Così si ferma il settore auto

Sono qui a rappresentare la filiera dell’industria automobilistica partendo dalla casa auto fino all’ultimo dei componentisti che produce anche un “semplice” bullone.

Non nascondo che è forte la responsabilità che sento in questo momento, tuttavia, sono qui anche e soprattutto in veste di imprenditore in quanto come diceva il senatore opero nel settore dell’automotive con una mia azienda. Il settore ha un peso economico e sociale in Italia proporzionale a quello che riveste in Europa. Solo in Italia sono cinque mila e settecento aziende per cento miliardi di fatturato l’anno.

Cento miliardi di PIL viene prodotto da noi. Occupiamo duecentosessantamila addetti circa nella filiera, cosiddetta, accorciata cioè dal bullone all’automobile. Tuttavia se dall’automobile allunghiamo la filiera fino a chi fa manutenzione, ai rivenditori di ricambi arriviamo a un milione duecento mila addetti soltanto in Italia che, rappresentano, la cosiddetta filiera allungata Siamo storicamente il primo investitore in Ricerca e Sviluppo Italiano con un miliardo e settecento milioni complessivamente ed allo stesso tempo lo siamo in Europa. Come filiera siamo uno dei maggiori contribuenti in Italia con settantaquaranta miliardi di tasse pagate ogni anno ed, stesso tempo lo siamo in Europa con quattrocentotredici miliardi di tasse pari a circa un quinto del PIL italiano di tassazione che tutte le imprese europee versano.

Come dicevo prima siamo una filiera e come filiera operiamo in modo organico, collegati gli uni con gli altri a monte ed a valle delle case auto che sono il fulcro da cui parte ed intorno a cui ruota la filiera stessa, nella sua totalità come un grande ecosistema. Le case auto hanno circa il trenta per cento di valore aggiunto su quello che comprano che va a pagare la loro ricerca sviluppo ed il “montaggio” dei componenti acquistati.  Sostanzialmente la gran parte di ciò che vedete in un’automobile non è prodotto internamente dalle case automobilistiche ma avviene realizzato dai componentisti che, fanno parte la filiera.

Le normative europee relative al settore automobilistico si muovono su tre direttrici:  La prima è legata alle missioni delle fabbriche il così detto E.T.S. Emission Trading System, come filiera è un qualcosa che ci fa piacere che venga attuato a livello europeo e la gran parte delle fabbriche dove si producono auto e componentistica sono  già e più che compliant con essa.

La seconda direttrice della normativa si occupa di sicurezza attiva e passiva degli autoveicoli la cosiddetta General Safety Regulation anche qui è un ottimo stimolo a spingerci ad alzare l’asticella dell’innovazione tecnologica al servizio della sicurezza attiva e passiva.

Così come sarebbe un ottimo stimolo alzare l’asticella dell’innovazione la normativa sull’inquinamento, se essa fosse stata ragionevole e tecnologicamente neutrale. Purtroppo la normativa europea sull’inquinamento sembra tener presente un solo parametro inquinante, il CO2 che, significa anidride carbonica che è un gas. Pertanto come tutti i Gas entra direttamente nell’atmosfera e poi da lì si propaga e produce effetti anche molto lontano dal luogo in cui è stato prodotto. Un secondo fattore inquinante, che hanno le auto e qualunque mezzo di trasporto sono le polveri sottili polveri sottili che, possono arrivare dal tubo di scarico così come dal consumo di copertoni o dei freni.

Polveri che seppur sottili sono pesanti e tendono a rimanere localizzate dove sono state prodotte.

L’impostazione della normativa è volta a favorire o meglio obbligare i produttori a commercializzare auto diesel, benzina, a gas, ad idrogeno a favore dell’auto elettrica e/o ibrida plug in, sostanzialmente non permettendo uno sviluppo delle tecnologie attuali in un’ottica di riduzione dell’inquinamento.

Questo approccio non solo danneggia profondamente l’impresa italiana automobilistica italiana dal produttore alla filiera ma danneggia tutta l’impresa automobilistica europea compresa quella tedesca quindi in questo caso l’Europa è andata anche contro la Germania.

Sentivo parlare prima di Europa che ha fatto gli interessi della Germania, purtroppo in questo caso è andato anche contro la Germania e contro tutte gli altri stati europei produttori di automobili e nei quali sia presente la filiera automobilistica, il tutto a favore dell’Asia ed in particolar modo della Cina dove tradizionalmente la produzione di componenti elettronici e delle batterie sono più sviluppati.

Tutto questo sta avvenendo nonostante l’industria Automotive abbia ridotto del trentacinque per cento le emissioni dei veicoli negli ultimi 15 anni, un dato che non ha eguali nel mondo industriale.Inoltre non si è tenuto conto della composizione del parco circolante europeo ed italiano perchò, quando parliamo di inquinamento bisogna tener presente che esso è generato maggiormente da veicoli con un’età superiore ai 5 anni che in Italia sono oltre l’80%.

I target che si vogliono raggiungere e le modalità con le quali si vogliono raggiungere oltre ad essere tecnologicamente vincolanti a favore dell’auto elettrica sono a dir poco irragionevoli nelle tempistiche, infatti un primo e profondo step di riduzione di CO2 è già al 2021. Il 2021 per quello che riguarda il mondo dell’Automotive di significa l’altro ieri, perché quello dovrebbe entrare in produzione nel 2021 è stato progettato almeno cinque/sei anni prima in un quadro normativo ben diverso.

Oggi non siamo tecnologicamente pronti, se non con l’auto elettrica, a passare ad un inquinamento della media ponderata della gamma venduta di 95gr CO2/Km. Questo cosa significa in concreto? Significa che oggi anche le auto ibride a combustione quindi quelle che non vengono ricaricate la sera a casa non sarebbero compliant alla normativa europea, lo sarebbero solo le auto elettriche o le auto ibride plug-in cioè, quelle che si ricaricano la sera a casa.

Tutto ciò potrebbe aver senso se l’energia elettrica fosse prodotta da fonti non inquinanti, invece la produzione energetica è il settore che contribuisce al 33% della produzione globale di CO2.

Quindi noi andremo ad alimentare il quindici per cento la fetta rossa che vedete nel grafico della slide rappresentato dal trasporto su gomma utilizzando necessariamente energia prodotta da chi già produce il 33% del CO2 mondiale, pertanto andando ad incrementare questo numero.

Inoltre con degli attuali standard per far fronte a una domanda crescente di energia elettrica per ricaricare le batterie, in molti paesi dovrebbero essere riaperte le centrali a carbone, altamente inquinanti.

Il che genererebbe il paradosso di alimentare un’auto non inquinante a livello di CO2 con l’energia prodotta in una centrale altamente inquinante.

Il tutto si traduce in un costo da medio dell’auto che andrebbe a trentacinque mila euro per un’utilitaria e per una berlina salirebbe oltre tra i settanta/novanta mila euro. La Smart per dare un’idea che di una macchina molto diffuso a Roma costa trenta mila euro nella versione elettrica. Soprattutto tutto ciò creerebbe un significativo problema infrastrutturale perchè noi oggi abbiamo ventuno mila pompe di benzina in Italia e solo cinquecento colonnine per la ricarica veloce delle auto elettriche e due mila colonnine per la ricarica lenta (otto/dieci ore).

Dovremmo arrivare al 2030 ad avere quattrocento mila colonnine per la ricarica lenta e veloce cioè venti volte quelle che sono le pompe di benzina di oggi.

Tutto questo solo in Italia significa nei prossimi tre anni creare novanta mila disoccupati. Non perché noi li vogliamo licenziare dalle nostre fabbriche ma, perché le case automobilistiche dovrebbero comprare il gruppo motore quindi la batteria ed il motore elettrico dalla Cina o comunque da Paesi asiatici perchè in Europa nessuno produce pacchi batteria su larga scala.

Personalmente, ritengo questo dato molto conservativo, perché il solo Gruppo Volkswagen in Germania a causa della transizione obbligata dal motore termico ad elettrico ha dichiarato un esubero di 30.000 dipendenti.

Rifacendomi a quando rappresentato dagli altri attori delle diverse filiere produttive che hanno partecipato all’incontro di oggi, anche nell’auto l’Italia ci ha messo del suo creando il cosiddetto sistema di “bonus/malus” recentemente approvato con la legge di bilancio. Bonus di duecento milioni stanziati in tre anni per chi compra auto elettriche o ibride plugin e malus che dovrebbe generare un introito stimato in 100 milioni attraverso una sovratassa sulle auto nuove.

È un’assurdità che in paese con un parco auto così vetusto ed altamente inquinante, come vedete dalla tabella di destra, dal 2005 al due 2015 le auto fino a cinque anni di vita sono scese dal 34% del 2005 al 20% del 2015 si metta un malus sull’acquisto di auto nuove e non sulle auto inquinanti presenti nel parco circolante. Il malus va a penalizzare fortemente il Gruppo FCA, primo costruttore italiano, che ha deciso di stoppare tutti gli investimenti in Italia presenti nel piano industriale che ammontano a €5miliardi.

Ricordiamoci che non c’è filiera se non c’è produttore! Inoltre una parte di questi cinque miliardi sarebbero serviti per produrre la cinquecento ibrida a Mirafiori.

Qualche politico, nei precedenti interventi ha detto che noi imprenditori cerchiamo le colpe nella politica e nell’Europa e nel mio o meglio nel nostro caso non cerchiamo colpe da nessuna parte ma non possiamo essere considerati un bersaglio da colpire.

Ci tengo a ricordare cosa facciamo noi per il Paese: siamo la filiera con il più alto valore di moltiplicatore aggiunto dell’economia un euro di valore aggiunto nella filiera automotive, secondo lo studio realizzato da Prometeia, crea €2,2 di valore addizionali nell’economia. Dieci posti di lavoro della filiera automotive per creano venti posti di lavoro addizionali nell’economia reale. Ricordo che occupiamo 1,2mln di addetti e permettetemi di dire siamo forse l’unica industria che, grazie alla sua unicità di filiera, è riuscita ad attirare investimenti esteri da un paese come la Germania. Il gruppo Volkswagen vestito settecento milioni in Italia.  Il gruppo Volkswagen tra i vari brand che detiene, possiede la Bentley ma il SUV della Bentley non viene prodotto in Inghilterra ma c’è in Germania a Lipsia dove vengono prodotti tutti i SUV della piattaforma Volkswagen. Tuttavia per il SUV Lamborghini, grazie all’unicum della filiera della cosiddetta Motor Valley, il Gruppo Volksvagen ha deciso di investire settecento milioni di investimento in Italia per creare uno stabilimento ex novo ad hoc a Sant’Agata Bolognese.

La componentistica italiana ormai è arrivata ad esportare la gran oltre il 50% del fatturato tuttavia non si può accettare in silenzio di continuare a vedere l’industria italiana e non parlo solo dell’auto, che è pesantemente svantaggiata per il solo fatto che abbia scelto l’Italia come paese dove svolgere la propria attività.

Nella slide potete vedere che i primi sei paesi produttori di Automotive in Europa, sono anche tra le prime 10 economie al mondo, noi siamo l’ottavo nel Global Competitivi Index italiano siamo al quarantatresimo posto.

IL Global Competitive Index, è il l’indice di competitività globale che, misura quanto è attrattivo il Paese per chi fa business e noi siamo al quarantatresimo posto, dato ancora più allarmante è che nel 2000 eravamo al ventiquattresimo posto cioè in diciotto anni abbiamo scalato diciannove posizioni, purtroppo in negativo.

Governi a prescindere questo non è un qualcosa che è più sostenibile!

Grazie

 

*Marco Bracaglia, Membro consiglio direttivo ANFIA, AU Magistris & Wetzel spa

Intervento al meeting “Europa contro Impresa Italia”