Sardegna, al voto con l’Armata di Solinas

Domenica 24 Febbraio i Sardi saranno chiamati al voto per eleggere il Presidente della Regione. Dopo 5 anni di centrosinistra, le elezioni si annunciano piene di interrogativi, culminati con gli strascichi della rivolta dei pastori e l’incubo dell’astensione pronto a flagellare la competizione elettorale. La più grande bizzarria che salta all’occhio è proprio la legge, maldestramente concepita nel 2013 e non modificata, che regolerà la competizione elettorale. Non scevro da critiche, il Porcellum in salsa Sarda si distingue per abnormi soglie di sbarramento verso le liste non coalizzate, un premio di maggioranza attribuito di concerto con la vittoria del Presidente, per annullare il rischio di “anatra zoppa” e lo scoglio del voto disgiunto che agita i partiti e soprattutto i candidati in corsa per la poltrona di Villa Devoto. Nel rispetto delle regole non scritte dell’alternanza, i pronostici vertono a favore di Christian Solinas, Senatore Sardo-Leghista che guida una flottiglia più o meno coesa di 11 liste, ribattezzata  con l’imponente nome di “Centrodestra civico, sardista e autonomista”, verso i caldi lidi dell’aula di Via Roma, pronto a sfondare il boom del 40% per aggiudicarsi il 60% dell’emiciclo. Un centrodestra allargato con 200 candidati in più di quello che 5 anni prima sfiorò l’impresa mai riuscita del bis con Ugo Cappellacci, vincitore nel confronto di lista ma sommerso da un tremendo disgiunto a favore dell’eterno outsider Pili, che per la seconda volta ha svestito i “panni istituzionali” per indossare quelli di “capo-popolo” e del Presidente uscente, non ricandidato, Francesco Pigliaru. Abbastanza fortunato da non doversi barcamenare in un Consiglio non suo come sarebbe stato naturale, Pigliaru è la prova lampante che il porceddum andava cambiato per favorire una maggiore corrispondenza tra l’aula e il volere degli elettori, ma i segnali dell’ultima ora hanno fatto protendere per il mantenimento dello status quo. A tentare la remuntada per il Centrosinistra c’è Massimo Zedda, il Sindaco di Cagliari che gira l’isola come una trottola cercando di cancellare con una grossa gomma l’esperienza del governo che l’ha preceduto, a parole ci riesce ma nelle liste è costretto ad accettare pesanti compromessi con i democratici, primo punto dolente. Si sente tuttavia svincolato dalle segreterie di partito, complice lo stato comatoso del PD Nazionale e Regionale in corso di riorganizzazione, di cui può ignorare almeno in campagna elettorale le direttive. Ostenta sicurezza agli occhi del pubblico, d’altronde nessuno avrebbe potuto immaginare un suo exploit nel 2011, da quel momento siede indisturbato a Palazzo Civico per un secondo mandato e sa che alla fine se la potrà giocare almeno per strappare il robusto premio di maggioranza al suo principale competitor: Christian Solinas. Complicato è anche lo stato dei 5 Stelle che scontano una scelta orientata all’ultimo verso il bibliotecario Desogus, seguita alla condanna del candidato-designato Mario Puddu. Il Sindaco di Assemini è uscito sconfitto (e di scena) per un abuso d’ufficio, giudicato troppo gravemente dall’etica pentastellata, per permettergli di finalizzare un biennio di campagna elettorale quasi permanente. Puddu è un esponente dell’ala sinistra del movimento, vicina a Fico e avrebbe eroso sicuramente consenso alla sinistra di Zedda che può così tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Lo sostituisce in questo gravoso compito però Vindice Lecis, giornalista di lungo corso (ha lavorato 35 anni nel gruppo L’Espresso), portabandiera di un rassemblement falce&martello che agita lo spauracchio di un disgiunto poco gradito anche da quelle parti riportando in auge battaglie industriali e… ambientali. Segue il Filologo Paolo Maninchedda: un evergreen della politica Sarda, da sempre schierato con le varie maggioranze dal 2004 ad oggi, salvo poi ravvisare a metà mandato i soliti segnali di ribellione che fanno temere il peggio, alla fine i mal di pancia rientrano e si procede a gonfie vele o quasi verso la fine della legislatura. Questa volta però il Professore, che ha mantenuto il voto di coerenza, correrà da solo capitanando il Partito dei Sardi. Con lui anche l’ex Presidente della Regione Mauro Pili e l’indipendentista di sinistra Andrea Murgia saranno impegnati nella difficile sfida di superare il 5% dei voti validi con le rispettive liste per portare una pattuglia di fedelissimi nell’aula di Via Roma, sfida assai ardua che rischia di infrangersi contro l’implacabile soglia di sbarramento. A Michela Murgia 5 anni prima non bastarono 75000 voti per superare il moloch che si frappone tra i candidati “minori” e gli scranni, un mostro imperturbabile persino agli attacchi dei giuristi più puntigliosi, che nessuno si è scomodato di rimuovere dall’ingrato compito, egregiamente adempiuto con una lontana fragranza di incostituzionalità.

Le Regionali sono anche una valida occasione sfoggiare il messianismo che per l’occasione, trovandoci in Sardegna, assume connotati un po’ esotici. Per Christian Solinas nessuno è voluto mancare all’appuntamento col profumo di vittoria alle porte, la coalizione di Centrodestra ha schierato l’artiglieria pesante: il Ministro degli Interni in stato di grazia con un tour quasi settimanale girerà la Sardegna in lungo e in largo facendo scalo a Roma e in Puglia, Giorgia Meloni che si aggiudica a mani basse lo scettro della maggior distanza percorsa in macchina in appena due giorni e Silvio Berlusconi che non vuole mancare da nessuna parte, tenta una nuova operazione rinascita tra piantine miracolose e diete, trova ad accoglierlo ad Oristano Paolo Palumbo, giovanissimo candidato forzista affetto da SLA che con profondo coraggio e dignità ha intrapreso la sua prima sfida elettorale e che speriamo che gli sia di buon auspicio come già successo 25 anni or sono dalle parti di Sassari ad un altro “disabile” di successo.

I 5 stelle tentennano, chiamano a raccolta i Ministri della compagine di governo, quasi a voler reclamare finalmente un ruolo istituzionale. L’intento è positivo ma il risultato mediatico non è dei migliori con Toninelli di mezzo, si attendono ancora i veri leader pentastellati per ribaltare i pronostici della vigilia.

Poi c’è Zedda che, a parte Zingaretti e Pisapia, si è chiuso in un religioso diniego all’idea di far sbarcare i pezzi di grosso calibro del Centrosinistra in Sardegna. Troppa incertezza all’orizzonte e il rischio di un congresso permanente del PD trasposto nella realtà Sarda (che non è delle migliori), hanno fatto vincere la più classica delle idee gattopardesche di chi gioca la carta del nuovo che avanza: nessuno ostacolerà le manovre dei protagonisti della giunta Pigliaru nei rispettivi collegi dove tenteranno l’elezione, ma i confini sono già stati tracciati e restano ben visibili. Chissà se saranno rispettati?

*Giovanni Chessa, collaboratore Charta minuta