In attesa che il governo risponda all’interrogazione di Fratelli d’Italia e che presto sia convocato un tavolo nazionale in cui possa essere predisposto un piano nazionale sull’automotive che veda la partecipazione di forze sindacali e produttive, il dipartimento Impresa di Fratelli d’Italia ha organizzato il 26 marzo un webmeeting da cui è emerso la contrarietà che gli stabilimenti di Iveco e Fpt possano essere ceduti ad una azienda cinese.
All’incontro dal titolo “Iveco, No Cina” hanno partecipato parlamentari, assessori regionali e sindaci, a confronto con le realtà produttive locali, rappresentanti sindacali e di associazioni di Impresa con collegamenti dalle cinque città in cui vi sono i principali stabilimenti dell’azienda: Brescia, Mantova, Torino, Foggia e Bolzano.
“Siamo contrari a che gli stabilimenti di Iveco e Fpt siano ceduti ad una azienda cinese come la stessa multinazionale Cnh ha annunciato subito dopo la operazione Stellantis: il 26 gennaio abbiamo presentato al governo un’interrogazione che, dopo due mesi, non ha ancora avuto risposta”, ha affermato il senatore Adolfo Urso, responsabile del dipartimento Impresa di Fratelli d’Italia.
“Se questa operazione dovesse andare a compimento davvero non si sa cosa resterebbe dei nostri stabilimenti produttivi: e’ necessaria una strategia dello Stato come chiede Fratelli d’Italia per scongiurare un’operazione su cui esprimiamo i nostri piu’ fondati timori”, ha affermato Daniela Santanche’, senatrice e coordinatrice regionale del partito in Lombardia. Anche sul piano aziendale, scrive FdI, si “addensano molti timori”. Isabella Rauti, vicepresidente vicario dei senatori del partito ed eletta a Mantova, ha dichiarato che “i timori sono tanti ma non va fatto allarmismo, su questo la nostra posizione e’ molto chiara: tutelare l’occupazione e la produzione per difendere l’interesse nazionale”. Chiediamo al governo, ha continuato, di “tenere alta l’attenzione su questo dossier industriale, su cui Fratelli d’Italia continuerà a far sentire la propria voce perchè la difesa dell’italianità delle nostre aziende rappresenta un principio distintivo della nostra politica”. Anche Gianpietro Maffoni, sindaco di Orzinuovi in provincia di Brescia, ha invitato lo Stato a “fare la sua parte per garantire la salvaguardia dell’impianto, la sua storia e l’indotto collegato”, ricordando come lo stabilimento Iveco sia importante anche per la citta’ che lo ospita in termini soprattutto occupazionali.
Molta preoccupazione, prosegue la nota, anche dai sindacati, ribadita da Martino Amodio (Uilm Brescia), che ha affermato come sussistano timori “per la trattativa e per l’esito che questa operazione potrebbe avere su questi impianti, ma soprattutto perche’ il rischio e’ quello che i cinesi compiano questa azione per impossessarsi del nostro brand e poi spostare la produzione in Cina: avrebbe risvolti disastrosi sui nostri livelli occupazionali ed e’ invece importante far restare sul nostro territorio la ricerca e la produzione”. Una difesa dei livelli occupazionali chiesta anche da Claudio Olivari (Cisl). “Per noi e’ imprescindibile il mantenimento dei livelli occupazionali e questo tipo di trattativa mette in discussione questo dato, oltre a pregiudicare il significato dell’articolo 46 della Costituzione che prevede la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa”. Anche Alessandro Conti (segretario generale Fismic Brescia) ha chiesto “piani industriali e investimenti forti in un contesto di competizione internazionale molto aggressiva”. Infine, il segretario nazionale di Agcf Mario Zanelli ha affermato di ritenere che “l’utilizzo dello strumento della golden power sia fondamentale per porre determinate condizioni nella trattativa in corso coi cinesi”
Fratelli d’Italia in una interrogazione presentata a inizio anno, ha avanzato la richiesta che il Governo dovesse apporre la golden power a scudo degli interessi produttivi, economici, occupazionali e sociali del nostro Paese, comunque anche nel caso in cui la trattativa non dovesse riguardare la parte militare o dual use dell’azienda.
Nell’interrogazione si palesava anche l’ipotesi che nel caso in cui l’azienda volesse comunque vendere si potesse realizzare una proposta italiana con il supporto di Cassa Depositi e Prestiti o anche di Invitalia perché si tratta di una attività che è fiore di occhiello dell’Italia nel mondo e pertanto debba restare a conduzione italiana.
Dopo la presentazione dell’interrogazione, altre forze politiche di centrodestra come Forza Italia e la Lega hanno condiviso le posizioni di Fratelli d’Italia e poi anche il Ministro dello Sviluppo economico Giorgetti anche in questo caso e non solo, ha ipotizzato l’utilizzo della golden power come elemento di difesa da un’operazione di questo tipo, ma anche una proposta economica che possa sopperire la vendita ad una azienda cinese.
La tempistica sulla cessione, annunciata subito dopo la fusione Fca- Psa per la nascita di Stellantis alimenta diverse interpretazioni, ventilandosi l’ipotesi che Iveco possa essere utilizzata come pedina di scambio per fare uscire i cinesi da Stellantis di cui oggi detengono il 4% oltre che per aprire il mercato cinese al gruppo, considerato che oggi in Cina vengono vendute solo 100mila auto a marchio Fca e Psa.
Qualunque sia la motivazione dietro la vendita di Iveco, bisogna preservare la produzione e la tecnologia italiana. Serve una politica industriale del governo a difesa degli asset strategici, simile a quella messa in campo dalla Francia a tutela delle sue imprese.
*Alberto Franciacorta, collaboratore Charta minuta