COPASIR, CHI È COSTUI?

Una domanda che il contribuente italiano avrebbe potuto farsi, fino a sei mesi addietro.

Oggi, quello che era uno strumento (a stento) conosciuto soltanto negli ambienti parlamentari, è assurto invece agli onori della cronaca politica e non solo.

Bisogna dare atto agli attuali componenti del Comitato di aver riportato questo oscuro organismo interparlamentare alla sua nominale funzione di “Comitato per la Sicurezza della Repubblica. E non soltanto, come prima avveniva, con una funzione di visibilità e controllo del Parlamento sulle attività dell’intelligence nazionale, interno ed esterno. Per la verità i nostri costituzionalisti, affidandone, de iure o de facto, la guida ad un membro dell’opposizione politica, avevano individuato ab origine l’importanza che questo  strumento parlamentare  avrebbe dovuto avere per il nostro dettato democratico.

La sicurezza della Repubblica non è infatti qualcosa di cui dovrebbero occuparsi soltanto i nostri 007 che in giro per il mondo proteggono gli interessi attuali o potenziali del Paese o che contrastano attività illecite di potenze straniere nel nostro territorio.

È qualcosa che dovrebbe interessare tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, come avviene in Paesi che hanno un forte senso di identità nazionale. E per rendersene conto basta assistere ad alcuni talk show televisivi in Francia o nel Regno Unito dove viene spesso dibattuta la sicurezza dello Stato come tutela dell’interesse nazionale. Se consultiamo il sito web dell’Istituto Treccani: ” interesse nazionale è ciò che uno Stato non può evitare di perseguire senza creare un danno alla collettività”.

Da genuino liberale, orgogliosamente senza tessera di partito, con parole mie preferisco parlare di protezione dell’identità nazionale. E per far questo non possiamo evitare di toccare delicati aspetti di geopolitica, di sufficienza energetica, di sovranità nazionale, di difesa dei confini, di lingua e cultura storica del Paese, di fiscalità, di sicurezza cibernetica, di flussi migratori, persino di criminalità internazionale sempre più organizzata e minacciosa.

Insomma la tutela dell’interesse nazionale è un’attività che, come una passatoia, ha necessità di srotolarsi tra un presente che ci tocca da vicino, un passato che identifica il nostro Paese e un futuro che deve essere di umanità e tolleranza.

E allora non posso che plaudire a questo nuovo corso del COPASIR, che non esita a convocare in audizione Parlamentari e Sindacalisti, Alti Dirigenti e Amministratori Delegati, Autorità locali e nazionali, Ministri e Presidenti del Consiglio.

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente onorario ASE spa

CHI CONTROLLA LE INFRASTRUTTURE CONTROLLA I DATI

Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciammo noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Giorgio Cuscito

Per Pechino l’adesione dell’Italia alle nuove vie della seta ha un significato fortemente simbolico. La penisola è posizionata nel cuore del Mar Mediterraneo, a pochi passi dall’Africa e al cuore dell’Europa. In più ospita basi USA e NATO. A Roma tuttavia la nostra partecipazione ha acquisito erroneamente un significato esclusivamente economico. A ogni modo, non credo che firmando il memorandum sulle nuove vie della seta e accogliendo investimenti nei porti nostrani lasceremo il controllo dei flussi marittimi alla Cina per una semplice ragione. La libera circolazione delle merci è garantita dalla talassocrazia degli USA, che con la loro Marina possono intervenire su qualunque rotta marittima commerciale.

L’Europa e l’Italia in particolare fanno parte di una sfera di influenza americana. Il Vecchio Continente è terreno di confronto in un gioco più grande. Il tempismo non è dalla nostra parte; abbiamo scelto di aderire alla Belt and Road Initiative in una fase di avvitamento delle relazioni statunitensi piuttosto preoccupante. Questo soprattutto sul terreno tecnologico. La posta in palio tra le prime due potenze al mondo è il primato economico, militare e tecnologico. La Cina si comporta da potenza compiuta, da Paese che persegue un percorso di sviluppo, anche nel campo militare. Perché quando si diventa una potenza economica inevitabilmente si cerca di tutelare gli interessi all’estero anche sul piano militare.

Questo è quello che fanno anche gli Stati Uniti con un percorso diverso; però non possiamo credere veramente che la legge sulla intelligence sia la ragione per cui Huawei collabora con il governo cinese. In qualunque potenza compiuta le imprese collaborano con lo Stato. Dovrebbe essere così in qualunque Paese. Quindi quando parliamo di Facebook e Google per esempio dobbiamo ricordare che l’America al pari della Cina utilizza le proprie imprese per raccogliere dati e informazioni. Questo è un concetto fondamentale, è il presupposto per tutti gli altri ragionamenti che vogliamo fare. Ora, il discorso sulla presenza o meno nel memorandum della questione delle comunicazioni lascia il tempo che trova perché innanzitutto non conosciamo il contenuto del documento, ma poi perché Huawei e ZTE sono presenti in Italia già da qualche tempo e collaborano con enti statali e privati nello sviluppo della rete 5G nazionale; lo fanno a Bari, Matera, Milano, L’Aquila e ciò è avvenuto con il consenso dello Stato e delle imprese; quindi evidentemente c’è un interesse a farlo e una delle ragioni è che la Cina è leader nel 5G. Gli Stati Uniti non hanno in questo momento una grande impresa capace di contrastare la Cina nello sviluppo di tale tecnologia. Ed è anche per questo che l’America vuole spingere i Paesi occidentali a non utilizzare Huawei, questa strategia non sempre funziona. La Francia, la Germania, il Regno Unito hanno centri per l’innovazione di Huawei. Noi ne abbiamo due, una a Catania e uno a Pula vicino Cagliari che studiano soluzioni per le smart e per safest cities. Quindi si occupano di attività anche nel campo della sicurezza. Anche Acea sta sviluppando delle attività a Roma per il monitoraggio intorno al Colosseo.

Queste sono attività di tipo tecnologico che noi stiamo portando avanti a prescindere dal memorandum e da quello che verrà firmato. Questo è quello su cui ci dobbiamo interrogare e su cui abbiamo ricevuto le pressioni dagli Stati Uniti più che la questione dei porti. La presenza di basi militari americane in un certo senso definisce i margini della collaborazione con la Cina a prescindere da quello che può fare il governo attuale. Credo che sia possibile delineare i confini della collaborazione con la Cina. Lo hanno fatto altri Paesi prima di noi, confrontandosi con gli Stati Uniti sul modo di dialogare con la Cina. È giusto sviluppare una regolamentazione normativa e anche prendere delle misure concrete dal punto di vista della sicurezza cibernetica per prevenire un utilizzo improprio dei nostri dati. Faccio un esempio che riguarda la Cina: Apple, gigante dell’internet americano, opera in Cina. È stata costretta ad adempiere alle normative cinesi nell’ambito della cybersicurezza ed è stata costretta a spostare i data-center degli account iCloud cinesi in una provincia molto povera della Repubblica Popolare, che sta cercando di compiere quel salto verso il futuro sfruttando l’economia digitale. Quindi è possibile controllare le infrastrutture, è possibile controllare i dati.

Non ho molta fiducia nello sviluppo di una attività congiunta all’interno dell’UE nel campo della difesa e nello sviluppo di un colosso tecnologico in grado di contrastare i cinesi, perché questo dovrebbe occuparsi di tecnologie dual use. Se non parliamo di sicurezza e di difesa europea in maniera costruttiva e non individuiamo l’interesse europeo, è difficile portare avanti questo discorso. Qual è l’interesse europeo? Io non riesco a individuarlo. Ciascun Paese ha i propri interessi nazionali e si serve dell’UE per promuoverli; allora utilizziamo questo strumento per trovare una linea generale nei confronti della Cina, ma non vedo la possibilità di costruire un gigante europeo in grado di proiettarsi nel campo delle tecnologie  dual use.  Per quanto riguarda il 5G: dobbiamo chiederci se abbiamo delle alternative alla collaborazione con Huawei e se vogliamo rinunciarvi. Lo potremmo fare, archiviando tutti i progetti che abbiamo avviato. Ma dovremmo cercare un sostituto. Perché se noi rinunciamo a questa tecnologia, possiamo subire danni su più livelli. L’alternativa è trovare un modo per contenere la presenza cinese. Prima però è fondamentale trovare un punto di intesa con il nostro alleato principale, gli USA che ci consenta di non essere schiacciati dalla competizione sino-statunitense. (Il dibattito è avvenuto prima che l’Italia firmasse il memorandum di adesione alla Belt and Road Initiative.)

Per approfondire le tesi dell’autore: G. CUSCITO, “Come si sta arrivando allo scontro di civiltà tra Usa e Cina”, Limesonline, 17/5/2019 G. CUSCITO, “In Europa, Pechino gioca la sua partita per l’influenza globale”, Limes 4/2019 “Antieuropa, l’impero europeo dell’America”.

 

*Giorgio Cuscito, consigliere redazionale di Limes, analista, studioso di geopolitica cinese, curatore del Bollettino Imperiale al meeting Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019

Il dominio della tecnologia dual use cinese

Nel dicembre 2018 l’International Institute for Strategic Studies (IISS) ha pubblicato un fondamentale Rapporto sulla strategia del Presidente cinese Xi Jinping per dominare l’avanzamento tecnologico europeo nell’ampio settore del “dual use”, in campo civile e militare‎. Proponiamo di seguito alcuni estratti del Rapporto curato da Meia Nouwens e Helena Legarda intitolato: “Dominio emergente della tecnologia: il significato della ricerca cinese nelle tecnologie avanzate a duplice uso per il futuro dell’economia europea e l’innovazione della difesa”.

In entrambi i settori civile e militare, l’innovazione tecnologica è diventata un importante obiettivo politico per i governi delle economie più avanzate. Il ruolo e la portata della tecnologia moderna continuano ad espandersi.

Nello sforzo di diventare una “superpotenza scientifica e tecnologica” globale e di costruire un esercito forte che possa combattere e vincere guerre, la Cina ha intrapreso un processo importante per realizzare l’integrazione civile-militare (CMI) e sviluppare tecnologie avanzate a duplice uso. Utilizzando vari metodi sia per promuovere l’innovazione indigena che per accedere a tecnologia e know-how stranieri, l’obiettivo della Cina è quello di scavalcare gli Stati Uniti e l’Europa e ottenere il dominio in queste tecnologie, che avranno importanti implicazioni civili e militari in futuro. L’UE non ha strategie forti e coordinate per promuovere lo sviluppo delle tecnologie indigene a duplice uso o per proteggere l’innovazione dell’Europa.

Come risultato di questo regime di precarietà, la Cina sta raggiungendo o superando capacità europee per quanto riguarda la maggior parte di queste tecnologie attraverso un quadro normativo “intero di governo” e investimenti finanziari, nonché accedendo all’innovazione e alla tecnologia europee attraverso una varietà di strumenti. Per l’Europa, l’incentivo a tenere il passo con i progressi della Cina in queste tecnologie e a proteggere la propria innovazione in questo campo è un imperativo militare, ma anche commerciale ed economico. In un momento in cui la Cina sta aumentando il proprio impegno nel processo di sviluppo di tecnologie avanzate a duplice uso, è giunto il momento che l’Europa pensi in modo strategico e si attivi per sfruttare i propri vantaggi competitivi.

Entro il 2020, il numero di dispositivi Internet of Things (IoT) potrebbe raggiungere i 24 miliardi e un valore stimato di 6 miliardi di dollari in soluzioni IoT tra cui sviluppo di applicazioni, hardware del dispositivo, integrazione del sistema, memorizzazione dei dati, sicurezza e connettività. Il mercato globale della robotica e dei sistemi che utilizzano Artificial Intelligence (AI) dovrebbe raggiungere i 153 miliardi di dollari entro il 2020. L’ammontare dei finanziamenti di capitali a rischio destinati alla robotica nel 2015 ammontava a 587 milioni di dollari, il doppio dell’importo investito nel 2011.

La tendenza a focalizzare le politiche per trarre vantaggio da queste tecnologie e guidarle nel loro sviluppo è evidente nell’Unione europea, così come in Cina sotto la guida del presidente Xi Jinping. Nel tentativo di guidare il paese verso l’obiettivo del 2049 per diventare uno Stato socialista moderno e prospero, oltre a costruire un esercito globale di alto livello in grado di combattere e vincere guerre, Xi ha sposato una duplice strategia per la modernizzazione militare: rendere le grandi imprese statali di difesa (SOE) più efficienti, globalmente competitive e innovative, rivolgendosi sempre più anche ai settori civile e commerciale per una potenziale ispirazione e innovazione. In particolare, la Cina sta investendo massicciamente nella ricerca e nell’integrazione di tecnologie emergenti a duplice uso, nella speranza che possano aiutare l’Esercito Popolare di Liberazione ad andare oltre le capacità militari convenzionali e raggiungere il predominio su tutti i fronti. Tecnologie come l’intelligenza artificiale, l’infrastruttura informatica, i software e l’automazione sono principalmente civili nella loro applicazione, ma la loro rilevanza per la difesa e il modo in cui le guerre future saranno combattute è chiaramente in crescita.

Anche l’Unione europea ha un interesse in questi settori, oltre a incentivi economici e strategici per stare al passo con i tempi. Secondo uno studio effettuato da McKinsey, la metà delle attività attualmente svolte dai lavoratori in Europa potrebbe essere automatizzata nel prossimo futuro. Per Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, lo studio ha stimato che circa 1,9 trilioni di dollari USA in salari e 62 milioni di lavoratori sono associati ad attività tecnicamente automatiche. Si prevede che la quota della popolazione in età lavorativa nell’UE diminuisca fino al 2050 e che entro il 2080 il 29,1% della popolazione dell’UE-28 avrà almeno 65 anni. Si prevede che il rapporto età-dipendenza aumenti dal 53,9% all’80% della popolazione dell’UE-28 tra il 2017 e il 2080. A breve, ci sarà una maggiore domanda di risorse e servizi, ma una minore disponibilità di persone nel mondo del lavoro, creando così un imperativo per maggiori investimenti europei nella tecnologia dell’automazione, che sarà vitale per la forza lavoro futura e per mantenere il margine industriale e dell’innovazione dell’UE.

Benché paesi come la Cina, la Corea del Sud e gli Stati Uniti siano particolarmente attivi nella ricerca delle applicazioni militari delle tecnologie a duplice uso, non tutte le tecnologie emergenti sono state completamente integrate nelle forze armate e molte sono ancora in fase di sviluppo e test. Questo, tuttavia, non rimuove dal loro potenziale future applicazioni di difesa.

La letteratura attuale si concentra in gran parte sul rapporto tra Cina e Stati Uniti, e il dibattito riguarda come i controlli sulle esportazioni e i meccanismi di screening degli investimenti possano proteggere il margine di innovazione interna degli Stati Uniti. Di dibattiti simili si è avuto notizia in Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito. Tuttavia, deve ancora nascere un dibattito pubblico serio sul tentativo della Cina di diventare leader innovatore nelle tecnologie emergenti e di influenzare gli interessi dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri.

Mentre gli Stati Uniti hanno rafforzato la sorveglianza degli investimenti esteri rafforzando il ruolo del Comitato sugli Investimenti Esteri negli Stati Uniti (CFIUS), l’Unione europea e i suoi Stati membri sono stati lenti nel venire a patti con le strategie cinesi di R&S e non hanno ancora affrontato sistematicamente la questione e le implicazioni per le industrie nell’UE.

Negli ultimi anni, il governo cinese ha compiuto molte riforme industriali e ha elaborato piani ambiziosi affinché la scienza domestica e l’innovazione tecnologica sviluppassero e realizzassero prodotti di alta gamma e tecnologie emergenti. Allo stesso tempo, lo sviluppo delle capacità nazionali di ricerca in Cina è stato utilizzato anche nell’integrazione civile-militare, con l’innovazione commerciale che si riversava nelle applicazioni militari. L’aspetto militare dell’innovazione cinese è importante, in particolare in un momento in cui l’Esercito Popolare di Liberazione sta attraversando una serie di importanti interventi di modernizzazione e riforma nelle sue capacità militari convenzionali. La Cina cerca di sfruttare tecnologie emergenti nuove e innovative per “scavalcare” il suo principale concorrente strategico, gli Stati Uniti.

Il governo cinese ha quindi definito un approccio “interamente governativo” per colmare il divario con l’Occidente in settori quali la robotica, l’intelligenza artificiale, i sistemi senza pilota e completamente automatizzati, il calcolo quantistico, la tecnologia spaziale e le armi ipersoniche.

Grazie a questo approccio all’innovazione della tecnologia a duplice uso da parte del governo cinese, il Paese è attualmente in testa in alcuni settori industriali.

Il programma spaziale cinese è stato fonte di preoccupazione per le comunità di difesa in Occidente, in particolare a causa della natura intrinsecamente duale di molte tecnologie spaziali e della stretta collaborazione tra il l’Esercito Popolare di Liberazione, organizzazioni affiliate e industrie statali che consente alla Cina di sviluppare capacità con usi militari sotto le spoglie di attività nello spazio civile. Il Consiglio di Stato della Cina pubblica periodicamente White Papers in cui si delineano gli obiettivi a medio termine del programma spaziale cinese, ma è la China National Space Administration (CNSA) che produce i regolamenti specifici che la governano. Di conseguenza, ci sono più piani e documenti a livello nazionale che si riferiscono ai vari aspetti del programma spaziale cinese, tra cui il sistema di navigazione Beidou e i satelliti.

La Cina continua a lanciare regolarmente satelliti e veicoli spaziali, che consentono di perfezionare processi e applicazioni che potrebbero essere utilizzati anche contro avversari in caso di conflitto. Un buon esempio è la serie di sateliti Yaogan. Mentre Pechino sostiene che si tratta di satelliti che osservano la Terra solo per scopi civili, i satelliti Yaogan sarebbero satelliti per l’imaging militare di proprietà e gestiti dall’esercito. Il sistema satellitare di navigazione di Beidou, la risposta della Cina al GPS degli Stati Uniti e al sistema europeo Galileo nel 2018, sta rapidamente estendendo la copertura alle rotte della Belt and Road Initiative e mira a coprire l’intero globo entro il 2020. Ciò consentirà a Pechino di sviluppare in tempo reale le capacità di sorveglianza e di allarme dei sistemi globali.

Come affermato dal Presidente Xi Jinping durante la Conferenza su Cybersecurezza e Informatizzazione dell’aprile 2018, la sicurezza informatica è l’area all’interno dell’integrazione civile e militare con il maggior dinamismo e potenziale. Le capacità informatiche sono una priorità per il governo cinese e parte integrante della modernizzazione e dell’informatizzazione militare. La legge sulla sicurezza informatica 2017 è la principale politica che governa il cyberspazio in Cina. Questa legge promuove lo sviluppo di tecnologie indigene e limita le vendite di integrazione cilive e militare straniere, ma impone anche che le società straniere operanti in Cina conservino i dati in Cina e si sottopongano a revisioni governative. La Strategia internazionale di cooperazione nel cyberspazio, pubblicata a marzo 2017, attira l’attenzione sulla natura dualistica delle capacità informatiche, evidenziando l’importante ruolo del PLA nel difendere la sovranità cinese nel cyberspazio e invocando lo sviluppo di una “forza cibernetica” militare. Il cyber è ampiamente discusso nella strategia cinese 2025 della Cina e il 13° piano quinquennale – sia nel piano per la guida allo sviluppo S&T di fusione militare-civile che nel piano speciale per progetti di integrazione civile-militare della scienza e della tecnologia. La materia evidenzia la sicurezza nazionale del cyberspazio come un progetto da completare nel 2030 a beneficio sia dell’economia cinese che dell’esercito.

Dal punto di vista organizzativo, PLASSF è responsabile delle capacità informatiche dell’esercito, mentre l’amministrazione cinese del cyberspazio governa le capacità e gli sviluppi della cyber civiltà cinese. Le unità e le capacità di cyberspionaggio aziendale cinese, tuttavia, sembrano essere state recentemente trasferite dal PLASSF al Ministero della Sicurezza.

*Helena Legarda, ricercatrice, Mercator Institute for China Studies, GB

Pubblichiamo uno stralcio del suo rapporto che sarà presentato al meeting di Farefuturo sulla Cina. (Traduzione Matteo Angioli)