Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciammo noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Giorgio Cuscito
Per Pechino l’adesione dell’Italia alle nuove vie della seta ha un significato fortemente simbolico. La penisola è posizionata nel cuore del Mar Mediterraneo, a pochi passi dall’Africa e al cuore dell’Europa. In più ospita basi USA e NATO. A Roma tuttavia la nostra partecipazione ha acquisito erroneamente un significato esclusivamente economico. A ogni modo, non credo che firmando il memorandum sulle nuove vie della seta e accogliendo investimenti nei porti nostrani lasceremo il controllo dei flussi marittimi alla Cina per una semplice ragione. La libera circolazione delle merci è garantita dalla talassocrazia degli USA, che con la loro Marina possono intervenire su qualunque rotta marittima commerciale.
L’Europa e l’Italia in particolare fanno parte di una sfera di influenza americana. Il Vecchio Continente è terreno di confronto in un gioco più grande. Il tempismo non è dalla nostra parte; abbiamo scelto di aderire alla Belt and Road Initiative in una fase di avvitamento delle relazioni statunitensi piuttosto preoccupante. Questo soprattutto sul terreno tecnologico. La posta in palio tra le prime due potenze al mondo è il primato economico, militare e tecnologico. La Cina si comporta da potenza compiuta, da Paese che persegue un percorso di sviluppo, anche nel campo militare. Perché quando si diventa una potenza economica inevitabilmente si cerca di tutelare gli interessi all’estero anche sul piano militare.
Questo è quello che fanno anche gli Stati Uniti con un percorso diverso; però non possiamo credere veramente che la legge sulla intelligence sia la ragione per cui Huawei collabora con il governo cinese. In qualunque potenza compiuta le imprese collaborano con lo Stato. Dovrebbe essere così in qualunque Paese. Quindi quando parliamo di Facebook e Google per esempio dobbiamo ricordare che l’America al pari della Cina utilizza le proprie imprese per raccogliere dati e informazioni. Questo è un concetto fondamentale, è il presupposto per tutti gli altri ragionamenti che vogliamo fare. Ora, il discorso sulla presenza o meno nel memorandum della questione delle comunicazioni lascia il tempo che trova perché innanzitutto non conosciamo il contenuto del documento, ma poi perché Huawei e ZTE sono presenti in Italia già da qualche tempo e collaborano con enti statali e privati nello sviluppo della rete 5G nazionale; lo fanno a Bari, Matera, Milano, L’Aquila e ciò è avvenuto con il consenso dello Stato e delle imprese; quindi evidentemente c’è un interesse a farlo e una delle ragioni è che la Cina è leader nel 5G. Gli Stati Uniti non hanno in questo momento una grande impresa capace di contrastare la Cina nello sviluppo di tale tecnologia. Ed è anche per questo che l’America vuole spingere i Paesi occidentali a non utilizzare Huawei, questa strategia non sempre funziona. La Francia, la Germania, il Regno Unito hanno centri per l’innovazione di Huawei. Noi ne abbiamo due, una a Catania e uno a Pula vicino Cagliari che studiano soluzioni per le smart e per safest cities. Quindi si occupano di attività anche nel campo della sicurezza. Anche Acea sta sviluppando delle attività a Roma per il monitoraggio intorno al Colosseo.
Queste sono attività di tipo tecnologico che noi stiamo portando avanti a prescindere dal memorandum e da quello che verrà firmato. Questo è quello su cui ci dobbiamo interrogare e su cui abbiamo ricevuto le pressioni dagli Stati Uniti più che la questione dei porti. La presenza di basi militari americane in un certo senso definisce i margini della collaborazione con la Cina a prescindere da quello che può fare il governo attuale. Credo che sia possibile delineare i confini della collaborazione con la Cina. Lo hanno fatto altri Paesi prima di noi, confrontandosi con gli Stati Uniti sul modo di dialogare con la Cina. È giusto sviluppare una regolamentazione normativa e anche prendere delle misure concrete dal punto di vista della sicurezza cibernetica per prevenire un utilizzo improprio dei nostri dati. Faccio un esempio che riguarda la Cina: Apple, gigante dell’internet americano, opera in Cina. È stata costretta ad adempiere alle normative cinesi nell’ambito della cybersicurezza ed è stata costretta a spostare i data-center degli account iCloud cinesi in una provincia molto povera della Repubblica Popolare, che sta cercando di compiere quel salto verso il futuro sfruttando l’economia digitale. Quindi è possibile controllare le infrastrutture, è possibile controllare i dati.
Non ho molta fiducia nello sviluppo di una attività congiunta all’interno dell’UE nel campo della difesa e nello sviluppo di un colosso tecnologico in grado di contrastare i cinesi, perché questo dovrebbe occuparsi di tecnologie dual use. Se non parliamo di sicurezza e di difesa europea in maniera costruttiva e non individuiamo l’interesse europeo, è difficile portare avanti questo discorso. Qual è l’interesse europeo? Io non riesco a individuarlo. Ciascun Paese ha i propri interessi nazionali e si serve dell’UE per promuoverli; allora utilizziamo questo strumento per trovare una linea generale nei confronti della Cina, ma non vedo la possibilità di costruire un gigante europeo in grado di proiettarsi nel campo delle tecnologie dual use. Per quanto riguarda il 5G: dobbiamo chiederci se abbiamo delle alternative alla collaborazione con Huawei e se vogliamo rinunciarvi. Lo potremmo fare, archiviando tutti i progetti che abbiamo avviato. Ma dovremmo cercare un sostituto. Perché se noi rinunciamo a questa tecnologia, possiamo subire danni su più livelli. L’alternativa è trovare un modo per contenere la presenza cinese. Prima però è fondamentale trovare un punto di intesa con il nostro alleato principale, gli USA che ci consenta di non essere schiacciati dalla competizione sino-statunitense. (Il dibattito è avvenuto prima che l’Italia firmasse il memorandum di adesione alla Belt and Road Initiative.)
Per approfondire le tesi dell’autore: G. CUSCITO, “Come si sta arrivando allo scontro di civiltà tra Usa e Cina”, Limesonline, 17/5/2019 G. CUSCITO, “In Europa, Pechino gioca la sua partita per l’influenza globale”, Limes 4/2019 “Antieuropa, l’impero europeo dell’America”.
*Giorgio Cuscito, consigliere redazionale di Limes, analista, studioso di geopolitica cinese, curatore del Bollettino Imperiale al meeting “Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019