Caro energia: contro speculazioni intervenga lo Stato

L’ascesa del prezzo del gas di oltre 10 volte nel corso di pochi mesi ha qualcosa di sconcertante per due motivi. Il primo motivo è che le risorse energetiche non sono comparabili allo scooter o al cappotto, che si decide se comprare o meno e con qualità diverse a seconda del portafogli, bensì trattasi di beni essenziali, di fattori produttivi. Il secondo motivo è che tale aumento sia avvenuto senza un’efficace contrasto da parte della pubblica autorità.

Analogamente a quanto successo molte volte nei mercati finanziari di mezzo mondo, è accaduto che speculatori professionali siano riusciti a portare i prezzi sul “libero mercato” a livelli non sostenibili dalla popolazione, sotto lo sguardo impotente, quando non indifferente, di quelle autorità che dovrebbero tutelarla. Autorità nazionali o europee poco importa, il risultato è lo stesso.

L’elettricità è anch’essa fortemente legata al gas: così, se il prezzo del gas sale da 30 a 150 €/Mwh, ecco che l’elettricità, pur prodotta mediante fonti diverse (gas, carbone, rinnovabili, nucleare etc.) si vende ad analogo prezzo sul mercato, perché è la fonte più cara a concorrere nella formazione del prezzo.

Se dunque io sono un accumulatore di gas che ha comprato (poniamo) a 50 ed oggi rivendo a 100, avrò un superprofitto del +100% in tre mesi, senza che questo sia giustificato dall’aver realizzato nessun investimento di natura produttiva, avendo invece solo speculato ai danni della signora Maria che paga la bolletta del gas.

Parimenti, se io sono un produttore di elettricità da fonte solare o eolica, con un costo di produzione di (poniamo) 30 €/Mwh, mi trovo a vendere l’elettricità da un momento all’altro da 60 a 300 €/Mwh, sempre ai danni della signora Maria che paga la bolletta elettrica.

Si dirà che i numeri non sono esattamente questi, che la tecnicalità è complessa, che il discorso è semplicistico, ma di fondo la questione non è molto più complicata di questa.

Il governo italiano ha iniziato a tassare gli extraprofitti nati da questi semplicistici esempi. Ma pensiamo che basti il 10% di imposta addizionale? Gli extraprofitti non avrebbero mai dovuto avere luogo, perché bisognava porre in essere meccanismi di fissazione del prezzo in fasi di ingiustificato rialzo (o ribasso) del mercato, che equivale a tassare gli extraprofitti ma in modo più chiaro e pulito.

A parere di chi scrive, bisognerebbe ritornare a discutere di un prezzo di vendita dell’energia concordato con lo Stato, nazionale o europeo. La fissazione di una banda di oscillazione dei prezzi, all’interno del quali si muovano gli operatori di mercato, potrebbe tutelare dagli eccessi speculativi sia in rialzo (a favore dei venditori) come in ribasso (a sfavore dei venditori). Perché vanno evitati anche prezzi eccessivamente bassi che potrebbero frenare gli investimenti produttivi.

Naturalmente si può condizionare o imporre un prezzo ai produttori interni ma non quelli di importazione. Eppure l’autorità politica dell’intera Unione Europea, grande importatore di energia, potrebbe far sì che tali imposizioni del prezzo possono avvenire non soltanto nei confronti dell’Eni italiana, della Total francese o del produttore eolico in Puglia, ma anche nei confronti dei fornitori esteri.

I fattori produttivi, diversamente dai beni di consumo, non andrebbero mai lasciati al solo mercato. Come per il lavoro esistono legislazioni di tutela di salario e condizioni contrattuali, al medesimo modo andrebbero trattati prezzi e modalità della compravendita di energia.

 

*Stefano Filippini Lera, esperto di finanza di impresa