Negli ultimi due anni, con l’obiettivo macroeconomico di sostenere i Paesi Europei colpiti dalla pandemia da Covid-19, è stato sospeso l’applicazione del patto di stabilità che prevede di mantenere un deficit sotto il 3% del Pil e che il debito pubblico non deve superare il 60% del Prodotto interno lordo.
La commissione Ue ha avviato un dibattito pubblico per la revisione della governance economica europea. Entro il primo quadrimestre del 2022 la commissione fornirà un’indicazione tenendo conto della situazione economica globale, della specifica situazione di ciascun Stato membro e di quanto emerso nel dibattito pubblico. Quindi l’esecutivo Ue fornirà un suo orientamento sulle modifiche al Patto di Stabilità, con l’obiettivo di ottenere un largo consenso entro il 2023. Nell’ambito della governance economica europea rientra anche la modifica del Meccanismo europeo di stabilità.
Nelle comunicazioni sul dibattito per la revisione del patto di stabilità l’UE si è focalizzata su tre sfide principali: Una riduzione graduale, sostenibile, e che non ostacoli la crescita, del debito pubblico, la necessità di un forte sostegno agli investimenti pubblici per assicurare una crescita sostenibile e inclusiva e l’importanza di un forte coordinamento politico, anche tra Ue e Paesi membri.
Per gli Stati membri sarà essenziale ridurre i debiti pubblici elevati per affrontare le future crisi, ma va fatto in modo intelligente, graduale e sostenibile e senza ostacolare la transizione green e la crescita.
La crisi ha anche reso più visibili alcune sfide: deficit e debito più elevati, divergenze e disuguaglianze più ampie tra i Paesi membri e la necessità di maggiori investimenti e le regole di governance che vanno formulate ascoltando le opinioni, le idee, e costruire consenso, titolarità per un’efficace sorveglianza economica. In questo modo, possiamo rendere le nostre società ed economie più sostenibili, eque e competitive.
Una delle idee più discusse è quelle dalla golden rule che permetterebbe una riduzione graduale del debito che si coniughi con un maggior sostegno agli investimenti.
La riduzione del debito pubblico già è stata un problema prima del Covid, oggi il forte sostegno pubblico anti-ciclico fa stimare che circa il 19% del Pil, tra il 2020 e il 2022, sarà stato necessario per sostenere i lavoratori del settore sanitario e l’occupazione. Dobbiamo chiederci come le nostre regole possano garantire una riduzione graduale del rapporto debito/Pil, in maniera compatibile ad una crescita sostenibile.
In questo dibattito uno dei temi più interessanti riguarda la posizione ordoliberalista della Germania nei confronti degli squilibri dell’Eurozona, che dovrebbero trovare compensazione nella attualizzazione delle politiche di bilancio degli Stati membri. Invero, l’irresponsabilità fiscale degli altri Stati membri dell’Eurozona è, secondo la Germania, la causa principale della crisi generale dell’euro emersa nel 2011 e tuttora in corso. Per salvaguardare la stabilità finanziaria della moneta, i governi Tedeschi in questi anni hanno dovuto accettare dei compromessi, soprattutto rispetto ad uno dei due principi cardine dell’ordoliberalismo, ovvero il principio di responsabilità, comportante l’opposizione a qualsiasi forma di trasferimenti fiscali all’interno dell’UE . In un’ottica diversa da quella tedesca, già dal 2012, la BCE aveva cominciato a perseguire attivamente una politica volta alla stabilità finanziaria dell’euro con l’impiego della misura non convenzionale delle OMT, Outright Monetary Transactions (operazioni di acquisto illimitato di titoli di Stato dei Paesi indebitati) osteggiate, tuttavia, dal Presidente della Bundesbank. Orbene, in una politica di contemperamento tra le diverse posizioni di politica economico-finanziaria, la Germania, ha accettato la citata misura non convenzionale prevista dalle OMT, ma di contro ha imposto le sue rigide politiche ordoliberali di austerity, basate su regole e penalità, i cui effetti si sono concretizzati nel Fiscal Compact del 2012 e nell’introduzione in Costituzione della legge del pareggio di bilancio, che obbliga gli Stati a ridurre annualmente di un ventesimo il debito che eccede la soglia del 60% del PIL. Pertanto, le rigide politiche ordoliberali, comportanti l’attualizzazione a livello costituzionale del principio di responsabilità, ovvero della regola del pareggio di bilancio, hanno controbilanciato l’utilizzo di strumenti non convenzionali di mantenimento degli equilibri di bilancio.
In quest’ottica il MES che, a partire dal maggio 2010, si è sviluppato in connessione con le tensioni sui mercati finanziari e la crisi dei debiti sovrani, esemplifica la naturale continuazione dei programmi di intervento temporaneo (EFSF e EFSM ) e di aiuto prestati finora ai paesi necessitanti dell’eurozona, e la sua costituzione permette, pertanto, di disporre di uno strumento di intervento permanente (firewall) da utilizzare, in caso di necessità, per preservare la stabilità finanziaria dell’area euro.
Va rilevato che la sottoscrizione dei Trattati del Fiscal Compact prima e del MES poi, rappresentino un autovincolo al conseguimento di determinati obiettivi in termini di controllo delle finanze pubbliche, che possono, tuttavia, trovare dei limiti costituzionali.
Desta particolare preoccupazione la circostanza per cui il nostro elevatissimo debito pubblico possa costringere, in caso di necessità, l’Italia alla richiesta al MES di un sostegno alla stabilità, la cui concessione può essere condizionata all’imposizione della «ristrutturazione» del debito sovrano tale da intimorire gli investitori internazionali e dissuaderli dall’acquisto dei Btp statali.
Preoccupa, nello specifico, la possibilità di prevedere la «ristrutturazione» del debito pubblico non solo e non tanto come una delle «rigorose condizioni» che possono essere previste dal protocollo di intesa, quanto, piuttosto, che la ristrutturazione diventi una precondizione automatica per richiedere la concessione del sostegno alla stabilità, che, se non accompagnata dall’attuazione della politica del pacchetto (Unione Bancaria), certamente potrebbe indebolire ancor di più lo Stato che già si trovi in una situazione finanziaria compromessa, laddove, i soggetti che detengono i titoli degli stati in difficoltà, potrebbero ostacolare una ristrutturazione ordinata del debito sovrano. Del resto il Parlamento, a seguito dell’esame, svoltosi l’11 dicembre 2019, degli atti preordinati alla adozione del MES, trasmessi alle Camere dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha adottato una risoluzione, votata a maggioranza, preordinata, tra l’altro, proprio ad escludere espressamente «qualsiasi meccanismo che implichi una ristrutturazione automatica del debito pubblico».
Pertanto, può opportunamente concludersi che il Trattato contenga la previsione dell’esercizio di una tale «latitudine» di poteri ad opera degli organi del MES che, richiederebbe, al contempo, la necessaria e progressiva realizzazione dell’Unione economia e monetaria al fine di accrescere, tramite la realizzazione della «politica del pacchetto», la responsabilità politica e giuridica del meccanismo europeo di stabilità nell’esecuzione dei suoi importanti compiti di gestione delle crisi nella zona euro.
Nell’attesa che l’Eurogruppo presenti nuove proposte al Consiglio, la linea di demarcazione rimane quella originaria che vede contrapposti i Paesi mediterranei, aperti a regole flessibili e mutualizzazione dei rischi ed il Fronte del Nord, che, a tutto quanto detto, nettamente oppone il suo diniego. L’auspicio è allora quello per cui l’emergenza covid diventi l’occasione di riscoprire un’identità europea che, in tema di fiscal rules, sia emancipata dal concetto di austerità e più vicina alle logiche della collaborazione e della solidarietà tra paesi membri.
*Giuseppe Della Gatta, bancario, dottore commercialista