Riscoprire la bellezza della vita

Lo scorso 25 marzo, presso la Camera dei Deputati, è stata convocata la conferenza stampa organizzata da una rete di associazioni riunite nella richiesta al Parlamento circa l’istituzione della Giornata nazionale della vita nascente, al fine di “riscoprire la bellezza della vita, della genitorialità e della natalità”. Tale iniziativa ha visto il coinvolgimento quasi totale delle forze politiche, sostanziato dalla presentazione di quattro disegni di legge. A seguire, sabato 27 marzo, si è tenuto il primo Festival nazionale per la Giornata della vita nascente, in diretta sul sito giornatavitanascente.org.

All’evento hanno preso parte oltre 40 associazioni e numerosi sono stati gli ospiti autorevoli. “Dare vita dà vita” è lo slogan che ha segnato un dibattito all’insegna della difesa e della tutela della vita stessa, in una prospettiva di contrasto alla denatalità, mediante politiche di sostegno alla famiglia.

L’intervento del presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, è stato introdotto da una “documentazione abbastanza scioccante”. Il report dell’Istat del 26 marzo sulla “Dinamica demografica durante la pandemia Covid-19”, afferente all’anno 2020, fotografa la criticità del momento. “Al 31 dicembre 2020 la popolazione residente è inferiore di quasi 384 mila unità rispetto all’inizio dell’anno, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze. Gli effetti negativi prodotti dall’epidemia Covid-19 hanno amplificato la tendenza al declino di popolazione in atto dal 2015. Nel 2020 si registra un nuovo minimo storico di nascite dall’unità d’Italia e un massimo storico di decessi dal secondo dopoguerra”. Nel merito, i dati rilevati sono indiscutibilmente lapidari: “il nuovo record di poche nascite (404 mila) e l’elevato numero di decessi (746 mila), mai sperimentati dal secondo dopoguerra, aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese. Il deficit di “sostituzione naturale” tra nati e morti (saldo naturale) nel 2020 raggiunge -342 mila unità, valore inferiore, dall’Unità d’Italia, solo a quello record del 1918 (-648 mila)”. Il 2020 è dunque il dodicesimo anno di calo della natalità e rappresenta il nuovo record negativo di quello che è definito l’inverno demografico.

È innegabile che esiste un problema, e i dati statistici danno chiarezza in questo senso. Il passaggio successivo è individuare gli strumenti al fine di attuare una cura di effetto immediato, e su questo punto si stanno concretizzando provvedimenti. Il prof. Blangiardo pone la questione della “tempestività nell’azione”. Il 2020 è stato un anno in cui il Covid-19 ha agito sulla natalità, non sulla mortalità. E, sulla natalità, per un dodicesimo. La riflessione prosegue: “Solo i concepimenti di marzo hanno avuto un esito nell’anno 2020, cioè a dicembre. Nel 2021 vedremo l’effetto dei concepimenti di aprile, maggio, giugno, quelli relativi all’ autunno. È molto probabile che l’effetto vero dato dal Covid-19 sulla natalità lo andremo a contare nel corso dell’anno 2021”. È necessario dunque attuale politiche strutturali responsabili e coraggiose, in una visione prospettica di impegno pragmatico, a contrasto delle inevitabili complessità.

In questa fase, è prioritario attenzionare i termini inerenti alla cura del bambino, in un contesto culturale che deve riconoscere la famiglia quale nucleo di “servizio per la collettività”. Lo stesso Blangiardo afferma che i “figli sono un investimento, i giovani sono un investimento”. L’economia, il sistema complessivo, ruotano intorno alle persone e quindi la demografia deve essere in grado di esprimere una vitalità al fine a garantire il c.d. ricambio generazionale.

Oggi siamo in una condizione in cui le coppie vorrebbero fare più figli (i giovani intervistati ne dichiarano due), di quanti in realtà ne nascano (in media 1,2 – 1,3 per donna nel corso di tutta la vita riproduttiva). È intuitivo comprendere che per centrare suddetto ricambio siano auspicabili due bambini per coppia.

“Il problema”, sostiene Blangiardo, “non è essere 60 milioni o 30 milioni. Il problema è come 60 milioni diventano 30 milioni. Non dimentichiamo che si può anche cambiare, ma il processo, se deve esserci, deve essere lento. Il cambiamento troppo veloce diventa ingestibile in quanto fa saltare quelli che sono gli equilibri su cui reggeva il sistema”.

A supporto di tali acute osservazioni interviene il prof. Leonardo Becchetti, ordinario di economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, editorialista del Sole24Ore e Avvenire, co-fondatore e presidente di Next – Nuova economia per tutti e Gioosto.com, il quale introduce “una variabile fondamentale che spiega la felicità delle persone: la generatività”. Tale indicatore, spiega Becchetti, si compone di elementi diversificati e, segnatamente, “elementi di generatività economica (start up, brevetti, nascita di imprese), sociale (organizzazioni di terzo settore, volontari, donatori), demografica e generatività delle generazioni (la sfida della longevità attiva, della riduzione dei giovani che non lavorano né studiano). In questo modo abbiamo sdoganato questo indicatore e stiamo cercando anche di far sì che alcune Regioni lo utilizzino proprio come elemento, come la programmazione di policy”.

Alla base di questa idea vi sono i “quattro verbi di Michael D. Eriksen”. La relazione è centrale nella soddisfazione di vita. Il sistema economico-sociale funziona grazie alla variabile chiave che Becchetti rinviene nel “know-out with, cioè la capacità di fare squadra, il know-how relazionale. La vita è fatta di dilemmi sociali, cioè di situazioni in cui, data la mancanza di garanzie contrattuali legali, le persone devono decidere se buttarsi, se fidarsi oppure no. E la fiducia è un rischio. E questa capacità di fidarsi, costruire fiducia, meritevolezza di fiducia attraverso il dono di reciprocità, si impara in famiglia. Quindi la famiglia è casa e scuola di questa capacità di costruire relazioni”.

E la visione prospettica si delinea ulteriormente in una interconnessione positiva tra il tema della natalità e la questione ambientale. La natalità dunque, parafrasando il magistrato Pino Morandini, moderatore del dibattito, non produce unicamente “un’ecologia umana”, ma favorisce anche “un’ecologia ambientale”.

Nel proporre il grande tema della transizione ecologica, il prof. Becchetti individua tre fattori potenziali da cui dipende la riduzione delle emissioni inquinanti: una maggiore “sobrietà” nel modo di creare valore economico, il progresso tecnologico (e quindi quel progresso che ci porta appunto maggiore sostenibilità ambientale mediante l’innovazione) e la demografia. È in questa dinamica che i giovani trovano una dimensione propositiva e propulsiva, data da una sensibilità circa i temi e uno spirito di adattamento al cambiamento.

Gli scenari aggregati sono un monito. Ma non devono sfiduciare la vitalità sociale. “Nella vita”, conclude l’economista, “devi scegliere se vivere pienamente le relazioni, e quindi farti carico di alcuni problemi e lavorare per la loro soluzione, oppure isolarti, uscire dal mondo della relazione e diventare tu stesso un problema. Oggi è fondamentale stimolare nei giovani il desiderio. E questo è il compito della scuola: far nascere delle passioni, dei desideri. I giovani che hanno passioni e desideri sia professionali che sociali che relazionali sono giovani che poi diventano generativi e ciò trova espressione a tutti i livelli: familiare, professionale e sociale”.

*Daya De Nardi, esperta in politiche per la famiglia

Il futuro passa dalla demografia

In questo periodo di “stati generali” o generici, come qualcuno sostiene, di comitati tecnici, di pensieri più o meno alti, non si affronta in modo serio, organico, strutturale e radicale l’unico vero nodo che ha strettamente a che fare con il futuro di questo Paese: la questione demografica. E’ questo il tema dei temi, l’unico “driver” reale che dovrebbe condizionare e permeare tutte le scelte politiche da qui ai prossimi vent’anni almeno.
Il perché è talmente evidente che non vale la pena nemmeno di ritornarci su: senza figli non c’è continuità, senza prole non c’è futuro sotto ogni punto di vista. Affettivo, sociale, economico.
Il crollo delle nascite è l’unica vera emergenza che dovrebbe preoccupare tutti noi: nel 2019 si è raggiunto il record negativo dall’Unità d’Italia, con sole 420.170 nascite, peggiorando il dato già pessimo del 2018 quando sono nati in Italia meno di 450.000 bambini, circa la metà rispetto al 1974, anno in cui sono nato io. Questo dato è impressionante e dice tanto, se non tutto, dei problemi attuali di questo Paese. Per chi è ossessionato dai conti, e che spesso viene invitato ai vari “stati generali” o “comitati tecnici”, ciò significa che non ci saranno abbastanza lavoratori in un futuro ormai prossimo per pagare tasse, pensioni, servizi sociali etc., etc. Per chi, oltre ai conti, ha a cuore il concetto di Patria, il tema è ancora più dirimente: può esistere una terra delle madri e dei padri, la Madre Patria appunto, senza figli? La risposta è ovvia.
Ora, che questa non venga vissuta come una vera e propria emergenza dalla sinistra italiana non deve stupire affatto: nella foga di cancellare tutti i riferimenti del proprio passato, compreso il riferimento primo e cioè il proletariato, hanno eliminato dal loro orizzonte di pensiero anche la prole, che rappresentava appunto l’unica ricchezza di quella base sociale che avrebbero dovuto difendere e rappresentare.
Ma se la sinistra, che risolverebbe la questione per le vie brevi e cioè aprendo ad una massiccia e prolifica immigrazione, ha da tempo tradito e abbandonato la propria base sociale, ecco che questo tema deve essere invece preso con forza da chi ha a cuore il futuro della Nazione, non in chiave strumentale ma come visione strutturale e politica su cui incardinare ogni azione. Su questo, più che attingere ai tempi che furono, andrebbero presi a modello i Paesi più moderni e socialmente avanzati del Nord Europa, ma non solo.
I bonus “una tantum” non servono a nulla se non alla pura propaganda partitica; ciò che serve è incardinare il tutto sulla crescita demografica perché a cascata questa produce effetti in ogni ambito della società, compresa l’economia. Eppure, sulla questione, manca ancora la necessaria sensibilità e una visione di lungo periodo. Questa è l’unica vera rivoluzione che serve al nostro Paese, che significa anche inclusione, parità di genere, dignità della persona, centralità dell’essere umano, il tutto declinato concretamente.
Chi può innescare tutto questo? Io non ho risposte ma penso che un cambio di paradigma così importante, richieda una sensibilità diversa al potere. Una sensibilità femminile, materna. Una leadership che sta dando frutti nuovi e inaspettati in altri luoghi: pensiamo alla Finlandia, alla Nuova Zelanda, alla Germania. Guardiamo con interesse e attenzione al nuovo corso in rosa dell’Unione Europea e chissà che non si possa prendere spunto anche qui da noi. Qualche idea, su chi possa dare forma in Italia ad un percorso così sfidante, a destra non manca.