UNIVERSITÀ E RICERCA, MOTORI DELLO SVILUPPO

Questo saggio di Giuseppe Valditara, professore ordinario di Istituzioni di Diritto romano presso l’Università di Torino,  è stato pubblicato nel Rapporto Nazionale “Italia 20.20” della Fondazione Farefuturo

La straordinaria crescita del Pil britannico nel XIX secolo trasse forte alimento da due scoperte decisive: il telaio meccanico e la macchina a vapore. La potenza tedesca di fine Ottocento si sviluppò a partire dalla università humboltiana. Senza aver raggiunto il primato nella ricerca gli Usa non sarebbero mai diventati la prima potenza mondiale. Non è un caso che in Cina la spesa per ricerca e istruzione sia una priorità nel bilancio dello Stato. Oggi l’importanza della ricerca per la crescita economica è sempre più fondamentale. Prima della drammatica crisi legata alla epidemia da Covid-19 si era calcolata una possibile incidenza di un uso massiccio della Intelligenza Artificiale sulla crescita del Pil per i prossimi dieci anni pari al 18%, il doppio della crescita che caratterizzò l’Italia nei dieci anni successivi alla seconda guerra mondiale.

L’economia del futuro sarà l’economia del trasferimento tecnologico, ovverosia la trasformazione delle innovazioni e dei brevetti maturati nelle università e nei centri di ricerca in prototipi industrializzabili. L’università sarà dunque sempre più il luogo della crescita di una nazione. Questo è tanto più vero alla luce della tragica esperienza causata dalla pandemia. La ricerca sta svolgendo un ruolo decisivo per battere il virus, per studiare nuovi modelli di sanità, per ricostruire il Paese. Stupisce semmai la scarsità di risorse destinate in Italia, rispetto ad altri Paesi, per la ricerca medica, farmaceutica, biologica. Così come sorprende la scarsa utilizzazione da parte dei decisori pubblici dei risultati della ricerca, proprio nel contrasto a Covid-19, come drammaticamente attestato su The Lancet del 24 aprile: «Although Italy is counting deaths and infected patients, what is missing in Italy and in many other countries affected by the pandemic is a robust system of epidemic intelligence that can provide much needed, solid, epidemiological data at the regional level to inform modelling of disease transmission at the population level and ultimately be used to offer effective guidance on public health action».

Quali sono i passaggi chiave per rendere il sistema universitario italiano idoneo a svolgere questa missione di traino dell’economia? Intanto ci vogliono più ricercatori e professori (siamo in coda fra i Paesi Ocse per numero di ricercatori sulla popolazione complessiva), meno rigidità nelle assunzioni, una incisiva riforma del dottorato che inizi a eliminare intollerabili vincoli burocratici e lo renda sempre più attrattivo, oltreché, per determinati settori, in più stretto collegamento con il mondo della produzione. Se queste sono le premesse per una nuova politica universitaria, non meno importanti sono alcuni passaggi ulteriori. L’università cattolica di Lovanio è diventata il simbolo in Europa di come un centro universitario possa diventare motore dello sviluppo di un territorio. È il simbolo di come sia ormai sul viale del tramonto il modello di università humboltiana incentrato sul mero collegamento fra ricerca e didattica, senza considerare l’importanza strategica della cosiddetta terza missione.

Nel 2018 il ritorno economico derivante dalla attività di trasferimento tecnologico è stato a Lovanio di oltre 200 milioni di euro. In 13 anni le spin off generate hanno mobilitato investimenti per oltre un miliardo di euro, per un totale di quasi 7.000 nuovi posti di lavoro generati. Sono nate aziende che si stanno imponendo sui mercati internazionali in settori ad alta specializzazione. L’Università di Lovanio è dunque un soggetto capace di generare un notevole impatto sulla crescita del territorio di riferimento. Numerose università italiane hanno delle eccellenze che possono generare ricchezza. Nella consapevolezza del carattere strategico del trasferimento tecnologico, in qualità di capodipartimento Formazione superiore e ricerca del Miur, ho dato vita alla prima fiera al mondo dei brevetti, al fine di far meglio conoscere all’impresa le potenzialità economiche del nostro sistema di ricerca. Per rendere vantaggiosa la scoperta scientifica e la sua brevettazione ho modificato alcuni criteri ai fini della valutazione della qualità della ricerca e ho messo al centro del nuovo piano triennale la cosiddetta terza missione e in specie il trasferimento tecnologico. La nuova Agenzia per la ricerca, prevista nell’ultima legge di bilancio, e originariamente concepita con finalità senz’altro incostituzionali, quali «indirizzare la ricerca universitaria», avrà un senso solo se si concentrerà proprio sul finanziamento del cosiddetto derisking, vale a dire il finanziamento di quella attività di prototipizzazione che è la vera «death valley» della ricerca applicata, in specie in Italia. Peraltro questa era proprio la finalità del Consorzio privato per il trasferimento tecnologico che, come capodipartimento Miur, stavo costruendo prima dell’avvento del Conte-bis. Naturalmente una seria attività di terza missione presuppone la piena libertà di attività consulenziale da parte dei docenti universitari, che pongono così il proprio sapere e le proprie competenze al servizio del territorio e della società. Un altro tema fondamentale è senz’altro l’autonomia universitaria, vale a dire l’applicazione dell’art.1 comma 2 della legge 240. Si tratta in altre parole – in attuazione della intenzione del legislatore costituente, come ho avuto modo di specificare sul numero di luglio 2019 di Federalismi – di un grande processo di semplificazione e di sburocratizzazione del nostro sistema universitario. L’autonomia delle università, che va riconosciuta alla totalità degli atenei con i bilanci in ordine, deve comportare fra l’altro piena libertà nella organizzazione della didattica e della ricerca, anche modificando consensualmente lo stato giuridico dei professori, e maggiore libertà nella organizzazione di corsi di laurea che rispettino i requisiti minimi fissati per decreto, e fatti salvi i controlli sui risultati raggiunti da parte della agenzia di valutazione.

L’autonomia deve estendersi anche alla libertà da vincoli pubblicistici nella creazione di spin off e più in generale nella creazione di attività imprenditoriali. Infine un altro passaggio chiave è quello che ebbi a definire della «diplomazia della ricerca» e più in generale della internazionalizzazione. Occorre non soltanto far arrivare in Italia sempre più numerosi studenti stranieri e docenti stranieri come pure docenti italiani impegnati all’estero, ma è arrivato il momento di esportare la nostra ricerca e la nostra formazione superiore, compresa la formazione svolta in accademie e conservatori, per diffondere la cultura italiana nel mondo, e l’Italian way of life, per formare classi dirigenti di Paesi emergenti, per realizzare una missione di pace e di solidarietà in Paesi che hanno disperato bisogno di conoscenza per crescere, per arricchire con entrate potenzialmente importanti il nostro sistema di formazione superiore, ma anche per tracciare una strada che favorisca poi la penetrazione delle aziende italiane nei settori di ricerca e di formazione esportati. Nei prossimi mesi e fino alla scoperta di un vaccino o di terapie risolutive i processi di scambio di ricercatori e di studenti saranno ostacolati dalla possibile persistenza della circolazione del virus. A maggior ragione occorre attrezzarci per coltivare rapporti internazionali e prepararci per il dopo. Importante sarà sviluppare un sistema di e-learning, che attraverso lezioni a distanza consenta a studenti di Paesi esteri la frequenza a corsi accademici italiani.

La telematica sarà fondamentale per coinvolgere professori stranieri nella didattica degli atenei italiani così come per partecipare alla didattica presso università estere. Anche l’attività di laboratorio potrà vedere una collaborazione internazionale online. Parallelamente è decisivo investire nella open science cloud, mettendo in rete i frutti della ricerca italiana ed internazionale, in un mutuo scambio che dovrà coinvolgere anche Paesi in via di sviluppo. Costruire per esempio una open science cloud che coinvolga Europa e Africa significa favorire lo sviluppo scientifico dei Paesi africani e nel contempo collegarli alla realtà italiana ed europea. Tutto questo comporta naturalmente investimenti significativi nelle infrastrutture digitali. Una cosa è certa: è sempre più necessaria una grande strategia per incoraggiare la innovazione, consapevoli che, come ha affermato un recente studio dell’Istat, ogni miliardo investito in ricerca genera nel breve periodo un aumento del Pil dello 0,1%, e dello 0,2% successivamente.

*Giuseppe Valditara, professore ordinario di Istituzioni di Diritto romano, Università di Torino

Merito e competenza per una nuova classe dirigente

Presentata la Scuola di Formazione di Farefuturo da Urso, Alberoni, De Masi, Tremonti e Terzi. Anche Joshua Wong tra i “docenti”.

“Merito e competenza per una nuova classe dirigente che abbia a cuore l’interesse nazionale e che sappia come tutelarlo in ogni occasione”. È questo l’obiettivo della Scuola di Formazione di Farefuturo presentata a Roma in sala Nassyria al Senato, in una web conference a cui hanno partecipato, con il presidente Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia, anche Francesco Alberoni, Domenico Masi, Giulio Tremonti, Giulio Terzi, Marco Gervasoni, Gianluca Brancadoro e il segretario generale della Fondazione Mario Ciampi, in rappresentanza del corpo docenti. Tra gli altri, anche il leader della protesta giovanile di Hong Kong, Joshua Wong, che svilupperà la tematica della libertà.
Il Corso si articola in un “glossario nazionale” che individua attraverso le chiavi del lessico i nuovi orizzonti e i nuovi confini dell’Italia e degli italiani nell’epoca della globalizzazione: rischi e opportunità, idee e progetti. Il corpo docente è formato dagli autori del Rapporto sull’Interesse Nazionale “Italia 20.20” e dai componenti il Comitato scientifico della Fondazione. Tra gli altri, oltre quelli citati, anche Ernesto Galli della Loggia, Pietrangelo Buttafuoco, Agostino Carrino, Guido Crosetto, Luigi Di Gregorio, Maurizio Leo, Alessandro Mangia, Giampiero Massolo, Andrea Margelletti, Luigi Paganetto, Carlo Pelanda, Paolo Peluffo, Paolo Quercia, Beniamino Quintieri, Giampaolo Rossi, Gennaro Sangiuliano.
“Ci rivolgiamo – ha affermato Urso – a tutti coloro che credono nella nazione come comunità di destino per formare una classe dirigente competente e coerente, consapevole di quanto importante sia difendere identità e interessi nazionali nel contesto europeo e occidentale. Nel corpo docente vi è il meglio della cultura italiana, idee e analisi sicuramente interessanti per chiunque voglia andare oltre i luoghi comuni, comunque stimolanti anche quando non si condividono. La competenza e quindi il merito devono tornare nella politica e nelle istituzioni italiane”. “Il sapere di carattere generale è minacciato dalla mondializzazione”, ha affermato il sociologo Francesco Alberoni. “Il nostro pensiero è formato più da Amazon che dalla scuola, segue solo i meccanismi economici del consumismo. Dobbiamo reagire“. Il tema del “lavoro” sarà sviluppato da Domenico De Masi, il quale – ha evidenziato Urso – è sempre interessante ascoltare anche quando non la pensiamo come lui. “La progressiva riduzione del lavoro – ha detto De Masi – richiede una ristrutturazione globale, sociale, economica, produttiva. Cambia il tempo ma anche la qualità del lavoro. Il lavoro non sarà più centrale nella vita dell’individuo, ciò significa ridefinirlo“. “Esiste – ha aggiunto Tremonti – una asimmetria tra mondo globale e diritto locale che va colmata. L’Europa si è messa finalmente nel lato giusto della storia, riprendendo proprio le proposte italiane“. “Dobbiamo rilanciare l’Atlantico”, ha affermato l’ex ministro Giulio Terzi, “Non solo come necessario per la nostra Difesa ma come elemento per i nostri valori, la nostra cultura, la nostra politica“. Per Gianluca Brancadoroil gigantismo è indotto dalla economia digitale e richiede l’intervento delle istituzioni, a cominciare dalla UE. Dobbiamo far valere il nostro interesse nazionale”. Marco Gervasoni ha evidenziato che “nella ridefinizione del glossario nazionale, sempre più centrale è proprio la rivisitazione del concetto di conservatorismo. Valori e interessi Nazionali”. Infine, il segretario generale della Fondazione Mario Ciampi ha sottolineato che “l’interesse nazionale è un tema importante a volte relegato in un angolo del dibattito pubblico come se fosse un sottoprodotto del nazionalismo, ciò perché spesso le élite hanno dato prova di non essere troppo vincolati da sentimenti di lealtà nazionale”.

Sovranisti, non populisti. Per il bene (ed il benessere) della Nazione

Venerdì 16 partirà la Scuola di formazione della fondazione Farefuturo. Il primo corso è dedicato alla definizione di un tema di stretta attualità, «Sovranismo vs Populismo», per noi una vera e propria “emergenza” in vista della cruciale campagna elettorale per le Europee del 2019. Per chiarire la chiave di lettura del corso e la necessità di dotare le forze politiche identitarie di un’offerta politica all’altezza della sfida epocale ci affidiamo alle riflessioni del professor Mario Ciampi, coordinatore del Corso.
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Il sovranismo e il populismo sono culture solo in apparenza sovrapponibili. Sono tante le differenze tra questi due filoni di pensiero e di azione, ma a distinguerli è soprattutto la visione che hanno sulla formazione della classe dirigente. Il populismo predica la sovrapposizione tra il popolo e le élite. Chi è chiamato a decidere deve semplicemente applicare la volontà del popolo, che si presume monolitica, empirica, generale. Per questo, il populismo non ha bisogno di una vera classe dirigente: vi è in esso la presunzione di una perfetta coincidenza tra chi comanda e chi ubbidisce, fino a prefigurare l’abolizione della rappresentanza politica e dello stesso Parlamento. Anzi, quando è davvero ispirato, pretende perfino che i rappresentanti vengano scelti per sorteggio, che chiunque possa diventare parlamentare o ministro senza passare da percorsi selettivi, pur essendo evidente a tutti che non abbiamo una società paragonabile all’antica Grecia o alla Repubblica di Venezia. Nell’attuale scenario politico europeo e forse internazionale, il populismo più rigoroso è incarnato proprio dal Movimento 5 Stelle.
Il sovranismo, su questo punto cruciale della formazione della classe dirigente, deve esprimere tutt’altro indirizzo. Certo, la sua aspirazione è quella di recuperare la centralità del popolo e della nazione contro le derive tecnocratiche del potere, ma per realizzarla non può disdegnare i meccanismi della rappresentanza e la designazione di una dirigenza politica capace e responsabile. È lo stesso bene della nazione che lo richiede. Il sovranismo dovrebbe sentire come prioritaria questa missione: mettere i migliori e i più meritevoli in condizione di servire la nazione e il suo legittimo interesse. Esso crede ancora, nonostante tutto, che la politica sia un lavoro intellettuale, un beruf, una vocazione. E anche per questo ha il senso della storia, della tradizione, dell’appartenenza. Che oppone alla subcultura dello sradicamento, ancora per poco tempo dominante su scala planetaria.
Insomma, la formazione alla politica è una funzione essenziale per l’affermazione del sovranismo, o almeno di un sovranismo corretto dal realismo della cultura conservatrice, di un sovranismo come dovrebbe essere a destra, non velleitario, non di facciata. Del resto, per rappresentare al meglio l’interesse nazionale in un mondo così complesso come quello attuale, non si può fare gli alchimisti stregoni. Bisogna saper interpretare lo scenario interno ed esterno, sapere come attuarle certe trasformazioni, come guidarle. Se il populismo può permettersi di ricavare (a parole) l’ordine dal caos, il sovranismo deve dotarsi di un criterio ordinatore, che va quindi rigorosamente pensato e applicato. A partire dalla ricerca e dalla formazione. Sarà forse meno epico, ma noi crediamo nell’epica delle piccole cose.

*Mario Ciampi, segretario generale Fondazione Farefuturo

La nuova Europa rifonda l’Europa?

La “rivoluzione” politica che sta travolgendo i vecchi assetti fa emergere un deficit di classe dirigente a tutti i livelli. Si comunica con twitter, si decide con un tweet, si partecipa con un tweet. Ma il bisogno di conoscenza resta e si aggrava. Si dice che mancano le competenze, forse non si vogliono le competenze.
In ogni caso, a noi appare fondamentale riprendere, oggi più che mai, il percorso di formazione che ha caratterizzato sin dall’inizio il nostro impegno politico, ovviamente con i temi e gli strumenti di oggi, che sono ben diversi da quelli di ieri.
La Fondazione Farefuturo ha così deciso di promuovere, con il patrocinio della Fondazione Alleanza Nazionale, un primo master di formazione, introduttivo rispetto al Corso generale che intendiamo realizzare nel prossimo anno. Una scommessa difficile ma necessaria. (https://farefuturofondazione.it/corso-di-formazione-sovranismo-vs-populismo/)
Il master lo abbiamo dedicato a ” Sovranismo vs Populismo”, con l’intenzione di individuare le differenze tra chi ha una visione sovranista e, quindi, anche ma non meramente populista e chi, invece, si limita ad agitare il populismo, secondo gli antichi canoni della demagogia, rivendicazioni senza limiti, fini a stesse. Il sovranismo è futurismo, pensa alla Nazione e non solo alla presente generazione, investe sulla natalità e sulla crescita. Il populismo rischia talvolta di degenerare nel presentismo, consuma ogni cosa senza pensare a chi verrà dopo. Per esemplificare, Orban è sovranista, Maduro è meramente populista.
Il master ha un Meeting di apertura particolarmente evocativo: il 9 novembre, anniversario della caduta del muro di Berlino, sul tema ” La nuova Europa rifonda l’Europa?”, con la partecipazione dei rappresentanti della altre Fondazioni di centrodestra di Paesi Visegrad, con cui stiamo realizzando un comune Rapporto di ricerca internazionale, che sarà presentato prima delle elezioni europee del prossimo anno (https://farefuturofondazione.it/meeting-di-farefuturo-la-nuova-europa-rifonda-leuropa/)
Con Farefuturo, sono impegnati:
Center for open Policy – Slovacchia
Szazadveg Politikai Iskola Alapitvany – Ungheria
External Analysis Institute of Politics and Society – Rep. Ceca
Il Corso, infatti, è un tassello di un complessivo ambizioso progetto culturale prima ancora che politico, le cui basi comuni possono ben ritrovarsi nel “manifesto dei conservatori” promosso da Roger Scruton, brillante filosofo inglese, che purtroppo in Italia non ha ancora trovato il giusto riscontro.
Il corpo docente del Corso selezionerà i dieci migliori partecipanti, cui sarà chiesto di coadiuvare i ricercatori nel nostro progetto Visegrad+Italia che ha come tema: “La crescita felice: natalità e investimenti”.
I paper dei partecipanti al Corso giudicati migliori, anche ai fini di divulgazione, saranno inoltre pubblicati nella rivista Charta minuta ed i loro autori saranno inseriti tra i collaboratori stabili della rivista.
A questo primo Corso possono partecipare tutti coloro che si iscriveranno, compilando il modulo allegato. Le sessioni di studio sono, comunque, aperte agli uditori che vorranno di volta in volta assistervi.
Solo gli iscritti al corso potranno, però, partecipare al programma di ricerca e diventare collaboratori continuativi della rivista Charta minuta.
Speriamo così di apportare il nostro contributo al processo di rifondazione della politica, alla quale serve una migliore classe dirigente e, soprattutto, un progetto consapevole che non si fondi sul rancore ma su valori e idee condivisi. Questa è la missione della destra!

*Adolfo Urso, senatore FdI