Dilapidato il patrimonio italiano nel Corno d’Africa

Intervista di Antonio Coppola a Raffaele De Lutio, profondo conoscitore dell’Africa; ha ricoperto la carica di Ambasciatore ad Addis Abeba, accreditato anche presso l’Unione Africana, e di Direttore Centrale alla Farnesina, per i Paesi dell’Africa sub-sahariana.

D Il Corno d’Africa sta vivendo mesi molto difficili, il primo ministro etiope Abiy Ahmed, Nobel per la pace soltanto un anno e mezzo fa, lo scorso 4 novembre ha attaccato militarmente la regione Tigrai a seguito di tensioni tra il Governo centrale e le forze regionali del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè. La situazione è precipitata rapidamente; come esplode questo conflitto e come si sta evolvendo?

R La situazione in Etiopia è molto grave e siamo ad un passo dallo scoppio di una vera e propria guerra civile, che potrebbe allargarsi ad altri Paesi con conseguenze imprevedibili per l’intero Continente ma anche per l’Europa e non mi riferisco tanto alla questione migratoria ma ai veri e propri equilibri strategici. Come tutti i conflitti anche questo ha radici antiche, le elezioni del 2005 ma forse anche più antiche.

Dalla caduta dell’Imperatore l’Etiopia ha conosciuto una profonda crisi di legittimità, il tentativo marxista del Derg è annegato in un bagno di sangue. L’esperimento federalista di Meles Zenawi ha conosciuto una deriva autoritaria, priva di prospettive politiche. Probabilmente, l’improvvisa morte di Meles, ha privato il Paese di uno dei suoi leader più lucidi e, a mio avviso, di un elemento moderatore.

L’arrivo al potere di Abiy Ahmed è avvenuto in circostanze poco chiare, così come la sua gestione del potere. Con Abiy per la prima volta nella sua storia plurimillenaria, l’Etiopia ha un leader non cristiano e non amara o tigrino, le due etnie dell’Etiopia storica. Si tratta di un aspetto non secondario del problema. Gli Oromo sono infatti il gruppo etnico maggioritario, giunto in Etiopia a partire dalla fine del XVIII secolo e sempre ai margini del potere. Alcuni ambienti internazionali lo hanno visto come la soluzione di tutti i mali del Paese ed il creatore di un’Etiopia democratica. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Era necessario giungere ad una soluzione della crisi con l’Eritrea e ad una composizione delle tensioni interne, ma probabilmente i tempi e le modalità scelti da Abiy non erano stati sufficientemente approfonditi e valutati. La contrapposizione violenta con la componente tigrina è la più importante ma non l’unica, quella foriera di sviluppi del tutto imprevedibili, data anche la capacità militare dei tigrini. Gli assassini mirati dei vecchi leader del TPLF, primo fra tutti l’ex Ministro degli Esteri Seyum Mesfin rappresentano un errore politico gravissimo, oltre che un crimine odioso. Sembrerebbe che in tutto il Paese e tra le truppe etiopiche in Somalia si registri una vera e propria caccia al tigrino. Difficile esprimere un giudizio, non esistendo alcuna possibilità di verificare le notizie e quindi si rimane sempre ai si dice, sembrerebbe che…

D Nella capitale Addis Abeba c’è la sede dell’Unione Africana, oltre all’area circostante all’Etiopia c’è il rischio di una destabilizzazione del continente?

R Certamente esiste un rischio di destabilizzazione del Continente. L’Etiopia rappresenta la porta di ingresso orientale al Continente, quella che l’Impero aveva ermeticamente chiuso per oltre 1000 anni, consentendo all’Africa sub sahariana di mantenere intatte alcune delle sue specificità, nonostante il colonialismo ed i tentativi di penetrazione islamica. Inoltre, la presenza militare etiopica in Somalia aveva bloccato l’avvento di un regime islamico radicale, quale quello delle Corti islamiche. Va però riconosciuto, che Addis Abeba non è mai sembrata interessata ad una vera soluzione della crisi quanto piuttosto a congelarla, senza alcun programma a medio, lungo termine.

D’altra parte le tensioni con il Sudan e con l’Egitto sono ampiamente note. Non si tratta solo dell’uso delle acque del Nilo, su cui Meles Zenawi ed i suoi successori hanno cercato di far “cavalieri soli”, sopravvalutando le proprie forze ma anche di una lotta di influenze per la leadership sull’Africa orientale.

Il ruolo di Asmara è quanto mai equivoco, secondo alcune voci Seyum sarebbe stato portato in Eritrea e lí assassinato. Asmara starebbe utilizzando forze somale in territorio tigrino e starebbe espandendosi nell’area frontaliera contestata, mentre il Sudan avrebbe occupato alcune aree di frontiera anch’esse tradizionalmente contese. Dalla caduta del Derg, provocata in larga parte dalla guerriglia eritrea, esiste una sorda lotta tra Asmara ed Addis per la supremazia politica in Africa orientale.

P Per evitare il peggio, cosa potrebbe fare la comunità internazionale? E l’Italia, congiuntamente all’Alleanza Europea ed Atlantica, potrebbe avere un ruolo?

R Difficile dire cosa debbano fare la Comunità internazionale e l’Italia in particolare. Certamente esercitare ogni possibile sforzo per interrompere la spirale della violenza. L’Unione ha nominato il Ministro degli Esteri finlandese inviato speciale e la sua missione andrebbe sostenuta con grande determinazione da parte di tutti i Paesi membri, a cominciare dall’Italia.

L’Italia dovrebbe però cercare anche una propria dimensione, interrompendo la fase di estraniamento dal Corno d’Africa che ci ha portato a disperdere le nostre risorse in aree del Continente in cui non abbiamo alcun radicamento ed alcuna effettiva presenza. Ricordiamo la pagina nera della chiusura della scuola italiana di Asmara, un vero delitto! Due nostri Sottosegretari, l’uno di centro sinistra e l’altro di centro destra, Mario Raffaelli ed Alfredo Mantica hanno una profonda conoscenza del Continente e del Corno d’Africa, perché non affidare ad uno di loro e ad alla Farnesina il compito di chiarire innanzitutto i termini del problema, contribuendo da protagonisti alla elaborazione di una strategia europea per l’Etiopia. Non si tratta di mediare non essendovi alcuna richiesta in tal senso, ma di comprendere cosa sta realmente accadendo ed ipotizzare delle linee d’azione adeguate. Il Corno d’Africa insieme alla Libia era una delle poche aree in cui l’Italia aveva i mezzi per svolgere una propria politica estera, nel giro di pochissimi anni abbiamo dilapidato un patrimonio di conoscenze, relazioni, amicizie, strumenti unici…. Un vero delitto!

*Antonio Coppola, collaboratore di Charta minuta

De Lutio: una pagina di storia in Corno d’Africa

D. La visita del Primo Ministro etiopico Abiy Ahmed ad Asmara e del Presidente eritreo Isaias Afewerki ad Addis Abeba, nella prima metà del luglio scorso, è stata una pagina di storia che ha colpito tutti gli osservatori del Continente africano. Ciò che abbiamo visto rappresenta davvero un punto di svolta negli equilibri del Corno d’Africa?
R. Senza dubbio è un punto di partenza. Quando iniziano processi, che devono risolvere questioni aperte da molti anni, è sempre difficile predire quale sarà il loro risultato.  La mia impressione è che siamo di fronte ad un vero cambiamento di scenario, reso possibile dal fatto che per la prima volta nella plurimillenaria storia dell’Etiopia un musulmano, di etnia Oromo, è alla guida del Paese. Quindi, una personalità non condizionata da legami ancestrali con la disputa tra Etiopia ed Eritrea, capace di creare le condizioni necessarie all’avvio delle attività di demarcazione della frontiera sulla base delle conclusioni della famosa Commissione di demarcazione, istitutita dagli Accordi di Algeri. Un altro elemento importante, questa volta di politica interna, è stata la liberazione dei prigionieri politici e l’impegno dello stesso Abiy a favore del multipartitismo effettivo e non di facciata. Infine, lo stesso Primo Ministro etiopico ha annunziato una serie di riforme economiche attese da anni – tra cui la privatizzazioe delle telecomunicazioni – che potrebbero “liberare” quelle energie, bloccate da decenni, e che potrebbero portare finalmente quel benessere che l’Etiopia ed il Corno d’Africa non hanno mai conosciuto. Il quadro politico dell’Etiopia e dell’intero Corno d’Africa è stato completamente bloccato per troppi anni, tanto sul fronte interno che su quello internazionale.
D. Nonostante l’Accordo di Algeri che portò alla fine della violentisisma guerra durata dal ’98 al 2000, vi è stato un protrarsi di rapporti molto tesi… come si è giunti ad un dialogo di tale portata?
R. Tanto in politica estera quanto sul fronte interno, l’Etiopia ha vissuto per oltre 10 anni in una situazione di completo stallo. Non va dimenticato che Addis Abeba è impegnata dal 2006 anche in Somalia, altro conflitto ancora irrisolto. Il tentativo di isolare l’Eritrea non aveva portato a risultati concreti ed anzi aveva contribuito al rafforzamento del regime ed alla fuga di migliaia di giovani, privi di concrete prospettive, come ben sappiamo in Italia dove sono giunte migliaia di govani eritrei. Ricordo che in varie occasioni  l’allora Primo Ministro etiopico Meles Zenawi invitatava gli Ambasciatori occidentali a non considerare il proprio Governo come un blocco monolitico. Sempre secondo Meles, il suo ruolo era semplicemente quello di ago della bilancia tra le tradizionali tendenze centraliste, contrarie sai all’indipendenza dell’Eritrea che alla regionalizzazione del Paese, e quelle disponibili a creare una nuova legittimità nazionale, basata appunto su federalismo anche etnico e su di un rapporto paritario con l’Eritrea. Ciò era in parte vero. Probabilmente è accaduto che una nuova etnia, ormai maggioritaria e tradizionalemnte ai margini della storia etiopica, è riuscita ad esprimere un leader di statura nazionale, non emotivamente coinvolto nella vicenda eritrea, capace di fare ciò che razionalmente tutti gli amici dell’Etiopia suggerivano da anni… incontrarsi e dialogare!
D. Oltre ai fondamentali passi mossi dai due leader, quanto e come peserà il ruolo delle due rispettive popolazioni nel processo di reale pacificazione?
R. Le popolazioni nelle loro diverse componenti, etniche e religiose, dovranno partecipare al processo di “normalizzazione” delle relazioni interpersonali. Non dimentichiamo che la guerra etio eritrea ha provocato decine di migliaia di morti, in due Paesi gia stremati da una guerra civile durata circa 20 anni! Ritengo tuttavia che, come sempre, la stragrande maggioranza della popolazione cerchi di vivere in pace e di dimenticare gli orrori delle guerre.
D. La Somalia è caratterizzata da una forte mancanza di autorità dello stato. La forte frammentazione del potere è la causa principale dello sviluppo di derive religiose che hanno aperto la porta all’ISIS. L’armonizzazione tra Eritrea ed Etiopia potrebbe beneficiare la Somalia e concorrere alla salvaguardia del Corno d’Africa da infiltrazioni terroristiche?
R. Senza dubbio sì ma è necessaria una premessa. Tradizionalmente, la Somalia è caratterizzata da una struttura socio politica sui generis, il Clan, ed ha solo tollerato l’esistenza di uno stato centralizzato, forte. Siad Barre, esponente di un piccolissimo clan tentò di superare la struttura clanica e di creare una Somalia unitaria ma il suo progetto fallì per ragioni troppo lunghe da spiegare ora. Va altresì tenuto presente che la guerriglia eritrea e poi quella delle altre etnie etiopiche contro l’Imperatore e, successivamente, il Derg hanno sempre ottenuto dalla Somalia aiuti e sostegno anche politico. Quello che è avvenuto in Somalia dopo la caduta di Siad Barre nel ’91 ha avuto pesanti conseguenze sull’Etiopia ed Addis Abeba ha sempre seguito con attenzione l’evoluzione del quadro interno somalo, cercando di evitare un coinvolgimento diretto delle potenze islamiche. Va anche ricordato che nel dopoguerra l’Etiopia è stata attaccata ben due volte dalla Somalia ed è riuscita ad aver ragione dei somali solo con molta fatica. Nei momenti di maggior tensione con Addis Abeba, Asmara sosteneva i movimenti somali contrari agli interessi strategici dell’Etiopia. Ora la speranza è che i due leader riescano a collaborare anche per i riflessi positivi che una Somalia stabile avrebbe sugli equilibri interni di entrambi i Paesi, anche nell’interesse delle rispettive Comunità islamiche purchè queste non siano state già infiltrate in maniera irreversibile dagli estremisti ilsamici.
D. L’instabilità e la conseguente precarietà economica del Corno d’Africa non ha giovato affatto neanche ai vicini Sudan, Sud Sudan e Kenya… luoghi dai quali una gran parte dei migranti raggiunge l’Europa attraverso l’Italia che ne è la porta nel Mediterraneo. Una pacificazione strutturata gioverebbe senz’altro al nostro Paese, anche in un’ottica di contenimento dei flussi migratori. Che ruolo dovrebbe e potrebbe svolgere l’Italia congiuntamente all’Europa?
R. Ovviamente, una stabilizzazione del Corno d’Africa sarebbe utile anche alla Regione mediterranea ed all’Africa sub-sahariana. Uno sviluppo civile ed economico di Eritrea ed Etiopia avrebbe conseguenze positive su tutta l’Africa ma anche sull’Europa. Tradizionalmente il Corno d’Africa è sempre stato la porta di ingresso dell’Islam verso l’Africa sub-sahariana ed in questi anni di estremismo islamico l’Europa così come i regimi laici africani e medio orientali avrebbero tutto l’interesse a prestare la massima attenzione a questo scacchiere. Ciò è particolarmente vero per gli europei ed in particolare per l’Italia. Il contenimento dei flussi migratori è un elemento centrale del dibattito politico italiano ed europeo ma dobbiamo anche riflettere sul fatto che l’Italia è in grado di svolgere un ruolo politico autonomo in Libia, nel Corno d’Africa e parzialmente in Medio Oriente. In raccordo con l’UE e con gli USA, l’Italia deve essere presente, aiutando i due Paesi nel processo di stabilizzazione del Corno d’Africa affinchè questo vada avanti con la necessaria velocità e per evitare che i due Paesi implodano, aprendo le porte dell’Africa sub-sahariana ai diversi gruppi terroristici di ispirazione islamica. Inoltre, la Regione ha bisogno di infrastrutture e si potrebbero quindi aprire prospettive interessanti per la nostra economia. Non dimentichiamo che Etiopia ed Eritrea sono gli unici Paesi dell’Africa sub-sahariana ad avere una struttura statuale stabile. Certamente andrà modernizzata e rafforzata ma costituisce un’ottima base di partenza. L’Italia ha ancora gli strumenti politici e culturali per svolgere un proprio ruolo, basti pensare a tutti i funzionari, i militari, gli agenti di polizia che abbiamo formato nelle nostre scuole, Accademie, Università a strutture uniche come l’Orientale di Napoli dove si insegnano ancora le principali lingue della Regione o al patrimonio di conoscenze dell’Istituto Italo-Africano, sospeso in un limbo giuridico da troppi anni. In conclusione, è necessaria da parte dell’Italia un’intensa azione nel Corno d’Africa, non per vuoto velleitarismo o nostalgismi ridicoli, ma perchè si tratta di difendere nostri interessi politici ed economici e perchè ne avremmo ancora i mezzi.
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta