CHI CONTROLLA LE INFRASTRUTTURE CONTROLLA I DATI

Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciammo noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Giorgio Cuscito

Per Pechino l’adesione dell’Italia alle nuove vie della seta ha un significato fortemente simbolico. La penisola è posizionata nel cuore del Mar Mediterraneo, a pochi passi dall’Africa e al cuore dell’Europa. In più ospita basi USA e NATO. A Roma tuttavia la nostra partecipazione ha acquisito erroneamente un significato esclusivamente economico. A ogni modo, non credo che firmando il memorandum sulle nuove vie della seta e accogliendo investimenti nei porti nostrani lasceremo il controllo dei flussi marittimi alla Cina per una semplice ragione. La libera circolazione delle merci è garantita dalla talassocrazia degli USA, che con la loro Marina possono intervenire su qualunque rotta marittima commerciale.

L’Europa e l’Italia in particolare fanno parte di una sfera di influenza americana. Il Vecchio Continente è terreno di confronto in un gioco più grande. Il tempismo non è dalla nostra parte; abbiamo scelto di aderire alla Belt and Road Initiative in una fase di avvitamento delle relazioni statunitensi piuttosto preoccupante. Questo soprattutto sul terreno tecnologico. La posta in palio tra le prime due potenze al mondo è il primato economico, militare e tecnologico. La Cina si comporta da potenza compiuta, da Paese che persegue un percorso di sviluppo, anche nel campo militare. Perché quando si diventa una potenza economica inevitabilmente si cerca di tutelare gli interessi all’estero anche sul piano militare.

Questo è quello che fanno anche gli Stati Uniti con un percorso diverso; però non possiamo credere veramente che la legge sulla intelligence sia la ragione per cui Huawei collabora con il governo cinese. In qualunque potenza compiuta le imprese collaborano con lo Stato. Dovrebbe essere così in qualunque Paese. Quindi quando parliamo di Facebook e Google per esempio dobbiamo ricordare che l’America al pari della Cina utilizza le proprie imprese per raccogliere dati e informazioni. Questo è un concetto fondamentale, è il presupposto per tutti gli altri ragionamenti che vogliamo fare. Ora, il discorso sulla presenza o meno nel memorandum della questione delle comunicazioni lascia il tempo che trova perché innanzitutto non conosciamo il contenuto del documento, ma poi perché Huawei e ZTE sono presenti in Italia già da qualche tempo e collaborano con enti statali e privati nello sviluppo della rete 5G nazionale; lo fanno a Bari, Matera, Milano, L’Aquila e ciò è avvenuto con il consenso dello Stato e delle imprese; quindi evidentemente c’è un interesse a farlo e una delle ragioni è che la Cina è leader nel 5G. Gli Stati Uniti non hanno in questo momento una grande impresa capace di contrastare la Cina nello sviluppo di tale tecnologia. Ed è anche per questo che l’America vuole spingere i Paesi occidentali a non utilizzare Huawei, questa strategia non sempre funziona. La Francia, la Germania, il Regno Unito hanno centri per l’innovazione di Huawei. Noi ne abbiamo due, una a Catania e uno a Pula vicino Cagliari che studiano soluzioni per le smart e per safest cities. Quindi si occupano di attività anche nel campo della sicurezza. Anche Acea sta sviluppando delle attività a Roma per il monitoraggio intorno al Colosseo.

Queste sono attività di tipo tecnologico che noi stiamo portando avanti a prescindere dal memorandum e da quello che verrà firmato. Questo è quello su cui ci dobbiamo interrogare e su cui abbiamo ricevuto le pressioni dagli Stati Uniti più che la questione dei porti. La presenza di basi militari americane in un certo senso definisce i margini della collaborazione con la Cina a prescindere da quello che può fare il governo attuale. Credo che sia possibile delineare i confini della collaborazione con la Cina. Lo hanno fatto altri Paesi prima di noi, confrontandosi con gli Stati Uniti sul modo di dialogare con la Cina. È giusto sviluppare una regolamentazione normativa e anche prendere delle misure concrete dal punto di vista della sicurezza cibernetica per prevenire un utilizzo improprio dei nostri dati. Faccio un esempio che riguarda la Cina: Apple, gigante dell’internet americano, opera in Cina. È stata costretta ad adempiere alle normative cinesi nell’ambito della cybersicurezza ed è stata costretta a spostare i data-center degli account iCloud cinesi in una provincia molto povera della Repubblica Popolare, che sta cercando di compiere quel salto verso il futuro sfruttando l’economia digitale. Quindi è possibile controllare le infrastrutture, è possibile controllare i dati.

Non ho molta fiducia nello sviluppo di una attività congiunta all’interno dell’UE nel campo della difesa e nello sviluppo di un colosso tecnologico in grado di contrastare i cinesi, perché questo dovrebbe occuparsi di tecnologie dual use. Se non parliamo di sicurezza e di difesa europea in maniera costruttiva e non individuiamo l’interesse europeo, è difficile portare avanti questo discorso. Qual è l’interesse europeo? Io non riesco a individuarlo. Ciascun Paese ha i propri interessi nazionali e si serve dell’UE per promuoverli; allora utilizziamo questo strumento per trovare una linea generale nei confronti della Cina, ma non vedo la possibilità di costruire un gigante europeo in grado di proiettarsi nel campo delle tecnologie  dual use.  Per quanto riguarda il 5G: dobbiamo chiederci se abbiamo delle alternative alla collaborazione con Huawei e se vogliamo rinunciarvi. Lo potremmo fare, archiviando tutti i progetti che abbiamo avviato. Ma dovremmo cercare un sostituto. Perché se noi rinunciamo a questa tecnologia, possiamo subire danni su più livelli. L’alternativa è trovare un modo per contenere la presenza cinese. Prima però è fondamentale trovare un punto di intesa con il nostro alleato principale, gli USA che ci consenta di non essere schiacciati dalla competizione sino-statunitense. (Il dibattito è avvenuto prima che l’Italia firmasse il memorandum di adesione alla Belt and Road Initiative.)

Per approfondire le tesi dell’autore: G. CUSCITO, “Come si sta arrivando allo scontro di civiltà tra Usa e Cina”, Limesonline, 17/5/2019 G. CUSCITO, “In Europa, Pechino gioca la sua partita per l’influenza globale”, Limes 4/2019 “Antieuropa, l’impero europeo dell’America”.

 

*Giorgio Cuscito, consigliere redazionale di Limes, analista, studioso di geopolitica cinese, curatore del Bollettino Imperiale al meeting Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019

Il dragone in Europa attraverso l’Italia

Finalmente l’Europa si è svegliata e si tutela dagli investimenti cinesi e persino la Germania denuncia che la via della Seta è lo strumento del dominio globale di Pechino. Quando lo denunciano noi, nel meeting internazionale della Fondazione Farefuturo, organizzato alla Camera proprio il giorno dell’arrivo trionfale a Roma del Presidente cinese, gli altri plaudivano agli accordi Italia-Cina sottoscritti dal governo Conte Lega-Cinque Stelle. Ecco il testo dell’intervento che in quella occasione fu svolto da Adolfo Urso

 

Questo meeting è organizzato da Farefuturo insieme alla Fondazione New Direction, la fondazione che fa riferimento in Europa al gruppo dei conservatori e riformisti e quindi alla famiglia dei conservatori europeo-occidentale, su un tema centrale per l’interesse nazionale in una giornata particolarmente significativa a poche ore dalla visita del Presidente della Repubblica Popolare di Cina in Italia, evento a cui viene dato un alto valore politico. In tale contesto, abbiamo voluto proporre un seminario di studi dal titolo emblematico “Il Dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” per analizzare il valore politico ed economico di alcuni accordi che verranno firmati in quella occasione dal Presidente Xi Jinping, che rappresenta tutte le cariche della Cina a cominciare da quella più prestigiosa di Segretario del Partito Comunista Cinese, e come tutti sanno, in Cina la carica del partito viene prima di quella dello Stato. Lui stesso nel presentare la sua visita ad un quotidiano italiano ne parla all’interno di un contesto storico, culturale e politico di straordinaria importanza a suggello del quale sarà apposta la firma di un MoU che riguarda la cosiddetta Via della seta, il primo realizzato da un Paese importante della NATO e da un Paese del G7.

Oggi la “Via della seta” è la più importante infrastruttura navale, ferroviaria, logistica del mondo, quindi è acciaio più che seta. Altrettanto significativi i circa cinquanta accordi collegati, alcuni tra aziende pubbliche, quindi su indirizzo specifico dello Stato, altre di aziende private di varia natura. Nel MoU non si affronta la tematica commerciale ma si parla di infrastrutture, trasporti, logistica, spazio, telecomunicazioni quindi di assetti strategici. Ovviamente non si parla di commercio strettamente inteso perché come tutti sanno la politica commerciale è esclusiva competenza dell’Unione Europea. Si parla invece di economia, di finanza e anche di quei settori strategici che vi ho citato prima ma non certamente di commercio in quanto tale, come si è voluto far credere. Il nostro export non ne trarrà alcun beneficio diretto. Ieri nel due rami del Parlamento, sia alla Camera che al Senato, c’è stato un dibattito su questo evento, certamente estremamente significativo per le conseguenze che ha sulla nostra collocazione internazionale, prima ancora per le sue ricadute sulla nostra economia.

Il Parlamento ha approvato una davvero strana mozione di maggioranza in cui si impegna il Governo a fare i dovuti accertamenti sulle ricadute del Memorandum: se il nostro interesse nazionale è garantito, se la nostra sicurezza nazionale è garantita se le relazioni e gli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia a cominciare da quelli dell’Alleanza Atlantica e della UE sono garantiti; in sostanza, la stessa maggioranza chiede al governo di accertare e verificare ora a poche ore dalla sottoscrizione degli accordi se tutto ciò è garantito, dopo che per sette mesi i ministeri interessati hanno lavorato alla preparazione del MoU e degli accordi collegati avendo si presume fatto già tutti gli accertamenti necessari, in caso contrario sarebbe di fatto gravissimo. Il fatto che la stessa maggioranza impegni il suo governo a fare ora tutti i necessari accertamenti è di per se significativo e nel contempo inquietante per la leggerezza con cui si è affrontata la questione. Risalgono ai giorni immediatamente successivi alla formazione del governo le prime missioni in Cina del vice Primo ministro Di Maio e del ministro dell’economia Tria e poi un via vai di missione di esponenti di Cinque Stelle e del Sottosegretario al Commercio che di fatto in questi mesi ha vissuto più in Cina che in Italia. Quindi sette mesi di analisi, documentazione, contrattazioni avrebbero dovuto portare evidentemente a una verifica sotto gli aspetti che riguardano la sicurezza nazionale, quanto il rispetto dei nostri accordi internazionali e delle nostre alleanze storiche.

È anomalo, ripeto, che la maggioranza impegni il governo a fare tutto ciò a poche ore prima della firma degli accordi quando ormai tutto è già deciso. Questa missione e queste firme giungono proprio mentre l’Unione Europea, dopo un lunghissimo letargo politico e strategico in cui le singole Nazioni si sono mosse autonomamente e in cui tutti hanno affrontato la Cina come una grande opportunità, improvvisamente l’UE da una parte e gli Stati Uniti dall’altra stanno valutando con grande apprensione i rischi di quella che appariva una grande opportunità con dei provvedimenti alcuni già deliberati altri in via di deliberazione di straordinaria efficacia nella modifica di questa postura.  Tra quelli approvati io evidenzio il Regolamento sullo screening degli investimenti esteri in Europa che stranamente ha avuto come opposizione solo l’Italia (insieme alla Gran Bretagna che però non fa più parte di fatto dell’Unione Europea). Fatto perlomeno strano se lo compariamo al documento ufficiale presentato dall’attuale Governo poche settimane fa in Parlamento nel rapporto annuale dei servizi di sicurezza in cui vengono individuati alcuni rischi per la sopravvivenza del Paese. E tra i rischi per la sopravvivenza del Paese individuati nei rapporti ufficiali vi sono: – la sicurezza cibernetica come nuova frontiera per la sicurezza nazionale  su cui prestare la massima attenzione perché la sicurezza cibernetica significa la sicurezza sui nostri dati; – l’attività predatoria economica e finanziaria fatta da Paesi stranieri che utilizzano anche entità statuali per individuare per esempio le migliori start-up che hanno depositato i migliori brevetti per acquisirle prima che li sviluppino o per favorire la nomina di management nelle aziende che si intendono acquisire affinché preparino il terreno alla azione predatoria che ne seguirà.

Quindi le nuove frontiere della sicurezza nazionale e della sovranità economica – a cui io aggiungo la sovranità sulla conoscenza, sui dati, sull’intelligenza quindi sul nostro futuro – sono quelle economico-finanziarie e quelle della cyber security. Ho fatto notare recentemente al Primo Ministro in una riunione del nostro Comitato per la Sicurezza della Repubblica che l’Italia si è opposta in sede europea proprio al Regolamento sullo screening che invece il rapporto presentato in Parlamento e da Lui sottoscritto definiva come atto fondamentale per garantire la nostra sicurezza e sovranità economica e tecnologica. Com’è possibile? Se noi individuiamo in quel Regolamento il passo decisivo per tutelarci meglio, poi perché ci opponiamo in Europa a quel Regolamento? Altri episodi di questo tipo, dalla anomala posizione sul Venezuela all’annuncio del ritiro dei nostri militari dall’Afghanistan, alla lettera che quindici ambasciatori della UE hanno scritto con l’assenza della firma italiana, al governo cinese per la tutela delle minoranze in quel Paese, ci fanno capire come la postura del governo italiano nei confronti della Cina sia profondamente mutata ed appare clamorosamente diversa di quella dei nostri partner europei.

La nostra postura assomiglia sempre più alla postura (di sudditanza) che per esempio la Grecia ha assunto spesso dopo che la Cina gli ha acquistato i porti del Pireo. Tanto più grave perché l’Italia non è la Grecia e non è certo considerata come tale dai nostri alleati tradizionali e neppure dai nostri avversari tradizionali. Perché l’Italia dovrebbe guardare con attenzione non soltanto alle opportunità ma anche e forse soprattutto ai rischi? Lo dico sulla base della mia esperienza personale di Ministro delegato al commercio con l’estero: nel novembre del 2001 rappresentavo l’Italia al meeting del WTO a Doha dove la Cina realizzò ufficialmente l’obiettivo dell’adesione alla Organizzazione del commercio mondiale, che una volta era il simbolo del capitalismo mercantile. Ero fisicamente presente come capo delegazione italiana quando fu sottoscritto l’ingresso della Cina, allora qualificato come Paese in via di sviluppo a cui erano concesse, proprio per questo, anche dei vantaggi importanti. Allora essa era considerata anche una “economia non di mercato” che avrebbe dovuto nel frattempo nell’arco di quindici anni diventare un’economia di mercato. Cosa che allo stato non è ancora avvenuta. Tutt’altro: la sua economia resta dirigista e le sue aziende sono di fatto ancora in gran parte in mani allo Stato e comunque sussidiate dallo Stato. Le condizioni di allora sono ovviamente profondamente cambiate.

La Cina non è più un Paese in via di sviluppo; è la seconda economia del mondo e presto diventerà la prima economia del mondo, molto competitiva proprio sugli assetti tecnologici e industriali. Ma nel contempo è rimasta un’economia non di mercato anzi è sempre più un’economia non di mercato per la presenza importante e significativa dello Stato soprattutto nei settori strategici dell’economia cinese, come dimostra proprio il caso delle telecomunicazioni.  La situazione è molto cambiata in questi anni. Siamo in un’altra epoca. In quel periodo io stesso mi sono recato in Cina decine di volte con delegazioni di imprese italiane per tentare di cogliere le migliori opportunità di un Paese che si apriva al mondo. Mi recai in Cina anche nella primavera del 2003, durante la SARS, nel massimo momento di crisi del Paese, credo fui l’unico ministro del mondo a farlo per dare un sostegno politico ovviamente allora ritenuto significativo. L’anno successivo nel 2004, fui anche il propugnatore in Europa della misura anti dumping più importante della storia del WTO per vastità di settore, quella nei confronti delle calzature cinesi e vietnamite riproposta poi nel 2008. Non ho quindi mai avuto una visione ideologica o comunque pregiudiziale nei confronti della Cina. Ho guardato sempre e solo e comunque innanzi tutto all’interesse del mio Paese.

In questi anni, la Cina è profondamente cambiata, e da Grande Opportunità è diventata prevalentemente un Grande Rischio perché è molto accresciuta la sua forza competitiva e perché la nuova presidenza di Xi Jinping ne ha cambiato la postura.  Xi Jinping che sarà tra poche ore in Italia è l’unico presidente che ha assunto nelle sue mani, dopo Deng Xiaoping, tutti i poteri della struttura cinese: Segretario generale del Partito Comunista, presidente dallo Stato, coordinatore delle forze armate e altri dieci diversi incarichi di coordinamento. Ha inserito il suo Pensiero nella Costituzione cinese. Ha rimosso il vincolo dei due mandati si pone come un nuovo imperatore della Cina e nel contempo ha modificato profondamente nelle radici la stessa legislazione cinese.  Nel 2017 la “via della seta” è stata inserita nello statuto del partito comunista cinese, come obiettivo strategico per cambiare il mondo. Nel 2018 lo stesso concetto è stato ribadito nel preambolo della Costituzione cinese come nuova alleanza globale, alternativa capace di soppiantare quella del blocco occidentale. Quindi, la via della seta è tutt’altro che uno spot commerciale e nemmeno meramente economico se è inserito nello statuto del partito e nella costituzione della Cina. Inoltre dal  2015 con quattro differenti provvedimenti legislativi che riguardano la sicurezza si fanno una serie di obblighi legislativi tra i quali quello secondo cui e non solo i cittadini e le aziende cinesi operanti nel mondo hanno l’obbligo di fornire informazioni e assistenza al proprio Stato, ai propri servizi di sicurezza e alle proprie forze armate per motivi di sicurezza largamente intesi. Perché per sicurezza non intendono soltanto la sicurezza ovviamente nei confronti della lotta al terrorismo, sarebbe forse comprensibile, ma intendono la sicurezza, la sovranità economica, l’interesse sociale in sostanza ogni aspetto della vita nazionale.

Tra gli accordi sulla economia digitale, particolarmente sensibile, ve ne è persino uno che sarà sottoscritto per favorire la costituzione di una piattaforma commerciale europea di Alibaba in Europa.  Cosa significa? Significa che la piattaforma commerciale Alibaba in Europa, così come ha fatto la grande distribuzione globale per esempio francese, favorirà la vendita dei prodotti cinesi in Europa saltando ogni tipo di controllo anche sanitario. E questo mentre proprio in questo campo, sull’economia digitale, sull’intelligenza artificiale l’Europa vuole recuperare i suoi macroscopici ritardi proponendo di realizzare un piano straordinario europeo per fare dell’Europa la prima economia sull’intelligenza artificiale. Questa è  la frontiera della quinta rivoluzione industriale! Noi oggi parliamo dalla quarta rivoluzione industriale, quella della economia digitale, ma già si prepara la quinta rivoluzione industriale in cui la Cina è cinque anni avanti rispetto all’Occidente, la rivoluzione della intelligenza artificiale. Quindi l’Europa cerca di recuperare un ritardo nella frontiera più importante per il nostro futuro. Nella nuova postura dell’Unione ci sono nuove proposte di direttive o nuovi regolamenti che riguardano la cyber security, la tassazione della economia digitale, ma anche in maniera specifica le relazioni transatlantiche, le tariffe industriali. L’altro giorno nel mio intervento in Parlamento ho elencato almeno dieci argomenti che l’Europa in un senso o nell’altro sta inserendo o vorrebbe inserire nelle proprie normative comunitarie per tutelare il continente rispetto a questa competizione globale.

Nel meeting di oggi vogliamo porre a conoscenza degli addetti ai lavori e in particolare dei decisori ma anche di chi desidera meglio capire e conoscere, persino seguendoci nella diretta su Facebook di cosa si tratta, quale sia la vera posta in palio, cosa si sta per sottoscrivere, perché il Paese deve sapere.  Deve sapere che queste scelte cambiano la postura del rapporto dell’Italia rispetto alla Cina e quindi nei confronti del mondo. Il fatto stesso che in queste ore sia stata rivista la normativa contenuta nel MOU sui porti e gli investimenti in logistica ci deve far riflettere. Perché qual era quella precedente contrattata per mesi all’insaputa del Paese e degli stessi ministeri competenti?  Cosa prevedeva dato che è stata rimossa? Dato che i porti sono la chiave del Paese che non si può mai consegnare a chi ha l’infrastruttura che legherà il mondo. Una chiave che può essere aperta o può essere chiusa da chi la dispone. La conoscenza e la competizione globale si basa su tre-quattro livelli; certamente il primo è il controllo dell’infrastruttura cioè del trasporto di merci e noi stiamo consegnando le chiavi di casa dell’Europa, dell’Occidente ad un soggetto che mette nello Statuto del Partito Comunista che quella via è lo strumento per cambiare gli assetti globali del mondo. Secondo. Le altre “chiavi di casa” è la rete internet. La comunicazione è fondamentale perché riguarda la sicurezza del Paese, la conoscenza dei dati è oggi il centro di tutto e mi riferisco al 5G. Chi controlla, chi ha le chiavi delle infrastrutture digitali ha le chiavi del nostro cervello.  Terzo: chi controlla la vendita on-line ha le chiavi dei nostri mercati. Alibaba è l’esercito che controlla i mercati. Infine e su tutto, il problema dell’intelligenza artificiale, dello spazio e del suo sviluppo tecnologico ed economico, ma questo è un cuore della quarta anzi della quinta rivoluzione industriale che verrà ma i cui assetti si determinano oggi. Spero che questo meeting possa servire a capire e quindi a decidere meglio.

*Adolfo Urso, presidente Fondazione Farefuturo, al meeting “Il dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” Roma, 20 marzo 2019

“Via della seta” strumento di dominio globale

Questo meeting è organizzato da Farefuturo insieme alla Fondazione New Direction la fondazione che fa riferimento in Europa al gruppo dei conservatori e riformisti e quindi alla famiglia dei conservatori europeo- occidentale, su un tema centrale per l’interesse nazionale in una giornata particolarmente significativa a poche ore dalla visita del presidente della Repubblica popolare di Cina in Italia, evento a cui viene dato un alto valore politico.

In tale contesto, abbiamo voluto proporre un seminario di studi dal titolo emblematico ” Il Dragone in Europa. Opportunità e rischi per l’Italia” per analizzare il valore politico ed economico di alcuni accordi che verranno firmato in quella occasione dal Presidente Xi LinPing, che rappresenta tutte le cariche della Cina a cominciare di quella più prestigiosa di Segretario del Partito Comunista Cinese, come tutti sanno in Cina la carica del partito viene prima di quella dello Stato.
Lui stesso nel presentare la sua visita ad un quotidiano italiano ne parla all’interno di un contesto storico, culturale e politico di straordinaria importanza a suggello del quale sarà apposta firma di un MoU che riguarda la cosiddetta Via della seta, il primo realizzato da un Paese importante della Nato e dal un Paese dei G7.

Oggi la “via della seta” è la più importante infrastruttura navale, ferroviaria, logistica del mondo, quindi è acciaio più che seta. Altrettanto significativi i circa cinquanta accordi collegati, alcuni tra aziende pubbliche, quindi su indirizzo specifico dello Stato, altre di aziende private di varia natura.
Nel MoU non si affronta la tematica commerciale ma si parla di infrastrutture, trasporti, logistica, spazio, telecomunicazioni quindi di assetti strategici.
Ovviamente non si parla di commercio strettamente inteso perché come tutti sanno la politica commerciale è esclusiva competenza dell’Unione europea.
Si parla invece di economia, di finanza e anche di quei settori strategici che vi ho citato prima ma non certamente di commercio in quanto tale, come si è voluto far credere. Il nostro export non ne trarrà alcun beneficio diretto.

Ieri nel due rami del Parlamento, sia alla Camera che al Senato, c’è stato un dibattito su questa evento, certamente estremamente significativo per le conseguenze che ha sulla nostra collocazione internazionale, prima ancora per le sue ricadute sulla nostra economia. Il Parlamento ha approvato una davvero strana mozione di maggioranza in cui si impegna il Governo a fare i dovuti accertamenti sulle ricadute del Memorandum: se il nostro interesse nazionale è garantito, se la nostra sicurezza nazionale è garantita se le relazioni e gli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia a cominciare da quelli dell’Alleanza atlantica e della Ue sono garantiti; in sostanza, la stessa maggioranza chiede al governo di accertare e verificare ora a poche ore dalla sottoscrizione degli accordi se tutto ciò è garantito, dopo che per sette mesi i ministeri interessati hanno lavorato alla preparazione del MoU e degli accordi collegati avendo si presume fatto già tutti gli accertamenti necessari, in caso contrario sarebbe di fatto gravissimo. Il fatto che la stessa maggioranza impegni il suo governo a fare ora tutti i necessari accertamenti è di per se significativo e nel contempo inquietante per la leggerezza con cui si è affrontata la questione.
Risalgono ai giorni immediatamente successivi alla formazione del governo le prime missioni in Cina del viceministro Di Maio e del ministro dell’economia Tria e poi un via vai di missione di esponenti di Cinque Stelle e del Sottosegretario al Commercio che di fatto in questi mesi ha vissuto più in Cina che in Italia
Quindi sette mesi di analisi, documentazione, contrattazioni avrebbero dovuto portare evidentemente a una verifica sotto gli aspetti che riguardano la sicurezza nazionale ,quanto il rispetto dei nostri accordi internazionali e delle nostre alleanze storiche.
È anomalo, ripeto, che la maggioranza impegni il governo a fare tutto ciò a poche ore prima della firma degli accordi quanto ormai tutto è già deciso.
Questa missione e queste firme giungono proprio mentre l’Unione europea, dopo un lunghissimo letargo politico e strategico in cui le singole nazioni si sono mosse autonomamente e in cui tutti hanno affrontato la Cina come una grande opportunità , improvvisamente l’Ue da una parte e gli Stati Uniti dall’altra stanno valutando con grande apprensione i rischi di quella che appariva una grande opportunità con dei provvedimenti alcuni già deliberati altri in via di deliberazione di straordinaria efficacia nella modifica di questa postura.
Tra quelli approvati io evidenzio il Regolamento sullo screening degli investimenti esteri
In Europa che stranamente ha avuto come opposizione solo l’Italia (insieme alla Gran Bretagna che però non fa più parte di fatto dell’Unione Europea). Fatto perlomeno strano se lo compariamo al documento ufficiale presentato dall’attuale governo poche settimane fa in Parlamento nel rapporto annuale dei servizi di sicurezza in cui vengono individuati alcuni rischi per la sopravvivenza del Paese. E tra i rischi per la sopravvivenza del Paese individuati nei rapporti ufficiali vi sono:
– la sicurezza cibernetica come nuova frontiera per la sicurezza nazionale
su cui prestare la massima attenzione perché la sicurezza cibernetica significa la sicurezza sui nostri dati;
– l’attività predatoria economica e finanziaria fatta da Paesi stranieri che utilizzano anche entità statuali per individuare per esempio le migliori start-up che hanno depositato i migliori brevetti per acquisirle prima che li sviluppino o per favorire la nomina di management nelle aziende che si intendono acquisire affinché preparino il terreno alla azione predatoria che ne seguirà.
Quindi le nuove frontiere della sicurezza nazionale e della sovranità economica – a cui io aggiungo la sovranità sulla conoscenza, sui dati, sull’intelligenza quindi sul nostro futuro – sono quelle economico-finanziare e quelle della cyber security. Ho fatto notare recentemente al Primo Ministro in una riunione del nostro Comitato per la Sicurezza della Repubblica che l’Italia si è opposta in sede europea proprio al Regolamento sullo screening che invece io rapporto presentato in Parlamento e da Lui sottoscritto definiva come atto fondamentale per garantire la nostra sicurezza e sovranità economica e tecnologica. Com’è possibile?
Se noi individuiamo in quel Regolamento il passo decisivo per tutelarci meglio, poi perché ci opponiamo in Europa a quel Regolamento?
Altri episodi di questo tipo, dalla anomala posizione sul Venezuela all’annuncio del ritiro dei nostri militari dall’Afganistan, alla lettera che quindici ambasciatori della Ue hanno scritto con l’assenza della firma italiana, al governo cinese per la tutela delle minoranze in quel Paese, ci fanno capire come la postura del governo italiano nei confronti della Cina sia profondamente mutata ed appare clamorosamente diversa di quella dei nostri partner europei. La nostra postura assomiglia sempre più alla postura (di sudditanza) che per esempio la Grecia ha assunto spesso dopo che la Cina gli ha acquistato i porti del Pireo. Tanto più grave perché l’Italia non è la Grecia e non è certo considerata come tale dai nostri alleati tradizionali e neppure dai nostri avversari tradizionali.
Perché l’Italia dovrebbe guardare con attenzione non soltanto alle opportunità ma anche e forse soprattutto ai rischi? Lo dico sulla base della mia esperienza personale di Ministro delegato al commercio con l’estero: nel novembre del 2001 rappresentavo l’Italia al meeting del WTO a Doha dove la Cina realizzo ufficialmente l’obiettivo della adesione alla Organizzazione del commercio mondiale, che una volta era il simbolo del capitalismo mercantile. Ero fisicamente presente come capo delegazione italiana quando fu sottoscritto l’ingresso della Cina, allora qualificato come Paese in via di sviluppo a cui erano concesse, proprio per questo, anche dei vantaggi importanti. Allora essa era considerata anche una “economia non di mercato” che avrebbe dovuto nel frattempo nell’arco di quindici anni diventare un’economia di mercato. Cosa che allo stato non è ancora avvenuta. Tutt’altro: la sua economia resta dirigista e le sue aziende sono di fatto ancora in gran parte in mani allo Stato e comunque sussidiate dallo Stato.
Le condizioni di allora sono ovviamente profondamente cambiate. La Cina non è più un Paese in via di sviluppo; è la seconda economia del mondo e presto diventerà la prima economia del mondo, molto competitiva proprio sugli assetti tecnologici e industriali. Ma nel contempo è rimasta un’economia non di mercato anzi è sempre più un’economia non di mercato per la presenza importante e significativa dello Stato soprattutto nei settori strategici dell’economia cinese, come dimostra proprio il caso delle telecomunicazioni.

La situazione è molto cambiata in questi anni. Siamo in un’altra epoca. In quel periodo io stesso mi sono recato in Cina decine di volte con delegazioni di imprese italiane per tentare di cogliere le migliori opportunità di un Paese che si apriva al mondo. Mi recai in Cina anche nella primavera del 2003, durante la Sars, nel il massimo momento di crisi del Paese, credo fui l’unico ministro del mondo a farlo per dare un sostegno politico ovviamente allora ritenuto significativo. L’anno successivo nel 2004, fui anche il propugnatore in Europa della misura anti dumping più importante della storia del Wto per vastità di settore quella nei confronti delle calzature cinesi e vietnamite riproposta poi nel 2008. Non ho quindi mai avuto una visione ideologica o comunque pregiudiziale nei confronti della Cina. Ho guardato sempre e solo e comunque innanzi tutto all’interesse del mio Paese.

In questi anni, la Cina è profondamente cambiata per quello che vi ho detto rispetto ad allora e da Grande Opportunità è diventata prevalentemente un Grande Rischio perché è molto accresciuta la sua forza competitiva e perché la nuova presidenza di Xi Jinping ne ha cambiato la postura.

Xi Jinping che sarà tra poche ore in Italia è l’unico presidente che ha assunto nelle sue mani, dopo Deng Xiaoping, tutti i poteri della struttura cinese: Segretario generale del Partito Comunista, presidente dallo Stato, coordinatore delle forze armate e altri dieci diversi incarichi di coordinamento. Ha inserito il suo Pensiero nella Costituzione cinese. Ha rimosso il vincolo dei due mandati si pone come un nuovo imperatore della Cina e nel contempo ha modificato profondamente nelle radici la stessa legislazione cinese.
Nel 2017 la “via della seta” è stata inserita nello statuto del partito comunista cinese, come obiettivo strategico per cambiare il mondo.
Nel 2018 lo stesso concetto è stato ribadito nel preambolo della Costituzione cinese
come nuova alleanza globale, alternativa capace di soppiantare quella del blocco occidentale.
Quindi, la via della seta è tutt’altro che uno spot commerciale e nemmeno meramente economico se è inserito nello statuto del partito e nella costituzione della Cina.

Inoltre dal 2015 con quattro differenti provvedimenti legislativi che riguardano la sicurezza si fanno una serie di obblighi legislativi tra i quali quello secondo cui e non solo i cittadini e le aziende cinesi operanti nel mondo hanno l’obbligo di fornire informazioni e assistenza al proprio Stato, ai propri servizi sicurezza e alle proprie forze armate per motivi di sicurezza largamente intesi. Perché per sicurezza non intendono soltanto la sicurezza ovviamente nei confronti della lotta al terrorismo, sarebbe forse comprensibile, ma intendono la sicurezza, la sovranità economica, l’interesse sociale in sostanza ogni aspetto della vita nazionale.

Tra gli accordi sulla economia digitale, particolarmente sensibile, ve ne è persino uno che sarà sottoscritto per favorire la costituzione di una piattaforma commerciale europea di Alibaba in Europa.
Cosa significa? significa che la piattaforma commerciale Alibaba in Europa, così come ha fatto la grande distribuzione globale per esempio francese, favorirà la vendita dei prodotti cinesi in Europa saltando ogni tipo di controllo anche sanitari.
E questo mentre proprio in questo campo, sull’economia digitale, sull’intelligenza artificiale l’Europa vuole recuperare i suoi macroscopici ritardi proponendo di realizzare un piano straordinario europeo per fare dell’Europa la prima economia sull’intelligenza artificiale. Questa è la frontiera della quinta rivoluzione industriale!

Noi oggi parliamo dalla quarta rivoluzione industriale, quella della economia digitale, ma già si prepara la quinta rivoluzione industriale in cui la Cina è cinque anni avanti rispetto all’Occidente, la rivoluzione della intelligenza artificiale.
Quindi l’Europa cerca di recuperare un ritardo nella frontiera più importante per il nostro futuro.

Nella nuova postura dell’Unione ci sono nuove proposte di direttive  o nuovi regolamenti che riguardano la cyber security, la tassazione della economia digitale, ma anche in maniera specifica le relazioni transatlantiche, le tariffe industriali, l’altro giorno nel mio intervento in Parlamento ho elencato almeno dieci argomenti che l’Europa in un senso o nell’altro sta inserendo o vorrebbe inserire nelle proprie normative comunitarie per tutelare il continente rispetto a questa competizione globale.
Nel meeting di oggi vogliamo porre a conoscenza degli addetti ai lavori e in particolare dei decisori ma anche di chi desidera meglio capire e conoscere, persino seguendoci nella diretta su Facebook di cosa si tratta, quale sia la vera posta in palio, cosa si sta per sottoscrivere, perché il Paese deve sapere.
Deve sapere che queste scelte cambiano la postura del rapporto dell’Italia rispetto alla Cina e qui di nei confronti del mondo.

Il fatto stesso che in queste ore sia stata rivista la normativa contenuta nel MOU sui porti e gli investimenti in logistica ci deve far riflettere. Perché qual era quella precedente contrattata per mesi all’insaputa del Paese e degli stessi ministeri competenti?

Cosa prevedeva dato che è stata rimossa?
Dato che i porti sono la chiave del Paese che non si può mai consegnare a chi ha l’infrastruttura che legherà il mondo. Una chiave che può essere aperta o può essere chiusa da chi la dispone.
La conoscenza e la competizione globale si basa su tre-quattro livelli ; certamente il primo è il controllo dell’infrastruttura cioè del trasporti merci e noi stiamo consegnando le chiavi di casa dell’Europa, dell’Occidente ad un soggetto che mette nello Statuto del Partito Comunista che quella via è lo strumento per cambiare gli assetti globali del mondo
Secondo. Le altre “chiavi di casa” è la rete internet. La comunicazione è fondamentale perché riguarda la sicurezza del Paese, la conoscenza dei dati è oggi il centro di tutto e mi riferisco al 5G. Chi controlla, chi ha le chiavi delle infrastrutture digitali ha le chiavi del nostro cervello
Terzo: chi controlla la vendita on line ha le chiavi dei nostri mercati. Alibaba è l’esercito che controlla i mercati.

Infine e su tutto, il problema dell’intelligenza artificiale, dello spazio e del suo sviluppo tecnologico ed economico, ma questo è un cuore della quarta anzi della quinta rivoluzione industriale che verrà ma i cui assetti si determinano oggi.

Spero che questo meeting possa servire a capire e quindi a decidere meglio.

*Intervento di Adolfo Urso, presidente della Fondazione Farefuturo, al meeting “Il Dragone in Italia. Opportunità e rischi per l’Italia”