Occorre necessariamente essere persone di mondo per guidare un’alta istituzione europea e per essere di mondo occorre essere cittadini europei della propria nazione. Christine Lagarde, con il frasario da signorotta borghese intrisa di superiorità, si è dimostrata invece provinciale. E sia ben chiaro che si può essere provinciali anche provenendo dal IX arrondissement parigino. Si è rivelata inadeguata al ruolo di un presidente della BCE le cui parole vengono costantemente pesate da chi investe nel mercato finanziario, inadeguata a rappresentare il sentimento della parola unione che precede la parola “europea”, inadeguata a far percepire l’Europa come ciò che deve essere per uno Stato membro: rassicurante come una placenta per il proprio feto.
Nel momento in cui l’Italia, stremata per la lotta al Corona Virus, avrebbe bisogno solo di tatto e delicatezza, tutti gli attori politici italiani, nessuno escluso, hanno trovato il modo di rispondere a quel volutamente altezzoso “non siamo qui per ridurre gli spread”. E il mite Mattarella ha dovuto stendere un comunicato bagnato di stizza, le belle parole della presidente della Commissione Ursula von der Leyen sono state eclissate, il commissario Gentiloni e il presidente del Parlamento Sassoli hanno dovuto subire un’umiliazione che non meritavano, ma la cosa più grave è che il sentimento degli italiani, già provato da anni di assenza di percezione europea, ne è uscito lacerato. Lacerato. E l’Europa, al proprio interno, non può permettersi di instillare sentimenti di lacerazione.
L’Italia è il Paese che, attraverso i Trattati di Messina animati da Gaetano Martino e con l’attivismo di De Gasperi, ha contributo in primissima linea alla nascita dell’Europa. Roma è per sua natura la capitale europea nel Mediterraneo. Sarebbe dunque sbagliato dare ascolto agli istinti anti europeisti, perché la fotografia della realtà ci mostra che il limes dei singoli Stati dell’Unione è ormai scavalcato dai desideri delle persone, dalle necessità e dalle ambizioni delle aziende, dalla condivisione culturale. Dovremmo anzi essere protagonisti di un necessario rinascimento europeo, con un’agenda adeguata, per vivere il ruolo che per natura ci spetta, ma soprattutto per non essere irrilevanti dinnanzi a giganti come Cina, Russia ed U.S.A.
Come la vita, l’Europa ha le sue pecche ma è meglio averla… Così come è meglio vivere e cercare di migliorarsi e migliorare, invece che morire.
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta