Anche i social fanno politica

Da qualche anno a questa parte anche nel mondo dei social molte cose sono cambiate. Circa 12 anni fa – era il 2009 – cominciai ad interessarmi di comunicazione e di social network proprio nel momento in cui le principali piattaforme si convertivano anche alla lingua italiana. Un mondo affascinante ed interessantissimo che si presentava colmo di opportunità, un mondo ancora libero da condizionamenti che ahimè di lì a poco sarebbero emersi nella loro piena virulenza. Originariamente i dati che ci venivano richiesti si limitavano all’indirizzo mail, al nome e cognome. Tutto apparentemente gratuito e, infatti, in una sorta di baratto inconsapevole, le piattaforme social concedevano l’uso a fronte di una sempre più completa informazione su noi stessi. Oggi gli utenti del solo Facebook ammontano a circa 3 miliardi di persone (account) e il trend di crescita non accenna minimamente a rallentare. In questi ultimi due anni gli occhi sono stati puntati principalmente sull’utilizzo dei dati personali raccolti da questi social network, azioni lecite e talvolta poco chiare che hanno permesso loro di lucrare a dismisura. Si dice poco invece dell’altro fenomeno che i social hanno messo in campo proprio negli ultimi due/tre anni e qui mi riferisco al condizionamento politico. È proprio così: oggi queste piattaforme costituiscono la principale fonte di indottrinamento politico su scala mondiale. Quel condizionamento politico ed ideologico che incide già alla base, sul territorio dei piccoli centri fino ad interferire nelle politiche nazionali ed internazionali. La potenza di fuoco di queste piattaforme social è capace di destabilizzare un consiglio di quartiere quanto una leadership di un capo di Stato. Tutto ciò è a dir poco terrificante. Siamo prossimi al controllo del pensiero politico e al controllo sulla attività delle istituzioni. Qualche evento si è già verificato, ma a mio avviso siamo solo che all’inizio. Dopo il controllo economico ed il controllo psicologico, ora è il momento del controllo politico. Entriamo nel merito dell’aspetto politico – non perché gli altri non siano importanti – ma perché degli altri aspetti se ne sente già parlare a tutti i livelli. Oggi, quando su Facebook si citano soggetti, azioni o idee in controtendenza o non filogovernative – ovvero – contrarie al potere democraticamente costituito del singolo Paese o non allineate al grande pensiero su scala mondiale, si viene “bannati”, puniti, sospesi, e talvolta esclusi o radiati. Partiamo da Twitter che senza appello eliminò definitivamente sia il profilo privato sia quello presidenziale di Donald Trump. Seguirono a ruota nella stessa procedura, Facebook, Instagram, Snapchat e Twich. Ciò che lascia interdetti sono le motivazioni addotte dall’Azienda di San Francisco che ha giustificato la decisione intravvedendo il “rischio di istigazioni alla violenza”. Con questo precedente, Twitter ha fatto una scelta editoriale proprio come un qualsiasi quotidiano di regime fa nei confronti di chi si schiera politicamente su un versante politico opposto. I contenuti cominciano ad essere filtrati e in base all’orientamento o meno filogovernativo, affermazioni pro o contro alcuni temi di politica e finanza internazionale vengono esclusi seguendo la linea editoriale della piattaforma social. La nuova editoria social è fonte e nello stesso tempo lo strumento del pensiero politico che sta monopolizzando l’informazione di sistema mettendo a tacere tutti coloro che non sono in linea col conclamato pensiero dominante. Ecco che da qui, come per reazione, nascono i social in controtendenza e una moltitudine di TV, radio web, gruppi e canali video che trasmettono e divulgano la cosiddetta contro informazione. In Italia sono molti i casi di diffida inflitta dai social a famosi giornalisti che si trovano ogni giorno a combattere con i colossi del web tra una diretta interrotta e una sospensione settimanale. Gli Algoritmi impostati da mani e menti umane sono programmati per gestire keyword ed espressioni non gradite e, pertanto, da non diffondere nella rete, influenzando gravemente sulla libertà di pensiero e di espressione. Questo è un processo che va ben aldilà del controllo della violenza sul nascere che sia essa fatta di insulto verbale o di istigazione. Questi sono solo alcuni dei casi che si verificano nelle cosiddette democrazie nelle quali la libertà di pensiero e di espressione non dovrebbe essere intaccata, ma al contrario assistiamo inermi a violazioni continue della libertà di espressione. Le grandi aziende che gestiscono i social sono oggi a tutti gli effetti degli editori su scala mondiale che modellano il pensiero politico delle masse secondo delle linee guida ben precise. TV, radio e carta stampata hanno lasciato il campo alla informazione social che orienta gli elettori nelle varie consultazioni elettorali lasciando nell’album dei ricordi i megafoni, i comizi e le tribune elettorali. Ma quanto sta per accadere pochi se lo aspettano e occorre fare attenzione. A breve, se non si mette un freno, i social daranno il cosiddetto colpo di grazia alla politica partecipata, al candidato che divulga il suo pensiero, che fa conoscere le sue proposte, perché a breve i social toglieranno la “informazione geolocalizzata” – funzione molto importante per chi fa politica su un piccolo territorio – facendo in questo modo disperdere i vari messaggi politici. I social che sono autentiche macchine finanziarie faranno pagare denari sonanti a chi vorrà fare la propaganda politica mirata, anche se non avrà più gli stessi effetti dirompenti del passato. Questo sarà un passaggio epocale che dovrà essere esaminato, regolamentato e normato velocemente prima di trovarci irrimediabilmente legati mani e piedi al sistema del “PARTITO dei SOCIAL”, quel partito selezionatore delle informazioni da divulgare nonché manipolatore di massa.

*Stefano Lecca, consulente in comunicazione social e webmarketing