L’anno 2018, un anno di vigilia di quell’annus horribilis 2019 nel quale la catastrofe della pandemia prima negata e poi censurata dalla Cina Comunista ha devastato le economie e a salute globale, in quel 2018 il trionfo del nuovo Mao veniva acclamato quasi universalmente. Come era d’altra parte avvenuto nei media Americani ed europei di molti paesi nella Seconda metà degli anni Trenta per Adolf Hitler.
Nel 2018, la Rivista “Forbes”, nella annuale classifica dei 75 uomini più potenti del mondo, lo collocava al primo posto, davanti a Putin e a Trump.
Il Corriere della Sera lo dichiarava, con decisione apparentemente unanime del suo comitato di Redazione, come uomo dell’anno, suscitando una reazione indignata di numerosi firmatari della lettera al Direttore Fontana che peraltro ribadiva la correttezza di tale decisione, ignaro di quello che già accadeva in Xinjiang e in Tibet, nel Mar della Cina Meridionale, e che si preannunciava a Hong Kong, nello stretto di Taiwan, in Birmania e nelle operazioni di colonizzazione tentacolare, finanziaria, economica e logistica, delle “Vie della Seta”.
Un lume di saggezza sembrava invece già nel marzo 2018, provenire dall’Economist che scriveva: “La Cina è passata dall’autocrazia alla dittatura”.
Questo è avvenuto quando Xi Jinping, l’uomo più potente del mondo, ha fatto sapere che avrebbe cambiato la costituzione della Cina così da poter governare a vita. Dopo Mao nessun leader cinese ha mai avuto così tanto potere.
Dopo il collasso dell’URSS, l’Occidente ha accolto il nuovo grande continente comunista nel suo ordine globale. I leader occidentali credevano che inserire la Cina in istituzioni quali il WTO avrebbe mantenuto le sue grandi potenzialità all’interno di un sistema di regole costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Speravano che l’integrazione economica avrebbe incoraggiato la Cina a evolvere verso l’economia di mercato e, il suo popolo avrebbe ottenuto maggiori libertà democratiche e diritti.
Per diversi decenni, sembrava che questo potesse accadere.
La Cina è diventata più ricca. Sotto la guida di Hu Jintao la scommessa dell’Occidente sembrava ripagata. E quando Xi Jinping prese il potere cinque anni fa si credeva ancora che la Cina si sarebbe mossa verso lo Stato di Diritto e l’adozione di una Costituzione che vi si ispirasse. Oggi questa illusione è scomparsa. Xi Jinping ha indirizzato la politica e l’economia verso un crescente autoritarismo, controllo e repressione delle libertà individuali. Il Presidente ha usato il suo potere per riaffermare il dominio del partito comunista. Ha annientato i rivali. Ha creato nuove Forze Armate e riportato l’intero sistema di sicurezza, intelligence e Difesa sotto il suo diretto controllo.
La nuova leadership si è mostrata durissima nel reprimere ogni forma di dissidenza, creando una sorveglianza di Stato. La Legge sulla Sicurezza Nazionale ha fatto strage a Hong Kong di qualsiasi libertà che Pechino si era impegnata a rispettare con l’Accordo Sino-Britannico ratificato anche dalle Nazioni Unite.
Pechino pretende di applicare la Legge sulla Sicurezza Nazionale ovunque nel mondo, nei confronti di cittadini cinesi che non dimostrino “amore” per il Partito Comunista Cinese, e minaccia chiunque altro manifesti sostegno alla causa della Democrazia e della Libertà in Cina.
La Cina è diventata un nemico dichiarato della democrazia liberale. Nell’autunno 2018 il Presidente Xi Jinping ha offerto una sua teorizzazione proponendo che i Paesi partners della Cina comprendano la saggezza cinese e l’approccio cinese alla soluzione dei problemi. Ancor prima, nel 2012, Xi Jinping precisava che la Cina non esporterà il suo modello. Ma da un paio di anni afferma il contrario. L’Occidente e l’America hanno nella Cina – sempre più – non solo un rivale economico, ma anche un antagonista ideologico e strategico.
La scommessa per l’integrazione dei mercati ha avuto successo per Pechino, assai meno per gli altri. La Cina è stata integrata nell’economia globale. È il primo esportatore al mondo, con più del 13% del totale. Ha creato una prosperità straordinaria per sé stessa. Tuttavia, la Cina non ha un’economia di mercato, e ne resta assai distante.
Controlla il commercio come arma del potere statale. Tutte le industrie strategiche dipendono dallo Stato e così – in base alla legge – anche tutte quelle private, e non soltanto quelle ritenute strategiche. Il piano Made in China 2025 punta a creare leader mondiali in dieci industrie, tra le quali l’aviazione, la tecnologia e l’energia, che coprono quasi il 40% del tessuto manifatturiero.
La Cina viola abitualmente il sistema di regole esistente nella società internazionale, ma sembra anche progettare un sistema parallelo “revisionista”, autonomo e alternativo. L’iniziativa Belt and Road, che prometteva di investire $1tn in mercati esteri è uno schema per sviluppare il Nord della Cina e per creare una rete di spionaggio industriale, di collegamenti strettissimi tra imprese ICT e altre a elevata tecnologia: per imporre così una totale capacità di controllo del vertice del PCC in tutto ciò che avviene. Il Governo cinese alimenta analoghi legami con decine di migliaia di ricercatori e studenti all’estero.
Sono ormai migliaia i casi di spionaggio sui quali l’FBI sta indagando, attribuiti a ricercatori cinesi negli Stati Uniti.
La Cina usa il commercio per affrontare i suoi rivali. Cerca di punire le imprese direttamente, come la Mercedes-Benz tedesca, che fu obbligata a chiedere scusa dopo aver citato il Dalai Lama online. Li punisce anche per il comportamento dei loro Governi. Quando le Filippine contestarono la rivendicazione cinese della Scarborough Shoal nel mare cinese del Sud, la Cina subito fermò il commercio di banane, per “problemi di sicurezza sanitaria”.
L’Occidente ha bisogno di ridisegnare i confini della politica verso la Cina. Cina e Occidente devono imparare a vivere con le loro differenze.
Più a lungo l’Occidente sarà accomodante nei confronti degli abusi della Cina, più sarà pericoloso affrontarli in futuro. di fare luce sui collegamenti tra fondazioni indipendenti, e Stato cinese.
Una sintesi delle difficoltà e delle minacce poste dalla Cina di Xi Jinping veniva tracciata, durante la campagna presidenziale americana, dal Senatore Elizabeth Warren, che sottolineava in Foreign Affairs: … in tutto il mondo la democrazia liberale è sotto assedio. I Governi autoritari acquistano potere. I movimenti politici fautori del pluralismo sono sotto scacco. Le disuguaglianze crescono trasformando il Governo del popolo in governo delle élite più ricche. Il fenomeno parte innanzitutto dall’America che è stata, negli ultimi 70 anni, il paladino delle libertà democratiche, dello stato di diritto e della democrazia liberale.
Dall’inizio degli anni 2000, con il consolidarsi della globalizzazione e l’estrema finanziarizzazione dell’economia, Washington ha virato in direzione di politiche che, invece di andare a vantaggio di tutti, sono andate ad esclusivo vantaggio di un ristretto vertice di élite. Il divario fra l’1% dei detentori della ricchezza in ognuno dei Paesi OCSE e il 99% della popolazione è fortemente cresciuto nel corso degli ultimi 20 anni ed ha avuto un ulteriore impressionante accelerazione negli ultimi 10, mentre la crisi finanziaria e la recessione economica facevano perdere milioni di posti di lavoro con una crescita intollerabile di poveri e di emarginati dalla società. E’ questo il particolare brand di capitalismo sul quale sono parse concentrarsi le ultime amministrazioni repubblicane, riducendo le regolamentazioni, abbassando le tasse soprattutto sui ricchi, favorendo le società multinazionali.
L’emergere della Cina come potenza assertiva e neo-imperiale – sottolineava ancora Elizabeth Warren – è avvenuto in un contesto nel quale la superiorità militare degli Stati Uniti è rimasta certamente indiscussa sul piano regionale e globale.
Essa è stata tuttavia erosa dai successi considerevoli di Russia e Cina nell’ammodernamento e potenziamento delle rispettive forze militari e dei formidabili progressi tecnologici di queste due potenze nella “quinta dimensione” della sicurezza: il dominio cyber.
Credo che il Direttore Sangiuliano abbia avuto una grande intuizione nel dedicare i suoi due ultimi importanti lavori a due protagonisti di mondi ideologicamente contrapposti, il mondo della dittatura comunista da un lato, e il mondo della democrazia liberale dall’altro.
Sono entrambe storie di assoluta attualità, perché esprimono ancora oggi come quarant’anni fa una profonda diversità di impostazione sui valori fondamentali della dignità della persona, della libertà individuale e collettiva, della rappresentatività del popolo, del rispetto del pluralismo, dei diritti delle minoranze e delle diversità.
Vi sono alcune singolari coincidenze cronologiche nei due libri che, nel segnare l’iniziare ascesa di Xi Jinping e la fase trionfale della Presidenza Reagan, si presterebbero certamente a un esercizio storico – letterario come quello di Plutarco nelle “Vite Parallele” (Βίοι Παράλληλοι).
Tali coincidenze riguardano gli anni del secondo mandato del Presidente Reagan, dal vertice di Ginevra con Michail Gorbaciov e al suo discorso del 12 giugno 1987 a Berlino (“Signor Gorbaciov abbatta questo muro”), e le vicende che riguardano in quegli stessi anni le ritrovate fortune politiche del padre di Xi Jinping, Xi Zhongxun e proprio nel 1987 -quando Reagan provocava una reazione di Gorbachev a Berlino- lo scoppio del caso Hu Yaobang, Segretario del Partito Cinese al quale Xi Zhongxun era legato quale esponente delle posizioni più liberali in materia economica e riformiste anche sul piano politico.
Il confronto viene perfettamente descritto nel libro “Il nuovo Mao” ; un confronto che infiammava la politica cinese degli anni ’80: una contrapposizione, cioè, tra quanto ritenevano che le riforme economiche dovessero rimanere solo tali, e quanti le vedevano invece come il preludio alla formazione di un ceto medio e quindi a improcrastinabili riforme politiche.
Hu Yaobang si era spinto ad affermare che il Marxismo non era immune da errori e alcuni aspetti della vita in Occidente erano da apprezzare. Erano gli anni in cui gli studenti scendevano in piazza nelle grandi città per rivendicare quelle riforme. L’epilogo sarà Piazza Tienanmen.
Xi Jinping nell’86 aveva 33 anni ed era saldamente ancorato al sostegno del generale Geng Biao amico da sempre del padre. Con le sue scelte di carriera all’interno del partito e la stretta ortodossia ideologica al marxismo maoista abbracciata da Xi Jinping per quanto riguardava il ruolo assoluto del partito unico nella politica, Xi Jinping iniziava quel percorso che avrebbe incardinato sempre più la Cina Comunista in una traiettoria nettamente antagonista e nemica della democrazia liberale , costantemente affermata da Ronald Reagan.
*Giulio Terzi di Sant’Agata, ambasciatore, già ministro degli Affari esteri