Mercuri: in pericolo gli interessi italiani in Libia

In vista del meeting del 5 marzo prossimo organizzato dalla Fondazione Farefuturo in collaborazione con il settore esteri di Fratelli d’Italia dal titolo “ Italia vs Francia: addio Libia?” abbiamo raggiunto la dottoressa Michela Mercuri esperta di Libia e Medio Oriente, per fare una panoramica della situazione attuale.

 

E’ notizia di questi giorni che Il presidente di Tripoli e l’uomo forte della Cirenaica si sono incontrati ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti sotto l’egida ONU per sottoscrivere un accordo per porre fine ad un periodo di transizione e indire nuove elezioni. Il Vicepresidente del Copisar, il senatore Adolfo Urso, ha parlato “di una grave sconfitta per le ambizioni del governo Conte”. Lei da esperta dell’area crede che questo accordo possa realmente pregiudicare i nostri interessi in Libia?

L’incontro è stato “sponsorizzato” da due dei principali alleati di Khalifa Haftar: Francia ed Emirati Arabi. Parigi, supportando l’avanzata del generale, sta cercando di realizzare le sue ambizioni egemoniche nel Paese. Abu Dhabi, principale finanziatore di Haftar, lo appoggia sia per controbilanciare il peso del Qatar, che sostiene la fratellanza musulmana di Tripoli, sia per assurgere al ruolo di attore regionale dominante. Da questo punto di vista l’incontro tra Serraj e Haftar non cambia gli equilibri interni che si sono delineati negli ultimi giorni, con il generale sempre più influente e oramai padrone di quasi tutto il Paese. Non è dunque questo accordo a pregiudicare il nostro ruolo in Libia, quanto piuttosto gli eventi che lo hanno preceduto e che non siamo stati in grado di limitare, gettando al vento il lavoro svolto durante la conferenza di Palermo. Detta in altri termini: in poco più di tre mesi abbiamo perso Serraj, il nostro alleato sul terreno che non controlla le numerose fazioni che stanno mettendo a ferro e fuoco la capitale, abbiamo perso influenza anche con alcuni attori locali, con cui Haftar sembra aver raggiunto accordi e abbiamo regalato alla Francia la primacy sul dossier Libia. Al momento, dunque, al di là di questo (ipotetico) accordo che cambia la forma ma non la sostanza della situazione interna, credo che gli interessi italiani nel Paese siano in serio pericolo.

 

Abbiamo già assistito ad annunci su possibili elezioni. L’anno scorso al summit di Parigi del 29 maggio il presidente Emmanuel Macron riuscì a strappare una data ai recalcitranti Fayez Sarraj e Khalifa Haftar: elezioni nazionali entro il 10 dicembre 2018. Come tutti sappiamo queste elezioni non ci furono e l’Italia fu in grado di indire un altro summit, questa volta a Palermo il 12 e 13 novembre 2018, dal quale sembrò uscire una reale road map. Sul campo però Haftar ha continuato la sua “concquista”. A questo punto questo accordo le sembra credibile? O è in realtà una semplice formula “tappabuchi” utilizzata dalla diplomazia? 

Partiamo da un presupposto: le elezioni politiche in un contesto frammentato e instabile come quello libico non possono essere considerate la soluzione per il consolidamento di un qualche status quo. Sarebbe necessario invertire la prospettiva: non elezioni per stabilizzare la Libia, ma tentare di stabilizzare la Libia prima di indire elezioni. Per questo il “Piano Marshall” proposto – o quasi imposto- da Macron, che prevedeva elezioni nel dicembre del 2018, era a dir poco discutibile, come sottolineato sia da Ghassan Salamè sia dall’allora ambasciatore italiano in Libia Giuseppe Perrone. La road map di Palermo, molto più realisticamente, prevedeva un processo di pacificazione e un percorso istituzionale propedeutico alla tornata elettorale, ma anche in quel caso senza alcun documento e senza date certe. Durante il vertice di Abu Dhabi si è parlato, di nuovo, di un’intesa per indire le elezioni. E’evidente che Haftar e i suoi alleati in questo momento abbiano tutto l’interesse a spingere per delle elezioni che probabilmente saranno loro favorevoli in termini di risultati. Nonostante ciò, però, anche questa volta c’è solo una dichiarazione estremamente generica, manca una data e una “pianificazione istituzionale”. Propenderei, dunque, per la solita “formula tappabuchi” o, se vogliamo, “un contentino”. Qualunque sia il valore delle dichiarazioni emerse ad Abu Dhabi, ribadisco, però, che senza una preliminare stabilizzazione del quadro interno le elezioni saranno solo il preludio per nuovi scontri.

 

Il Presidente Conte assicura  che “Parigi è informata. I nostri due Paesi hanno continuato a lavorare a tutti i livelli sul dossier libico, dall’intelligence in poi, non c’è divergenza sulla necessità di pervenire quanto prima alla stabilizzazione della Libia”. Al momento con Parigi c’è convergenza di obiettivi e un aggiornamento costante”. In realtà molti osservatori giudicano la scelta del luogo e la tempistica come un “strappo” organizzato da Macron per sottrarci l’influenza nella nostra ex-Colonia. Lei crede che il nostro governo possa contare su una reale collaborazione dell’Eliseo per stabilizzare il Paese?

Il Premier Conte si è trovato nella scomoda posizione di fare buon viso a cattivo gioco, ma credo sia consapevole della nostra posizione di inferiorità e soprattutto che non è possibile collaborare con Parigi, se non stando alle sue regole e dunque in una posizione di “gregari”. Basta guardare ai fatti. Quasi in concomitanza con l’offensiva dell’esercito di Haftar i Mirage dell’aviazione francese hanno colpito incessantemente l’area fra la Libia e il Ciad per sostenere militarmente il generale nella sua avanzata per il controllo del Paese. L’8 novembre Macron ha invitato a Parigi importanti esponenti di spicco di Misurata, la città Stato che oramai è una sorta di terzo potere in Libia, mentre pochi giorni fa alcuni funzionari dei servizi segreti della Dgse avrebbero effettuato una missione a Tripoli per dialogare con Serraj. È evidente che Parigi sta portando avanti una sua strategia per assurgere al ruolo “di stabilizzatore del Paese” senza alcun coordinamento con l’Italia ma soprattutto con la comunità internazionale. In questo contesto, l’incontro di Abu Dhabi è solo l’ennesimo atto della partita dell’Eliseo contro l’Italia. Non vedo, dunque, margini di collaborazione, per lo meno al momento.

 

Anche la Federazione Russa, sembra essere molto attiva a sostegno di Haftar e alcuni osservatori sono preoccupati di questo attivismo. Lei pensa sia possibile un accordo che, sulla base della collaborazione di ENI e Rosneft, possa tutelare i nostri interessi e stabilizzare il Paese o vede in questo un ulteriore pericolo per l’Italia?

Se è vero che la Russia è un altro noto sponsor di Haftar vi sono, però, alcuni elementi che potrebbero farci propendere per una visione più “ottimistica” e che sono in parte legati alle questioni energetiche. Solo per fare alcuni esempi, nel dicembre del 2016 Eni ha concordato il passaggio a Rosneft di una quota del 30% della concessione di Shorouk, nell’offshore dell’Egitto, nella quale si trova il giacimento di Zohr.. Il fondo sovrano qatariota Qatar Investment Authority (Qia) ha acquisito, poco più di un mese dopo, il 19,5% del capitale di Rosneft grazie al sostegno economico di Intesa san Paolo. Esistono legami importanti tra i due “colossi energetici” che potrebbero fungere da base per una maggiore convergenza anche sulla questione libica. Ci sono però altri aspetti che ritengo degni di nota. Mosca sembra voler assurgere al ruolo di attore indispensabile per tentare di dipanare la complessa questione libica, agganciando anche il governo di Tripoli. Il Cremlino ha tutto da guadagnare, in termini di immagine, patrocinando un ravvicinamento tra Tripoli e Haftar, per ristabilizzare un’area che l’occidente ha gettato nel caos intervenendo militarmente nel 2011. Anche per questo Putin si è mostrato molto collaborativo con l’Italia durante il vertice di Palermo inviando il primo ministro Medvedev ma, cosa più importante, “intercedendo” nei confronti di Haftar per perorare la causa del summit e favorire la sua partecipazione. Ci sono poi le questioni economiche. Il primo ottobre scorso, il ministro dell’economia del governo di unità nazionale ha comunicato che Tripoli acquisterà 1 milione di tonnellate di grano dalla Russia per un totale di 700 milioni di dollari. Sul tavolo ci sono, poi, importanti progetti di cooperazione nel settore delle costruzioni ferroviarie e altri affari miliardari.  La Russia, dunque, ha molti interessi da sviluppare nell’Ovest. L’Italia potrebbe creare un asse con Putin sfruttando i suoi contatti sul terreno, specie a Tripoli, dove abbiamo da poco riaperto la nostra ambasciata, facendo perno anche sugli importanti rapporti con gli attori locali maturati dall’Eni nel corso degli anni. Mosca resta un attore su cui puntare.

Sembra quindi, che al governo italiano manchi una realpolitk sul caso Libia e che i francesi ne stiano approffittando per portare avanti sul campo la loro strategia iniziata nel 2011.

*Intervista con Michela Mercuri, opinionista sulla politica di Mediterraneo e Medio Oriente di Mario Presutti, collaboratore Charta minuta