Effetti collaterali

Fanno brutti scherzi gli effetti collaterali della terza dose del vaccino anticovid. Mi provocano allucinazioni, immagini assurde attraversano la mente. Ho creduto di sentire il Capo dello Stato intrufolarsi in qualche modo nella cornice del Festival di Sanremo, e – quel che è più assurdo – mi è sembrato vedere il Papa, come fosse la Littizzetto o un Burioni qualsiasiospite in un talk show della terza rete.

Segno tutto questo della mia età che avanza assieme alla demenza. Per non parlare degli incubi che turbano le mie notti. Se per cena indulgo in una pepata di cozze d’antipasto più una carbonara che al massimo raggiunge i due etti e per secondo tre peperoni farciti con pancetta e pecorino, il tutto bagnato da pochi calici di un leggero amarone, draghi e fantasmi si divertono poi a tormentare il mio sonno fino all’alba.

L’altra notte, pensate un po’ho sognato di essere sul punto di morire.  Ma non era questo l’evento più agghiacciante dell’onirica tragedia. Peggio: ho sognato che sarei morto democristiano. Ad accompagnarmi all‘altro mondo non era però quella familiare Dc di un tempo, quella degli Andreotti, Fanfani, Forlani, di quei democristri che furono in grado di governare e di fare anche qualcosa di buono per il Paese. No, nell’incubo prendeva corpo un’ incredibile dc dei tempi nostri, con leader improbabili eppure possibili: Di Maio, Conte, Renzi, Toti accompagnati da nipotini di Berlusconi. Insomma un’inedita balena bianca che era riuscita ad impossessarsi di un drago, anzi leggi al plurale: un Draghi, sì proprio di Mario Draghi. 

Si era concretizzato nel mio incubo il progetto neocentrista, a coronamento dell’epico disinballaggio dei cartoni già da tempo pubblicizzati e pronti a essere trasferiti dal Quirinale nella casa in affitto. 

In verità non avevano fatto tutto da soli i centristi novelli assieme al Letta minore. Una mano gliel’aveva data un irriducibile rivoluzionario barbuto, forse affascinato da un futuro libero dall’assillo inquietante di una donna che lo aveva fatto sentire come un uomo di  secondo piano,  un capitano sì, ma della riserva.

Nel mio incubo il resuscitato centro impossessandosi di Dragli, con l’aiuto della sinistra e l’astensione di qualche altro, aveva vinto le elezioni del ’23.   Confermati a vita il presidente del consiglio e Mattarella al Quirinale fino all’ottantasettesimo compleanno e, perché no – non mettiamo limiti alla provvidenza – fino al novantaquattresimo. Poi chi vivrà vedrà, ne vedrà delle belle. 

Basta con le cozze e i peperoni a cena. Basta con gli incubi.  Voglio sognare. Giorgia, fammi sognare.

*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare

L’ANNO CHE VERRÁ

“Caro Giuseppi ti scrivo/ così mi diverto un po’/e siccome sei in un pantano/più forte ti irriderò/ Da quando sei al governo c’è una triste verità/ l’anno vecchio è finito ormai/ ma tu stai ancora là”
      A due ore dalla mezzanotte, sulla falsariga dell’Anno che verrà di di Lucio Dalla, Enzo strimpellava alla chitarra una sorta di filastrocca che pretendeva di essere ironica  sul futuro di Conte e del suo governo.
       “C’è poco da ridere, qui non ci resta che piangere – lo interruppe la moglie Silvana, impiegata di banca- coi licenziamenti in vista che oggi chiamano esuberi l’anno che verrà ci riserva brutte sorprese”.  “Vabbè – ribattè Enzo – anche per me al negozio è sempre più difficile tirare avanti, ma provo ad esorcizzare. Come si diceva una volta: una risata li seppellirà”.
           Gli amici ospiti per la serata di capodanno da trascorrere insieme li guardarono increduli.” Oh, ma di che vi lamentate? Proprio voi che ci avete rotto per anni le scatole con Grillo e con i suoi slogan” osservò Giulio, cinquant’anni, convinto sostenitore del PD con una non celata nostalgia di quando la sinistra si chiamava PCI.
        ” Che vuoi fare – si giustificò Enzo – in buona fede ci avevamo creduto, pensa avevamo votato anche per la Raggi, che amarezza”.
            “Ragazzi smettetela, basta parlare di politica, prepariamo le lenticchie e lo spumante – intervenne Federica, cattolica adulta – cerchiamo almeno stasera si essere più buoni. E comunque vada dobbiamo ringraziare il Signore che ci ha evitato le elezioni con la sicura vittoria di Salvini”.
           ” Ah, si questo è certo. Possiamo avere idee diverse ma qui siamo tutti antifascisti. L’abbiamo scampata bella” assentirono quasi in coro Gianni, Giulio, Franco e le rispettive compagne.
              A meno di un’ora dalla mezzanotte s’era creato un clima dì affabilità e condivisione nonostante i problemi che ognuno di loro si sentiva sul groppone. Mancava poco che qualcuno proponesse di cantare in coro Bella Ciao per chiudere in bellezza la serata quando si permise di dire la sua Filippo, sessant’anni, imprenditore un po’ in difficoltà, tutto sommato un brav’uomo, ma di quelli che la pensano in modo ritenuto dai presenti non politicamente corretto. Avesse fatto silenzio non avrebbe guastato la festa all’allegra compagnia di anime belle. E soprattutto non avrebbe messo in imbarazzo la moglie Giovanna, preoccupata di fare brutta figura con la sua ex compagna di classe Silvana che aveva usato la gentilezza di invitarla.
     “Sentiamo mo che ha da dire questo” pensò tra se e se Filiberto, uno che da sempre era convinto di ciò che proprio di recente aveva confermato Corrado Augias, uno degli intellettuali più in vista a Rai3, e cioè che quelli che non sono di sinistra sono, per dirla in povere povere, un po’ stupidi.
        Non è che Filippo avesse una precisa collocazione politica. No, ma di sinistra non era mai stato. Ai tempi della DC votava per lo scudo crociato, gli dava tranquillità e un po’ di garanzia  contro lo sbandierato pericolo comunista. Dopo tangentopoli aveva provato simpatia per Berlusconi, anzi, di più per Gianfranco Fini. La politica è passione, ma anche delusione. E per il povero Filippo fu una grossa delusione Gianfranco. Morto un papa se ne fa un altro e Filippo vide nella nuova Lega di Salvini l’immagine del futuro dell’Italia. Simpatico Matteo, ma gli manca qualcosa, dice le cose che tu vorresti dire, ma quanto a coerenza… basti dire che aveva proposto a Di Maio la Presidenza del Consiglio. Non ti regala Matteo quell’ideale che ti fa vivere e sognare, che ti fa vibrare il cuore.
         Matteo no ma… c’è lei…Giorgia. Avrebbe voluto gridarlo in faccia  all’allegra comitiva Filippo, avrebbe voluto dire che c’ è ancora chi crede nella politica come sangue e passione, come qualcosa che viene da lontano e andrá lontano, scarpe piene di fango e mani pulite. Ma no, le speranze ognuno se le tiene nel cuore e non le sbandiera agli occasionali compagni in una notte di capodanno.
       Alle anime belle Filippo si limitò a ricordare quello che tutti sanno e che alcuni fingono di non sapere o di dimenticare. Che Giuseppi sta lì senza essere stato eletto da nessuno.  Che aveva promesso un anno bellissimo, sì, bellissimo solo per lui. Che Zingaretti e Renzi con una rocambolesca capriola avevano contraddetto le loro precedenti solenni affermazioni e si erano alleati con i grillini. Che i cinque stelle sono allo sfacelo totale. Che la maggioranza non trova accordo su niente, dalla giustizia alla questione autostrade. Che la maggioranza di fatto non esiste più. Che Mattarella fa fatica a prenderne atto anche quando un ministro saluta e se ne va e come per il  miracolo dei pani e dei pesci viene sostituito raddoppiandolo. Che dall’ Ilva all’Alitalia il governo non riesce a fare nulla per impedire che decine di miglia di famiglie finiscano sul  lastrico. Che i porti  si sono riaperti e che è ripresa l’invasione islamica. Che le tasse e il deficit aumentano nonostante le menzogne dei Tg che predicano il contrario. Che il reddito di cittadinanza non ha creato posti di lavoro ed è finito in gran parte a sfaccendati, truffatori, spacciatori, ex terroristi e delinquenti. Che la la Turchia sta occupando la Libia mentre la politica estera dell’Italia è affidata all’ex steward dello stadio San Paolo.
       “Smettila Filippo. Sempre a lamentarti pure a capodanno” l’intervento della signora Giovanna sul marito fu accolto con un sospiro di sollievo dall’allegra comitiva. Hai voglia di cantare Bella Ciao o di puntare sulle sardine quando lo spettacolo che sta dando la sinistra è da ultimi giorni di Pompei. Ormai la festa l’aveva guastata Filippo riportandoli alla realtà.
             Ma la compagnia fece finta di sorridere perché a capodanno è obbligatorio ostentare allegria e soprattutto per non darla vinta a quel guastafeste di Filippo. Ormai mancavano dieci minuti alla mezzanotte. Enzo riprese in mano la chitarra e continuò a cantare la canzone di Lucio Dalla stavolta senza stravolgerla.
           “Vedi caro amico cosa si deve inventare/ per poter riderci sopra e continuare a sperare/… L’anno che sta arrivando tra un anno passerà/ io mi sto preparando/ è questa la novità/”
             Anche Filippo stavolta si era unito al coro. Cantava assieme agli altri l’anno che verrà, ma in cuor suo confidava nella novità , al 26 gennaio che verrà…
                 “Sette, sei, cinque, quattro, tre…”. Dalla Tv accesa una splendida ragazza scandiva i secondi. Mezzanotte!  Si stappa lo spumante. In cielo i colori dei fuochi d’artificio. È il Duemilaventi. Il futuro è già qui. L’alba, mancano poche ore, è vicina.
*Angelo Belmonte, giornalista parlamentare

“Via della seta” strumento di dominio globale

Questo meeting è organizzato da Farefuturo insieme alla Fondazione New Direction la fondazione che fa riferimento in Europa al gruppo dei conservatori e riformisti e quindi alla famiglia dei conservatori europeo- occidentale, su un tema centrale per l’interesse nazionale in una giornata particolarmente significativa a poche ore dalla visita del presidente della Repubblica popolare di Cina in Italia, evento a cui viene dato un alto valore politico.

In tale contesto, abbiamo voluto proporre un seminario di studi dal titolo emblematico ” Il Dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” per analizzare il valore politico ed economico di alcuni accordi che verranno firmato in quella occasione dal Presidente Xi LinPing, che rappresenta tutte le cariche della Cina a cominciare di quella più prestigiosa di Segretario del Partito Comunista Cinese, come tutti sanno in Cina la carica del partito viene prima di quella dello Stato.
Lui stesso nel presentare la sua visita ad un quotidiano italiano ne parla all’interno di un contesto storico, culturale e politico di straordinaria importanza a suggello del quale sarà apposta firma di un MoU che riguarda la cosiddetta Via della seta, il primo realizzato da un Paese importante della Nato e dal un Paese dei G7.

Oggi la “via della seta” è la più importante infrastruttura navale, ferroviaria, logistica del mondo, quindi è acciaio più che seta. Altrettanto significativi i circa cinquanta accordi collegati, alcuni tra aziende pubbliche, quindi su indirizzo specifico dello Stato, altre di aziende private di varia natura.
Nel MoU non si affronta la tematica commerciale ma si parla di infrastrutture, trasporti, logistica, spazio, telecomunicazioni quindi di assetti strategici.
Ovviamente non si parla di commercio strettamente inteso perché come tutti sanno la politica commerciale è esclusiva competenza dell’Unione europea.
Si parla invece di economia, di finanza e anche di quei settori strategici che vi ho citato prima ma non certamente di commercio in quanto tale, come si è voluto far credere. Il nostro export non ne trarrà alcun beneficio diretto.

Ieri nel due rami del Parlamento, sia alla Camera che al Senato, c’è stato un dibattito su questa evento, certamente estremamente significativo per le conseguenze che ha sulla nostra collocazione internazionale, prima ancora per le sue ricadute sulla nostra economia. Il Parlamento ha approvato una davvero strana mozione di maggioranza in cui si impegna il Governo a fare i dovuti accertamenti sulle ricadute del Memorandum: se il nostro interesse nazionale è garantito, se la nostra sicurezza nazionale è garantita se le relazioni e gli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia a cominciare da quelli dell’Alleanza atlantica e della Ue sono garantiti; in sostanza, la stessa maggioranza chiede al governo di accertare e verificare ora a poche ore dalla sottoscrizione degli accordi se tutto ciò è garantito, dopo che per sette mesi i ministeri interessati hanno lavorato alla preparazione del MoU e degli accordi collegati avendo si presume fatto già tutti gli accertamenti necessari, in caso contrario sarebbe di fatto gravissimo. Il fatto che la stessa maggioranza impegni il suo governo a fare ora tutti i necessari accertamenti è di per se significativo e nel contempo inquietante per la leggerezza con cui si è affrontata la questione.
Risalgono ai giorni immediatamente successivi alla formazione del governo le prime missioni in Cina del viceministro Di Maio e del ministro dell’economia Tria e poi un via vai di missione di esponenti di Cinque Stelle e del Sottosegretario al Commercio che di fatto in questi mesi ha vissuto più in Cina che in Italia
Quindi sette mesi di analisi, documentazione, contrattazioni avrebbero dovuto portare evidentemente a una verifica sotto gli aspetti che riguardano la sicurezza nazionale ,quanto il rispetto dei nostri accordi internazionali e delle nostre alleanze storiche.
È anomalo, ripeto, che la maggioranza impegni il governo a fare tutto ciò a poche ore prima della firma degli accordi quanto ormai tutto è già deciso.
Questa missione e queste firme giungono proprio mentre l’Unione europea, dopo un lunghissimo letargo politico e strategico in cui le singole nazioni si sono mosse autonomamente e in cui tutti hanno affrontato la Cina come una grande opportunità , improvvisamente l’Ue da una parte e gli Stati Uniti dall’altra stanno valutando con grande apprensione i rischi di quella che appariva una grande opportunità con dei provvedimenti alcuni già deliberati altri in via di deliberazione di straordinaria efficacia nella modifica di questa postura.
Tra quelli approvati io evidenzio il Regolamento sullo screening degli investimenti esteri
In Europa che stranamente ha avuto come opposizione solo l’Italia (insieme alla Gran Bretagna che però non fa più parte di fatto dell’Unione Europea). Fatto perlomeno strano se lo compariamo al documento ufficiale presentato dall’attuale governo poche settimane fa in Parlamento nel rapporto annuale dei servizi di sicurezza in cui vengono individuati alcuni rischi per la sopravvivenza del Paese. E tra i rischi per la sopravvivenza del Paese individuati nei rapporti ufficiali vi sono:
– la sicurezza cibernetica come nuova frontiera per la sicurezza nazionale
su cui prestare la massima attenzione perché la sicurezza cibernetica significa la sicurezza sui nostri dati;
– l’attività predatoria economica e finanziaria fatta da Paesi stranieri che utilizzano anche entità statuali per individuare per esempio le migliori start-up che hanno depositato i migliori brevetti per acquisirle prima che li sviluppino o per favorire la nomina di management nelle aziende che si intendono acquisire affinché preparino il terreno alla azione predatoria che ne seguirà.
Quindi le nuove frontiere della sicurezza nazionale e della sovranità economica – a cui io aggiungo la sovranità sulla conoscenza, sui dati, sull’intelligenza quindi sul nostro futuro – sono quelle economico-finanziare e quelle della cyber security. Ho fatto notare recentemente al Primo Ministro in una riunione del nostro Comitato per la Sicurezza della Repubblica che l’Italia si è opposta in sede europea proprio al Regolamento sullo screening che invece io rapporto presentato in Parlamento e da Lui sottoscritto definiva come atto fondamentale per garantire la nostra sicurezza e sovranità economica e tecnologica. Com’è possibile?
Se noi individuiamo in quel Regolamento il passo decisivo per tutelarci meglio, poi perché ci opponiamo in Europa a quel Regolamento?
Altri episodi di questo tipo, dalla anomala posizione sul Venezuela all’annuncio del ritiro dei nostri militari dall’Afganistan, alla lettera che quindici ambasciatori della Ue hanno scritto con l’assenza della firma italiana, al governo cinese per la tutela delle minoranze in quel Paese, ci fanno capire come la postura del governo italiano nei confronti della Cina sia profondamente mutata ed appare clamorosamente diversa di quella dei nostri partner europei. La nostra postura assomiglia sempre più alla postura (di sudditanza) che per esempio la Grecia ha assunto spesso dopo che la Cina gli ha acquistato i porti del Pireo. Tanto più grave perché l’Italia non è la Grecia e non è certo considerata come tale dai nostri alleati tradizionali e neppure dai nostri avversari tradizionali.
Perché l’Italia dovrebbe guardare con attenzione non soltanto alle opportunità ma anche e forse soprattutto ai rischi? Lo dico sulla base della mia esperienza personale di Ministro delegato al commercio con l’estero: nel novembre del 2001 rappresentavo l’Italia al meeting del WTO a Doha dove la Cina realizzo ufficialmente l’obiettivo della adesione alla Organizzazione del commercio mondiale, che una volta era il simbolo del capitalismo mercantile. Ero fisicamente presente come capo delegazione italiana quando fu sottoscritto l’ingresso della Cina, allora qualificato come Paese in via di sviluppo a cui erano concesse, proprio per questo, anche dei vantaggi importanti. Allora essa era considerata anche una “economia non di mercato” che avrebbe dovuto nel frattempo nell’arco di quindici anni diventare un’economia di mercato. Cosa che allo stato non è ancora avvenuta. Tutt’altro: la sua economia resta dirigista e le sue aziende sono di fatto ancora in gran parte in mani allo Stato e comunque sussidiate dallo Stato.
Le condizioni di allora sono ovviamente profondamente cambiate. La Cina non è più un Paese in via di sviluppo; è la seconda economia del mondo e presto diventerà la prima economia del mondo, molto competitiva proprio sugli assetti tecnologici e industriali. Ma nel contempo è rimasta un’economia non di mercato anzi è sempre più un’economia non di mercato per la presenza importante e significativa dello Stato soprattutto nei settori strategici dell’economia cinese, come dimostra proprio il caso delle telecomunicazioni.

La situazione è molto cambiata in questi anni. Siamo in un’altra epoca. In quel periodo io stesso mi sono recato in Cina decine di volte con delegazioni di imprese italiane per tentare di cogliere le migliori opportunità di un Paese che si apriva al mondo. Mi recai in Cina anche nella primavera del 2003, durante la Sars, nel il massimo momento di crisi del Paese, credo fui l’unico ministro del mondo a farlo per dare un sostegno politico ovviamente allora ritenuto significativo. L’anno successivo nel 2004, fui anche il propugnatore in Europa della misura anti dumping più importante della storia del Wto per vastità di settore quella nei confronti delle calzature cinesi e vietnamite riproposta poi nel 2008. Non ho quindi mai avuto una visione ideologica o comunque pregiudiziale nei confronti della Cina. Ho guardato sempre e solo e comunque innanzi tutto all’interesse del mio Paese.

In questi anni, la Cina è profondamente cambiata per quello che vi ho detto rispetto ad allora e da Grande Opportunità è diventata prevalentemente un Grande Rischio perché è molto accresciuta la sua forza competitiva e perché la nuova presidenza di Xi Jinping ne ha cambiato la postura.

Xi Jinping che sarà tra poche ore in Italia è l’unico presidente che ha assunto nelle sue mani, dopo Deng Xiaoping, tutti i poteri della struttura cinese: Segretario generale del Partito Comunista, presidente dallo Stato, coordinatore delle forze armate e altri dieci diversi incarichi di coordinamento. Ha inserito il suo Pensiero nella Costituzione cinese. Ha rimosso il vincolo dei due mandati si pone come un nuovo imperatore della Cina e nel contempo ha modificato profondamente nelle radici la stessa legislazione cinese.
Nel 2017 la “via della seta” è stata inserita nello statuto del partito comunista cinese, come obiettivo strategico per cambiare il mondo.
Nel 2018 lo stesso concetto è stato ribadito nel preambolo della Costituzione cinese
come nuova alleanza globale, alternativa capace di soppiantare quella del blocco occidentale.
Quindi, la via della seta è tutt’altro che uno spot commerciale e nemmeno meramente economico se è inserito nello statuto del partito e nella costituzione della Cina.

Inoltre dal 2015 con quattro differenti provvedimenti legislativi che riguardano la sicurezza si fanno una serie di obblighi legislativi tra i quali quello secondo cui e non solo i cittadini e le aziende cinesi operanti nel mondo hanno l’obbligo di fornire informazioni e assistenza al proprio Stato, ai propri servizi sicurezza e alle proprie forze armate per motivi di sicurezza largamente intesi. Perché per sicurezza non intendono soltanto la sicurezza ovviamente nei confronti della lotta al terrorismo, sarebbe forse comprensibile, ma intendono la sicurezza, la sovranità economica, l’interesse sociale in sostanza ogni aspetto della vita nazionale.

Tra gli accordi sulla economia digitale, particolarmente sensibile, ve ne è persino uno che sarà sottoscritto per favorire la costituzione di una piattaforma commerciale europea di Alibaba in Europa.
Cosa significa? significa che la piattaforma commerciale Alibaba in Europa, così come ha fatto la grande distribuzione globale per esempio francese, favorirà la vendita dei prodotti cinesi in Europa saltando ogni tipo di controllo anche sanitari.
E questo mentre proprio in questo campo, sull’economia digitale, sull’intelligenza artificiale l’Europa vuole recuperare i suoi macroscopici ritardi proponendo di realizzare un piano straordinario europeo per fare dell’Europa la prima economia sull’intelligenza artificiale. Questa è la frontiera della quinta rivoluzione industriale!

Noi oggi parliamo dalla quarta rivoluzione industriale, quella della economia digitale, ma già si prepara la quinta rivoluzione industriale in cui la Cina è cinque anni avanti rispetto all’Occidente, la rivoluzione della intelligenza artificiale.
Quindi l’Europa cerca di recuperare un ritardo nella frontiera più importante per il nostro futuro.

Nella nuova postura dell’Unione ci sono nuove proposte di direttive  o nuovi regolamenti che riguardano la cyber security, la tassazione della economia digitale, ma anche in maniera specifica le relazioni transatlantiche, le tariffe industriali, l’altro giorno nel mio intervento in Parlamento ho elencato almeno dieci argomenti che l’Europa in un senso o nell’altro sta inserendo o vorrebbe inserire nelle proprie normative comunitarie per tutelare il continente rispetto a questa competizione globale.
Nel meeting di oggi vogliamo porre a conoscenza degli addetti ai lavori e in particolare dei decisori ma anche di chi desidera meglio capire e conoscere, persino seguendoci nella diretta su Facebook di cosa si tratta, quale sia la vera posta in palio, cosa si sta per sottoscrivere, perché il Paese deve sapere.
Deve sapere che queste scelte cambiano la postura del rapporto dell’Italia rispetto alla Cina e qui di nei confronti del mondo.

Il fatto stesso che in queste ore sia stata rivista la normativa contenuta nel MOU sui porti e gli investimenti in logistica ci deve far riflettere. Perché qual era quella precedente contrattata per mesi all’insaputa del Paese e degli stessi ministeri competenti?

Cosa prevedeva dato che è stata rimossa?
Dato che i porti sono la chiave del Paese che non si può mai consegnare a chi ha l’infrastruttura che legherà il mondo. Una chiave che può essere aperta o può essere chiusa da chi la dispone.
La conoscenza e la competizione globale si basa su tre-quattro livelli ; certamente il primo è il controllo dell’infrastruttura cioè del trasporti merci e noi stiamo consegnando le chiavi di casa dell’Europa, dell’Occidente ad un soggetto che mette nello Statuto del Partito Comunista che quella via è lo strumento per cambiare gli assetti globali del mondo
Secondo. Le altre “chiavi di casa” è la rete internet. La comunicazione è fondamentale perché riguarda la sicurezza del Paese, la conoscenza dei dati è oggi il centro di tutto e mi riferisco al 5G. Chi controlla, chi ha le chiavi delle infrastrutture digitali ha le chiavi del nostro cervello
Terzo: chi controlla la vendita on line ha le chiavi dei nostri mercati. Alibaba è l’esercito che controlla i mercati.

Infine e su tutto, il problema dell’intelligenza artificiale, dello spazio e del suo sviluppo tecnologico ed economico, ma questo è un cuore della quarta anzi della quinta rivoluzione industriale che verrà ma i cui assetti si determinano oggi.

Spero che questo meeting possa servire a capire e quindi a decidere meglio.

*Intervento di Adolfo Urso, presidente della Fondazione Farefuturo, al meeting “Il Dragone in Italia. Opportunità e rischi per l’Italia”

 

Intervista a Giulio Terzi di Sant’Agata ed Adolfo Urso sui temi del convegno “Il Dragone in Europa: opportunità e rischi per l’Italia”

Intervista a Giulio Terzi di Sant’Agata ed Adolfo Urso sui temi del convegno “Il Dragone in Europa: opportunità e rischi per l’Italia”” realizzata da Massimiliano Coccia con Giulio Maria Terzi di Sant’Agata (ambasciatore, presidente del Comitato Mondiale per lo Stato di Diritto – Marco Pannella), Adolfo Urso (senatore, vice presidente Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Fratelli d’Italia).

Ecco i disastri del decreto disoccupazione

In termini economici stiamo parlando di un vero e proprio disastro. Decreto dignità? È più esatto chiamarlo “decreto disoccupazione”. Basta leggere le misure, andando oltre gli slogan: più burocrazia, più conflitti, più divieti, più limiti, più contenziosi e quindi minore libertà. Tutto questo mentre – parallelamente – i 5 Stelle dagli scranni del governo minacciano il blocco della Tav, della Pedemontana e di ogni grande infrastruttura per non parlare della chiusura dell’Ilva. Controproposte? Solo demagogia, se si pensa poi a nazionalizzare Alitalia dove servono tre miliardi di euro.
Di Maio & co sostengono che il decreto dovrebbe stabilizzare i precari, in realtà – come stiamo dimostrando – costringe le imprese a non rinnovare i contratti, di fatto a licenziare. Qualche volta a delocalizzare, in altri casi a chiudere. Ecco allora che abbiamo ascoltato la rivolta del Veneto, incarnata da seicento imprenditori in rappresentanza di tanti altri che condividono le stesse preoccupazioni. Lo abbiamo fatto a Verona, capitale della produzione, polo logistico e fieristico, cuore del Nordest produttivo, di quella macroregione che dalla Lega si aspettava semplificazione burocratica e flat tax, non nuovi lacci e lacciuoli.
La domanda a questo punto è: questo decreto a chi giova, oltre al richiamo mediatico per il ministro del Lavoro? Questo decreto “ingrassa” solo alcuni studi commercialisti e fra breve gli studi legali mentre punisce impresa e lavoratori. Ingrassa i commercialisti che oggi sono sommersi di nuove richieste su come evitare costi aggiuntivi. Ingrassa gli avvocati, perché cosi come è strutturato con le causali, alimenterà nuovi contenziosi e cause legali. Già, le causali: le modifiche apportate in Commissione sono toppe peggiori del buco. Occorre renderle meno specifiche, altrimenti aumenteranno non gli assunti ma i contenziosi, ed è necessario allungare il primo contratto ad almeno diciotto mesi, senza obbligo di causale.
C’è da dire, poi, che la normativa sulle causali impatta con quanto previsto spesso dai contratti collettivi che, tra proroghe e rinnovi, prevedono un regime che talvolta supera anche 44/56 mesi, senza causali, per esempio per la chimica o per i metalmeccanici. In mancanza di un regime transitorio che faccia salvi gli accordi preesistenti aumenteranno i contenziosi e comunque si creerà inevitabilmente in un ginepraio di condizioni che faranno impazzire le imprese.
La stessa moratoria sui contratti sino al 31 dicembre è un autogol. Caro Salvini, la moratoria la si concede a chi è fuori dalle regole, a chi commette abusi, a chi commettere reati. Fare impresa non è un abuso, assumere un lavoratore non è reato. L’imprenditore non è uno da perseguire, chi fa impresa in Italia è un patriota, è un eroe. Pensavamo che la Lega lo avesse capito.
Insomma, è sempre più chiaro come questo decreto sia frutto di un pregiudizio, un pregiudizio contro chi produce e crea lavoro. Un pregiudizio contro l’impresa, frutto di chi non mai creato impresa, peggio di chi non ha mai lavorato. I grillini anche in questo sono peggio dei comunisti. Nel sistema comunista si creava una lotta di classe tra datori di lavoro e lavoratori e si puntava sostanzialmente alla rivalsa dei lavoratori contro i datori di lavoro sino ad espropriarne la proprietà dei mezzi di produzione. Come è andata a finire lo sappiano. In questo caso è peggio. Questa è una nuova e più perversa lotta di classe tra chi non ha mai lavorato e chi lavora. Chi ha voluto e scritto questa legge non ha mai lavorato e infatti propone il reddito di cittadinanza, cioè pagare a vita chi non lavorerà a vita.
Ecco perché abbiamo lanciato un appello, partendo dagli eletti nel Veneto, agli eletti nel Nord, per rivolgerci a tutti gli elettori d’Italia. Ci dicono che hanno sottoscritto un contratto di governo: l’unico contratto che ha valore è quello sottoscritto con gli elettori, altrimenti è tradimento! Ci dicono, allora, che non potevano fare altrimenti. Non è vero, vi era una maggioranza di centrodestra ma c’è chi non ha voluto insistere e puntare i piedi mancando di rispetto ai nostri elettori…
Mi chiedo però perché hanno ceduto tutti i ministeri produttivi, quelli che riguardano gli interessi delle imprese ai Cinque Stelle? Di Maio è ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, quindi, industria, energie, commercio estero, comunicazione, Mezzogiorno e consumatori. Toninelli è ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ai Cinque stelle hanno ceduto anche l’Ambiente, i Beni culturali, la Sanità. La Lega ha rinunciato a tutto quello che incide sull’Economia, tradendo se stessa. Pazzesco.
Per tutto questo ci impegneremo in Aula per modificare il decreto, e ove ciò non avvenisse a settembre faremo un tour nei distretti industriali dei Nord per denunciare l’asservimento della Lega ai Cinque stelle e per ascoltare le proposte e le proteste delle imprese, di chi produce e lavoro, nei confronti di un governo che è contro chi produce e contro chi lavora. Dopo il tour, porteremo le istanze del mondo produttivo in una Conferenza nazionale programmatica del Nord, così che Fratelli possa pienamente interpretare le esigenze di chi produce e lavora. Noi non li tradiremo.

*Adolfo Urso, senatore FdI

Il giorno infausto dei mercati e della politica Italiana

Proviamo a dire, e in parte ad immaginare e ricostruire, cosa sia davvero successo ieri 29 maggio 2018, nella più folle giornata politica del nostro paese da molti anni, argomentando a metà tra mercati, stampa e partiti:
Tra le 10:10 e le 10:13 di ieri mattina un gruppo di mani forti tra loro coordinate (investitori importanti, possibilmente spinti anche da qualche potere politico) ha venduto tanti miliardi di Euro in BTP italiani da provocare un aumento dello spread di 40 punti in tre minuti, prima e dopo i quali il resto del mercato – che non era affatto in condizioni di panico – ha continuato per un certo tempo a comprare e vendere a ritmi normali.
Un aumento dello spread tanto concentrato, come mostra il grafico in alto, ci fu solo all’inizio della crisi del 2011 (prima della quale non si vide niente del genere dal 1992) e potrebbe anche segnare l’inizio di una crisi finanziaria mondiale se dovesse destabilizzare le nostre banche, che sono troppo grandi per essere salvate (da qualsiasi istituzione mondiale).
I notiziari TV e giornali economici del mondo, anche sui social, hanno dato la notizia del rialzo (senza spiegare più di tanto come fosse successo) e il mondo si è volto a guardare cosa succedeva in Italia. E si è spaventato più di quanto non avesse fatto per il ridicolo scandalo su Conte (che già era andato su tutti i giornali internazionali). Le borse di tutti i paesi hanno iniziato a perdere, e le scommesse sul mercato dei derivati contro stati ed aziende Europee (ed Italiane in particolare) ad aumentare, e così via per tutta la giornata.
Carlo Cottarelli, incaricato ieri di formare un Governo da Mattarella, dopo il noto colpo di mano, ha ricevuto in mattinata una prima aggressione da Lega e 5S, i quali hanno fatto circolare nei palazzi l’informazione che il Parlamento avrebbe votato in fretta una risoluzione vincolante sul DEF impedendo così a Cottarelli stesso di recarsi ai prossimi vertici europei per dire qualsiasi cosa fosse diversa dalla linea delle due forze euroscettiche. In pratica trasformandolo in un “pappagallo”.
Ma nel frattempo la Presidenza della Repubblica e il Partito Democratico con dichiarazioni tipo quella del capogruppo renziano Andrea Marcucci delle 12:30, di cui in foto, avevano diffuso in Italia e nel mondo l’idea assurda che Savona, Salvini e Di Maio volessero uscire dall’Euro in un fine settimana e di nascosto. Una totale, e pericolosa, fake news, costruita con un riferimento decontestualizzato a proposte puramente accademiche di Savona fatte tempo addietro sulla modalità migliore di uscita da una moneta (pubblica vs. segreta). Questo è importante perché le sedi degli investitori in tutto il mondo – che ormai fin dalle 10:30 di mattina ora italiana seguivano il nostro paese – hanno iniziato a pensare che in Italia fosse in atto il momento “decisivo” per l’euro o contro l’euro, e che il popolo, avendo premiato Salvini e Di Maio, fosse contro l’euro.
Marcucci Uscita Euro
Sulle agenzie di stampa italiane, e quindi mondiali, si sono ulteriormente diffuse le analisi che già ieri rilevavano che, a causa dei tempi tecnici, un’eventuale sfiducia immediata del Governo Cottarelli non avrebbe portato al voto in dicembre ma al voto in estate, avvertendo anche che fosse necessario un qualche tipo di risoluzione per rinviare il voto a settembre/ottobre, esponendo l’Italia a una “vittoria delle forze no-euro” in piena sessione di bilancio invernale, cioè quando si sarebbe dovuta decidere la finanziaria triennale 2019-2021.
Alle 16:30, con geniale tempismo, il PD in Senato ha attaccato pesantemente Cottarelli, unica figura apprezzata dai mercati poiché esponente del Fondo Monetario Internazionale, annunciando per puro tatticismo politico che non lo avrebbe sostenuto, poiché non voleva collegarsi politicamente come solo partito in sostegno della sua figura di “uomo di tasse e tagli” temendo di perdere voti nelle elezioni vicinissime, nonostante fosse espressione di Mattarella, cioè di un Presidente della Repubblica PD, voluto ed eletto da Renzi. In altre parole: il mondo ha visto che tutti i sostenitori dell’uomo del rigore FMI nuovo candidato premier si stavano dileguando in meno di 24 ore, e che chiedevano elezioni a Luglio, destinate a essere vinte dai “no euro”.
A questo punto, e siamo nel pomeriggio inoltrato, gli investitori di ogni tipo che osservavano la situazione hanno capito che presto su tutti i giornali del mondo sarebbe stato ulteriormente ridicolizzato il Governo dell’Italia, che non solo non avrebbe ottenuto la fiducia, ma avrebbe avuto addirittura zero voti a favore dal parlamento, per andare a fare in europa il “pappagallo” di una maggioranza con idee economiche opposte al premier nei vertici di giugno, e venire sostituito entro agosto da un gruppo agguerrito di personaggi intenzionati a uscire dalla moneta unica, magari titolari del 68% dei voti nelle Camere (come da recente analisi dell’Istituto Cattaneo).
Dalle 16:30, pertanto, il mercato normale del BTP ha iniziato a mostrare una curva frastagliata al rialzo, indice di piccole vendite diffuse in tutto il mondo (e non più opera di mani forti coordinate) andando direttamente nella fase in cui la crisi rialzista è diffusa e non più arrestabile dalle manovre di gruppi organizzati di investitori, non senza l’intervento di banche centrali.
I consiglieri di tutti i protagonisti hanno spiegato ai protagonisti  che se avessero continuato altre due ore con l’idea del Governo Cottarelli senza un voto e con il compitino dettato dal Parlamento, che nel frattempo celebrava un processo al capo dello Stato, non solo l’Italia non sarebbe arrivata finanziariamente integra fino a settembre, ma potenzialmente nemmeno a luglio perché nessun investitore avrebbe mai comprato un altro BTP se non a tassi di interesse insostenibili, in assenza di un capo politico del paese identificato, in presenza di una contestazione della massima carica, e senza alcuna garanzia che la linea politica immediata-ventura non fosse uscire dall’euro (fra l’altro con mezzo paese occupato ad accusare l’altra metà di mentire, ed il mondo finanziario a leggere Twitter in tempo reale) trasformando così l’aumento dello spread in un aumento del costo reale del servizio del debito.
Nel frattempo la BCE e Moody’s hanno fatto sapere che un eventuale declassamento del rating di pochissimo, molto probabile in questo scenario, avrebbe potuto (a causa delle regole interne della BCE) provocare il blocco del Quantitative Easing sull’Italia, lasciando aperta solo la cannula dell’ossigeno di eventuali operazioni OMT, il cosiddetto scudo anti-spread, molto più costose politicamente ed anche economicamente.
Moody's BCE Italia
Moody's BCE QE
In serata, poiché per fortuna sembra esistere ancora un barlume di razionalità anche nella politica italiana, tutti hanno capito di dover fermare la pièce teatrale per un momento, e magari occuparsi della “bomba che è qui fuori in corridoio” (Bersani, semicit.). In questo senso, quindi, Salvini per primo ha smentito definitivamente l’impeachment, segnalando che al paese serve un governo per la crisi finanziaria e che non manifesterà contro Matttarella.
Salvini Impeachment Mattarella
Di Maio, vista la decisione di Salvini di svelenire il clima, ha rinunciato anche lui all’impeachment di Mattarella (pur dando a Salvini del “pavido”, con una brutta caduta di stile) ed ha rilanciato la disponibilità a formare un governo con la Lega. Cottarelli, capendo di non essere in alcun modo utile a rassicurare i mercati da premier privo di poteri, ha fermato le macchine alle 17:30, lasciando il quirinale e facendo filtrare la possibilità di rimettere il mandato, ridando spazio o al voto subito o a un possibile governo, ufficialmente parlando di problemi sulla scelta dei ministri. Giorgia Meloni di fronte alla crisi dei mercati ha parlato di unità del paese e, dopo aver chiesto correttamente l’incarico a un premier del cdx, che è l’unica strada ancora non tentata da Mattarella, si è offerta comunque di sostenere M5S e Lega purché questi scongiurino le elezioni in luglio, rispetto alle quali l’Italia potrebbe arrivare sotto attacco della speculazione finanziaria.
Meloni Crisi MattarellaTra le 22:00 e le 23:00, Adnkronos e ANSA incredibilmente hanno battuto la notizia della concreta possibilità domani della formazione di un Governo Conte senza Savona o di un Governo Giorgetti con Cottarelli all’economia. L’ex dirigente dello FMI, anche perché indicato da Mattarella, è l’unico che può rassicurare i mercati che il governo, pur se politico e dotato di maggioranza per intervenire e fare leggi, non potrebbe comunque fare mosse avventate contro l’Euro. Se Cottarelli avesse l’economia, il Premier dovrebbe andare alla lega perché essa non avrebbe più il MEF (che aveva chiesto per dare la premiership ai 5 Stelle). Oppure, il MEF dovrebbe essere diviso (ma questo toglierebbe potere a Cottarelli spaventando i mercati). Un governo Conte, invece, anche senza Savona (che non è mai stato un problema, tranne che per Mattarella), resterebbe considerato “euroscettico” dai mercati e privo di un “capo” autorevole, e, se pure avesse potuto andar bene rispetto a una situazione normale, non sarebbe adeguato oggi con lo spread in tensione. Non è stato ancora ipotizzato un governo Cottarelli con ministri Lega e M5S, ma si è segnalata la volontà di Mattarella di insistere su di lui. Questa terza potrebbe essere la soluzione per tenere in equilibrio Salvini e Di Maio qualche mese, fino a elezioni in autunno.
Conte senza Savona
Giorgetti Premier
Da questi sviluppi in poi, sui giornali, in TV, e sui social network di tutto il paese, chiunque ha già iniziato a esercitarsi in insulti di incoerenza e scarsa serietà rivolti ai partiti responsabili dei cambi di linea, sul modello della sconvolgente dichiarazione di Matteo Renzi, che parlava di “telenovela italiana”. Tutti costoro, non sembrano capire che una tra queste possibilità, e le altre emerse nella giornata odierna, potrebbe essere la via per salvare il paese da un possibile disastro imminente, che il Governo “pappagallo” senza voti non garantirebbe. Bene hanno fatto quindi i partiti diversi dal PD a fermarsi a riflettere sul fatto nuovo, che non esisteva prima, dell’attacco speculativo più forte da molto tempo.  Lo ha dimostrato l’andamento dello spread nella giornata di oggi, che ha inoltre visto il rimbalzo delle borse mondiali e dei titoli bancari, anche grazie alla riapertura di margini di trattativa per una soluzione politica all’instabilità italiana.

*Giovanni Basini, collaboratore Charta minuta

Altro che "governo del cambiamento", qui sta nascendo un nuovo Nazareno…

Il “contratto di governo” tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini? Dopo una lettura attenta, in tutta onestà, non possiamo dire che questo: sembra piu un programma pensato per essere approvato con i “like” dal referendum on-line della piattaforma Rousseau o nei gazebo leghisti piuttosto che un progetto organico di governo e di riforme necessarie per l’Italia.
La cosa che ci sorprende – dietro il velo mediatico di diverse misure “manifesto” – è che sono rimaste scoperte proprio le tematiche centrali dei pentastellati e della Lega: da quelle strutturali richieste dal Mezzogiorno (a parte l’assistenzialismo-tampone del reddito di cittadinanza) alle risposte da dare ai produttivi, tanto cari agli elettori del Nord. Il risultato? Emerge un’accettazione di fatto della decadenza dell’Italia sotto la veste edulcorata della cosiddetta “decrescita felice”.
Le domande senza risposta infatti – una volta finito di leggere il programma dei giallo-verdi – sono tante: chi e perché dovrebbe creare ricchezza a questo punto? Come si riducono le diseguaglianze crescenti? Come si tutela l’innovazione tecnologica? Dov’è la ricetta per dare un ruolo all’Italia in Europa e nel mondo? Dove è l’impresa, soggetto del Nord leghista? E dove sono i giovani che hanno votato 5 Stelle? Dico questo perché il contratto di programma non delinea un futuro per l’Italia ma rappresenta solo il maldestro tentativo di preservare il presente. Guarda alla distribuzione ma non alla produzione. E proprio in questo conferma di non avere una visione politica e una mission chiara su come far risorgere l’Italia.
Non solo. Nelle trentanove pagine del documento si contano pure soluzione assai discutibili. Quali? La messa in discussione della Tav, che potrebbe costarci due miliardi di penali; la ristatalizzazione di Alitalia e di Monte dei Paschi di Siena, che serviranno a far piacere ai soliti noti; mentre l’eventuale chiusura di Ilva, principale polo siderurgico europeo, può significare che l’Italia dopo la chimica perderà anche la siderugia, pilastro necessario di una politica industriale.
Tutto sbagliato dunque? No. Il contratto sembra condivisibile su aspetti come l’agricoltura, l’ambiente, la cultura, la sicurezza, le pensioni: aspetti importanti ma non decisivi. Queste buone proposte, poi, non solo sono inserite in un contesto non omogeneo ma spesso sono il frutto di un copia e incolla di ciò che il centrodestra ha proposto in campagna elettorale. Discorso diverso invece su debito, fisco, famiglia, natalità, lavoro ed immigrazione: su questi nodi l’approccio è decisamente debole perché non basta andare nella direzione giusta. Giudizio pessimo, invece, sul capitolo Esteri ed Europa, perché privo di visione; sulle riforme istituzionali (regionalismo senza presidenzialismo); sulla sanità (permane il disequilibrio con il Sud) e sulla scuola (solo nuove assunzioni). Del tutto inesistente, infine, la proposta sul fronte dello sviluppo, della crescita, degli investimenti, delle infrastrutture e della politica industriale.
In ogni caso siamo a un passo da un nuovo Nazareno. Ieri composto da chi ha fatto nascere prima il governo Letta e poi quello Renzi, oggi animato da Di Maio e Salvini: vedremo se quest’ultimo finirà come il precedente. Oggi come allora, da parte nostra, restiamo scettici su governi e composizioni che nascono senza l’indicazione del corpo elettorale. Perché non hanno quel respiro che nasce solo dalla legittimazione popolare.

*Adolfo Urso, senatore FdI

Luigi Di Maio e il cerino bruciato: ecco l’apprendista "disastro"

Giù la maschera. È durato fin troppo il tentativo di Luigi Di Maio, ancora fresco d’accredito a Cernobbio, di mostrare il presunto lato moderato del Movimento 5 Stelle. Questi due mesi – e più – di stallo sono stati utili per mettere alla prova i grillini ai tavoli delle trattative e saggiarne la vera natura. Un minuto dopo la chiusura delle urne, Di Maio ha provato a riscrivere le regole del gioco, convinto di poter imporre i propri desiderata agli italiani e all’intero Parlamento. Un comportamento che, vale la pena ricordarlo, era già sfociato in un’inusuale visita al capo dello Stato prima delle elezioni per consegnare la lista dei ministri di un ipotetico governo monocolore a 5 Stelle. Un atto che è sembrato una ridicola intimidazione e che, post-elezioni, è stato declinato in toni perennemente presuntuosi e arroganti verso gli interlocutori. 
L’illustre Di Maio, dopo cinque anni di insulti e di minacce di processi pubblici nei confronti della classe dirigente, si è detto non solo “disponibile a parlare con tutti” per formare un governo, ma ha restaurato la vecchia politica dei due forni tanto di moda nei “panifici” della Prima Repubblica. Davvero curioso per un bellicoso movimento anti-sistema che ambiva ad aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Il problema, per il giovane apprendista, è non aver compreso che per ottenere un pane di qualità occorre rispettare gli ingredienti e saperli impastare con pazienza. Altrimenti, si rischia non solo di ottenere un prodotto scadente, ma di rimanere scottati. Il 5 aprile annuncia solennemente: “Noi non proponiamo un’alleanza di governo ma un contratto di governo per il cambiamento dell’Italia. È un contratto sul modello tedesco e che noi proporremo perché vogliamo che le forze politiche si impegnino di fronte agli italiani sui punti da realizzare”. In sostanza, Di Maio pretendeva i voti di altre forze politiche in Parlamento senza tuttavia cedere alcuna poltrona. Credeva che gli altri partiti dovessero andare, in pellegrinaggio, capo chino e battendosi il petto, presso la Casaleggio Associati. 
Così, maldestro, Luigi Di Maio ha trascorso qualche settimana a ricattare Matteo Salvini, convinto che sarebbe caduto nella trappola: lasciare la tanto agognata leadership del centrodestra per diventare un subalterno. Ma dalle parti di via Bellerio non hanno abboccato, e non è riuscito il piano – tentato sino all’ultimo secondo – di spaccare il centrodestra. Iniziano, allora, gli insulti a Forza Italia e a Silvio Berlusconi, e la quotidiana rivendicazione della guida del governo. Ripetono come un mantra di essere il primo partito, tentando così di delegittimare il vero vincitore delle elezioni, la coalizione di centrodestra, che ha ottenuto la maggioranza dei voti e dispone di una maggioranza di seggi ben più ampia di quella grillina. 
Quella di sedere a palazzo Chigi diventa una vera e propria ossessione, tanto che Di Maio chiude il forno con Salvini e apre al Partito Democratico. Una piroetta degna del miglior Baryšnikov e sicuramente coerente con la storia del Movimento 5 Stelle. Quelli che fino a ieri venivano definiti in modo sprezzante “PDioti” e impresentabili collusi con la mafia, divengono improvvisamente dei potenziali alleati. Ma anche in questo caso, Di Maio vuole di dettare legge in casa d’altri: esige non solo un’alleanza, ma un’alleanza con un Partito Democratico de-renzizzato. L’ex sindaco di Firenze, che di fatto controlla ancora la maggioranza dei parlamentari democratici, riesce a far saltare il dialogo già avviato da Franceschini e Orlando.
A questo punto, Di Maio e il suo cerchio magico si trovano da soli, con il classico cerino in mano. E allora, ecco che ne emerge la reale personalità: quella dei bambini capricciosi e impertinenti che perdono la testa e prendono a sfasciare tutto. Iniziano le urla scomposte, i toni da fine dal mondo, le minacce al presidente della Repubblica. Gridano al golpe, vogliono le elezioni anticipate a fine giugno, anzi no a luglio, rievocano il referendum per uscire dall’euro. Questa è l’affidabilità degli “onesti”. Questa è l’affidabilità di chi vuole governare l’Italia.

*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta

Gli elettori bocciano il “teatrino” di Di Maio. Ora governo di centrodestra

L’“esplorazione” più convincente l’hanno fatta gli elettori in Friuli Venezia-Giulia ponendo fine al “teatrino” di Luigi Di Maio, che ora non sa più che parte recitare. Gli elettori sono stati chiari e penso che almeno Casaleggio junior l’abbia capito. Qualcuno adesso lo spieghi al candidato premier che calca la scena con un copione che non esiste più, quando il pubblico se n’è già andato.
Il centrodestra unito ha chiuso la partita e fatto calare il sipario con due colpi, uno più forte dell’altro: prima nel Molise – regione del Sud, in cui il MoVimento 5 Stelle aveva vinto alle Politiche – dove la coalizione, guidata stavolta da un candidato civico ha superato il 45 per cento, staccando nettamente i Cinque Stelle e con il Pd in via di estinzione; ora in Friuli Venezia-Giulia dove Massimiliano Fedriga, da sempre versione Lega di governo, fa volare il centrodestra quasi al 60%, con il partito di Grillo che dimezza i voti delle Politiche e scende sotto il dieci.
Ora il Presidente Mattarella ha un motivo in più per dare l’incarico a Salvini. Solo il centrodestra infatti può formare un governo in sintonia con le aspettative del Paese. L’Italia non può aspettare, tra pochi giorni dovrà fare un vero Def, il documento di economia e finanza in cui deve assolutamente rimuovere la spada di Damocle delle clausole Iva per evitare il collasso dei consumi e nel contempo delineare una vera politica di riforme a cominciare dalla flat tax incrementale che può dare benefici concreti a breve sia per i contribuenti sia per lo Stato, rilanciando produzione e stimolando un Pil che langue.
Urge un governo che abbia salda coscienza nazionale e piena consapevolezza dei meccanismi della produzione anche per fronteggiare l’offensiva americana sui dazi che rischia di essere pagata soprattutto dal Made in Italy. Il fatto stesso che la Merkel abbia deciso di concordare la posizione europea con Macron e May senza ascoltare il governo Gentiloni la dice lunga sulla considerazione che l’Italia purtroppo non ha più nella Unione.
Basta con le “esplorazioni” quindi, basta con il “teatrino” di Di Maio, basta con la farsa del Pd di Martina in cui decide solo Renzi. Il Presidente dia incarico a chi ha più volte dimostrato e in modo sempre più chiaro di rappresentare la maggioranza degli italiani. O, altrimenti, faccia nuovamente decidere gli italiani!

*Adolfo Urso, senatore FdI

Reddito di cittadinanza? No, grazie. Aiutare il lavoro, non creare "fannulloni"

Questa campagna elettorale – il cui livello, spiace scriverlo, segna nuovi record negativi per ciò che concerne la qualità e la fattibilità di molti programmi – è caratterizzata dalla massiccia comparsa di proposte riguardanti redditi di cittadinanza et similia. Tralasciando gli aspetti più tecnici riguardanti le differenze sostanziali tra reddito di cittadinanza, reddito minimo garantito e reddito di inclusione – ben spiegate a questo link – si vuole qui compiere una riflessione sugli aspetti etici e morali sull’improvviso interesse per la politica per questo tipo di misure di sostegno economico.
Appare opportuno compiere una prima distinzione. In linea di principio, non è da scartare aprioristicamente una misura di sostegno al reddito per le fasce meno abbienti – e, in particolare, per i disabili –, circoscritta nel tempo e delimitata da precisi requisiti. Ciò che, però, lascia fortemente perplessi è l’idea, propagandistica e fallace, che lo Stato si trasformi in una sorta di cornucopia: e che ancora una volta, dunque, delle legittime misure di welfare degenerino in un assistenzialismo cronico, i cui cospicui costi o vengono taciuti, o vengono affidati a fantasiose elaborazioni di finanza creativa. In secondo luogo, sembra ormai andata in soffitta la speranza di vedere delle ricette economiche che tengano in debita considerazione le esigenze dei più giovani e il loro futuro: al contrario, la politica è sempre più preoccupata solo della propria sopravvivenza. Occorre domandarsi, pertanto, se queste promesse di denaro sotto forma di redditi di cittadinanza e dintorni siano provvedimenti che vadano davvero a beneficiare i meno abbienti e i più giovani.
Il rischio, molto concreto, è che attraverso tali elargizioni a fondo perduto si finisca solo col creare una classe di fannulloni che non hanno alcun interesse a migliorare la propria posizione sociale, perché già lautamente sussidiati dallo Stato. Luigi Di Maio afferma: «Daremo un sostegno che varia in base al numero di componenti familiari e che è di 780 euro per i single a reddito zero, ma che può arrivare a 1.950 euro per una famiglia senza reddito di 4 persone». Tale proposta rasenta la demenzialità, oltre che ad essere un concentrato di demagogia. Considerato che la cifra proposta, vicina agli 800 euro, corrisponde di fatto al primo stipendio – nei casi migliori – di molti giovani neolaureati, è evidente che in tal modo si crea un forte disincentivo alla ricerca di un’occupazione, provocando altresì una pericolosa distorsione del mercato. Per quale motivo un disoccupato dovrebbe cercare un lavoro, se lo Stato gli consente di sopravvivere con un lauto assegno mensile? Ma soprattutto, non è immorale e allo stesso tempo degradante, che lo Stato di fatto crei una schiera di mantenuti dalla collettività, e senza alcuna prospettiva di mobilità sociale? Anziché investire sui giovani e sul loro futuro – borse di studio, riqualificazione professionale – li si condanna ad un presente di apatia e di immobilismo. Vale la pena ricordare come nel giugno del 2016, in Svizzera, un referendum per l’introduzione di un reddito di base incondizionato pari a 2500 franchi svizzeri per gli adulti e 625 franchi svizzeri per i minori sia stato sonoramente bocciato con il 76,9% dei voti – e tutti i Cantoni contrari: a dimostrare una distanza abissale di cultura politica e di concezione dello Stato.
Quando si portano tali argomentazioni, si viene solitamente tacciati d’essere affamatori del popolo, privi di sensibilità e incapaci di pensare ai più deboli: accuse che sono il canto del cigno dell’ipocrisia. L’unico, vero modo d’aiutare chi è privo di un sostentamento e le nuove generazioni è uno solo, ed è il più solidale di tutti: creare lavoro, liberando le imprese dalle gabbie della burocrazia e della pressione fiscale. Anziché blaterare di irrealizzabili redditi di cittadinanza, si riporti al centro del dibattito politico l’individuo e la sua dignità, che non si trova di certo in una paghetta statale che puzza di ricatto generazionale.

*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta