COPASIR, CHI È COSTUI?

Una domanda che il contribuente italiano avrebbe potuto farsi, fino a sei mesi addietro.

Oggi, quello che era uno strumento (a stento) conosciuto soltanto negli ambienti parlamentari, è assurto invece agli onori della cronaca politica e non solo.

Bisogna dare atto agli attuali componenti del Comitato di aver riportato questo oscuro organismo interparlamentare alla sua nominale funzione di “Comitato per la Sicurezza della Repubblica. E non soltanto, come prima avveniva, con una funzione di visibilità e controllo del Parlamento sulle attività dell’intelligence nazionale, interno ed esterno. Per la verità i nostri costituzionalisti, affidandone, de iure o de facto, la guida ad un membro dell’opposizione politica, avevano individuato ab origine l’importanza che questo  strumento parlamentare  avrebbe dovuto avere per il nostro dettato democratico.

La sicurezza della Repubblica non è infatti qualcosa di cui dovrebbero occuparsi soltanto i nostri 007 che in giro per il mondo proteggono gli interessi attuali o potenziali del Paese o che contrastano attività illecite di potenze straniere nel nostro territorio.

È qualcosa che dovrebbe interessare tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, come avviene in Paesi che hanno un forte senso di identità nazionale. E per rendersene conto basta assistere ad alcuni talk show televisivi in Francia o nel Regno Unito dove viene spesso dibattuta la sicurezza dello Stato come tutela dell’interesse nazionale. Se consultiamo il sito web dell’Istituto Treccani: ” interesse nazionale è ciò che uno Stato non può evitare di perseguire senza creare un danno alla collettività”.

Da genuino liberale, orgogliosamente senza tessera di partito, con parole mie preferisco parlare di protezione dell’identità nazionale. E per far questo non possiamo evitare di toccare delicati aspetti di geopolitica, di sufficienza energetica, di sovranità nazionale, di difesa dei confini, di lingua e cultura storica del Paese, di fiscalità, di sicurezza cibernetica, di flussi migratori, persino di criminalità internazionale sempre più organizzata e minacciosa.

Insomma la tutela dell’interesse nazionale è un’attività che, come una passatoia, ha necessità di srotolarsi tra un presente che ci tocca da vicino, un passato che identifica il nostro Paese e un futuro che deve essere di umanità e tolleranza.

E allora non posso che plaudire a questo nuovo corso del COPASIR, che non esita a convocare in audizione Parlamentari e Sindacalisti, Alti Dirigenti e Amministratori Delegati, Autorità locali e nazionali, Ministri e Presidenti del Consiglio.

*Carmelo Cosentino, ingegnere, presidente onorario ASE spa

La sicurezza della Repubblica per fronteggiare la “guerra ibrida”

Pubblichiamo il testo dell’intervento in Aula del 15 marzo del senatore Adolfo Urso in occasione del dibattito sulla relazione annuale del Copasir

Signor Presidente, cari colleghi, intervengo per la seconda volta in quest’Aula da quando sono stato eletto Presidente del Copasir nel giugno dell’anno scorso. L’ho fatto solo durante le comunicazioni del Governo sulla guerra in Ucraina, per dar conto proprio degli allarmi che il Comitato aveva espresso nelle sue relazioni sulla postura aggressiva della Russia in Ucraina e, più in generale, in Europa e nel Mediterraneo allargato, nei Balcani, in Libia e nel Sahel, in Africa; una minaccia accresciuta nel tempo, tesa ad accerchiare l’Europa, anche attraverso il controllo dell’energia e delle materie prime, pronta a utilizzare ogni mezzo in una moderna, terribile e pervasiva guerra ibrida.

Avevamo evidenziato il dispiegamento militare russo intorno all’Ucraina, così come le conseguenze del referendum costituzionale in Bielorussia, che avrebbe cancellato la neutralità di quel Paese, permettendo, quindi, alle truppe russe di agire, anche con dispositivo nucleare, dalla Bielorussia.

Avevamo evidenziato nel tempo, anche nelle precedenti relazioni, l’azione di spionaggio e di reclutamento russo nel nostro Paese; la pervasività della penetrazione russa in Europa, tesa a condizionare le istituzioni democratiche; l’azione aggressiva realizzata nei nuovi domini bellici, nello spazio e nel cyber e l’uso sistematico dei mercenari della Wagner, non soltanto in Africa.

Avevamo scritto, tra l’altro, e cito testualmente: «(…) un’escalation militare in Ucraina potrebbe comportare un ulteriore peggioramento della situazione, che risulterebbe rovinosa anche e soprattutto per l’Italia, che deve a Mosca oltre il 40 per cento delle importazioni» di gas. L’avevamo scritto.

Peraltro, proprio sulla sicurezza energetica il Copasir ha realizzato una specifica relazione al Parlamento il 13 gennaio di quest’anno, al termine di oltre sei mesi di indagine conoscitiva. In quella relazione abbiamo evidenziato la necessità di affrancarci dalla dipendenza estera, tanto più da Paesi come la Russia, che utilizzano l’energia quale fattore di potenza.

In quella relazione indicavamo alcune soluzioni, che sono poi quelle che ora il Governo si appresta a varare incalzato dall’emergenza. Già allora parlavamo della necessità di raddoppiare la produzione nazionale di gas, di diversificare le fonti, di utilizzare il potere sostitutivo dello Stato per gli impianti solari ed eolici che erano bloccati. Già allora parlavamo del nucleare di quarta generazione e dell’ipotesi di fusione nucleare, che il presidente Draghi ha citato pochi giorni fa alla Camera dei deputati. Erano tutte indicazioni già contenute nella nostra relazione sulla sicurezza energetica.

Così come, nella conclusione della relazione, abbiamo indicato con chiarezza l’assoluta necessità di realizzare un piano nazionale di sicurezza energetica al fine di raggiungere un’autonomia strategica, tecnologica e produttiva nel quadro europeo occidentale, di cui finalmente si parla a fronte dell’emergenza.

Cari colleghi, oggi finalmente discutiamo in modo compiuto di sicurezza nazionale sulla base della relazione annuale del Copasir del 9 febbraio. È una novità importante. Onorevoli colleghi – come abbiamo detto nell’incipit della relazione – in passato non è mai accaduto che una relazione annuale del Copasir o una relazione annuale della Presidenza del Consiglio fossero esaminate in Assemblea. La legge n. 124 del 2007, di quindici anni fa, prevede queste due relazioni che non sono state mai esaminate in Parlamento, né in Assemblea, né in Commissione. Per tale ragione, a nome del Comitato, ringrazio la Presidenza e i Gruppi parlamentari di averne condiviso la necessità – come spero accada ogni anno – con una specifica sessione parlamentare. Era questo ciò che chiedevamo nella premessa della nostra relazione annuale; una sessione parlamentare come quella che si svolge ogni anno sulla giustizia, con conseguenze poi legislative.

In questi anni in Assemblea si è svolto soltanto un dibattito su un argomento di competenza del Copasir, nel 2009, con l’allora presidente Rutelli. Si trattava del caso delle intercettazioni su cui peraltro – guarda caso – tanti anni dopo, il 21 ottobre dello scorso anno, siamo stati costretti a fare noi stessi una relazione al Parlamento. Nella nostra relazione sul sistema di intercettazioni abbiamo denunciato come perduri una situazione di assoluta discrezionalità sulle modalità e i criteri con cui vengono affidati i mandati a eseguire le intercettazioni giudiziarie anche in merito alla conservazione o alla distruzione delle stesse.

Ricordo a tutti che siamo sotto procedura di infrazione europea, perché le procure non intendono attuare quanto previsto in una precisa direttiva europea e quanto stabilito dalla legge italiana. Aspettiamo che il Ministro della giustizia mantenga quel che si era impegnato a fare nel corso dell’audizione.

In altri casi, invece, alle nostre relazioni sono seguite azioni concrete. Mi riferisco – per esempio – alla sicurezza cibernetica, che è stata oggetto della nostra prima relazione al Parlamento a inizio legislatura. Essa ha portato all’estensione del golden power al settore delle telecomunicazioni, alla realizzazione del perimetro nazionale sulla sicurezza cibernetica, alla nascita, seppure solo nel giugno scorso, con oltre dieci anni di ritardo, dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Non è stato dato seguito, invece, alla nostra richiesta di allora volta a individuare una fattispecie di reato che consentisse di perseguire gli autori degli attacchi in modo adeguato e di predisporre una difesa attiva; cosa di cui ovviamente si parlerà nei prossimi giorni.

In questa relazione evidenziamo a tal proposito anche la necessità di realizzare al più presto il cloud nazionale della pubblica amministrazione, la rete unica a controllo pubblico, una politica strategica per la connessione marittima, l’autonomia tecnologica e produttiva europea nell’economia digitale.

Purtroppo – cari colleghi – non vi è stata sufficiente attenzione nemmeno quando notavamo che la Russia è lo Stato più attrezzato nella guerra cibernetica e oggi dobbiamo pensare a come eliminare le criticità che possono emergere dal fatto che software antivirus russi siano utilizzati come cavalli di Troia. In queste ore il Governo – ovviamente anche dietro nostra sollecitazione – prenderà altre necessarie misure di cui siamo stati correttamente informati – come sempre accade – in un confronto pieno e leale tra gli organi istituzionali. Lo stesso vale – anzi di più – per la tecnologia cinese, di gran lunga più pervasiva, come abbiamo ampiamente dimostrato tre anni fa e ribadito in questa relazione, chiedendo, purtroppo senza successo, di inibire l’uso della tecnologia cinese nel sistema delle telecomunicazioni.

Altre indicazioni del Comitato sono state recepite e ne diamo conto in questa relazione, per esempio con l’estensione del golden power al settore finanziario e bancario e ad altri importanti asset strategici del Paese, anche alla filiera sanitaria; o con la norma penale che punisce la detenzione di materiale a fini terroristici. Penso altresì all’indicazione contenuta nella nostra relazione su come contrastare la radicalizzazione islamica e le nuove forme di terrorismo jihadista, che abbiamo presentato a seguito della caduta di Kabul nel regime talebano. Questa indicazione è stata di recente recepita dalla Commissione affari costituzionali della Camera e, quindi, abbiamo fatto un passo in avanti.

Sicuramente vi è molto altro da fare. Nella nostra relazione annuale abbiamo evidenziato quali siano alcuni asset strategici del Paese di cui ci siamo occupati nella nostra attività annuale: dalla ricerca all’università, alla tutela dei brevetti della tecnologia, dall’economia digitale alle infrastrutture portuali, dalla filiera siderurgica a quella automobilistica, dai semiconduttori alle batterie, dall’idrogeno al riciclo dei minerali preziosi, dalla nuova competizione duale sullo spazio all’industria della difesa. Sullo spazio come fattore geopolitico – oggi si parla di guerra interspaziale – e sulla difesa europea stiamo per concludere, dopo mesi di indagini, due apposite relazioni che vi presenteremo nei prossimi giorni; indagini che non a caso abbiamo attivato dopo la sciagurata ritirata dall’Afghanistan.

Nella relazione annuale, però, vi abbiamo già anticipato alcune osservazioni sulla difesa europea. Nello specifico, vi abbiamo anticipato come già a noi appariva insufficiente, ben prima dell’invasione russa in Ucraina, una previsione di appena 5.000 militari come forza rapida europea, a fronte del fatto che solo l’Italia impiega 9.200 militari in missioni internazionali. Anche in questa relazione vi abbiamo anticipato come ci sono apparse del tutto inadeguate le risorse previste nel quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea; risorse che sono state dimezzate rispetto a quanto prevedeva il precedente bilancio. Ora ovviamente tutto cambierà sotto l’incalzare della guerra – come ha fatto la Germania – e, se lo ha fatto la Germania, capite che dobbiamo farlo anche noi.

Chiediamoci però se la minaccia russa non sia anche frutto della distrazione europea, del nostro non voler vedere quello che accadeva. Non possiamo più permettercelo. Anche per questo un ampio capitolo della relazione riguarda l’intelligence economica, tanto più importante a fronte della guerra ibrida che è in corso da anni, non da oggi, e di cui il principale terreno di contesa è proprio il nostro Mediterraneo allargato. Si tratta di una guerra ibrida in cui sistemi autoritari (Cina e Russia in testa, ma non solo) aspirano alla supremazia tecnologica ed economica anche attraverso il controllo delle risorse energetiche e alimentari del pianeta, dal gas all’acqua, di materie prime, minerali preziosi e terre rare, di tutto ciò che serve all’economia digitale ed ecologica – lo dobbiamo assolutamente realizzare – che però sta cadendo sotto il loro controllo.

Chi non ha notato (noi lo abbiamo notato) che negli ultimi mesi si sono svolti sei golpe militari, di cui cinque riusciti, in quattro Paesi del Sahel, in due dei quali ovviamente hanno chiamato i mercenari della Wagner?

Intelligence economica e intelligence cibernetica si legano l’una all’altra. Per sottoporlo alla vostra attenzione, abbiamo condotto un confronto con alcune democrazie occidentali, con le nostre democrazie occidentali, Stati Uniti, Francia, Giappone, Svezia, che da tempo hanno sviluppato una intelligence economica, per capire cosa si possa fare, di più e meglio, nei Paesi democratici, a tutela della nostra tecnologia e delle nostre imprese, della nostra scienza e creatività, della nostra società e, quindi, delle nostre libertà.

Qualcosa è stato fatto a normativa vigente, su nostra richiesta pienamente condivisa dal Governo, e ne diamo atto anche al sottosegretario Gabrielli, come abbiamo fatto nella nostra relazione. Ma è necessario fare ancora di più, con apposite modifiche legislative, perché quanto è stato fatto finora è a legislazione vigente. Cambiare la legge è compito del Parlamento.

In questo contesto, abbiamo evidenziato come lo strumento del golden power sia utile, necessario, ma non sufficiente. Serve anche una politica industriale che punti a preservare e, se possibile, rafforzare gli asset strategici del Paese. Lo stesso strumento del golden power, notevolmente rafforzato in questi anni, è ancora poco usato. Guardate le relazioni al Parlamento sul golden power. Lo diciamo perché, talvolta, il Parlamento è distratto. Lo stesso strumento del golden power, notevolmente rafforzato in questi anni proprio su impulso del Comitato, va ulteriormente adeguato alle evidenze emerse nella sua applicazione. Il caso di Alpi Aviation, una piccola impresa ad alto contenuto tecnologico, che abbiamo esaminato e di cui vi diamo conto nella nostra relazione, sulla quale il Governo è recentemente intervenuto, bloccando la vendita a una società cinese statale, ci ha determinato nel chiedere che lo strumento del golden power contempli anche un’azione preventiva di monitoraggio, a tutela proprio delle piccole e medie imprese ad alto contenuto tecnologico, come accade in altri Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti. Questo è nella nostra relazione.

La nostra relazione ha sempre un preciso metodo di lavoro empirico: parte da un caso specifico, come quello sopracitato e dà conto delle nostre sollecitazioni al Governo ad agire nei limiti della legislazione vigente. Ciò avviene nel corso di audizioni (guardate il numero di audizioni fatte lo scorso anno, soprattutto nella seconda parte dell’anno) oppure attraverso note informative specifiche alle autorità competenti (leggete le note informative specifiche che abbiamo inviato e a chi le abbiamo inviate). Infine, attraverso le relazioni al Parlamento, sollecitiamo il legislatore a intervenire.

Ad esempio, nel campo del controllo sull’operato del comparto, cioè dell’Intelligence, sul quale c’è un intero capitolo e che è compito precipuo del Comitato, abbiamo riscontrato il caso Marco Polo Council. La nostra attività in proposito ha consentito all’autorità del comparto di predisporre un primo provvedimento sulla incompatibilità dei vertici dell’Intelligence dopo la cessazione del servizio. Provvedimento pubblicato in via straordinaria nella Gazzetta Ufficiale, affinché terzi ne fossero a conoscenza.

Ora occorre migliorare l’impianto legislativo, il che è compito del Parlamento. Così come, verosimilmente, mi auguro facciano anche altri organi dello Stato per quanto di loro competenza.

Nella parte conclusiva della relazione forniamo pertanto alcune indicazioni su ciò che riteniamo necessario modificare nella legge 124. Una legge ottima, ma approvata nel 2007, quindici anni fa, quando la guerra ibrida non era nemmeno immaginabile, quando la Russia sostanzialmente era ancora nello spirito di Pratica di Mare.

Nella relazione diciamo che è necessario fare già da subito una cosiddetta manutenzione ordinaria, ma assolutamente necessaria, e vi elenchiamo anche i punti in cui occorre intervenire.

Nel contempo, però, abbiamo evidenziato come la normativa abbia bisogno di una revisione più significativa anche per quanto riguarda l’architettura e le competenze delle agenzie di intelligence. Per tale motivo, abbiamo preannunciato che, nella prossima e conclusiva relazione di fine legislatura, al termine di ulteriori approfondimenti, forniremo le nostre relative informazioni in un confronto preventivo al Copasir con il Governo. Tra l’altro, abbiamo affrontato una tematica, emersa sia in questa legislatura che nella precedente, relativa alla composizione del Comitato nel momento in cui muta la collocazione parlamentare maggioranza-opposizione.

Nella precedente legislatura si era supplito con una leggina transitoria, incrementando il numero dei parlamentari componenti il Comitato: ce lo siamo dimenticato? Ebbene, noi non lo abbiamo dimenticato; ragion per cui abbiamo proposto in questa relazione una soluzione normativa che consenta ai Presidenti delle Camere di intervenire quando cambia la ripartizione maggioranza-opposizione per regolare l’attività del Comitato che di fatto, nei primi sei mesi dello scorso anno – si veda il numero di audizioni e di interventi – si era praticamente ridotto a un numero esiguo, quasi paralizzandosi rispetto a quello che abbiamo fatto nella seconda parte dell’anno. Non si può paralizzare l’attività del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica; non lo si può fare, ovviamente, tantomeno oggi.

Cari colleghi, leggendo il combinato disposto della relazione annuale e della relazione sulla sicurezza energetica, qualcuno ha scritto che il Copasir aveva previsto quel che sarebbe accaduto – alcuni giornalisti si sono sbizzarriti su questo – con l’aggressione militare in Ucraina. Qualcosa di significativo avevamo detto nei modi in cui potevamo dirlo, ovviamente, sulla base delle audizioni segretate che avevamo tenuto e, quindi, delle informazioni che noi stessi ricevevamo, perché la nostra fonte di informazione sono le audizioni: l’Intelligence, il Governo, le autorità che convochiamo, non altro, a scanso di equivoci.

Ora occorre reagire, consapevoli che siamo a un punto di svolta nella storia, a un passaggio epocale. Il mondo che sognavamo non c’è più e forse non c’era nemmeno ieri; vi è un prima e un dopo, e non serve a nulla recriminare o rinfacciare, o peggio ancora mettere in difficoltà l’avversario o l’alleato per quello che aveva dichiarato in altri tempi, in un’altra epoca storica, quando aveva altre informazioni. Questo è un gioco al massacro che non serve al Paese.

È il momento dell’unità e della responsabilità, come si sono realizzate (unità e responsabilità) nella risoluzione che definisce quale debba essere la posizione dell’Italia sulla guerra in Ucraina: una guerra che ci riguarda, perché è una parte della guerra ibrida che, con mezzi anche diversi, ma altrettanto devastanti, i sistemi autoritari hanno sviluppato nei confronti delle democrazie occidentali per sottometterci e, se volete, anche in qualche misura per toglierci le nostre libertà.

È un problema che riguarda anche l’Occidente. Vi pongo un esempio che deve essere chiaro a tutti, perché la tecnologia si sviluppa, e oggi la tecnologia consente agli algoritmi – attraverso il riconoscimento facciale e solo attraverso quello – di capire quali siano le opinioni politiche del cittadino che viene sottoposto al riconoscimento facciale, senza altre informazioni. Capite bene cosa ciò significhi rispetto a Paesi in cui è prevalente il controllo sociale del dissenso e in Paesi come il nostro in cui è fondamentale la privacy e le libertà degli individui, delle comunità e delle Nazioni.

Per questo mi auguro che la stessa unità e la medesima responsabilità si realizzino ogni qualvolta affrontiamo le tematiche della sicurezza della Repubblica, che non è soltanto il controllo sull’Intelligence; lo dico a scanso di equivoci.

Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, già nella sua denominazione, che il Parlamento ha scelto nel 2007, a differenza del Copaco precedente, non si limita al controllo dell’Intelligence – fa anche quello, ovviamente – e non si limita nemmeno agli apparati dello Stato, perché non parliamo di sicurezza dello Stato.

Nella denominazione si parla di sicurezza della Repubblica, che è qualcosa di più e di diverso – il legislatore è stato lungimirante – rispetto al controllo sull’intelligence o anche semplicemente al controllo sulla sicurezza dello Stato.

Per questo ci siamo occupati di relazioni tematiche: ne abbiamo fatte sei in questa legislatura, di cui tre negli ultimi sei mesi. Gli argomenti appaiono poco pertinenti a chi non guarda nell’ottica della sicurezza nazionale, ma oggi sappiamo quanto è importante la relazione che abbiamo fatto sulla sicurezza finanziaria e del sistema assicurativo del nostro Paese, a fronte delle decisioni che – per esempio – l’Europa e il mondo occidentale hanno dovuto assumere in materia di sanzioni finanziarie nei confronti della Russia. Allo stesso modo, ci rendiamo conto di quanto importante sia stata la relazione sulla sicurezza cibernetica di tre anni fa, rispetto alla possibilità che ci sia un attacco cibernetico nel nostro Paese e alle misure che devono essere prese per evitare che, attraverso il cavallo di Troia della tecnologia, si possano espropriare le nostre informazioni o, peggio ancora, scatenare una guerra cibernetica nel nostro Paese.

Mi auguro, quindi, che la stessa unità e la medesima responsabilità si realizzino ogniqualvolta parliamo di sicurezza alla Repubblica e che finalmente ogni anno si svolga una relazione, con una sessione con risoluzioni finali, in cui vengano esaminate e comparate la relazione della Presidenza del Consiglio che viene svolta ogni anno a febbraio e la relazione annuale del Copasir, in modo che il Parlamento e il Paese si possano rendere conto di come cambiano, rispetto ovviamente a quanto accade in ogni contesto internazionale, le necessità della sicurezza della Repubblica. Credo che questo sia utile al Parlamento per predisporre poi le misure necessarie.

Ritengo che in questo caso noi potremmo dire davvero di aver risposto alle necessità del Paese.

Concludo, cari colleghi, dicendo che dobbiamo renderci conto che non possiamo fuggire dalla storia, anche se forse lo vorremmo. Non possiamo fuggire dalla storia e la storia oggi ci impone di prendere da subito le misure necessarie per quanto riguarda la nostra difesa, la nostra sicurezza e gli asset strategici del nostro Paese per fronteggiare, insieme alle altre democrazie occidentali, nella nostra Unione europea e nella nostra Alleanza Atlantica quello che abbiamo di fronte.

Non possiamo fuggire dalla storia, possiamo però cambiare la storia.

*Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica

Il Copasir aveva denunciato l’aggressività della Russia

Pubblichiamo il testo dell’intervento del 1° marzo  del senatore Adolfo Urso in occasione del dibattito in Aula sulla posizione dell’Italia sulla guerra in Ucraina

Signor Presidente, intervengo per la prima volta in quest’Aula da quando sono stato eletto Presidente del Copasir, utilizzando il tempo che mi è stato concesso dal mio Gruppo per evidenziare innanzitutto proprio quanto il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica abbia fatto in questi mesi proprio sulle questioni che ora dovremo necessariamente affrontare, in un clima di emergenza sull’onda della guerra nella nostra Europa. Sarà poi il senatore La Russa, in sede dichiarazione di voto, a esporre la posizione del Gruppo.

In questi mesi, con gli altri colleghi del Copasir abbiamo svolto un’intensa attività, come prescrive la legge, in vincolo di segretezza, con indagini, audizioni e analisi di cui abbiamo dato conto in relazioni specifiche al Parlamento – queste sì – pubbliche. In esse abbiamo evidenziato, tra l’altro, con estrema chiarezza proprio la postura aggressiva della Russia, non solo in Ucraina e nell’Europa orientale, ma in ogni area di interesse strategico italiano ed europeo: dai Balcani al Caucaso, dal Mediterraneo al Sahel, secondo una strategia volta al mantenimento della supremazia energetica, al controllo delle materie prime, anche al fine di accerchiare la nostra Europa.

Avevamo segnalato anche cosa stava accadendo in Bielorussia con il referendum costituzionale; le nuove minacce che si alzano in Bosnia e in Kosovo; il rafforzamento del dispositivo militare russo in Siria; la presenza dei mercenari della Wagner in Libia e i golpe militari – sei – nel Sahel, alla frontiera del nostro Mediterraneo allargato, che spianano la strada proprio alla Wagner. Significative peraltro le manovre navali militari congiunte di Russia, Cina e Iran svoltesi in gennaio nel Golfo dell’Oman.

Avevamo anche indicato con chiarezza la necessità di predisporre una vera difesa europea, come ha indicato il Presidente del Consiglio oggi, complementare alla NATO, per aumentare la difesa dell’Alleanza atlantica nel nostro continente e nel Mediterraneo allargato. Tra breve consegneremo la relazione sullo spazio, come fattore geopolitico su cui proprio Italia, sesta potenza spaziale civile al mondo, può giocare un importante ruolo. Difesa e spazio saranno peraltro oggetto delle decisioni che l’Europa dovrà assumere in marzo con lo Strategic compass e il progetto di autonomia strategica spaziale, oggi più che mai necessario. Abbiamo però già evidenziato nella recente relazione annuale come appariva già del tutto inadeguato il progetto di difesa europea, che allo stato prevede una forza di intervento rapido di appena 5.000 militari, quando la sola Italia ha un dispositivo di 9.200 militari in missioni internazionali. Agli asseriti impegni declamati in conseguenza della sciagurata ritirata dall’Afghanistan non è infatti corrisposto un maggiore impiego di risorse; anzi, nel nuovo bilancio europeo le risorse destinate ai diversi progetti di difesa europea sono state di fatto dimezzate.

Ora appare chiaro a tutti che occorre cambiare, perché l’Europa è sotto minaccia e noi sapremo come fare. Proprio per questo il nostro primo pensiero oggi va alla resistenza ucraina, alle famiglie nei rifugi che sui social chiedono aiuto; alle ragazze che confezionano le bottiglie molotov; agli operai che scavano le trincee per rallentare l’avanzata dei carri armati.

Il nostro pensiero va ai giovani che imbracciano un fucile pur non avendo mai fatto il servizio militare, a chi rientra in patria per difendere le proprie famiglie e la propria terra, a un popolo eroico che ha scoperto di essere finalmente una vera Nazione senza distinzione di lingue e di religione, come mai nella propria martoriata storia.  Loro ci ricordano oggi, con il sacrificio della lotta, quali siano i nostri valori, risvegliando loro le nostre coscienze intorpidite. Putin ha fatto un azzardo che ha ottenuto l’effetto di sollevare l’opinione pubblica mondiale, unita come mai si era vista prima. Persino all’interno della stessa Russia c’è chi protesta rischiando il carcere e la repressione. Questa è la prima importante lezione, un monito per chiunque nel mondo pensi che anche la libertà abbia un prezzo, che sia misurabile in rubli, in dollari o in renminbi; un monito a chiunque nel mondo pensi che si possa togliere la libertà senza sollevare la reazione unanime di chi, come noi, crede e vive nella libertà.

La resistenza eroica degli ucraini segna una prima e un dopo nel conflitto globale tra le democrazie occidentali e i sistemi autoritari, un punto di svolta che sarà segnato nel calendario della storia. Quanto accaduto ci deve essere finalmente da lezione per affrontare tematiche che abbiamo da decenni accantonato, come se riguardassero altri, mentre riguardano noi e soprattutto i nostri figli che ne pagheranno il prezzo se non interveniamo subito.

Gli investimenti per la difesa sono certamente necessari, come ha appena fatto la Germania, ma lo sono anche gli investimenti in ricerca, tecnologia, formazione, nell’economia digitale e nell’intelligenza artificiale, nello spazio e nel cyber, per la sovranità energetica e la tutela degli asset strategici, senza cui nessuna autonomia e indipendenza si può più preservare.

Il Copasir ha presentato in questa legislatura sei relazioni tematiche e una relazione annuale in cui ha appunto affrontato ciò di cui oggi si discute. Cari colleghi, nessuna di queste relazioni è stata però ancora esaminata in modo compiuto dal Parlamento, anche se alcuni interventi importanti da noi indicati sono stati poi realizzati, dal sistema della golden power all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale che colma un ritardo decennale. Lo stesso destino nel vuoto hanno avuto le altre relazioni presentate nelle precedenti legislature, così come le relazioni annuali della Presidenza del Consiglio. Siamo stati troppo distratti sui temi della sicurezza nazionale, ora occorre prenderne atto. È necessario che si svolga presto una sessione del Parlamento, come abbiamo espressamente chiesto nel nostro documento inviato alle Camere prima che la situazione precipitasse.

Quanto sta accadendo ci fa capire infatti quanto importante sia la sicurezza della Repubblica e quanto ciò debba essere considerato in ogni decisione che prendiamo, anche quando affrontiamo i temi dell’energia o dell’economia digitale, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale, dello spazio come dell’acciaio, degli asset infrastrutturali come delle filiere industriali, ben sapendo che i nostri avversari sistemici, cioè i sistemi autoritari, li utilizzano appieno nel loro confronto con le democrazie occidentali. Tutto questo fa parte di quello che viene chiamato guerra ibrida. A tal proposito, abbiamo evidenziato la necessità di disporre di un’intelligence economica al servizio del sistema Italia, che sia proattiva a tutela della scienza e della tecnologia e degli asset produttivi del Paese.

Sì, è vero, le sanzioni stanno producendo i loro effetti devastanti, ma occorre anche fermare le armi, rispondendo alle accorate richieste di aiuto di chi è minacciato nella vita e negli affetti, come stanno facendo persino Paesi che sono stati sempre storicamente neutrali come la Svizzera e la Svezia. Ora è il momento delle scelte di campo per tutti. Certo, anche noi pagheremo i costi delle sanzioni, soprattutto come conseguenza del prezzo dell’energia o – se permettete, cari colleghi – come conseguenza delle nostre scelte energetiche errate che ci hanno resi più vulnerabili di altri partner europei.

Proprio sulla sicurezza energetica abbiamo presentato in gennaio una relazione al Parlamento, in cui abbiamo evidenziato le criticità del sistema e le sue pericolose vulnerabilità, sia a fronte della necessaria transizione ecologica, sia a fronte dell’azione egemonica degli attori statuali. In quella relazione individuavamo già alcune soluzioni che in queste ore sono state oggetto della decretazione d’urgenza e concludevamo come fosse necessario realizzare un piano di sicurezza energetico che riducesse la dipendenza dall’estero e soprattutto dalla Russia, con l’obiettivo dell’indipendenza energetica e dell’autonomia produttiva e tecnologica, in collaborazione con i partner europei occidentali, anche in considerazione dei fattori e dei rischi geopolitici sempre più evidenti già allora.

Nella relazione annuale per la messa in sicurezza della rete cyber. Ieri peraltro l’Agenzia ha lanciato un allarme particolarmente significativo, anche perché la Russia è lo Stato meglio attrezzato al mondo per la guerra cibernetica. Per completare questa linea difensiva abbiamo richiamato la necessità di realizzare al più presto il cloud nazionale della pubblica amministrazione e la rete unica a controllo pubblico.

Cari colleghi, la Russia si è preparata da tempo al confronto con l’Occidente. Sono dieci anni che investe sulle due armi che possiede: le risorse energetiche e le forze armate. Punta al controllo delle materie prime e delle frontiere d’Europa, a sottomettere l’Ucraina oggi, per sottomettere domani le Repubbliche baltiche, la Georgia e la Moldova. Ora tutti sappiamo perché e dobbiamo elevare il livello di difesa, anche a fronte di un mondo in cui emergono altri attori altrettanto aggressivi, innanzitutto la Cina, primaria potenza tecnologica e produttiva, capace, essa sì davvero, di aspirare alla supremazia globale. Non possiamo fuggire dalla storia, però possiamo cambiarla. Con la risoluzione unitaria che voteremo oggi cominci davvero una nuova fase nella vita politica del Paese, che ci veda sempre uniti quando è in gioco la sicurezza della Repubblica e, con essa, i valori fondamentali della nostra civiltà.

*Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica

VERSO LA TRANSIZIONE INDUSTRIALE

Dopo la pandemia da Sars Covid 2019, è in atto  un profondo mutamento e una profonda metamorfosi nelle economie dei Paesi più industrializzati del Pianeta: la Transizione industriale, di cui affronteremo in questo articolato i tre pilastri.

1-TRANSIZIONE ECOLOGICA

Sotto la minaccia dei cambiamenti climatici sono aumentati gli sforzi per la neutralità climatica, finanziando progetti che vanno nella direzione del risanamento ambientale e dell’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera: la transizione ecologica.

Il settore che più di ogni altro si trova in questo cambiamento repentino e, talvolta caotico è quello dell’industria dell’auto; le case automobilistiche stanno rivendendo i loro progetti industriali volti alla transizione energetica, sostituendo il motore termico con quello elettrico che garantisce, insieme all’idrogeno, emissioni zero.

La transizione ecologica è una necessità per evitare catastrofi ambientali dovuti al climate change e l’Ue nel PNRR ha stanziato cospicui finanziamenti a tale scopo.

2-TRANSIZIONE DIGITALE

Insieme alla transizione ecologica fondamentale importanza ha la Transizione digitale, con lo scopo di rendere più sostenibile lo sviluppo economico. Transizione ecologica e transizione digitale sono fondamentali per l’economia, la società e l’industria come si legge nel New Industrial Strategy for Europe 2021.

La Transizione digitale con lo scopo di rendere più competitivo il tessuto economico del Paese e sono previsti finanziamenti del PNRR (PIANO NAZIONALE RIPRESA E RESILIENZA) nella realizzazione della banda ultra larga, delle Piattaforme abilitanti, infrastrutture digitali, innovazione per i servizi della Pubblica amministrazione, dello sviluppo dei servizi digitali e delle competenze digitali.

La Transizione digitale pone problemi di sicurezza dei dati e di sicurezza nazionale, per evitare programmi di hacheraggio e di furti di dati sensibili, di brevetti industriali e di informazioni riservate è doverosa la creazione di cloud e di più stringenti difese contro i cyber attacchi.

La cyber security è la sfida più difficile nella transizione digitale e meccanismi di difesa stanno già realizzando, come il polo pubblico del Cloud  nazionale che potrebbe coinvolgere imprese pubbliche e private come Tim, Leonardo, Cdp e Sogei, impegnate in una pubblica gara.

3-INDUSTRIA 4.0

Il terzo pilastro su cui si basa la Transizione industriale è Transizione 4.0 (già  Industria 4.0 e già legge Sabatini) questa prevede crediti d’imposta e superammortamenti per le imprese che investono nella innovazione e automazione di macchinari in ottica ecosostenibili, nello sviluppo di nuove tecnologie e di nuovi processi produttivi.

La Transizione industriale è fondamentale per lo sviluppo di ogni Economia; occorre una serie di pochi punti realizzativi per rendere efficiente e sostenibile la nuova rivoluzione industriale:

– adeguata formazione per competenze sempre più necessarie mettendo al centro

gli Istituti tecnici Industriali;

– nuovi sconti fiscali permanenti che vadano oltre la durata dei governi e delle

Legislature;

– sconti fiscali per le imprese e i cittadini che riciclano e che rimettono nel circuito

produttivo i materiali da riciclo;

– bonifiche più veloci di siti inquinati, di corsi d’acqua e risanamento del territorio

e del dissesto idrogeologico;

– creazione di un ministero della Transizione industriale che accorpi le competenze attualmente divise tra diversi dicasteri;

– potenziamento del ruolo del Parlamento e del Copasir in materia di vigilanza

sulla cyber security;

– formazione sui rischi del digitale e della transizione digitali (messaggi spam e truffe on line con creazione di una superprocura sui reati digitali;

Questi punti sono essenziali per una Transizione industriale (transizione ecologica, digitale e industria 4.0) che metta al centro la

persona, i diritti di cittadino e di consumatore per un Pianeta sostenibile e che passi dai bla, bla bla a uno sviluppo efficiente, digitalmente, ecologicamente sostenibile e che riduca al minimo l’espulsione di personale lavorativo dai processi produttivi dovuta allo sviluppo tecnologico sempre più veloce e incessante.

*Umberto Amato, dottore magistrale in Giurisprudenza

Investimenti esteri, rischi e opportunità

La tutela dell’interesse nazionale, attraverso l’attivazione del “golden power” come scudo protettivo da incursioni estere lesive degli asset strategici italiani, è di fondamentale importanza soprattutto in un momento difficile e delicato come quello che stiamo attraversando.

L’Italia è infatti ancora oggi un Paese strategico nello scacchiere internazionale per rilevanti motivi geopolitici ed economici. Catalizza interesse e attrae investimenti esteri, i cosiddetti IDE (Investimenti Diretti Esteri, appunto), seppure ben al di sotto del proprio potenziale sia quantitativamente che qualitativamente. Gli IDE in entrata sono infatti rappresentati da poco più di 14.000 imprese a partecipazione o controllo estero, le quali però generano 1.300.000 posti di lavoro, un fatturato che supera i 500 miliardi di euro ed un valore aggiunto di oltre 100 miliardi di euro. Pur rappresentando solo lo 0,3% circa delle imprese attive in Italia, il loro peso sale a quasi l’8% degli addetti, a oltre il 15% del valore aggiunto prodotto e a poco più del 18% del fatturato complessivo.

Questo dice diverse cose: anzitutto che, rispetto alle altre potenze economiche mondiali, l’Italia ha una quota decisamente bassa di investimenti esteri; Gran Bretagna, Francia, Spagna e anche Germania, solo per rimanere in Europa, ne hanno molti di più pur avendo un appeal internazionale in diversi casi decisamente più basso del Belpaese. In secondo luogo che gli investimenti diretti esteri buoni generano posti di lavoro, ricchezza, quote ingenti di R&S oltre che di export e hanno un effetto benefico anche sulle filiere produttive. Basti pensare che, in media, le imprese a capitale estero presentano delle performance di gran lunga migliori in termini di valore aggiunto per addetto (86 mila contro 38 mila euro), grazie alle maggiori dimensioni medie di impresa (90 addetti per impresa, contro i 4 delle imprese domestiche). In generale, poi, gli IDE portano anche maggiori e diverse competenze, tecnologie, capacità manageriali, vantaggi di scala e di network. Non tutte le azioni in questo campo, quindi, sono di natura predatoria e potenzialmente pericolosa per l’interesse nazionale, anzi tutt’altro.

Da dove nascono quindi i timori che oggi bloccano da un lato i decisori politici e dall’altro gli investitori internazionali? Sicuramente da situazioni reali, come i recenti casi soprattutto di matrice cinese insegnano; ma anche dalla mancanza di una organizzazione efficace e ottimale degli organismi e degli strumenti preposti all’attrazione degli investimenti. Su questo dovremmo prendere esempio dalla Francia che da diversi anni lavora a difesa dell’interesse nazionale, eppure riesce ad attrarre più investimenti di quanto non faccia l’Italia. Per giocare bene la partita non basta quindi chiudersi in difesa ma bisogna anche sapersi proiettare in avanti, senza lasciare i fianchi scoperti.

Un assetto ottimale dovrebbe da un lato potenziare il CAIE, Comitato Attrazione Investimenti Esteri e, se già così non fosse, rafforzare il rapporto tra questo organismo interministeriale e l’organismo parlamentare preposto alla sicurezza nazionale, il COPASIR, in un’ottica di tutela dell’interesse nazionale ex ante. Dall’altro coinvolgere attivamente non solo, come in parte già accade, ICE Agenzia e Invitalia (chiarendone bene i ruoli) sul fronte della lead generation  e gestione dei dossier di candidatura dei potenziali investitori ma anche il Sistema Camerale italiano perché, tra l’altro, esso detiene l’unico database completamente informatizzato delle imprese (Registro Imprese, deposito bilanci, etc.), decisamente utile sia nel processo di big data analytics, sia nella fase ex post di “messa a terra” dei progetti di investimento buoni in ambito territoriale, passaggio questo ancora troppo debole e non adeguatamente ingegnerizzato nel flowchart dell’attrazione degli IDE.

Un miglior assetto in questo campo potrebbe da un lato porre un argine all’aumento oggettivo delle insidie nei settori strategici delle infrastrutture, dai porti al 5G ma non solo; dall’altro invertire la tendenza alla contrazione in atto, iniziata prima della pandemia e con essa ulteriormente aggravatasi, degli IDE buoni quelli cioè che creano valore per il Paese: nel 2019 l’Italia è scesa dal 15esimo al 16esimo posto a livello mondiale, che in soldoni vuol dire da 33 a 27 miliardi di dollari (fonte Unctad) con una perdita secca di 6 miliardi di investimenti rispetto all’anno precedente. L’Italia può e deve recuperare il terreno perso su questo tema, in sicurezza e con un unico driver: l’interesse nazionale.

*Enrico Argentiero, esperto mercati internazionali

Governance pubblica su Autostrade e fibra ottica

“Autostrade e fibra ottica sono due asset strategici di interesse nazionale, peraltro recentemente inseriti proprio nel perimetro della “golden power”. Proprio per questo il governo deve vigilare su come sarà realizzata la partecipazione dei fondi esteri  garantendo comunque la governance pubblica delle società”: è quanto rileva in una interrogazione il sen. Adolfo Urso, di Fratelli d’Italia, vicepresidente del Copasir. “Ció riguarda sia il negoziato su Atlantia, laddove sembra profilarsi la presenza maggioritaria dei fondi «Blanckstone», americano, e «Macquarie», australiano, sia la realizzazione della Rete a fibra ottica in cui una parte significativa potrebbe averla ancora una volta Macquarie, il quale a sua volta intenderebbe far partecipare altri investitori stranieri nella compagine”. Il profilo del fondo australiano è peraltro tale da considerare la massima prudenza proprio perché ha fama di agire a fini meramente speculativi: sarebbe «famoso per garantire ottimi rendimenti ai suoi investitori ma non altrettanti servizi agli utenti», al punto da essere ribattezzato dagli australiani «la fabbrica dei milionari», e dagli inglesi «il canguro vampiro»;

Inoltre, dalle analisi e ricostruzioni giornalistiche sono emersi ulteriori elementi poco chiari in ordine alle «preziose consulenze» pagate a uno studio di ex politici ed ex amministratori pubblici, tra i quali proprio gli ex vertici dei soggetti in causa, che potrebbero far emergere conflitti d’interesse e comunque una contiguità o commistione di interessi pubblici e privati, sulla quale è opportuno adottare ogni possibile approccio prudenziale al fine di scongiurare ogni rischio di esposizione dei nostri asset pubblici strategici nazionali a possibili operazioni speculative;

Il senatore di Fratelli d’Italia chiede pertanto  “di sapere

a) se il Governo, in relazione al processo di costituzione della società della rete unica nazionale necessaria per l’accelerazione dello sviluppo digitale dell’Italia, e alla recente offerta avanzata dal fondo australiano Macquariea Enel, abbia svolto o ritenga di poter svolgere un’attenta valutazione in ordine alla qualità, sicurezza e provenienza degli investimenti in campo e alle finalità e continuità di gestione.

b) se il Governo abbia valutato le possibili conseguenze sulla governance di Autostrade della circostanza che i fondi esteri assumerebbero una partecipazione maggioritaria in Aspi, e in tal caso, come pensa di garantire il ruolo guida di Cassa Depositi e prestiti, gli investimenti in manutenzione e il costo per gli utenti, anche in relazione alle recenti osservazioni della Autorità di settore”;

c) quali indispensabili interventi ritenga di poter adottare al fine di garantire la messa in sicurezza degli assetstrategici dello sviluppo economico e infrastrutturale del nostro Paese, ponendoli al riparo da qualsivoglia operazione speculativa internazionale e preservando l’interesse nazionale”.

*Enrico Sicilia, collaboratore Charta minuta

INVESTIMENTI ESTERI E INTERESSE NAZIONALE

L’Italia è ancora oggi un Paese strategico nello scacchiere internazionale per rilevanti motivi geopolitici ed economici. Catalizza interesse e attrae investimenti esteri, i cosiddetti IDE (Investimenti Diretti Esteri, appunto). Sul fronte dell’internazionalizzazione passiva, IDE in entrata, sono oltre 14.000 le imprese a controllo estero residenti nel Bel Paese, con oltre 1.300.000 dipendenti, un fatturato che supera i 500 miliardi di euro ed un valore aggiunto di oltre 100 miliardi di euro. Pur rappresentando solo lo 0,3% circa delle imprese attive in Italia, il loro peso sale a quasi l’8% degli addetti, a oltre il 15% del valore aggiunto prodotto e a poco più del 18% del fatturato complessivo.

Numeri importanti, quindi, e ben vengano gli investimenti esteri oggi più che mai! Anzi dovremmo essere in grado di attrarne di più perché, in generale, qualificano le nostre filiere produttive. Basti pensare che, in media, le imprese a capitale estero presentano delle performance di gran lunga migliori in termini di valore aggiunto per addetto (86 mila contro 38 mila euro), grazie alle maggiori dimensioni medie di impresa (90 addetti per impresa, contro i 4 delle imprese domestiche). In generale, poi, gli IDE portano anche maggiori e diverse competenze, tecnologie, capacità manageriali, vantaggi di scala e di network.

Ciò premesso, non è tutto oro quel che luccica e, a volte, dietro apparenti vantaggi si nascondo pericolose insidie. Se ne è parlato ad esempio, nel recente passato, con l’investimento della cordata franco indiana Arcelor Mittal in quella che era la più grande acciaieria d’Europa, l’ILVA di Taranto e i risultati attuali sono sotto gli occhi di tutti. Sempre restando a Taranto è di pochi giorni fa la notizia degli interessi cinesi per il suo porto e per la gestione della relativa logistica, cosa che ha subito fatto drizzare le antenne agli americani (in zona ci sono importanti presidi militari strategici per l’area del Mediterraneo). Oggi la notizia dell’acquisto, da parte dei tedeschi di Hhla, del pacchetto di maggioranza del terminal multifunzionale del porto di Trieste, altra infrastruttura strategica molto ambita (anche dai cinesi, per altro). Nelle operazioni appena citate, cosa non banale, non ci sono solo privati ma anche i rispettivi Stati di provenienza.

Ecco che, allora, entra in campo l’interesse nazionale, o almeno così dovrebbe essere. Nel contesto attuale le infrastrutture materiali (come ad esempio i porti) e immateriali (ad esempio le tecnologie 5G), assieme ai settori strategici, rappresentano infatti degli asset fondamentali per i singoli Paesi.

Questo all’estero sembra che lo sappiano bene mentre a livello governativo italiano pare non esserci al momento la stessa sensibilità. Diverso, invece, il clima che si registra in Parlamento, grazie all’azione meritoria portata avanti negli ultimi tempi dal COPASIR. Ma non basta, perché l’attività di monitoraggio va fatta prima, sulla base di azioni preventive che abbiano da un lato l’obiettivo di incentivare e promuovere gli investimenti che fanno bene all’Italia e, dall’altro, “attenzionare” con maggiore efficacia e nel caso stoppare quelle operazioni potenzialmente lesive dell’interesse nazionale.

Ecco che, allora, andrebbero promosse anche specifiche commissioni parlamentari con compiti sia di vigilanza, sia di indirizzo generale rispetto al tema della tutela dell’interesse nazionale in ragione dei tentativi di incursione di potenze straniere portate avanti anche attraverso gli IDE.

In parallelo andrebbe promosso un vero e proprio “Osservatorio Italia Internazionale” che monitori l’andamento degli investimenti esteri in Italia e italiani all’estero, per fornire non solo un cruscotto di dati ma un vero e proprio supporto tecnico ai decisori politici, cosa diversa dall’attuale Caie.

E mentre aumentano le insidie nei settori strategici delle infrastrutture, dai porti al 5G ma non solo, diminuiscono per effetto della crisi gli IDE buoni, quelli che creano valore per il Paese: nel 2019, in epoca cioè pre-Covid, l’Italia è scesa dal 15esimo al 16esimo posto a livello mondiale, che in soldoni vuol dire da 33 a 27 miliardi di dollari (fonte Unctad) con una perdita secca di 6 miliardi di investimenti rispetto all’anno precedente.

*Enrico Argentiero, esperto mercati finanziari

È tempo di sicurezza nazionale

In un momento di vulnerabilità, come quello che il Coronavirus ci costringe a vivere, il Paese diventa facile bersaglio di chi punta ad approfittarne per interessi geopolitici ed economici. Occorre dunque che lo Stato si difenda dalle silenziose aggressioni esterne che, seppur impercettibili, ledono fortemente la sicurezza del sistema Paese. Il Golden Power diventa così tema bollente di questi giorni. Se prima dell’epidemia il campanello d’allarme era principalmente sul 5G, ora ad essere esposti sono anche il mondo bancario, quello assicurativo e quello industriale che dopo i tonfi in Borsa vivono momenti delicati.

Nel rispetto della libera economia di mercato, il Golden Power è la barriera di contenimento per difendersi da campagne acquisti predatorie, da parte di fondi sovrani e nazioni, verso tecnologie in settori strategici o significativi come trasporti, telecomunicazioni ed energia. Un meccanismo non automatico, da innescare in caso di reale pericolo ponendo uno stop a scalate societarie ostili.
Il 2 marzo, nel corso della ‘Relazione sulla politica dell’informazione per la Sicurezza’, il vicepresidente del Copasir (il comitato per la sicurezza della Repubblica), Adolfo Urso, aveva dichiarato che “l’Italia deve fare un salto di qualità sul piano della sicurezza nazionale e in particolare sul fronte della tutela degli interessi strategici economici con il pieno coinvolgimento del Parlamento stesso e delle forze politiche, sociali e culturali del Paese”, evidenziando “le nuove minacce cibernetiche ed economiche produttive, così come la necessità di continui adeguamenti normativi, cosa peraltro avvenuta più volte nel corso dell’ultimo anno”.
Già il 5 marzo, Urso ha depositato un disegno di legge che va nella direzione di potenziare la cultura della sicurezza nelle istituzioni. Il DDL prevede un iter parlamentare, a seguito della relazione annuale sulla sicurezza dei Servizi, per non perderne il prezioso patrimonio di informazioni. In sostanza, a seguito della discussione nelle aule di Camera e Senato, il Parlamento vota delle risoluzioni fornendo le indicazioni per metterle in atto al governo, che ha due mesi per presentare una legge annuale sulla sicurezza, un po’ come con la legge annuale sulla concorrenza.
In questi giorni, preso atto del rischio Italia, il Governo sta dichiarando di lavorare ad una sintesi normativa che estenda lo scudo del Golden power, nel solco tracciato dal Copasir divenuto sempre più soggetto di impulso e riferimento. In proposito il vicepresidente Urso si spinge oltre il DDL depositato, dichiarando che ora, con la Borsa sotto attacco, il rischio di azioni predatorie e speculazioni internazionali sia aumentato; ed annuncia di lavorare ad un pacchetto di emendamenti al decreto Cura Italia sui temi della sicurezza nazionale. Un pacchetto di emendamenti, annuncia Urso, che “prevedono l’estensione del Golden power ai settori strategici”, oltre a “coinvolgere Cassa Depositi e Prestiti, Banco Poste, e Invitalia per la sicurezza del sistema industriale”, aggiungendo che “bisogna poi predisporre le necessarie contromisure per evitare che quanto previsto nel decreto Cura Italia per la digitalizzazione della pubblica amministrazione non diventi il cavallo di Troia per le aziende cinesi già oggetto della relazione del Copasir al Parlamento sul 5G”.
Mai come ora c’è bisogno di unità e responsabilità da parte di tutta la migliore classe dirigente, perché oltre al rischio sanitario c’è un altrettanto concreto rischio del sistema Paese. E c’è bisogno di uno Stato forte, autorevole, in grado di far fronte alla grande sfida che il 2020 ci ha posto dinnanzi. Nella storia della Repubblica l’Italia ha saputo affrontare diversi momenti bui, confidiamo ci riesca anche questa volta.
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta

Cina e 5G, cosa cambia dopo il dossier Copasir?

Il Vicepresidente del Copasir a Formiche.net: “Da oggi nasce una maggiore consapevolezza della sicurezza nazionale, con l’auspicio che l’Italia sia non retroguardia, ma avanguardia di Europa ed Occidente, ergendosi a modello per gli altri Paesi”. Più consapevolezza sulla sicurezza nazionale, e l’auspicio che l’Italia sia avanguardia in Europa ed Occidente, ergendosi a modello per gli altri Paesi. È quanto si augura ai microfoni di Formiche.net il vicepresidente del Copasir Adolfo Urso (FdI) commentando il rapporto conclusivo dell’indagine sulla sicurezza delle telecomunicazioni a proposito di 5G e Cina.

L’ingresso delle aziende cinesi nella rete 5G italiana costituisce un pericolo per la sicurezza nazionale, sostiene il Copasir. Cosa può cambiare da domani?

Il rapporto è una relazione al Parlamento che il Copasir ha predisposto dopo un anno di indagini molto approfondite e ascoltando le diverse parti in causa, come gli organismi di sicurezza nazionale e le aziende italiane e straniere. L’obiettivo è stato quello di avere una valutazione certamente sulla sicurezza ma anche sui costi tecnologici di una decisione del genere da sottoporre a governo e Parlamento.

Qual è il vostro auspicio?

Che il governo possa valutare la sua azione anche alla luce di ciò che il Copasir ha accertato rispetto ai compiti che gli sono stati conferiti. La relazione, approvata all’unanimità, dimostra che adesso il governo ha gli strumenti legislativi per agire, come la riforma della golden power e alla possibilità di estensione alle reti infrastrutturali, in modo specifico al 5G.

Dal colosso tech Huawei, però, c’erano state molte rassicurazioni. Perché non hanno convinto il Copasir?

Come scritto nella relazione, abbiamo ascoltato tutte le parti in causa, quindi anche Huawei, e al contempo abbiamo ascoltato ciò che ci hanno riferito i nostri servizi di sicurezza. Cito un passaggio significativo della relazione, quando si sottolinea che dalle indagini emerge che la legislazione cinese, così come è stata innovata negli ultimi anni, consente che gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possano fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese. Ovvero aziende e cittadini di quel paese rispondono al sistema di sicurezza nazionale cinese.

Ci sono rischi e costi di un ritardo tecnologico?

Il lavoro svolto è stato significativo anche perché ha riguardato l’eventuale impatto economico sul sistema generale, oltre al faro della sicurezza nazionale. E abbiamo convenuto che rischi di ritardo tecnologico non ve ne sono e che il sistema italiano può essere modernizzato a costi contenuti anche senza la tecnologia cinese.

Senza dimenticare l’elemento dumping…

Molti dei nostri interlocutori in Commissione ci hanno riportato che alcune aziende cinese sono sovvenzionate dallo Stato, oltre al fatto che altrettante di fatto sono addirittura di proprietà statale e realizzando un dumping rispetto alle aziende di altri Paesi, perché possono vendere “sotto costo” spiazzando i concorrenti. Sul punto c’è anche la possibilità di rivolgersi all’autorità europea in materia, al fine di realizzare misure anti dumping sul piano commerciale ove fosse acclarato.

Importante il passaggio in cui si dice che ragioni di mercato, “che assumono un ruolo fondamentale in una economia aperta, non possono prevalere su quelle che attengono alla sicurezza nazionale, ove queste siano messe in pericolo”. La questione è stata sottovalutata fino ad oggi?

Il fatto stesso che sia stato migliorato l’impianto legislativo durante la visita del presidente cinese Xi in Italia ha rappresentato una diversa definizione del sistema, che ha portato il Paese a meglio definire il perimetro nazionale. Sotto la spinta di alcune forze politiche e le sollecitazioni di alcuni alleati internazionali il sistema italiano è stato notevolmente migliorato. Mi auguro che adesso nasca una maggiore consapevolezza della sicurezza nazionale, con l’auspicio che l’Italia sia non retroguardia, ma avanguardia di Europa ed Occidente, ergendosi a modello per gli altri Paesi.

*Francesco De Palo, Formiche.net

Rischio Italia. La nuova "guerra fredda"? Tecnologica ed economica

Poco tempo fa il quotidiano Il Sole 24 Ore ha riportato la vicenda di un’azienda italiana leader mondiale nella realizzazione di pannelli in vetro e acciaio (che oggi rivestono la maggior parte degli immobili moderni) con sede in Veneto e da qualche anno passata a proprietari giapponesi, la cui vendita ai cinesi è stata bloccata. La Commissione per gli investimenti esteri negli USA, avendo competenza giuridica perché l’azienda ha uno stabilimento produttivo anche negli States, ha bloccato la trattativa. Ufficiosamente la decisione della Commissione Cfius sembra motivata dal timore che i cinesi inseriscano dei microchip nei pannelli per attività di spionaggio su scala globale. Siamo dinnanzi ad una nuova guerra fredda? La risposta sembra essere proprio positiva anche se non è percepita dal momento che la partita tra Stati Uniti e Cina si pratica sul tavolo della capacità di penetrazione del campo dell’avversario attraverso due armi principali: la leva finanziaria volta alla acquisizione degli asset strategici di un Paese e quella tecnologica per il reperimento delle informazioni dello stesso. In gioco tra Occidente ed Oriente c’è la supremazia globale.
Lo scorso 20 novembre il vice presidente del Copasir Adolfo Urso ha presentato una interrogazione parlamentare ai ministri Di Maio e Moavero, al fine di sollecitare una chiara presa d’atto del sempre più emergente problema di sicurezza nazionale, soprattutto a seguito di un atteggiamento di arrendevolezza, da parte del Governo, riguardo lo screening degli investimenti esteri nel nostro Paese. Il senatore Urso ha sottolineato un’azione del Governo dai tratti incomprensibili e che suscita molta curiosità: l’astensione, presso il Coreper (il comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea) nella votazione riguardo al Regolamento sullo screening degli investimenti esteri in Europa. L’astensione in tale sede equivale a voto contrario! Il precedente Governo insieme a Francia e Germania aveva fortemente sollecitato il regolamento in questione al fine di proteggere gli Stati europei dalle invadenze estere, perché non tutti i Paesi dell’Unione hanno gli strumenti per tutelarsi e dunque ciò che viene respinto frontalmente grazie alle proprie difese può entrare lateralmente a causa della mancanza delle difese altrui. Fortunatamente il Regolamento è stato approvato e ciò consentirà ai singoli Paesi di compiere la propria sovranità grazie ad un celere reperimento di informazioni riguardanti le attività economiche estere a protezione delle proprie imprese e tecnologie.
Tutelare il proprio Stato non significa solo prevenire attacchi terroristici, perché vi possono essere aggressioni invisibili, silenziose, legali e molto letali anche se prive di impatto mediatico. La difesa di un Paese passa anche e soprattutto dal contrasto contro coloro che esercitano veri e propri atti predatori a detrimento della propria sovranità. E se siamo ormai nella nuova guerra fredda tecnologica ed economica, abbiamo necessità di un Governo pienamente consapevole, compiutamente sovrano ed in grado di difendersi.

*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta