Come difendere la qualità italiana

Questo saggio di Luisa Todini presidente del Comitato Leonardo, è stato pubblicato nel Rapporto Nazionale “Italia 20.20” della Fondazione Farefuturo

Il momento estremamente difficile che il nostro Paese, unitamente alla maggior parte delle altre nazioni industrializzate, sta affrontando è del tutto straordinario ed impone riflessioni che impattano pesantemente su tutte le politiche economiche ed industriali da adottare. Va innanzi tutto considerato che l’Italia è il settimo Paese manifatturiero mondiale, con un comparto export componente irrinunciabile del Pil nazionale, contribuendo per oltre il 35% alla sua formazione, ma anche un Paese di industrializzazione relativamente recente, che ha saputo raggiungere in pochi decenni una produzione estremamente differenziata unita ad un settore agroalimentare vitale, strategico e di altissima qualità. I suoi fattori valoriali sono cambiati negli anni, e la qualità oggi ha in larga misura sostituito il prezzo del prodotto per la competitività del «Made in Italy».

Il nostro sistema industriale, sviluppatosi a cavallo del primo conflitto mondiale, solo nei primi anni Trenta inizia ad essere parzialmente competitivo a livello internazionale. Il secondo conflitto mondiale interrompe tutto ciò, ed alla fine della guerra la situazione dell’Italia è drammatica, con la produzione industriale al 30% di quella prebellica, le aziende fortemente danneggiate o obsolete, le infrastrutture carenti. La ripresa è tuttavia impetuosa: nei 15 anni dal 1945 al 1960 si passa, con una velocità sorprendente, da «l’Italia della ricostruzione» a «l’Italia del miracolo economico», col sistema industriale che è il grande protagonista di questo periodo, e trova il suo sbocco naturale nella crescente domanda interna di nuovi e più moderni prodotti, assorbendone oltre il 75% della produzione. L’export negli anni ‘50 si indirizza fondamentalmente verso mercati tradizionali e contribuisce solo per il 15% alla formazione del Pil.

Negli anni Sessanta la produzione industriale continua a crescere ed inizia ad essere in esubero rispetto alla domanda interna. L’export diventa sempre più uno sbocco essenziale per l’economia delle imprese: i mercati di riferimento rimangono quelli europei e, parzialmente, il Nord America, i punti di forza sono saldamente ancorati alle produzioni tradizionali. Tra 1960 ed il 1970, l’Italia comincia ad essere considerata la migliore produttrice di prodotti di buon gusto e fattura, la cui competitività è fondata essenzialmente sulla varietà degli stessi ed il prezzo. All’inizio degli anni Ottanta si afferma anche la qualità tecnologica dei macchinari italiani, che conquistano importati quote di mercato; ma accade ciò che condizionerà in assoluto la percezione internazionale dei nostri prodotti: esplode il boom dell’alta moda italiana. Da sempre ancillare alla moda francese, e sulla spinta di alcuni grandi stilisti – Valentino, Armani, Versace in primis – la nostra moda diventa il vero sinonimo di eccellenza, innovazione, gusto e lusso. E si inizia a parlare di Qualità Globale come elemento portante del «Made in Italy».

Quasi negli stessi anni scoppia negli Usa uno scandalo destabilizzante per tutto l’export italiano, quello dell’etanolo nei vini italiani, cui segue un crollo verticale dell’export del settore sul mercato americano e non solo. Con una decisione assolutamente innovativa viene deciso di lanciare una grande campagna promozionale, che punti non più sulla convenienza del prodotto, ma sulla qualità. La campagna ha un grandissimo successo ed influenzerà tutte le iniziative promozionali degli anni a venire: è la qualità del prodotto che viene indicata come il vero fattore vincente, a prescindere dall’elemento prezzo. Tutti questi eventi contribuiscono, in modo decisivo, a cambiare il metro di valutazione del «Made in Italy» da parte del mondo intero.

Con gli anni Novanta e la fine del bipolarismo internazionale, inizia l’era della globalizzazione e della liberalizzazione dei mercati. Sorgono nuovi competitor, che attaccano l’export italiano su quei prodotti economici o di livello medio dove il fattore prezzo rimane elemento assolutamente determinante. Le imprese italiane si trovano da un lato spiazzate per l’enorme differenza dei costi di produzione, e dall’altro costrette a trovare un riposizionamento produttivo ed un nuovo approccio commerciale sui mercati avanzati. Non basta più essere, come negli anni Settanta e Ottanta, dei buoni produttori per vendere: bisogna consolidare l’impresa e radicarsi sui mercati esteri, e questo può essere fatto solo arricchendo l’offerta con quei valori aggiunti che possono qualificare un prodotto: aumento del livello qualitativo, diversificazione in base ai mercati di destinazione, accorte politiche di vendita, servizi post-vendita, difesa del marchio. Al «Made in Italy» viene soprattutto richiesta una garanzia: lo standard di qualità dei prodotti. È in questa ottica che nasce, nel 1993, il Comitato Leonardo: un’Associazione indipendente di imprese, fondata da Confindustria e Ice, che riunisca l’eccellenza del «Made in Italy» e ne porti avanti i suoi valori fondanti: capacità innovativa, eccellenza produttiva, qualità esclusiva. Viene superato il concetto del lusso – che, al contrario, continua ad essere considerato dirimente da altri Paesi concorrenti, quali la Francia – per includere anche prodotti teoricamente «poveri», o economici, ma di totale leadership mondiale nel loro settore. Nell’intuizione italiana, il concetto di Qualità si dilata, in quanto include tutti gli altri fattori che concorrono a distinguere un prodotto: l’origine, l’innovazione, la tecnologia, lo stile, la competitività. Ecco così che questo concetto di «qualità globale» diviene il vero elemento distintivo e parte imprescindibile del «Made in Italy».

Nel nuovo secolo la concorrenza mondiale diventa più pressante: la globalizzazione porta investimenti produttivi e tecnologici anche in paesi emergenti a basso costo, l’offerta globale diviene più ampia e riguarda anche produzioni sinora considerate esclusive dei paesi avanzati. Il mercato globale si presenta molto più incerto rispetto al passato, con grandi tensioni internazionali, nuove barriere politiche e normative al libero scambio, una Brexit dalle conseguenze ancora non prevedibili, crisi economiche latenti e nuovi competitor. Emerge anche un altro forte elemento distorcente, a lungo sottovalutato, che limita pesantemente l’espansione del nostro sistema, ma anche il mantenimento di quote di mercato ormai acquisite: quello del prodotto «simil-italiano», contraffatto o ingannevole, che è stimato valere, per i soli prodotti agroalimentari, circa una volta e mezzo in più dell’intero export nazionale del settore. È una realtà difficile da contrastare, che riguarda anche altri settori, quali la moda, l’arredo, il design ed anche una parte dei beni strumentali: una vera e propria concorrenza illegale.

Se il prodotto italiano riesce a mantenere il passo della concorrenza soprattutto grazie al fattore qualità, si cominciano tuttavia a notare le prime crepe del mondo idealmente liberalizzato che era il presupposto della globalizzazione: nascono pulsioni protezionistiche, cresce l’insofferenza dei paesi meno sviluppati, sorge il protagonismo di nuovi giganti economici. In questo quadro così mutevole e potenzialmente instabile, si inserisce improvvisamente e prepotentemente la pandemia del Covid-19, diffondendosi con una rapidità inaudita in tutto il mondo creando, immediatamente, una stasi in tutte le attività economiche, ponendo quesiti sul come e quando riprendere e sui possibili scenari futuri. Appare innanzi tutto chiaro che la prima emergenza (superata, almeno parzialmente, quella sanitaria) sarà assicurare la conservazione economica e produttiva delle aziende italiane. È un aspetto questo che coinvolgerà tutti gli strumenti economici e finanziari del governo, ma che non potrà prescindere da un poderoso intervento dell’Europa, a costo della sua stessa sopravvivenza come unione politica ed economica tra Stati. Il secondo aspetto, più strettamente legato alla tematica base di questo intervento, riguarda l’esigenza di rafforzare e proteggere l’export italiano, rilanciando il concetto che comprare «Made in Italy» non significa solo acquistare un prodotto, ma soprattutto un’idea: quella qualità globale che ne è alla base conferendo ad ogni prodotto italiano una sua precisa identità, fatta di tradizione e al tempo stesso di innovazione. Anche qui occorre intraprendere iniziative finanziarie a largo respiro, che intervengano sia esternamente (sui mercati, sui consumatori, sul trade) sia all’interno delle aziende, la loro formazione e riorganizzazione, nonché su nuove politiche commerciali e promozionali.

In grande sintesi, possono essere così elencate:

  1. il primo intervento, che deve vedere il Governo assolutamente protagonista affiancandosi e coordinando anche tutte le misure decise dalla Ue, riguarda il sostegno economico alle imprese, sia sotto forma di liquidità che di garanzie, con prestiti a lungo termine ed a fondo perduto. Cancellazione parziale dell’anno fiscale. Eliminazione di quella giungla burocratica per arrivare ad una «Italia facile» che consenta alle stesse di superare la straordinaria emergenza e riprendere più forti di prima;
  2. indispensabile, con riferimento all’export, che il Governo imposti una convinta politica di sostegno dei principali settori produttivi, attraverso iniziative globali con progetti pluriennali, a forte componente mediatica, articolati con strumenti che la moderna politica di promotion può offrire e che ribadiscano come la qualità sia «il» valore assoluto del «Made in Italy»;
  3. per bloccare i prodotti imitativi o falsificati deve essere perseguita una sempre più decisa e rigorosa politica di forte contrasto, attraverso tutti gli strumenti legali e giuridici disponibili ed un convinto supporto del nostro Governo. In particolare per la difesa dell’autentico italiano è fondamentale lanciare una forte campagna di informazione e formazione del consumatore estero, che possa metterlo in grado di riconoscere il vero dal falso, la qualità del prodotto italiano dalle sue imitazioni;
  4. investire su una continua opera di educazione aziendale tesa alla convinzione che la difesa del prodotto si attua innanzitutto in casa, tramite un attento controllo dei processi produttivi e qualitativi del prodotto, che conduca anche a quella sostenibilità sempre più dirimente per i consumatori;
  5. Rafforzare ed incentivare le iniziative volte ad accelerare investimenti tecnologici ed innovativi in tutti gli aspetti del processo produttivo, gestionale e commerciale soprattutto delle piccole e medie imprese che rischiano di essere tagliate fuori dai grandi cicli di rinnovamento. È ormai chiaro che la promozione si modificherà radicalmente, almeno a breve, rispetto agli schemi tradizionali, e sarà fondamentale raggiungere direttamente il consumatore.

Un programma vasto, come si vede. Ma una crisi straordinaria come l’attuale impone un progetto altrettanto straordinario che, nella sua complessità, può essere realizzato se tutte le controparti, Imprese, Associazioni, Governo, sapranno collaborare per quella che sarà la vera sfida del nostro tempo, quella del dopo-virus: rafforzare le imprese per superare la grande crisi mondiale, sostenere e consolidare il «Made in Italy» nella sua posizione di eccellenza pronte al nuovo grande mercato post-globale che verrà.

*Luisa Todini, presidente Comitato Leonardo