di impedirlo.

 

*Marcello De Angelis,giornalista, già parlamentare